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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 17/10/2020 Scarica PDF
L'annoso problema dell'imposta di registro sul decreto di omologa del concordato fallimentare con assuntore
Luigi Pizzi, Avvocato in MilanoSommario: 1. Premessa. - 2. La genesi della questione e la sua evoluzione giurisprudenziale. - 3. Le recenti pronunce della Corte di Cassazione. - 4. Conclusioni e riflessioni operative.
1. La questione dell’assoggettamento del decreto di omologazione di un concordato fallimentare con terzo assuntore a tassazione di registro in misura fissa o proporzionale, e, in quest’ultimo caso, sulla base di quali aliquote, intrattiene da tempo gli interpreti, con esiti incerti. Si tratta di questione forse di nicchia, ma non per questo trascurabile, considerata la rilevanza che la sua soluzione può assumere sulle sorti dell’istituto del concordato fallimentare.
2. L’analisi della problematica non può che prendere le mosse dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 27/E del 21 giugno 2012. L’AE, dopo aver richiamato la propria circolare n. 27 del 26 marzo 2012 in tema di tassazione di decreti di omologazione di concordati preventivi con garanzia o con cessione dei bene, introduce un importante distinguo relativo al concordato fallimentare con assuntore. Il decreto di omologazione di quest’ultimo, contrariamente a quanto previsto per i concordati preventivi con garanzia o con cessio bonorum, dovrebbe essere tassato in misura proporzionale, in quanto l’atto giudiziario di omologa “produce effetti immediatamente traslativi”, ferma restando l’alternatività tra IVA e registro di cui all’art. 40 del TUR[1].
Circa la base imponibile e le aliquote applicabili, l’AE evidenzia che l’operazione di concordato fallimentare con terzo assuntore si caratterizza per un rapporto sinallagmatico tra il soddisfacimento dei creditori concorsuali del fallimento da parte dell’assuntore, secondo il metodo civilistico dell’accollo, e il trasferimento in capo a questi dei residui attivi fallimentari a titolo di corrispettivo. Dall’unitarietà dell’operazione l’AE fa quindi discendere l’applicabilità dell’art. 21, comma secondo, del TUR, a mente del quale l’imposta di registro deve essere applicata come se l’atto tassato contenesse la sola disposizione che dà luogo all’imposizione più onerosa.
L’AE conclude che il decreto di omologazione del concordato fallimentare con terzo assuntore deve essere tassato in misura proporzionale, adottando la maggiore imposizione risultante, da un lato, sottoponendo il trasferimento dei singoli attivi concordatari alle aliquote previste per il trasferimento dei corrispondenti beni[2]; dall’altro lato, applicando l’aliquota del 3% prevista dall’art. 9 della Tariffa, parte prima, allegata al TUR (di seguito, per brevità, indicata come TP1).
Tutto risolto, quindi, dal lontano 2012? Non esattamente, poiché la giurisprudenza – e, per il vero, la prassi operativa di molti uffici locali della stessa AE – non si è sempre allineata alla citata circolare.
Particolare rilievo in proposito assume la sentenza della CTR di Milano n. 5058/2018, che, adottando un criterio nominalistico, conclude per l’applicabilità dell’art. 8, lett. g) della TP1, che, come noto, prevede un’imposizione in misura fissa. La CTR sottolinea che il decreto di omologazione non comporterebbe un automatico trasferimento dei beni in capo all’assuntore e sarebbe, quindi, privo di effetti traslativi, i quali, invece, si produrrebbero successivamente, in fase di esecuzione del concordato e in concomitanza dei singoli atti di trasferimento con cui la proprietà dei vari beni facenti parte del compendio attivo fallimentare verrebbe infine trasferita all’assuntore.
Secondo tale impostazione, il decreto di omologazione sarebbe sottoposto a tassazione in misura fissa ai sensi dell’art. 8, lettera g) della TP1, mentre i successivi atti di trasferimento sarebbero tassati secondo l’aliquota proporzionale applicabile in ragione della natura del bene oggetto degli stessi (e ciò in linea con quanto sostenuto dalla citata circolare n. 27/E). Inoltre, la CTR, nel caso di specie, individua la base imponibile nel valore attribuito ai beni ricompresi nell’attivo fallimentare dall’esperto nominato ai sensi dell’art. 124, comma 3 L.F.
In sintesi, quindi, la CTR ha ritenuto il decreto di omologazione del concordato fallimentare tassabile in misura fissa, in ragione del fatto che esso non avrebbe alcun effetto traslativo. Sarebbero, invece, tassabili con aliquota proporzionale i successivi atti di trasferimento, a favore dell’assuntore, della proprietà dei singoli beni o diritti, anche se, a onor del vero, non è chiaro quale dovrebbe essere la base imponibile in quelle proposte concordatarie che, contrariamente a quella che ha dato origine alla citata pronuncia della CTR, sono prive della relazione del professionista ex art. 124, comma 3 L.F.
Infine, si segnala anche la risposta a un interpello rassegnata dall’AE in data 30 ottobre 2018, che si discosta parzialmente da quanto statuito nella circolare n. 27/E. In tale risposta, infatti, l’AE, discostandosi dall’impostazione dell’operazione sinallagmatica unitaria ex art. 21, comma secondo, del TUR, individua nell’apporto netto dell’assuntore (inteso come esborso effettivo, al netto delle liquidità già disponibili al fallimento) la base imponibile per l’applicazione della tassa di registro in misura proporzionale. A parere dell’AE, l’esborso netto dell’assuntore costituirebbe, dal punto di vista fiscale, il valore delle attività trasferite all’assuntore stesso, da ripartire proporzionalmente tra le stesse “in modo da riflettere il valore reale dei beni e/o diritti acquisiti”. Sulla base imponibile così determinata, andranno poi applicate le singole aliquote proporzionali, distinte in ragione della tipologia di bene e/o diritto tassata ex art. 8 della TP1. L’AE si spinge, infine, a suggerire di utilizzare il parere del Curatore reso ai sensi dell’art. 125 L.F. come utile riferimento per determinare il valore reale dei beni e dei diritti acquisiti dall’assuntore.
Questa la breve panoramica dei diversi orientamenti emersi negli anni, in varie sedi, sul tema in questione[3], ai quali, per il vero, si affiancano numerose prassi degli uffici locali, non cristallizzate in alcun provvedimento, ma regolarmente applicate, che si sono tradotte, in sostanza, nella sottoposizione al decreto di omologazione a imposizione in misura fissa.
3. In tale composito, e invero confuso, quadro, sembra mettere ordine la pronuncia resa dalla Suprema Corte in data 12 febbraio 2018 (n. 3286/2018). La fattispecie concerne il ricorso presentato dall’AE contro una decisione in grado di appello che aveva quantificato in misura fissa l’imposta dovuta sul decreto di omologa di un concordato fallimentare con assuntore, facendo applicazione dell’art. 8 TP1. La Corte muove la propria critica alla decisione impugnata, evidenziando le differenze che il concordato con assuntore presenta rispetto ad altre tipologie di concordato e, segnatamente, rispetto alla cessio bonorum. Quest’ultima tipologia non comporta un immediato trasferimento di bene e diritti, ma si concreta in un mandato a gestirli e liquidarli nell’interesse della massa creditoria, secondo il modello civilistico del mandato ex artt. 1977 ss. c.c. Di contro, l’omologa del concordato con assuntore produce un effetto immediatamente traslativo. La Corte ribadisce, pertanto, il principio generale che “ancora l’imposizione di registro agli “effetti” dell’atto, piuttosto che al relativo “titolo”.
Se, pertanto, sono gli effetti traslativi a determinare la tassazione, nel concordato con cessio bonorum saranno tassati ex art. 8, lett. a) TP1, i singoli atti di liquidazione dei beni posti in essere dal liquidatore giudiziale in esecuzione della proposta concordataria omologata; di contro, nel concordato con assuntore la tassazione proporzionale dovrà essere applicata al decreto di omologa, in ragione del fatto che lo stesso ha immediati effetti traslativi, dovendosi qualificare gli eventuali successivi provvedimenti del giudice delegato come atti meramente esecutivi.
Diversamente opinando, prosegue la Corte, si giungerebbe all’illogica conseguenza di esentare da tassazione il trasferimento di ricchezza che avviene con l’omologa del concordato fallimentare, laddove l’analogo trasferimento attuato in adempimento di un concordato con cessio bonorum viene, invece, tassato ex art. 8, lett. a) TP1 in occasione dei singoli atti traslativi.
Ai fini della base imponibile, la Corte ribadisce il principio di cui all’art. 21 del TUR, già richiamato dalla circolare n. 27/E.
A conclusioni del tutto identiche giunge la recentissima ordinanza n. 13352/2020 del 1° luglio 2020, con la quale il Supremo Collegio ribadisce l’orientamento espresso nella citata pronuncia n. 3286/2018.
4. La questione dell’imposta di registro sul decreto di omologa del concordato fallimentare con assuntore parrebbe quindi chiusa. Resta tuttavia un significativo problema per gli operatori del settore: l’applicazione dell’aliquota proporzionale può infatti tradursi in un onere notevole per l’assuntore. Si pensi, a titolo di esempio, ai crediti commerciali. Non è raro che le procedure fallimentari siano titolari di crediti commerciali per importi nominali assai rilevanti, ma con prospettive di recupero invece assai remote, per non dire, in alcuni casi, del tutto assenti. L’applicazione dell’aliquota dello 0,5% sul valore nominale dei crediti trasferiti appare quindi particolarmente penalizzante. Altrettanto può dirsi dell’applicazione dell’aliquota del 3% sull’esborso effettivo dell’assuntore, rischio sempre presente in virtù del principio di cui all’art. 21, comma secondo del TUR. Non essendo rare le proposte concordatarie che implicano un impegno dell’assuntore di svariati milioni di euro, ben si comprende l’onere fiscale che da tale impostazione potrebbe derivare.
Appare, quindi, legittimo chiedersi se vi siano possibilità concrete per mitigare l’impatto fiscale che inevitabilmente l’applicazione dei principi espressi dalla Suprema Corte avrebbe sull’operatività dei soggetti professionalmente dedicati alle operazioni di concordato fallimentare.
Per ipotizzare delle soluzioni concrete, è necessario prendere le mosse da un principio chiave che ricorre in tutte le pronunce e gli orientamenti citati e che è particolarmente valorizzato in chiave interpretativa dalla Suprema Corte, al fine di motivare la differenza di tassazione tra il decreto di omologa di un concordato con cessio bonorum e quello di un concordato con assuntore. Come il lettore avrà già compreso, ci si riferisce al principio secondo cui sono gli effetti dell’atto a determinare l’imposizione fiscale. Come abbiamo visto, la Suprema Corte muove proprio dagli effetti immediatamente traslativi del decreto di omologa del concordato con assuntore per concludere a favore dell’applicazione della tassazione in misura proporzionale.
A questo punto, è legittimo chiedersi: quid iuris di un concordato con assuntore che non preveda, quale effetto automatico dell’omologazione, l’immediato trasferimento dei beni e dei diritti facenti parte dell’attivo fallimentare? Una simile proposta concordataria sarebbe legittima? E quali conseguenze si produrrebbero in tema di imposta di registro?
La risposta al primo quesito non può che essere affermativa. La Suprema Corte ha avuto modo di pronunciarsi sul punto in diverse occasioni. Pur riconoscendo “il costante orientamento” che riconosce al decreto di omologa “natura di titolo diretto ed immediato del trasferimento dei beni del fallito nel patrimonio dell’assuntore, di cui segna, di conseguenza, il dies a quo”, con “effetti costitutivi dei trasferimento della proprietà, allo stesso modo di un contratto di compravendita o della sentenza di esecuzione in forma specifica pronunziata ex art. 2932 cod. civ.”, il Supremo Collegio ammette però anche l’apposizione d’una condizione di carattere temporale, che differisce, pertanto, la produzione degli effetti traslativi del concordato con assuntore[4]. Più precisamente, è legittimo prevedere nella proposta concordataria che gli effetti traslativi si producano non solo successivamente all’omologa, ma solo a seguito dell’integrale esecuzione della proposta concordataria. Tale impostazione appare peraltro del tutto coerente con il carattere contrattuale pacificamente riconosciuto alla proposta concordataria, all’interno della quale ben può prevedersi un regime traslativo del compendio attivo diverso da quello normativamente previsto (e, peraltro, più garantista per la procedura e i suo i creditori).
Orbene, al differimento degli effetti traslativi a un momento successivo all’omologa non può che conseguire la tassazione in misura fissa del decreto di omologa, in ossequio al principio che ancora la tassazione non a un criterio nominalistico, ma agli effetti concreti di un atto.
Resta, ovviamente, fermo il problema della tassazione dei successivi atti di trasferimento degli attivi concorsuali a favore dell’assuntore, che indubbiamente andranno assunti in esecuzione della proposta omologata, in ogni caso prima della formale chiusura del fallimento ex art. 136, comma 3 L.F., e certamente tassati ex art. 8, lettera a) TP1. Tuttavia, il differimento della maturazione dell’imposta offre alcune soluzioni operative.
In primo luogo, sembra chiaro che tale ipotesi possa escludere l’applicazione dell’aliquota proporzionale ex art. 9 TP1 (già di per sé discutibile, stante il suo carattere residuale e non pacificamente applicabile all’accollo di debiti[5]). Stante il differimento degli effetti traslativi, infatti, pare potersi escludere il carattere unitario dell’operazione, che, invece, legittimerebbe l’applicazione dell’art. 21 del TUR e consentirebbe di qualificare l’apporto netto dell’assuntore come un corrispettivo, in senso sinallagmatico, del trasferimento a suo favore dell’attivo concorsuale.
Rimarrebbe, quindi, la tassazione da applicarsi ai singoli atti di trasferimento degli attivi fallimentari, rispetto ai quali andrà verificata in concreto, anche in ragione del soggetto cessionario, l’effettiva aliquota applicabile e la base imponibile, fermo restando che nulla vieta all’assuntore di rinunciare ex art. 104ter, comma 8 L.F., al fine di limitare la base imponibile, al trasferimento di attivi privi di reale valore economico
In conclusione, pare che le recenti pronunce della Suprema Corte abbiano contribuito a porre chiarezza su di un tema da tempo controverso, gravando tuttavia gli operatori del settore di un onere fiscale spesso non trascurabile. Muovendo, però, dalle argomentazioni di tali pronunce, all’interprete si presentano alcune soluzioni operative, che, pur nel rispetto dei principi espressi dal Supremo Collegio e, laddove applicate tempestivamente, appaiono idonee a mitigare l’imposizione fiscale.
[1] DPR n. 131 del 26/04/1986.
[2] L’AE precisa che il trasferimento di crediti, sia commerciali, sia fiscali, e depositi bancari è sottoposta a tassazione di registro con aliquota pari allo 0,5% del valore nominale. Di contro, la cessione delle azioni giudiziali avrebbe solamente natura strumentale, poiché oggetto di cessione è il diritto controverso, e, pertanto, non sarebbe soggetta a imposta di registro.
[3] Per completezza, si segnala un ulteriore e risalente orientamento, rimasto, almeno a quanto risulta allo scrivente, inedito e isolato. Si tratta della risposta della DRE Liguria a un interpello, in cui l’ufficio riconduce la tassazione del decreto di omologa alla fattispecie di cui all’art. 8, lett. b) della Tariffa, che assoggetta a imposta proporzionale con aliquota del 3% gli atti dell’autorità giudiziari “recanti condanna al pagamento di somme o valori […]”. In sostanza, la DRE equipara l’obbligo di pagamento assunto con la proposta concordataria omologata a una condanna al pagamento in sede giudiziale. Da ciò fa conseguire l’obbligo del pagamento dell’imposta di registro proporzionale, con la precisazione, tuttavia, della sopravvivenza del principio dell’alternatività tra IVA e registro. Parimenti, sarebbe applicabile l’imposta fissa sia con riferimento ai crediti di natura fiscale, previdenziale e da lavoro dipendente, sia a quelli bancari ex art. 10, n. 1) DPR 633/1972. Sui pagamenti relativi a tali crediti, quindi, si applicherebbe l’imposta in misura fissa, mentre su tutti gli altri pagamenti (che, invero, appaiono residuali) dovrebbe applicarsi l’aliquota proporzionale del 3%.
[4] Per citare la massima “la sentenza di omologazione del concordato fallimentare non produce immediati effetti traslativi in capo all’assuntore, nel caso in cui l’acquisto dei beni dal fallito sia stato sottoposto alla condizione sospensiva del regolare adempimento degli obblighi concordatari da parte dell’assuntore medesimo”. Nello stesso senso si è espressa anche Cass. Civ., sez. I, 9 maggio 2013, n. 11027.
[5] In tal senso si veda Commissione Tributaria Provinciale di Milano, 13 febbraio 2017, n. 1303.
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