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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 01/06/2021 Scarica PDF

Il concordato con assuntore ed il combinato effetto distorsivo sulle ragioni dei creditori ipotecari ammessi al passivo della derelictio e della clausola di immediata liberazione del fallito

Mary Moramarco, Professore a contratto presso l'Università degli studi di Romatre


Nota a Trib. Verona 23 aprile 2021

 

 

Come noto, in ipotesi di concordato fallimentare con assuntore è espressamente prevista e consentita la liberazione immediata del debitore fallito dagli obblighi concordatari al momento dell’omologa, ai sensi dell’art. 137, comma 7, l. fall.

Tuttavia, nel momento in cui una tale previsione si accompagna all’esclusione di uno o più cespiti dall’attivo fallimentare oggetto di trasferimento all’assuntore, stante l’intervenuta derelizione effettuata ai sensi dell’art. 104 ter, comma 8, l. fall., occorre che la proposta concordataria tenga in debito conto le conseguenze (distorsive) prodotte dalla combinazione dei due effetti giuridici sulle ragioni dei creditori ammessi al passivo che godevano del privilegio ipotecario sui beni oggetto di abbandono.

Questo il caso sottoposto all’esame del Tribunale di Verona, che in sede di omologazione, si è trovato a dover verificare la compatibilità sistematica dell’intersezione tra le due fattispecie astratte.

Ove, infatti, la procedura opti per la derelictio di uno o più beni o diritti di titolarità del fallito si verifica un fenomeno di esclusione di tali beni o diritti dalla liquidazione concorsuale, con conseguente (i) rientro degli stessi nella disponibilità del fallito e (ii) diritto dei creditori di agire esecutivamente sugli stessi per ottenere il soddisfacimento delle proprie ragioni al di fuori del fallimento. L’art. 104 ter, comma 8, l. fall., ha cura di precisare, infatti, al riguardo che i creditori, anche concorsuali, possono iniziare azioni esecutive o cautelari sui beni rimessi nella disponibilità del debitore “in deroga a quanto previsto nell’art. 51 l. fall.”.

Ad onor del vero, più che di una vera e propria deroga all’art. 51 l. fall., come recita testualmente la norma, pare trattarsi di un effetto giuridico automatico, derivante dalla intervenuta estromissione del bene dall’attivo fallimentare destinato alla soddisfazione concorsuale dei creditori e dal suo conseguente ritorno nella titolarità del debitore.

Ad ogni modo, a prescindere dall’esegesi automatica o derogatoria della previsione, la derelictio fallimentare trova la sua ratio dal punto di vista sistematico proprio nella circostanza che, in seguito ad essa, i creditori mantengono inalterata la possibilità di aggredire i beni che ne formano oggetto, secondo le ordinarie regole dell’esecuzione individuale, e conservano intatti gli eventuali diritti di prelazione vantati sugli stessi. In tal modo si realizza un equo contemperamento tra le ragioni di economicità della procedura e quelle di soddisfacimento dei creditori, i quali in tal modo realizzano i loro crediti al di fuori del fallimento e della liquidazione concorsuale.

Osserva il Tribunale di Verona in proposito che, tuttavia, laddove il ritorno del bene nel patrimonio del fallito per effetto della derelictio si accompagni alla esdebitazione di quest’ultimo - ottenuta per effetto dell’omologazione del concordato fallimentare con assuntore- si determina, di fatto, l’estinzione della garanzia ipotecaria gravante sul bene oggetto di abbandono, malgrado il mancato soddisfacimento delle ragioni del creditore ipotecario.  

Ed infatti, a parere del collegio giudicante, la riconfigurazione delle obbligazioni verso i creditori prodotta, ai sensi dell’art. 135 l. fall., dall’omologa del concordato, accompagnata dalla clausola di liberazione immediata del debitore fallito, determina l’impossibilità di agire nei confronti di quest’ultimo, con dispersione della garanzia ipotecaria e sostanziale degrado al chirografo del relativo credito.

Degrado che di per sé è possibile, ma esclusivamente ove esso sia contenuto entro i limiti della capienza del bene, come attestato ai sensi dell’art. 160, comma 2, l. fall., o dell’art. 124 comma 3, l. fall., con la conseguenza che in mancanza di tale previsione la proposta si appalesa contra legem e l’omologazione va negata.

Se questo è il (condivisibile) parere della corte di merito, deve a questo punto osservarsi in proposito come il principio di diritto così enunciato appaia passibile di un’applicazione di più ampio respiro, atteso che le medesime conclusioni ivi raggiunte potrebbero replicarsi, anche in assenza di derelictio ex art. 104 ter l. fall., tutte le volte in cui la proposta di concordato fallimentare con assuntore e liberazione del debitore fallito escluda dall’attivo oggetto di trasferimento uno o più beni gravati da diritti di prelazione.

Anche in questi casi, invero, si verificano i medesimi effetti: (i) di rientro del bene nel patrimonio del debitore, (ii) di riconfigurazione delle obbligazioni verso i creditori ex art. 135 l. fall. e (iii) di impossibilità di agire esecutivamente nei confronti del debitore fallito, con la conseguente sostanziale degradazione in chirografo del credito privilegiato ammesso al passivo.

Se così è, le conseguenze giuridiche tratte dalla corte veronese hanno l’attitudine ad assurgere ad un’ampiezza che va ben oltre la fattispecie concreta oggetto del caso di specie ed impongono di verificare se un simile effetto distorsivo possa essere in qualche modo evitato, onde rendere legittima ed omologabile la proposta di concordato fallimentare che tanto preveda.

Una possibile soluzione potrebbe essere quella di introdurre, all’interno della stessa proposta di concordato fallimentare, una clausola che, nel circoscrivere espressamente l’effetto della liberazione del debitore fallito, consenta ai creditori privilegiati ammessi al passivo l’aggressione individuale dei beni rimasti estranei alla medesima proposta concordataria.

In punto di verifica della legittimità di una siffatta clausola, va anzitutto osservato che questa avrebbe l’indubbio merito di rendere la proposta concordataria rispettosa del principio della par condicio creditorum, poiché eviterebbe la lesionedei diritti di prelazione legittimamente costituiti sui beni acquisiti all’attivo fallimentare.

Per altro verso, poi, la liceità della stessa potrebbe trovare conforto nel principio di libertà negoziale che governa e presiede la redazione della proposta concordataria e che consente al proponente, entro certi limiti, di liberamente delinearne i contenuti, ai sensi dell’art. 124 l. fall.

Proprio tale ultima norma induce, poi, ad un’ulteriore riflessione esegetica, atteso il disposto del suo ultimo comma, che sancisce la persistente responsabilità del debitore ogni qual volta la proposta di concordato fallimentare limiti la responsabilità dell’assuntore ai soli crediti ammessi ed a quelli che hanno proposto opposizione allo stato passivo o domanda di ammissione tardiva al tempo della proposta. Ove tale previsione, infatti, fosse considerata quale espressione di un principio di portata generale immanente al sistema, applicabile in tutti i casi in cui occorra salvaguardare i diritti dei creditori rimasti estranei alla proposta di concordato fallimentare, questa potrebbe rappresentare un ulteriore elemento a supporto della legittimità e liceità della clausola di limitazione degli effetti della liberazione del debitore fallito nei casi in cui la proposta escluda dall’attivo oggetto di trasferimento uno o più beni gravati da diritti di prelazione.


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