Civile
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 11/03/2021 Scarica PDF
La Cassazione fa il punto sul risarcimento dei danni provocati dalla fauna selvatica in caso di collisione con gli autoveicoli. Nota a Cass. Civ. 13848/2020
Silvia Cosatti, Dottoressa in GiurisprudenzaAmendo, pres.; Tatangelo, est.; Cardino, P.M.
Danno da collisione di fauna selvatica e autoveicoli - Art. 2043 c.c. - Art. 2052 c.c. - Responsabilità della Regione - Onere probatorio - Azione di regresso - Caso fortuito
Sommario: 1. Il caso - 2. Questioni giuridiche sottese al caso - 2.1. La norma codicistica in base a cui si afferma la responsabilità per danni causati dalla fauna selvatica - 2.2. Il soggetto cui imputare la responsabilità - 3. Onere probatorio - 4. Il caso fortuito - 5. La possibilità per la Regione di agire in regresso
1. Il caso
Il Signor M.V. chiedeva che la Regione Abruzzo venisse condannata al risarcimento dei danni subiti dalla propria vettura, in forza dell’impatto tra il veicolo e due cervi. La Regione riconosciuta responsabile dal Tribunale, veniva condannata al risarcimento del danno, e, quindi, ricorreva per cassazione deducendo, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione della L. 11 febbraio 1992, n. 157 (e segnatamente degli artt. 1 e 9 di questa) e dell'art. 2043 c.c. e erronea imputazione della responsabilità per danni cagionati dalla fauna selvatica. Rimarcava, in particolare, che la responsabilità era stata riconosciuta per non aver attivato barriere di protezione o strumenti volti ad evitare danni del tipo di quello verificatosi nell'area interessata dal sinistro e sul presupposto che, in materia di controllo della fauna selvatica, i compiti, attribuiti alle Province, sono considerati "funzioni amministrative regionali ad esse delegate". Nessuna autonomia decisionale è stata, però, riconosciuta - sempre secondo la sentenza impugnata - alle Province abruzzesi, in quanto la L.R. 28 gennaio 2004, n. 10, art. 55, comma 5, individuando l'utilizzo delle risorse finanziarie che la Regione pone a disposizione delle Province, non prende in considerazione le funzioni di controllo della fauna selvatica, il cui esercizio, da parte dei delegati, resta pertanto privo di effettività e di concretezza. Quindi non può riconoscersi, secondo la sentenza impugnata, alcuna responsabilità in capo alla Provincia, non avendo ottenuto dall'ente delegante adeguati poteri e provviste per fare fronte a tali situazioni. La Regione, evidenziava allora che questo è stato contraddetto dalla più recente giurisprudenza di legittimità, secondo cui la responsabilità aquiliana per danni da fauna selvatica va ascritta esclusivamente alle Province, in quanto spetta a queste l'esplicazione delle concrete funzioni amministrative e di gestione della fauna, nell'ambito del loro territorio, in forza di compiti attribuiti dalle singole leggi regionali.
Il caso finiva così all’attenzione della Corte.
2. Questioni giuridiche sottese al caso
Con l’ordinanza in commento la Suprema Corte torna a riflettere sul danno causato dalla collisione tra un veicolo e la fauna selvatica[1]. E, attraverso un complesso ripensamento dell’intera area tematica, giunge a rigettare il ricorso proposto dalla Regione.
La pronuncia è senz’altro importante in quanto, con essa, la Terza Sezione della Corte di Cassazione delinea lo stato dell’arte in materia di risarcimento del danno causato dalla fauna selvatica, chiarendo alcuni profili su cui non si era formato un orientamento univoco della giurisprudenza stessa.
In primis, infatti, gli Ermellini rilevano che la giurisprudenza della Corte non aveva fornito risposta sempre univoca alla individuazione del soggetto tenuto a subire, sul piano risarcitorio, le conseguenze dei danni cagionati dalla fauna selvatica. La giurisprudenza non aveva cioè mai chiarito se il soggetto tenuto al risarcimento fosse da individuarsi nelle singole Regioni, o nelle loro Provincie o in altri enti che risultino, in concreto, coinvolti in ciascuna vicenda[2].
I giudici della Terza Sezione ritengono allora che sia necessario, anche per assicurare la corretta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, “un ripensamento dell'intera tematica”.
La Corte, con un excursus storico, evidenzia che il tema della risarcibilità dei danni provocati dalla fauna selvatica è giunto all’attenzione della giurisprudenza, solo dopo che il legislatore è intervenuto in tale tematica, abbandonando la linea di pensiero che qualificando la fauna selvatica quale res nullius, induceva a ritenere che non fosse possibile risarcire i danni da questa provocati. Ciò è avvenuto in particolare con la L. 27 dicembre 1977, n. 968 (Principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia) che ha dichiarato la fauna selvatica patrimonio indisponibile dello Stato, tutelata nell'interesse della comunità nazionale, assegnando le relative funzioni amministrative alle Regioni e la possibilità di delega alle Province (art. 5). Impostazione confermata dalla L. 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio)[3].
Delineato il quadro legislativo, la Corte passa a evidenziare i dubbi posti alla attenzione della giurisprudenza, ossia determinare in applicazione di quale norma codicistica e a carico di chi, andasse affermata la responsabilità per i danni cagionati dalla fauna selvatica.
2.1. La norma codicistica in base a cui si afferma la responsabilità per danni causati dalla fauna selvatica
Gli Ermellini chiariscono subito che, con riguardo al primo quesito, e cioè in base a quale norma andasse affermata la responsabilità per danni provocati dalla fauna selvatica, la giurisprudenza afferma, quasi graniticamente, e che il "danno cagionato dalla fauna selvatica non è risarcibile in base alla presunzione stabilita dall'art. 2052 c.c., inapplicabile per la natura stessa degli animali selvatici, ma soltanto alla stregua dei principi generali sanciti dall'art. 2043 c.c., anche in tema di onere della prova, e perciò richiede l'individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile all'ente pubblico”[4]. E rimarcano che tale orientamento non è stato ritenuto incostituzionale dalla Corte Costituzionale che ha ritenuto non presente nessuna irragionevole disparità di trattamento tra il privato, proprietario di un animale domestico (o in cattività), e la P.A.[5].
2.2. Il soggetto cui imputare la responsabilità
Più complesso è invece per la Corte individuare un orientamento univoco della giurisprudenza circa l’identificazione del soggetto da ritenere responsabile.
La Cassazione infatti rileva la presenza di una corrente di pensiero inizialmente dominante secondo cui il soggetto “nei cui confronti ritenere operante la Generalklausel di cui all'art. 2043 c.c.” era la Regione, dal momento che aveva il potere di disciplinare la tutela della fauna e la gestione del territorio, anche ove questa avesse delegato alle Province: la delega non fa venir meno la titolarità del potere[6].
A questo primo orientamento si contrappose quello per cui “- proprio sul presupposto che il fondamento della responsabilità fosse da individuare nell'art. 2043 c.c. - i danni causati dagli animali selvatici non fossero sempre imputabili alla Regione, bensì all'ente, fosse esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione, cui fossero stati concretamente affidati, nel singolo caso, poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata, e ciò sia che essi derivassero dalla legge, sia che trovassero la fonte in una delega o concessione”[7].
Messa in luce la mancanza di un orientamento giurisprudenziale stabile, la Corte sottolinea come tale stabilità sia connessa alla effettività della tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive, come spesso sottolineato dalla giurisprudenza stessa. Pertanto i Giudici segnalano la necessità di ripensare il criterio di imputazione della responsabilità per danni causati dalla fauna selvatica. Ad avviso della Corte, infatti, le difficoltà nell’identificare quale soggetto sopporti la responsabilità per tali danni derivano dalla scelta di escludere il regime dell’art. 2052 c.c., stante che l’articolo sarebbe limitato agli animali domestici perchè “recante un criterio di imputazione della responsabilità basato sulla violazione di un dovere di "custodia" dell'animale, da parte del proprietario o di chi lo utilizza per trarne un'utilità (patrimoniale o affettiva), custodia per natura non concepibile per gli animali selvatici, vivendo essi in libertà”.
Tuttavia, gli Ermellini chiariscono che la lettera e la ratio della norma non giustificano tale interpretazione perchè da un lato la norma de qua non è espressamente limitata agli animali domestici, fa invece “riferimento, esclusivamente, a quelli suscettibili di "proprietà" o di "utilizzazione" da parte dell’uomo” e dall’altro “prescinde dalla sussistenza di una situazione di effettiva custodia dell'animale, come si desume […] dal suo stesso tenore letterale, là dove prevede, espressamente, che la responsabilità del proprietario o dell'utilizzatore sussista sia che "l'animale fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito”.
Dunque, la Corte spiega che la menzione alla proprietà o all’utilizzazione mira a creare “un criterio oggettivo di allocazione della responsabilità in forza del quale, dei danni causati dall’animale”, in base al quale è responsabile “il soggetto che dallo stesso trae un beneficio, in sostanziale applicazione del principio "ubi commoda ibi et incommoda", con l'unica salvezza del caso fortuito”. Del resto, congruentemente a quanto specificato in precedenza, la Corte rammenta che il fatto che vi sia la proprietà dello stato su talune specie di animali selvatici “deriva dalla loro appartenenza al patrimonio indisponibile dello Stato” e “soprattutto, dall'essere tale regime di proprietà pubblica espressamente disposto in funzione della tutela generale dell'ambiente e dell’ecosistema”. E, quindi, i Giudici concludono che “poichè tale funzione si realizza […] mediante l'attribuzione alle Regioni di specifiche competenze normative e amministrative, nonchè di indirizzo, coordinamento e controllo (non escluso il potere sostitutivo) sugli altri enti, titolari di più circoscritte funzioni amministrative nello stesso ambito, è in capo alle Regioni che va imputata la responsabilità, ai sensi dell'art. 2052 c.c."[8].
3. Onere probatorio
La Corte chiarisce anche che, in virtù del criterio oggettivo ai sensi dell’art. 2052 c.c., spetta al preteso danneggiato provare che il pregiudizio sia frutto della fauna selvatica. A tal fine si dovrà dimostrare la dinamica del sinistro, il nesso causale tra la condotta dell'animale e l'evento dannoso, e l'appartenenza dell'animale stesso ad una delle specie oggetto della tutela di cui alla L. n. 157 del 1992 o che si tratti di animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato.
Nel caso di collisione tra animali selvatici e autoveicoli, il danneggiato dovrà provare che la condotta della fauna selvatica sia stata causa del danno e (art. 2054, co. 1, c.c.) di aver fatto quanto possibile per evitare il danno (di aver adottato cautele nella guida), non baserà, invece, la mera dimostrazione della presenza dell’animale sulla strada e della collisione tra questi e l’autoveicolo[9].
4. Il caso fortuito
Con riguardo alla prova liberatoria - consistente la dimostrazione che il fatto è avvenuto in virtù di un caso fortuito - la Corte rileva che si dovrà dimostrare che la condotta della fauna selvatica è stata totalmente imprevedibile e/o inevitabile “anche mediante l'adozione delle più adeguate e diligenti misure di gestione e controllo della fauna (e di connessa protezione e tutela dell'incolumità dei privati), concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto, purchè, peraltro, sempre compatibili con la funzione di protezione dell'ambiente e dell'ecosistema cui la stessa tutela della fauna è diretta”. Quindi si dovrà provare che “la condotta dell'animale si sia posta del tutto al di fuori della sua sfera di possibile controllo, operando, così, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile del danno”.
5. La possibilità per la Regione di agire in regresso
La Corte si sofferma poi sul caso in cui la Regione, convenuta in giudizio per il risarcimento, ritenga che un altro ente avrebbe dovuto adottare misure idonee ad evitare il danno stesso. Con riguardo a questa ipotesi chiarisce che potrà “- anche in quello stesso giudizio - agire in rivalsa, senza, però, che ciò implichi modifica, in relazione all'azione posta in essere dal danneggiato, del criterio di individuazione del titolare, da lato passivo, del rapporto dedotto in giudizio”.
I Giudici sottolineano quindi come “solo con riferimento dell'azione di rivalsa tra la Regione e l'ente da questa indicato come effettivo responsabile potranno […] assumere rilievo tutte le questioni inerenti al trasferimento o alla delega di funzioni alle Province (ovvero eventualmente ad altri enti) e l'effettività della delega stessa (anche sotto il profilo del trasferimento di adeguata provvista economica, laddove ciò possa ritenersi rilevante in tale ottica), così come tutte le questioni relative al soggetto effettivamente competente a porre in essere ciascuna misura di cautela”.
[1] In tema tra i numerosi contributi v. A. Cocchi, Responsabilità per danno cagionato dagli animali: quali frontiere giurisprudenziali?, in Responsabilità civile e previdenza, 3, 2018, p. 790; R. Foffa, Il punto sui danni causati dalla fauna selvatica, in Danno e resp., 2010, 561-568; M. Torresani, Responsabilità e doveri precauzionali degli enti proprietari di strade aperte al pubblico in caso di pericoli recati da fondi attigui alla sede stradale, in giustiziacivile.com, 2015.
[2] La corte precisa che con riguardo a questi ultimi si riferisce a “quelli - e ciò, soprattutto, in relazione a danni verificatisi in occasione di incidenti stradali - proprietari della strada "teatro" del sinistro”.
[3] La Cassazione spiega che secondo tale legge le Regioni a statuto ordinario provvedono "ad emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica" (art. 1), ad esercitare "le funzioni amministrative di programmazione e di coordinamento ai fini della pianificazione faunisticovenatoria", "i compiti di orientamento, di controllo e sostitutivi previsti dalla presente legge e dagli statuti regionali", ad attuare "la pianificazione faunistico-venatoria mediante il coordinamento dei piani provinciali" (art. 9), poiché titolari "di poteri sostitutivi nel caso di mancato adempimento da parte delle province" delle loro funzioni (art. 10). Le regioni "provvedono al controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia” da esercitare “selettivamente, […] di norma mediante l'utilizzo di metodi ecologici" (art. 19), istituiscono e disciplinano il fondo destinato al "risarcimento dei danni prodotti dalla fauna selvatica e dall'attività venatoria", per "far fronte ai danni non altrimenti risarcibili arrecati alla produzione agricola e alle opere approntate sui terreni coltivati e a pascolo dalla fauna selvatica, in particolare da quella protetta" (art. 26). Alle Province "spettano le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna secondo quanto previsto dalla L. 8 giugno 1990, n. 142", il cui art. 14, comma 1, lett. f), stabiliva - riprodotta nel D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 19, comma 1, lett. f) - che spettano alla Provincia "le funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardino vaste zone intercomunali o l'intero territorio provinciale" nel settore costituito da "caccia e pesca nelle acque interne”.
[4] La Corte cita, per es., Cass. Civ., sez. III, 27 febbraio 2019, n. 5722; Cass. Civ., sez. I, 24 aprile 2014, n. 9276; Cass. Civ., sez. III, 20 novembre 2009, n. 24547; Cass. Civ., sez. III, sent. 21 novembre 2008, n. 27673.
[6] Per questo primo orientamento la Cassazione riporta Cass. Civ., sez. III, 21 febbraio 2011, n. 4202; Cass. Civ., sez. III, 16 novembre 2010, n. 23095; Cass. Civ., sez. III, 13 gennaio 2009, n. 467; Cass. Civ., sez. III, 7 aprile 2008, n. 8953.
[7] Di questo orientamento, ex multis, Cass. Civ., sez. III, 31 luglio 2017, n. 18952.
La Cassazione spiega che tra l’altro “nell'ambito di tale secondo orientamento, si sono venute operando delle puntualizzazioni ulteriori”.
[8] Anche Cass. Civ, sez. VI, 09 febbraio 2021, n. 3023, è in linea con la sentenza in commento, in quanto afferma: “Nell'azione di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici, a norma dell'art. 2052 c.c., la legittimazione passiva spetta in via esclusiva alla Regione, in quanto titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonché delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte - per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari - da altri enti; la Regione può rivalersi (anche mediante chiamata in causa nello stesso giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli enti ai quali sarebbe in concreto spettata, nell'esercizio di funzioni proprie o delegate, l'adozione delle misure che avrebbero dovuto impedire il danno”.
[9] La Corte si pone qui in linea con la precedente giurisprudenza, tra cui Cass. Civ., sez. III, 7 marzo 2016, n. 4373: “In materia di danni derivanti da incidenti stradali che abbiano coinvolto veicoli e animali selvatici, a norma dell'art. 2052 c.c. grava sul danneggiato l'allegazione e la dimostrazione che il pregiudizio lamentato sia stato causato dall'animale selvatico (cioè appartenente ad una delle specie oggetto della tutela di cui alla l. n. 157 del 1992 o, comunque, rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato), la dinamica del sinistro, il nesso causale tra l'agire dell'animale e l'evento dannoso subito nonché - ai sensi dell'art. 2054, comma 1, c.c. - di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di avere adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida. Spetta, invece, alla Regione fornire la prova liberatoria del caso fortuito, dimostrando che il comportamento dell'animale si è posto del tutto al di fuori della propria sfera di controllo, come causa del danno autonoma, eccezionale, imprevedibile o, comunque, non evitabile neanche mediante l'adozione delle più adeguate e diligenti misure - concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto e compatibili con la funzione di protezione dell'ambiente e dell'ecosistema - di gestione e controllo del patrimonio faunistico e di cautela per i terzi”; Tribunale Ancona, sez. I, 02 ottobre 2020, n.1195: “In tema di danno cagionato dalla fauna selvatica ai veicoli in circolazione, in applicazione del criterio oggettivo di cui all'art. 2052 c.c., sarà naturalmente il danneggiato a dover allegare e dimostrare che il danno è stato causato dall'animale selvatico. Ciò comporta, evidentemente, che sull'attore che allega di avere subito un danno, cagionato da un animale selvatico appartenente ad una specie protetta rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato, graverà l'onere dimostrare la dinamica del sinistro nonché il nesso causale tra la condotta dell'animale e l'evento dannoso subito, oltre che l'appartenenza dell'animale stesso ad una delle specie oggetto della tutela di cui alla L. n. 157 del 1992 e/o comunque che si tratti di animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato. Il danneggiato, tuttavia, non può limitarsi a fornire la prova che l'animale si trovava sulla strada, essendo gravato di un onere ulteriore, ossia dimostrare di aver adottato tutte le cautele possibili per evitare il danno”.
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