Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 25/11/2021 Scarica PDF
Fideiussioni post 2005 e private enforcement: un giudice a Berlino. Appunti e spunti da tre recenti ordinanze milanesi in tema di assolvimento dell'onere della prova *
Marco Sangiorgio, Avvocato in LeccoSommario: 1. Le tre ordinanze milanesi. 2. L’onere della prova nel giudizio antitrust: l’intesa ante e post 2005. 3. Il valore del provvedimento n. 55 del 2005 di Banca d’Italia con riferimento alla richiesta di nullità di fideiussioni omnibus sottoscritte prima e dopo il provvedimento dell’Autorità Garante: cd. azioni follow-on e stand alone. 4. Il giudizio introdotto davanti al Tribunale delle imprese di Milano: lo strumento dell’ordine di esibizione ex art. 3 D.lgs. n. 3/2017 per assolvere l’onere della prova dell’intesa nei giudizi cd. stand alone. 5. Intesa sulle fideiussioni omnibus post 2005 ed estensione dell’ordine di esibizione nullità anche a modelli di fideiussione specifica: l’onere di preventiva allegazione dell’intesa anche con riguardo alle fideiussioni specifiche conformi allo schema elaborato dall’ABI. 6. Eccezione di nullità della fideiussione omnibus in sede di opposizione a decreto ingiuntivo: è possibile ottenere l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c.? 7. I confini del labile concetto di uniforme applicazione delle clausole contenute nello schema predisposto dall’ABI e l’eventuale prova contraria di tale uniforme applicazione da parte della banca convenuta. 8. Onere della prova e inottemperanza all’ordine di esibizione: conseguenze e possibili rimedi.
1. In trepidante attesa di quella che sarà la decisione delle Sezioni Unite della Cassazione (a seguito della nota ordinanza interlocutoria del 30 aprile 2021, n. 11486) ([1]), segnaliamo tre recenti ordinanze emesse dalla Sezione specializzata in materia antitrust del Tribunale delle imprese di Milano con riguardo ad un tema caro a molti e di estrema attualità: la nullità dello schema di fideiussione omnibus proposto dall’ABI nell’ottobre del 2002 e censurato, ormai nel lontano 2005, dalla Banca d’Italia in funzione di Autorità antitrust pro tempore.
Ebbene, Il Tribunale antitrust di Milano, investito della questione, ha emesso tre distinte e successive ordinanze con cui ha, nell’ordine, rilevato che: i) con riferimento all’an dell’illecito concorrenziale, il provvedimento n. 55 del 2005 di Banca d’Italia copre il periodo anteriore alla sua adozione e non quello successivo; ii) l’azione va, pertanto, qualificata stand alone e non follow-on, non essendo stata l’intesa - per il post 2005 - preventivamente accertata in sede amministrativa; iii) l’onere della prova della persistenza dell’intesa può essere assolto anche tramite richiesta di apposito ordine di esibizione al Tribunale; iv) l’ordine può essere rivolto nei confronti di un campione di banche sufficiente a fornire idonei elementi di valutazione in merito al tema oggetto di prova; v) l’ordine di esibizione non può essere esteso anche all’ostensione dei modelli di fideiussione specifica se non vengono previamente allegati gli elementi costitutivi di un’intesa afferente anche le garanzie specifiche; vi) in caso di inottemperanza di uno o più istituti di credito, il Tribunale può decidere di reiterare l’ordine di esibizione nei confronti degli istituti rimasti inadempienti.
In un contesto giurisprudenziale dove l’incertezza sembra, purtroppo, regnare incontrastata, le tre ordinanze annotate si rivelano, quindi, particolarmente interessanti sia perché emesse da un Tribunale di riconosciuta autorevolezza, sia perché hanno affrontato e risolto alcune delle problematiche più spinose e ricorrenti nel contenzioso sulle fideiussioni omnibus.
2. Come noto, la questione della nullità delle fideiussioni schema ABI viene sollevata dai garanti in via di eccezione in sede di opposizione a decreto ingiuntivo oppure in via di azione di fronte al Tribunale antitrust territorialmente competente (come noto, oggi, i Tribunali competenti sono: Milano, Roma e Napoli).
Tuttavia, in entrambe le sedi, capita spesso di assistere al rigetto della domanda o dell’eccezione di nullità, proprio perché, quando si tratta di garanzie post 2005, alcuni Giudici ritengono insufficiente, ai fini della prova, la produzione del provvedimento emesso da Banca d’Italia, in quanto l’istruttoria alla base di tale provvedimento coprirebbe il periodo sino al 2005 e non quello successivo.
In sostanza, almeno nei Tribunali del centro nord (primo fra tutti il Tribunale di Milano), sembra prendere sempre più piede la giurisprudenza che, malgrado la riconosciuta natura di prova privilegiata dell’accertamento compiuto in sede amministrativa ([2]), non ritiene, comunque, sufficiente allegare e produrre il provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005, emesso da Banca d’Italia in funzione di Autorità antitrust pro tempore.
Pertanto, almeno all’apparenza, non ci sarebbe speranza per i garanti “più giovani” che non potrebbero provare l’applicazione uniforme delle clausole 2, 6 e 8 (cd. di reviviscenza, sopravvivenza e di deroga all’art. 1957 c.c.) dello schema ABI anche con riguardo al periodo successivo a quello coperto dall’accertamento di Banca d’Italia e AGCM.
Tale orientamento trova conferma in alcuni recenti precedenti di merito ([3]) tra i quali, ora, figurano anche le tre ordinanze milanesi oggetto di commento, nonché in un precedente della Stessa Suprema Corte ([4]) che, smarcandosi - ma solo all’apparenza - da altre pronunce rese dalla stessa Cassazione ([5]), ha affermato che l’uniforme (e non occasionale) applicazione delle clausole illecite rappresenta uno degli elementi costitutivi dell’azione di nullità promossa dal garante.
Il predetto indirizzo di merito, peraltro, sembrerebbe poggiare anche sulla non del tutto lineare considerazione per cui l’ABI, in seguito al provvedimento n. 55 del 2005, avrebbe spontaneamente emendato il proprio schema, espungendo le clausole sotto osservazione dell’antitrust, e lo avrebbe, così emendato, diffuso presso le sue associate.
Tale tesi, però, a modesto avviso di chi scrive, non appare così tanto convincente, dal momento che, ai tempi, l’Autorità amministrativa aveva accertato che la capillare diffusione delle clausole incriminate era addirittura preesistente allo schema elaborato dall’ABI e tale massiva diffusione, non potendo essere ricondotta ad uno spontaneo fenomeno del mercato, andava attribuita ad una pratica concordata illecita delle banche.
Invero, a ben vedere, per quanto concerne l’utilizzo delle NBU (norme bancarie uniformi), la Banca d’Italia non si era limitata a contestare un illecito in potenza, consistente nella potenziale diffusione dello schema elaborato dall’ABI, ma ne aveva rilevato uno concretamente in atto ossia la già diffusa standardizzazione contrattuale riscontrabile nel “mercato” delle fideiussioni.
Vi sarebbe, peraltro, di più, considerato che la tesi, per cui solo il mancato adeguamento al provvedimento n. 55/2005 sarebbe stato un comportamento illegittimo tale da giustificare la declaratoria di nullità dei singoli - successivi - contratti a valle, ove non derogati dai singoli istituti di credito, è stata apertamente sconfessata dalla stessa Cassazione, con la nota pronuncia n. 29810 del 2017.
Del resto, in tale autorevole precedente, gli Ermellini hanno ben chiarito come, ai fini dell’illecito antitrust, l’adeguamento o meno da parte dell’ABI non assumerebbe rilievo.
Dunque, alla luce di tale considerazione, il successivo adeguamento da parte di ABI non dovrebbe rescindere il collegamento fra l’illecito antitrust già accertato e i contratti “a valle” a tale illecito successivi, potendosi questi ancora ritenere figli non tanto dello schema che l’ABI, poco dopo, ha rivisto, ma dell’uniforme applicazione delle NBU di fatto già da tempo attuata dalle banche in virtù di un’intesa, altrettanto illecita, sotto forma di pratica concordata.
Peraltro, se lo specifico rimedio azionato dal garante è quello della nullità, ex art. 2 l. 287/1990 delle fideiussioni “a valle” in quanto parti integranti dell’intesa “a monte” e non quello risarcitorio non sembrerebbe porsi tanto una questione di nesso di causalità fra intesa a monte e contratto a valle quanto piuttosto, al più, una questione di estensione, sul piano temporale, degli effetti del provvedimento di Banca d’Italia e del relativo accertamento.
Ad ogni modo, in disparte da quanto poco sopra osservato, il, seppur tardivo, ravvedimento da parte dell’ABI, nel pensiero di alcuni Tribunali, avrebbe determinato un’elisione del nesso causale esistente fra l’intesa, a suo tempo, accertata e le fideiussioni post 2005, anche se comprendenti, a tutt’oggi, le ormai celeberrime clausole 2,6 e 8 dello schema di garanzia proposto dall’ABI.
Detto altrimenti, il rilevante iato temporale tra l’accertamento della Banca d’Italia e la sottoscrizione delle fideiussioni di cui si chiede la declaratoria di nullità, farebbe venir meno qualunque presunzione di dipendenza delle fideiussioni impugnate dall’intesa accertata ormai nei lontani anni duemila.
Per queste ragioni, ad avviso di alcuni Giudici, soprattutto del centro nord, le fideiussioni di oggi non sarebbero necessariamente figlie dell’intesa di ieri, con conseguente permanenza dell’onere, in capo all’attore, di fornire compiuta dimostrazione della permanenza/attualità di un intento collusivo in capo alle banche ([6]).
E’ chiaro, quindi, che il principio espresso da Cass. civ. n. 30818/2018 non è assolutamente passato inosservato ([7]).
Anzi, il predetto principio giurisprudenziale è stato ripreso da molti Giudici di merito proprio per respingere tout court le difese dei garanti che si trovavano nella conseguente impossibilità di fornire la prova del principale elemento costitutivo della nullità del contratto “a valle” ovvero l’applicazione - tutt’ora - uniforme delle clausole 2, 6 e 8 del noto schema predisposto dall’ABI.
Pertanto, in conclusione, gli istituti di credito, proprio in virtù di quanto sopra osservato, sembrerebbero avere gioco quantomai facile, rimanendo l’onere della prova sulle sole spalle dei garanti.
3. Se ci si attiene all’impostazione riportata nel precedente paragrafo, l’elevata attitudine di prova privilegiata della decisione dell’Autorità garante ([8]) non atterrebbe alla condotta anticoncorrenziale in sé considerata, ma si riferirebbe, solo in termini ipotetici, alla sussistenza di un’intesa, la cui ricorrenza andrebbe dimostrata hic et nunc, fornendo il materiale da cui risulti che vi è stata effettivamente uniformità di comportamento tra gli operatori bancari.
In altre parole il carattere di prova privilegiata (o vincolante, seppur nei limiti individuati dal D.lgs. n. 3 del 2017) si dovrebbe arrestare al profilo del giudizio di illiceità della condotta.
Perciò, a tutto voler concedere, ciò che, in giudizio, non potrebbe plausibilmente essere rimesso in discussione sarebbe soltanto il carattere illecito dell’uniforme applicazione delle tre clausole ossia dell’intesa che, però, sarebbe solo ipotetica, in quanto tutta da verificare ed accertare; infatti, il profilo illecito della condotta (per vero, secondo alcuni, solo ipotizzato), dal punto di vista antitrust, sarebbe stato definitivamente accertato dalla Banca d’Italia nel 2005.
Orbene, ciò posto, anche mediante la sola produzione del provvedimento emesso dalla Banca d’Italia, a nostro modesto avviso, la sussistenza dell’intesa anticoncorrenziale dovrebbe ritenersi dimostrata perlomeno sino a maggio del 2005, alla luce del fatto che l’ampia ed esaustiva istruttoria amministrativa dell’epoca ([9]) aveva certamente accertato un’uniformità di applicazione delle clausole ABI da parte del ceto bancario ([10]).
In estrema sintesi, quindi, per ciò che concerne la valenza probatoria dell’accertamento dell’Autorità antitrust, la copertura del provvedimento n. 55 si arresterebbe a maggio del 2005 e difficilmente potrebbe andare oltre a quella data.
Del resto, tale ragionamento appare coerente anche con lo stesso art. 7 co. 2 del recente D.lgs n. 3 del 2017 in materia di private enforcemement.
Difatti, l’articolo in parola prevede che la decisione definitiva con cui l’Autorità amministrativa accerta una violazione della concorrenza costituisce prova (vincolante) nei confronti del suo autore ma in misura circoscritta alla sua portata materiale, personale, temporale e territoriale, valutabile unitamente ad altre prove.
Così ragionando andrebbe da sè che la portata temporale dell’accertamento compiuto dall’antitrust si dovrebbe arrestare al 2005 e, pertanto, la natura vincolante o, comunque, privilegiata del noto provvedimento n. 55 di Banca d’Italia non potrebbe giustificare azioni di nullità o risarcitorie anche con riguardo a fideiussioni sottoscritte negli anni successivi o, peggio, ai giorni nostri.
Il discorso sarebbe, dunque, diverso per le fideiussioni successive al maggio del 2005: per quelle immediatamente successive si potrebbe, forse, ipotizzare una sorta di ultrattività del provvedimento n. 55 del 2005 ([11]), mentre, per quelle di molto posteriori all’adozione del predetto provvedimento, la mera produzione del documento sarebbe verosimilmente considerata insufficiente dal Giudice, che, del resto, non potrebbe avere certezza dell’attualità di un’intesa risalente a più di quindici anni fa.
Anzi, ad onor del vero, secondo alcuni commentatori, sarebbe lo stesso provvedimento n. 55/2005 a richiedere di dimostrare la persistenza dell’intesa lesiva della concorrenza e ciò sarebbe reso evidente proprio dal fatto che, secondo la Banca d’Italia, l’intesa illecita ricorrerebbe solo nel momento in cui le tre clausole incriminate vengono applicate in maniera uniforme (con ciò, evidentemente, escludendo che tale uniforme applicazione - almeno per il post 2005 - si possa dare per scontata) ([12]).
D’altro canto, come noto, le tre clausole dello schema ABI, di per sé, non sono illecite, potendo divenire tali, per violazione dell’art. 2 della legge 287 del 1990, solamente nell’ipotesi in cui ne venga accertata l’uniforme applicazione da parte degli istituti di credito.
Per contro, se il loro inserimento in un modello di fideiussione è frutto di una normale prassi di mercato ovvero, a fortiori, di una scelta autonoma del singolo istituto di credito, le tre clausole non potranno considerarsi illecite, atteso che le clausole 2, 6 e 8 vanno ad incidere su disposizioni che possono, comunque, essere derogate.
Molti Tribunali si premurano, infatti, di rimarcare che la Banca d’Italia non ha accertato il carattere illecito ovvero anticoncorrenziale delle tre clausole in sè e per sè, bensì ne ha giudicato l’illiceità, sotto il profilo antitrust, nella misura in cui dovessero essere recepite in maniera uniforme dal sistema bancario ed è, principalmente, per tale ragione, che l’Autorità amministrativa aveva censurato lo schema di fideiussione elaborato nel 2002 dall’ABI.
L’intento era, proprio, quello di scongiurare il pericolo di un’uniforme applicazione delle tre note clausole, in seguito all’approvazione e diffusione dello schema di fideiussione omnibus presso le associate ABI, poiché, trattandosi di condizioni contrattuali determinate da un’associazione di imprese, la diffusione dello schema avrebbe contribuito a coordinare il comportamento delle imprese operanti nel settore del credito, con l’effetto di restringere la concorrenza.
Ne, d’altro canto, il provvedimento n. 55 del 2005 potrebbe assurgere, per sempre e in qualunque caso, al rango di prova privilegiata, a meno di non voler ipotizzare di protrarre all’infinito gli effetti di accertamenti svolti, ormai, più di quindici anni fa.
Per il futuro, e, quindi, anche per i giorni nostri, con il provvedimento n. 55 del 2005 l’Autorità antitrust si era limitata a considerare illecita l’eventuale uniforme applicazione delle tre clausole dello schema elaborato da ABI ma solo e soltanto se tale uniforme applicazione fosse stata nuovamente riaccertata dall’Autorità amministrativa o da quella giudiziaria.
Pertanto, anche se, come pare, la storia si ripete, occorrerebbe, pur sempre, un nuovo accertamento, non potendo, oggi, i fideiussori giovarsi degli esiti di un’indagine effettuata più di quindici anni fa.
Tanto precisato, nel contesto delle azioni antitrust in materia di fideiussioni, le tre recenti ordinanze milanesi dovrebbero indurre gli operatori ad effettuare un netto distinguo fra azioni follow-on per le cause aventi ad oggetto la nullità di fideiussioni ante provvedimento n. 55/2005 e azioni stand alone per le cause aventi ad oggetto fideiussioni sottoscritte successivamente a tale provvedimento.
Per le prime (quelle riguardanti fideiussioni ante 2005) dovrebbe valere quanto osservato in tema di valore probatorio privilegiato ([13]) del provvedimento di Banca d’Italia ([14]) mentre per le seconde (quelle riguardanti le fideiussioni sottoscritte posteriormente al 2005) dovrebbe valere la consueta regola di cui all’art. 2697 c.c. per effetto della quale l’onere della diabolica prova compete all’attore.
Pertanto, potrebbe rivelarsi una scelta errata limitarsi ad allegare e produrre in giudizio il solo provvedimento di Banca d’Italia, deducendo ipso facto la dipendenza di tutte le fideiussioni attualmente esistenti da un’intesa che era stata riscontrata grossomodo sino al 2005 e che la stessa Banca d’Italia aveva, invece, accertato - per il futuro - in termini meramente ipotetici, ritenendo lo schema ABI illecito, sotto il profilo antitrust, solo nell’eventualità di una sua uniforme applicazione da parte del ceto bancario.
Perciò, solamente fornendo tale - diabolica - prova, si potrebbe ritenere ininterrotta e tutt’ora esistente la pratica concordata in tema di contrattualistica accertata allora - nell’ormai lontano 2005 - dalla Banca d’Italia.
4. Quando venne introdotto il giudizio, dal quale sono scaturite le tre ordinanze annotate, eravamo ancora agli albori della vicenda e la - si può ormai definire celebre - Cass. civ. 29810/2017 era appena stata pubblicata.
Tuttavia, sin da allora, appariva già chiaro che le fideiussioni attenzionate dalla Suprema Corte erano anteriori al provvedimento di Banca d’Italia ed appariva, pertanto, lecito domandarsi se il provvedimento di Banca d’Italia n. 55/2005 potesse spiegare un’effetto sostanzialmente infinito sul mercato delle fideiussioni, anche a distanza di quindici anni dall’istruttoria svolta dall’AGCM per conto di Banca d’Italia.
In altre parole, all’epoca, era difficile prevedere se la fattispecie doveva essere inquadrata in un’azione follow-on o in un’azione stand alone, con le conseguenti rilevanti differenze sul piano probatorio.
Ebbene, a fronte di tali comprensibili perplessità e della difficoltà nel procurarsi un adeguato numero di fideiussioni per effettuare una comparazione tra i vari modelli anche per il periodo successivo al 2005, l’unica via che, all’epoca, appariva percorribile era quella di allegare la persistenza dell’intesa del 2005 e di produrre al Tribunale ciò che era possibile reperire, ovvero: il provvedimento n. 55/2005, il collegato parere tecnico dell’AGCM, nonché un elevato numero di fogli informativi relativi a fideiussioni omnibus (i quali, come prevedibile, facevano sovente menzione della ricorrenza di una, o più, delle tre clausole contenute nello schema proposto dall’ABI) e richiedere, nell’ipotesi in cui l’azione fosse stata qualificata come stand alone, un ordine di esibizione dei modelli di fideiussione nei confronti di un campione sufficientemente significativo di banche.
Più precisamente l’ordine di esibizione veniva giustificato sulla scorta di quanto già prodotto in atti e di quanto stabilito per i giudizi antitrust dal recente D.lgs. n. 3/2017 ed in particolare dall’art. 3 del menzionato decreto che, come noto, ha recepito nel nostro paese la direttiva 2014/104/UE.
Difatti, il predetto decreto prevede che, previa
istanza motivata di parte, è facoltà del Giudice ordinare alla controparte o a
terzi la divulgazione di specifici elementi di prova o di categorie di prove
che rientrano nella loro disponibilità, a condizione che (i) l’istante
abbia dato sufficiente prova della
plausibilità della domanda risarcitoria; (ii) le prove da acquisire siano
rilevanti per la controversia; (iii) l’esibizione sia proporzionata, tenuto
conto degli interessi legittimi di tutte le parti interessate; (iv) la
richiesta non riguardi corrispondenza tra avvocato e cliente.
Sulla scorta di quanto sopra risulta, pertanto, possibile ottenere un ordine di
esibizione molto ampio che non verta soltanto su documenti specifici ma anche
su intere categorie di prove; e, nel nostro caso, sui modelli di fideiussione omnibus
impiegati dalle banche.
Del resto, la possibilità di avvalersi dello strumento dell’ordine di esibizione era stata riconosciuta anche dalla stessa Cassazione con la pronuncia n. 11564 del 4 giugno 2015 che, avendo ben presenti i principi espressi dalla direttiva 2014/104/UE, aveva affermato che, nei giudizi cd. stand alone, il Giudice, per garantire l’effettivo esercizio del diritto di difesa dell’attore, non è tenuto ad applicare meccanicamente la regola dell’art. 2697 c.c., dovendo, al contrario, valorizzare, in maniera opportuna, gli strumenti di indagine e di conoscenza che le norme processuali già prevedono, accogliendo un’interpretazione estensiva delle condizioni stabilite dal codice di rito in tema di esibizione di documenti e richiesta di informazioni ([15]).
Tale approccio, come appare chiaro dalle tre ordinanze annotate, è stato condiviso anche dal Tribunale delle imprese di Milano che ha premiato gli attori, ritenendo rilevante ed ammissibile la richiesta di ordine di esibizione ai fini della prova dell’attualità del cartello bancario.
In buona sostanza, il Tribunale ha dapprima tenuto a chiarire che, trattandosi di fideiussioni post 2005, l’azione non poteva considerarsi follow-on, in quanto non preceduta dall’accertamento di un’intesa in sede amministrativa, non valendo, a tale fine, il provvedimento n. 55 del 2005 di Banca d’Italia.
Tuttavia, comprendendo bene le difficoltà insite nell’ottenere la prova dell’attualità e della persistenza dell’intesa, il Tribunale, in accoglimento delle istanze istruttorie di parte attrice, ha ordinato ad otto banche di diverso dimensionamento di esibire i propri modelli di fideiussione omnibus, riferibili al periodo di sottoscrizione di ciascuna delle garanzie impugnate.
Le ordinanze annotate si dimostrano importanti anche perché rappresentano un’inversione di rotta rispetto all’orientamento precedentemente espresso dalla stessa Sezione antitrust del Tribunale di Milano.
Infatti, solo pochi anni fa, lo stesso Tribunale di Milano, con la pronuncia n. 7796 del 2016, riconfermata anche in sede di appello nel 2018 (vedasi alla nota 6), aveva negato al fideiussore la possibilità di ricorrere ai più ampi ed elastici rimedi istruttori previsti in materia antitrust e, in particolare, tra gli altri, allo strumento dell’esibizione, al fine di fornire prova della persistenza dell’intesa interbancaria già accertata nel 2005 dall’Autorità amministrativa.
In quell’occasione, il Tribunale di Milano aveva tenuto a precisare che il Giudice, malgrado le note asimmetrie informative tipiche del giudizio antitrust, non era tenuto ad attivare i propri poteri d’indagine per accertare l’intesa bancaria, dato che avrebbe avuto un onere di attivarsi in tal senso solo in caso di previa offerta da parte dell’attore di seri e plausibili indizi dimostrativi della fattispecie antincorrenziale.
Ciò significa che, in difetto di un seppur minimo quadro indiziario circa la persistenza dell’intesa interbancaria sulle fideiussioni omnibus, il Giudice non avrebbe alcun dovere di attivare i propri ampi poteri di indagine.
In quest’ottica, quindi, il Tribunale prima e la Corte di Appello poi, avevano ritenuto che, di per sé, il provvedimento n. 55 del 2005 di Banca d’Italia e la mera coincidenza delle condizioni contrattuali di un solo testo di fideiussione successivo al 2005 con quelle dello schema predisposto dall’ABI non rappresentavano indizi seri e plausibili del protrarsi - anche per il periodo successivo al 2005 - dell’intesa precedentemente accertata dalla Banca d’Italia.
Pertanto, la mera coincidenza della fideiussione impugnata con il modello elaborato dall’ABI, non avrebbe potuto giustificare un ordine di esibizione a carico delle banche, non avendo l’attore fornito indizi seri e plausibili in merito alla persistenza dell’intesa interbancaria anche per il periodo successivo al 2005.
Le ordinanze annotate evidenziano, quindi, un netto cambio di orientamento da parte della Sezione antitrust del Tribunale di Milano.
Infatti, l’interpretazione da ultimo adottata si rivela molto meno rigida che nel passato e l’approccio alla base delle tre ordinanze potrebbe giustificarsi: da un lato, con il fatto che, nel caso in questione, la richiesta di esibizione era accompagnata dalla produzione di una consistente mole di fogli informativi di fideiussioni omnibus nei quali - quasi sempre - si faceva menzione di una o più delle note clausole ABI, fornendo, in tal modo, quei seri e plausibili indizi in merito alla persistenza dell’intesa tra le banche; dall’altro, con il fatto che l’art. 3 del D.lgs. n. 3 del 2017, che disciplina l’esibizione in ambito antitrust, si limita solamente a prevedere che l’istanza, per essere accolta, deve essere sufficientemente e specificatamente motivata, senza richiedere espressamente all’attore di fornire, in via preventiva, seri e plausibili indizi in ordine alla sussistenza dell’illecito concorrenziale.
Ad ogni modo, dalla decisione di Milano - che la si condivida o meno -, è possibile individuare gli errori da evitare per non correre il serio e fondato rischio di incappare in un rigetto della domanda di nullità.
Se la fideiussione è posteriore al 2005 spetterà, infatti, all’attore, in ossequio all’art. 2697 c.c., allegare e, poi, dimostrare la persistenza dell’intesa evidenziata da Banca d’Italia nel maggio del 2005.
Perciò, ancor prima dell’onere della prova, sarà fondamentale soddisfare quello di allegazione, evidenziando, in giudizio, che lo specifico contratto “a valle” è sempre frutto della medesima intesa tra le banche che, mutuando le sagge parole di un Giudice, sembrerebbe essere proseguita frigido pacatoque animo (con freddezza e pacatezza d’animo ovvero con premeditazione) sino ai giorni nostri ([16]).
5. L’importanza, per l’attore, di assolvere prima di tutto l’onere di allegazione è stata sottolineata anche dallo stesso Tribunale di Milano che ha, appunto, rigettato la richiesta di estensione dell’ordine di esibizione ai modelli di fideiussione specifica - e non omnibus -, evidenziando come la richiesta fosse sostanzialmente esplorativa.
In buona sostanza, ad avviso del Tribunale meneghino, l’ordine di esibizione non può essere concesso, perché l’onere di sufficiente e precisa allegazione dei fatti costitutivi della domanda di nullità della fideiussione specifica non sarebbe stato preliminarmente soddisfatto dagli attori e la richiesta ex art. 210 c.p.c. non potrebbe essere utilizzata come escamotage per aggirare tale indispensabile onere.
Ciò significa che, secondo il Collegio investito dell’istanza, non essendo stata allegata dagli attori l’esistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza anche per le fideiussioni specifiche, per queste non può valere ed essere sufficiente la semplice allegazione dell’esistenza - rectius della persistenza - di un’intesa afferente la diversa fattispecie delle fideiussioni omnibus.
Ciò, conformemente anche ad altro recente precedente della stessa Sezione, ha portato al rigetto dell’istanza degli attori che, ad avviso del Collegio, non avevano preliminarmente assolto in maniera sufficiente l’onere di allegare i fatti costitutivi della domanda di nullità della fideiussione specifica, pure impugnata dagli attori unitamente alle garanzie omnibus ([17]).
E’, comunque, doveroso precisare che l’orientamento di Milano sulla questione della nullità antitrust della fideiussione specifica si pone in contrasto con l’orientamento - diametralmente opposto - espresso da altri Tribunali - perlopiù del centro sud -, i quali, contrariamente a quanto deciso dalla Sezione antitrust di Milano, hanno ritenuto che anche la fideiussione specifica rientrerebbe nel perimetro dell’accertamento compiuto dalla Banca d’Italia ([18]).
Ad ogni modo, puntualizzato quanto sopra, se assolto il preliminare onere di allegazione, il conseguente onere della prova della sussistenza dell’intesa anticoncorrenziale potrà essere soddisfatto ricorrendo allo strumento dell’ordine di esibizione che, se del caso, potrà essere concesso nei termini precedentemente descritti.
6. Ora che sembrerebbe essere stata individuata una possibile soluzione al problema dell’onere della prova, sorge, in maniera quasi spontanea, un legittimo dubbio: le uniche ordinanze di esibizione che risultano essere state concesse sono, per ora, dei Tribunali antitrust ([19]).
Un così penetrante ordine di esibizione verrebbe, comunque, concesso anche in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, dove la nullità delle fideiussioni non viene sollevata con domanda autonoma bensì con eccezione riconvenzionale?.
Non si tratta di un quesito così banale e, per questo, ad oggi, in assenza, per quanto consta, di precedenti editi, occorre fare riferimento alle norme e ai principi elaborati dalla giurisprudenza.
Innanzi tutto, occorre evidenziare che l’ordine di esibizione parrebbe adattarsi meglio ad un’azione cd. stand alone, nel contesto di un’autonoma azione antitrust promossa davanti al competente Tribunale delle imprese.
Questo perché il rimedio istruttorio è chiaramente funzionale all’accertamento dell’illecito concorrenziale ovvero della permanenza dell’intesa che, in sede di domanda autonoma, risulta oggetto di accertamento giudiziale, mentre, nell’ambito di un’opposizione a decreto ingiuntivo, l’istanza ex art. 210 c.p.c. avrebbe come fine un accertamento prettamente incidentale, finalizzato al mero respingimento della pretesa della banca.
Di conseguenza, in questa prospettiva, la richiesta di esibizione potrebbe anche apparire non indispensabile in sede di opposizione a decreto ingiuntivo.
In secondo luogo, un’istanza ex art. 210 c.p.c. avrebbe, comunque, contorni incerti, in quanto termini e confini dell’eventuale ordine resterebbero rimessi alla discrezionalità del Giudicante che dovrebbe individuare sia il numero che i nominativi dei soggetti terzi destinatari della richiesta di ostensione, nonché gli specifici documenti ritenuti rilevanti ai fini dell’accertamento dell’intesa.
Si consideri, inoltre, che, solitamente, l’ordine di esibizione di un determinato documento presuppone un fatto specifico da provare e non già l’ipotetica esistenza di questo, da acclarare o identificare mediante il documento richiesto ([20]).
Se così fosse, il Tribunale, adito in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, applicando meccanicamente la regola dell’onere della prova, potrebbe anche rigettare l’istanza di esibizione (sebbene accompagnata dalla produzione del provv. n. 55/2005), adducendo a pretesto il fatto che una simile richiesta non potrebbe essere avanzata al solo fine - esplorativo - di indagare su un ipotetico cartello tra banche ([21]).
Inoltre, l’attore, ai fini dell’accoglimento dell’istanza ex art. 210 c.p.c. dovrebbe, pur sempre, non solo allegare ma anche dimostrare l’indispensabilità dell’esibizione richiesta ([22]), dimostrando al Tribunale di essere stato nell’impossibilità di acquisire aliunde i documenti di cui, in giudizio, viene avanzata richiesta ([23]).
Pertanto, se ne dovrebbe dedurre che la parte dovrebbe offrire prova di aver formulato, prima del giudizio, una specifica richiesta stragiudiziale ad un consistente numero di istituti di credito, con il fine di procurarsi i modelli standard di fideiussione in uso nello specifico periodo di interesse.
Si tratterebbe di una richiesta che, come si può immaginare, resterebbe probabilmente inevasa.
Inoltre, tale preliminare adempimento risulterebbe alquanto gravoso per la parte, ma, in mancanza, il Tribunale potrebbe anche rigettare la richiesta di esibizione.
Al contrario, il Giudice antitrust, viste le note asimmetrie informative esistenti tra il soggetto passivo dell’illecito e il suo autore, potrebbe ben decidere di avvalersi dei più ampi poteri istruttori che sia il recente D.lgs n. 3 del 2017 che la giurisprudenza di legittimità gli riconoscono ([24]).
In proposito occorre, infatti, precisare che autorevole dottrina ha evidenziato che, in sede di private enforcement, il D.lgs. 3/2017 consente di derogare alle disposizioni processuali interne, rendendo più semplice e snella, in sede applicativa, l’attività del Giudice istruttore.
E proprio con riguardo all’ordine di esibizione ex art. 3 D.lgs. citato non troverebbero applicazione sia la regola di cui all’art. 94 disp. att. c.p.c. sia la necessità di una preventiva richiesta stragiudiziale al terzo ovvero la dimostrazione del suo ingiustificato rifiuto alla richiesta predetta.
Anzi, la medesima autorevole dottrina prosegue, rimarcando, che, in ambito antitrust, un’interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni processuali, alla luce degli artt. 11 e 24 Cost, dovrebbe consentire al Giudice civile di accordare una tutela effettiva a tutte le vittime dell’illecito antitrust, non solo agli operatori di mercato ma anche agli utenti finali ([25]).
Simili e così ampi e penetranti poteri potrebbero, però, non competere anche al Giudice ordinario, specie in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, con conseguente rischio per il fideiussore di vedere la stessa istanza accolta in un autonomo giudizio antitrust di nullità (e/o di risarcimento del danno) e negata in un ordinario giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ([26]).
Peraltro, a quanto sopra appare, pure, d’uopo aggiungere che, in caso di autonoma causa antitrust, potrebbe essere addirittura il Giudice, d’ufficio, ad attivare i propri poteri di indagine per l’accertamento della condotta anticoncorrenziale, mentre, al contrario, un’attivazione, d’ufficio, da parte del Giudice ordinario non sarebbe mai possibile, in quanto l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., in contesti ordinari, potrebbe essere concesso solo previa istanza di parte.
Tenuto conto di ciò, occorrerà, quindi, un’attenta riflessione sulla scelta del Tribunale davanti al quale andare a discutere della nullità delle fideiussioni per violazione della legge antitrust.
A modesto parere di chi scrive il terreno elettivo dell’ordine di esibizione dovrebbe essere il Tribunale delle imprese, volta per volta, territorialmente competente.
Del resto, appare plausibile ritenere che, solo in sede di giudizio antitrust, il Giudice civile potrebbe spendere gli ampi poteri istruttori che gli vengono riconosciuti dall’ordinamento, acconsentendo ad un’esibizione tanto ampia quanto generica, per non dire al limite dell’esplorativo.
Occorre, invero, dare conto del fatto che, nel caso delle tre ordinanze di Milano, il Collegio, ritenuto non del tutto sufficiente e concludente il materiale probatorio fornito dagli attori, senza richiedere prova dell’impossibilità di acquisire aliunde i modelli di fideiussione, ha, senza tentennamenti, accolto l’ordine di esibizione, rivolgendolo nei confronti di un campione di banche di diverso dimensionamento che, a Suo avviso, poteva essere sufficientemente esemplificativo della situazione del mercato delle fideiussioni omnibus.
A priori, invece, è dubbio se lo stesso ordine sarebbe stato, comunque, accolto in caso di richiesta formulata davanti al Giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo.
Chi scrive è del sommesso parere che l’ordine di esibizione, ad un’attenta valutazione del Giudice, potrebbe anche non essere concesso.
Di conseguenza, per salvarsi, all’opponente, non resterebbe che provare ad attivare un autonomo giudizio di nullità per poi chiedere, ex art. 295 c.p.c., la sospensione della causa di opposizione, con il rischio, però, che, nel frattempo, la banca, munita di clausola di provvisoria esecuzione, abbia già avviato le azioni esecutive nei confronti del garante.
Diversamente, senza ordine di esibizione, al garante non resterebbe altro che presentarsi davanti al Giudice dell’opposizione con un consistente numero di fideiussioni, più o meno coeve a quelle impugnate, dimostrando, con tali documenti, l’uniformità di applicazione delle NBU. Tale materiale non risulta, tuttavia, di facile reperibilità ed è anche questo il motivo - appare scontato - della necessità dell’esibizione.
Ad ogni modo, adesso che il Tribunale di Milano sembra avere indicato la strada da seguire, potremmo, in breve, vedere come si comporteranno anche i Tribunali ordinari ai quali, senz’altro, i garanti rivolgeranno appositi ordini di esibizione nel tentativo di assolvere l’altrimenti diabolico onere della prova a loro carico.
7. Un’ulteriore perplessità che potrebbe sorgere in capo all’operatore riguarda lo stesso concetto di uniforme applicazione delle clausole 2, 6 e 8 dell’ABI.
Più in particolare, ci si domanda per quanti istituti di credito dovrebbe essere accertata l’applicazione delle tre clausole per ritenere provata, in giudizio, la loro uniforme applicazione e, quindi, il principale elemento costitutivo dell’intesa.
Le ordinanze di Milano hanno reputato sufficiente una verifica su otto banche di differente dimensionamento. Ma è veramente otto il numero perfetto? perché non solo cinque!.
Se il termine di paragone è l’ampiezza e l’estensione dell’istruttoria compiuta dall’antitrust all’epoca del provvedimento n. 55/2005 appare evidente che otto banche non sono un numero sufficiente per giudicare sulla persistenza o meno del cartello.
D’altro canto, però, per ragioni di economia processuale, risulterebbe complicato accordare un’esibizione in termini più estesi di quelli concessi dal Collegio. La circostanza è stata anche sottolineata anche dallo stesso Tribunale di Milano nella prima delle tre ordinanze qui annotate, quando, appunto per esigenze di economia processuale, ha negato che l’esibizione potesse coinvolgere un numero consistente di istituti di credito, come, invece, era stato richiesto dagli attori.
Ciò nondimeno sarebbe, comunque, auspicabile l’adozione del medesimo metro di valutazione per determinare le caratteristiche e il numero degli istituti di credito cui rivolgere l’ordine di esibizione.
Infatti, in mancanza di uniformità di vedute sul punto, si correrebbe il rischio di giungere a decisioni contrastanti: un Tribunale potrebbe ritenere sufficiente confrontare la modulistica di quattro banche soltanto ed un altro, al contrario, potrebbe ritenere necessaria un’indagine più approfondita, ponendo a confronto i moduli di un campione di banche ben più esteso.
Un’altra questione spinosa sarebbe quella della possibile prova contraria da parte della banca convenuta che potrebbe ipoteticamente produrre, a propria volta, appunto a contrario, testi difformi dallo schema ABI nel tentativo di contrastare le tesi dell’attore.
D’altro canto, se, secondo il Tribunale di Milano, l’uniformità di applicazione è tutta da dimostrare dovrebbe ammettersi anche la possibilità di offrire prove a contrario.
Inoltre, ove venisse effettivamente ravvisato un parallelismo di comportamenti tra banche, quella convenuta potrebbe, comunque, fornire, per tale parallelismo, una spiegazione alternativa all’ipotesi del cartello; o, perlomeno sotto questo profilo, l’accertamento della Banca d’Italia dovrebbe ritenersi insuperabile?.
Seguendo, in maniera fedele, la lettura fornita dal Tribunale antitrust di Milano, dovrebbe ritenersi che, se l’azione è effettivamente stand alone, allora, a stretto rigore, all’attore competerebbe non soltanto la prova dell’uniformità di applicazione ma anche la dimostrazione, almeno in chiave presuntiva, che la standardizzazione contrattuale non sia casuale ma sia direttamente riconducibile ad una pratica concordata tra istituti di credito, che valga, ora, come valeva allora, al tempo degli accertamenti svolti dalla Banca d’Italia.
Come noto, però, la prova di una pratica concordata può anche essere meramente indiziaria ([27]) e, in questo senso, tanto ora come allora, l’uniformità dei comportamenti da parte del ceto bancario non potrebbe trovare altra plausibile spiegazione al di fuori dell’ipotesi della concertazione ([28]).
Pertanto, una volta (ri)accertata l’uniforme applicazione delle NBU, non si vede, in tutta franchezza, con quale altra plausibile spiegazione in chiave concorrenziale, la banca convenuta potrebbe giustificare la pratica concordata afferente la contrattualistica sulle fideiussioni omnibus ([29]).
In caso contrario, giusta l’art. 7 del D.lgs 3/2017, ratione temporiis applicabile, il giudizio, allora espresso dall’Autorità Garante, dovrebbe ritenersi vincolante per il Giudice, senza possibilità di essere rimesso in discussione dalla banca.
In ogni caso, a prescindere dalla portata e dall’eventuale estensione degli effetti del provvedimento n. 55/2005 alle garanzie successive al 2005, l’uniformità di applicazione dello schema ABI dovrebbe essere sufficiente per ritenere accertata la persistenza dell’intesa restrittiva della concorrenza, in tutti i suoi elementi costitutivi che, ovviamente, la parte dovrà aver cura di aver debitamente allegato in giudizio.
8. Ebbene, evidenziate anche le perplessità cui, sopra, si è fatto cenno, va, altresì, detto che, come pure risulta dall’ultima delle tre ordinanze annotate, non è nemmeno matematicamente certo che l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., quand’anche accordato, vada a buon fine.
Bisogna pur sempre tenere in debita considerazione che destinatari dell’ordine di esibizione sarebbero, comunque, degli istituti di credito che, sovente, non sono esattamente solerti e tempestivi nel fornire la documentazione di cui viene ordinata l’ostensione.
Dunque, quid iuris se le banche destinatarie dell’ordine di esibizione non vi ottemperano volontariamente? E se solo alcune di esse non rispondono; la prova potrebbe ritenersi, comunque, raggiunta? Quali potrebbero essere le conseguenze?.
Una prima conseguenza alla mancata ottemperanza all’ordine di esibizione da parte delle banche interpellate potrebbe essere la reiterazione di tale ordine da parte del Tribunale ed è esattamente quanto è accaduto nella fattispecie esaminata dal Tribunale di Milano, dove, all’udienza di verifica, era emerso che, tre istituti, sebbene ritualmente notiziati dell’ordine nei loro confronti, erano rimasti inerti.
Come si suol dire repetita iuvant, ma, a questo punto, occorrerà vedere se il sollecito rivolto alle banche inottemperanti sortirà o meno l’effetto sperato.
Resta il fatto che, nel dubbio, ci si domanda come ci dovrebbe comportare di fronte all’eventuale protrarsi dell’inottemperanza da parte delle banche destinatarie dell’ordine.
Prima di tutto non appare superfluo precisare che la mancata ottemperanza ad un ordine di esibizione concesso dal Tribunale non determina un’inversione dell’onere della prova che rimane sempre a carico della parte istante ([30]).
Perciò, a rigore, la mancata risposta, potrebbe andare a sfavore degli attori, atteso che la mancata ed ingiustificata ostensione può costituire un comportamento processualmente rilevante solo in pregiudizio della parte che non ha dato seguito all’ordine di esibizione.
Nel caso di specie, invece, dall’inottemperanza all’ordine di esibizione da parte di banche - formalmente terze rispetto alla specifica contesa - non sembrerebbe potersi ricavare un argomento di prova processualmente rilevante ex art. 116 c.p.c..
Sempre che la peculiarità del giudizio e le già evidenziate asimmetrie informative non giustifichino l’attribuzione di valore di argomento di prova anche alla mancata ottemperanza da parte di una banca che, pur essendo potenzialmente partecipe dell’illecito cartello, non risulta, comunque, coinvolta nello specifico procedimento antitrust in sede civile.
Ad ogni modo, a ben vedere, sebbene il giudizio antitrust verta prima di tutto sull’accertamento di un’intesa, appare, comunque, difficile trattare le banche destinatarie dell’ordine ex art. 210 c.p.c. come ulteriori “parti” del medesimo giudizio, cui, in realtà, sarebbero estranee.
D’altra parte, le banche destinatarie dell’esibizione potrebbero anche risultare estranee all’intesa per essere i loro moduli difformi da quello dell’ABI e, pertanto, equiparare le conseguenze della loro inerzia a quelle previste per il caso dell’inottemperanza della parte appare, nei fatti, alquanto complicato.
Se, però, la conseguenza dell’inottemperanza da parte di una o più banche fosse quella di ritenere non soddisfatto l’onere della prova in capo all’istante, le banche potrebbero limitarsi ad una mera condotta inerte, salvandosi, così facendo, da qualunque rischio di nullità (totale o parziale) dei loro moduli di fideiussione.
Dunque, quid iuris? l’eventuale condotta inerte delle banche potrebbe avere rilievo penale?
La risposta non è così immediata e presuppone un attento esame delle fattispecie di cui agli artt. 366 (“Rifiuto di uffici legalmente dovuti”), 388 (“Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del Giudice) e 650 (“Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità) c.p..
L’art. 650 c.p. incrimina chiunque non osserva provvedimenti emessi dall’Autorità per ragioni di giustizia.
La norma, in tesi, potrebbe ricomprendere nel suo perimetro applicativo anche gli ordini di esibizione; la giurisprudenza, sul punto, ha, tuttavia, evidenziato che la norma viene impiegata principalmente per sanzionare ipotesi di inosservanza a provvedimenti emessi a tutela dell’ordine pubblico in senso lato ([31]). Pertanto, l’art. 650 c.p. non sembrerebbe applicabile al caso dell’inottemperanza di una banca ad un ordine di esibizione emesso dal Giudice civile.
Nemmeno l’art. 388 co. 1 c.p. sembrerebbe applicabile alla fattispecie dell’ordine di esibizione, considerato che il mero rifiuto di ottemperare non sembrerebbe penalmente rilevante in tal senso, difettando sia gli atti fraudolenti o simulati volti al compimento del reato sia il dolo in capo al terzo, rimasto semplicemente inerte rispetto all’ordine del Giudice.
Alla stessa maniera, anche il successivo comma dell’articolo 388 c.p. non sembrerebbe adattarsi alla fattispecie, riferendosi l’anzidetta norma a comportamenti elusivi di provvedimenti del Giudice, riguardanti, in particolare, l’affidamento di minori o incapaci ovvero afferenti a misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito. Non sembrerebbe, dunque, il caso dell’ordine ex art. 210 c.p.c..
Da ultimo, invece, l’art. 366 c.p. potrebbe in teoria applicarsi anche alla fattispecie del reiterato rifiuto di ottemperare all’esibizione da parte della banca, terza e, formalmente, estranea alla causa.
Un certa dottrina ([32]), infatti, avrebbe interpretato l’ampio riferimento contenuto nel terzo comma dell’articolo “ad ogni altra persona chiamata ad esercitare una funzione giudiziaria” come una possibilità di applicare, in caso di reiterato rifiuto, l’art. 366 c.p. al soggetto terzo richiesto dell’esibizione dal Giudice.
Ad ogni modo, in disparte da quanto appena evidenziato, anche l’art. 366 c.p. appare difficilmente applicabile alla fattispecie dell’ordine di esibizione, specie se il provvedimento è stato reso nell’ambito di un giudizio civile antitrust.
Se, quindi, la strada penale appare difficilmente perseguibile, ci si domanda quali rimedi o tutele residuino per poter sopperire alla più o meno consapevole inerzia delle banche destinatarie del comando del Giudice.
Il primo rimedio che potrebbe venire alla mente dell’operatore potrebbe essere la possibilità di richiedere, ex art. 117 c.p.c., una modifica/integrazione dei destinatari dell’esibizione, sostituendo le banche inadempienti con altri istituti di credito che si auspica non rimarranno parimenti inerti nei confronti dell’ordine di esibizione.
Se ciò non bastasse o non fosse possibile, si evidenzia, infine, che, secondo una certa giurisprudenza, non sarebbe assolutamente ammissibile che l’ordine di esibizione resti privo di riscontro a causa di una condotta omissiva di un soggetto che non è parte del procedimento ma che, con il suo operato, incide, comunque, sulle sue sorti, impedendo, di fatto, di giungere ad una corretta decisione, fondata su materiale probatorio già ritenuto rilevante.
In questi casi limite, di fronte ad un prolungato e reiterato silenzio delle banche, si dovrebbe ritenere possibile ricorrere, in subordine, a poteri giurisdizionali ancora più intensi, quali quelli offerti dall’art. 118 c.p.c., che, come noto, consente al Giudice di ordinare anche ai terzi di consentire sulle cose in loro possesso le ispezioni che appaiano indispensabili per conoscere i fatti di causa.
Invero, l’ispezione sembrerebbe utilizzabile anche per la ricerca di documenti in possesso della parte o di terzi e, pertanto, per ciò che qui interessa, anche al fine di avere cognizione dei moduli standard di fideiussione impiegati dagli istituti di credito ([33]).
Dunque, quale extrema ratio, per la parte dovrebbe risultare possibile ricorrere anche al rimedio dell’ispezione ex art. 118 c.p.c., ai fini della ricerca dei moduli di fideiussione rilevanti nel singolo caso di specie.
In sintesi, quindi, la richiesta di ispezione, qualora accolta, potrebbe consentire di superare l’impasse determinato dalla condotta inerte delle banche chiamate ad esibire i propri moduli di fideiussione.
Peraltro, in questa ultima ipotesi, anche l’eventuale rifiuto della banca (terza) - diversamente dal caso dell’art. 210 c.p.c. - non sarebbe del tutto sfornito di sanzione, essendo, all’uopo, prevista una sanzione pecuniaria, seppur non particolarmente dissuasiva.
Anche in questo caso, però, dall’eventuale rifiuto del terzo all’ispezione non potrebbero trarsi argomenti di prova sfavorevoli alla banca convenuta, dal momento che, secondo giurisprudenza consolidata, la parte non potrebbe, comunque, subire effetti probatori sfavorevoli dal comportamento di un terzo ([34]).
Se, dunque, l’eventuale rifiuto all’ispezione ex art. 118 c.p.c. non resterebbe proprio del tutto impunito come l’inottemperanza all’ordine di esibizione, la mancata esecuzione dell’ispezione per rifiuto del terzo non potrebbe, comunque, rappresentare un argomento di prova sfavorevole alla banca convenuta in giudizio.
Tanto precisato con riguardo alle conseguenze dell’inottemperanza ad un ordine reso ex art. 210 c.p.c. occorre, comunque, rilevare che l’esibizione è stata, pur sempre, ordinata nell’ambito di un’azione stand alone in sede di private enforcement.
Orbene il Tribunale di Milano, nelle proprie tre ordinanze, non fa mai menzione del D.lgs. n. 3/2017 ed in particolare dell’art. 3 di tale decreto, limitandosi, genericamente, ad ordinare l’esibizione dei moduli standard di fideiussione.
Ciò malgrado si ritiene, comunque, che alle banche reiteratamente inadempienti potrebbero applicarsi anche le sanzioni appositamente previste dal D.lgs. n. 3 del 2017.
Non c’è dubbio che tali sanzioni sono di gran lunga più incisive di quelle previste dal Codice di procedura civile.
Invero, secondo l’art. 6 commi 1 e 5 del D.lgs. n.3/2017, nei confronti del terzo rimasto inadempiente è prevista l’irrogazione di una sanzione pecuniaria (in favore della Cassa delle ammende) che va da euro 15.000,00 ad euro 150.00,00 e di tale sanzione risulta passibile anche il legale rappresentante dell’impresa terza, destinataria dell’esibizione.
Ebbene, le predette sanzioni, certamente più incisive e dissuasive, potrebbero indurre le banche a riscontrare tempestivamente l’ordine di esibizione rivolto nei loro confronti.
Resta, però, anche qui, il problema dell’irrilevanza processuale della mancata ottemperanza da parte del terzo all’ordine di esibizione.
Infatti, secondo il successivo comma 6 del D.lgs. n. 3/2017, solo l’ingiustificato rifiuto della parte (e non del terzo) o l’inottemperanza della parte potrebbe portare il Giudice a ritenere provato il fatto al quale la prova si riferisce.
Dunque, in ultima analisi, anche il ben più penetrante ordine di esibizione antitrust, finirebbe per scontare la medesima problematica che colpisce l’ordine di esibizione previsto dal nostro Codice di procedura civile. Per questi motivi, si spera che le pesanti sanzioni pecuniarie previste dalla normativa antitrust inducano le banche a non disattendere gli ordini di esibizione emessi nei loro confronti.
Ciò precisato, per provare a chiudere il cerchio, è necessario rendere conto anche di una precedente ordinanza del Tribunale delle imprese di Roma che, però, almeno all’apparenza, è, purtroppo, passata inosservata ai più.
In tale precedente, risalente al 2019, il Tribunale ha accolto un ordine di esibizione ex art. 3 D.lgs. 3/2017, rivolgendolo, tuttavia, si badi, non ad un campione di banche discrezionalmente individuato dal Tribunale stesso ma direttamente nei confronti di Banca d’Italia.
Purtroppo, però, nel caso dell’ordinanza romana, non è possibile sapere quali erano le specifiche fideiussioni oggetto della richiesta di esibizione.
Dall’ordinanza, invero, non si evince la data delle garanzie di cui veniva domandata la nullità innanzi al Tribunale e, quindi, se queste erano anteriori o posteriori al 2005.
Tuttavia, l’ordinanza fa precisa menzione dell’art. 3 del D.lgs. 3/2017 che disciplina l’ordine di esibizione in ambito di private enforcement, mentre non fa menzione alcuna del successivo art. 4 che disciplina l’esibizione di prove contenute nel fascicolo dell’Autorità garante che, all’epoca, lo si ricorda nuovamente, era la Banca d’Italia.
Di conseguenza, considerata anche la natura di prova vincolante o, comunque, privilegiata del provvedimento n. 55/2005 con riguardo alle fideiussioni ante 2005, è improbabile che l’ordine fosse mirato ad acquisire modelli di fideiussione risalenti all’epoca dell’istruttoria amministrativa.
Se si trattasse, invece, dell’esibizione di modelli successivi al 2005 si potrebbe ipotizzare di rivolgere l’ordine di esibizione non solo nei confronti di un significativo ed esemplificativo campione di banche scelte del Tribunale, ma anche nei confronti della stessa Banca d’Italia, come, appunto, deciso dal Tribunale di Roma ([35]).
Ciò potrebbe costituire un ulteriore rimedio per arginare il rischio dell’inottemperanza all’ordine di esibizione da parte dei singoli istituti di credito.
Preso atto di quanto sin qui osservato, si ritiene che, al netto delle eventuali difficoltà nell’ottenere collaborazione da parte delle banche, il Giudice debba, comunque, provare in tutti i modi ad ottenere i documenti necessari, eventualmente anche reiterando l’ordine di esibizione già concesso ovvero modificandolo, sostituendo gli istituti inadempienti con altre banche, ovvero, ancora, in subordine, disponendo direttamente l’ispezione dei documenti ex art. 118 c.p.c..
Il tutto, peraltro, sempre con la possibilità di sollecitare l’applicazione delle sanzioni pecuniarie all’uopo previste dal D.lgs. n. 3 del 2017.
In conclusione, quindi, pur apprezzandosi notevolmente lo sforzo compiuto dal Tribunale di Milano per ottenere prova dell’eventuale persistenza dell’originario cartello accertato da Banca d’Italia, occorrerà, comunque, fare i conti con il rischio dell’inottemperanza delle banche chiamate all’ostensione delle fideiussioni.
La strada, per ora, percorsa dal Tribunale di Milano è stata quella della reiterazione dell’ordine di esibizione nei confronti delle tre banche rimaste inerti.
Pertanto, solo in seguito, sarà possibile conoscere le eventuali conseguenze sul piano processuale e probatorio, in caso di persistente e reiterata inottemperanza da parte delle banche.
Peraltro, in un futuro - siamo certi molto prossimo - sarà anche possibile conoscere la posizione dei Giudici ordinari rispetto ad eventuali richieste di esibizione formulate - non innanzi al Tribunale antitrust - ma in sede di opposizione a decreto ingiuntivo.
Sempre che, nel frattempo, non intervengano le Sezioni Unite a spegnere il contenzioso in corso, rendendo, di fatto, puramente accademico il dibattito sull’onere della prova in capo al fideiussore.
Marco Sangiorgio
avvocato in Lecco
E Giulia Turato
Dottoressa in Giurisprudenza
* Il presente scritto è da considerarsi un commento a: Trib. Milano, Sez. XIV, 20 maggio 2021; Trib. Milano, Sez. XIV, 11 giugno 2021; Trib. Milano, Sez. XIV, 22 settembre 2021
(1) Reperibile in Questa Rivista in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/25269.pdf nonché in banca dati Dejure
(2) Ex aliis: Trib. Milano, 11 giugno 2018, n. 6537, reperibile in ITA.CA (Italian Case Law on Private Antitrust enforcement) in http://itaca.eurojus.it/en/?idlanguage=2&s=1&o%255B0%255D=1&o%255B1%255D=2&g=&n=&y=2018&nr=&yr=-1&p=&t=&a=&op=or&id=25
(3) Oltre a, Ex aliis: App. Venezia, 13 settembre 2021, n. 2356, reperibile in Questa Rivista in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/25965.pdf; Trib. Pavia, 19 maggio 2021, n. 694, reperibile in banca dati Dejure; Trib. Bologna, 7 aprile 2021, n. 888, reperibile in banca dati Dejure; Trib. Pordenone, 12 gennaio 2001, n. 28, reperibile in Expartecreditoris in https://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/fideiussione-antitrust-va-dimostrato-che-siano-frutto-di-una-intesa-anticoncorrenziale-specifica; Trib. Milano, 19 novembre 2020, n. 7407, reperibile in Expartecreditoris in https://www.expartecreditoris.it/wp-content/uploads/2020/12/trib-milano-sent-n.-7407-del-19.11.2020.pdf; Trib. Vicenza, 20 febbraio 2019, n. 414, reperibile in Centro anomalie bancarie inhttps://centroanomaliebancarie.it/wp-content/uploads/2019/03/802-Tribunale-di-Vicenza-20-febbraio-2019.pdf; Trib. Bologna, ord, 4 ottobre 2018, reperibile in Fideiussioni nulle in http://fideiussioninulle.it/wp-content/uploads/2018/12/Tribunale-Bologna-ordinanza-4.10.2018.pdf
(4) Cass. civ., 08 marzo 2018, n. 30818, reperibile in banca dati Dejure nonché in Diritto bancario in https://www.dirittobancario.it/wp-content/uploads/sites/default/files/allegati/cassazione_civile_sez._i_28_novembre_2018_n._30818_.pdf
(5) Ex aliis:Cass. civ., 12 dicembre 2017, n.29810 e Cass. civ., 22 maggio 2019, n. 13846, entrambe reperibili in banca dati Dejure nonché in Questa Rivista in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/21808.pdf e in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/18676.pdf
(6) Ex aliis: Trib. Bologna, 4 novembre 2020 e Trib. Bologna, 04 luglio 2019, n. 2052, reperibili in Diritto bancario in https://www.dirittobancario.it/wp-content/uploads/sites/default/files/allegati/tribunale_di_bologna_4_novembre_2020.pdf e in Centro anomalie bancarie in https://centroanomaliebancarie.it/wp-content/uploads/2019/12/1003-Tribunale-di-Bologna-4-Luglio-2019-n.-20526.pdf.
Sul punto si rinvia anche ad App., Sez. Antitrust, Milano, 20 novembre 2018, n. 5039, reperibile in ITA.CA (Italian Case Law on Private Antitrust enforcement) in http://itaca.eurojus.it/en/?idlanguage=2&s=1&o%255B0%255D=1&o%255B1%255D=2&g=&n=&y=2018&nr=&yr=-1&p=&t=&a=&op=or&id=92. In ordine a tale questione va, tuttavia, dato atto di un apparente contrasto di orientamenti all’interno dello stesso Tribunale di Milano: a scontrarsi, in particolare, sono l’orientamento della Sezione Antitrust che richiede la prova della persistenza dell’intesa anche per il periodo successivo al 2005 e quello della Sezione VI per cui la corrispondenza del testo contrattuale della fideiussione impugnata con il modulo ABI rappresenterebbe già di per sé una solida presunzione dell’adesione della banca convenuta all’intesa a suo tempo accertata dalla Banca d’Italia, non occorrendo, dunque, la prova della persistenza del cartello sino ai giorni nostri (vedasi, in Questa Rivista,Trib. Milano, 22 ottobre 2021, n. 8610 in https://news.ilcaso.it/libreriaFile/80e33-fideiussione-milano1.pdf.).
(7) Anzi, in verità, diversamente da quanto potrebbe apparire, anche la successiva Cass. civ. n. 13846/2019 cit. sembra aver riconfermato che è preciso onere dell’attore allegare e provare il carattere uniforme dell’applicazione delle clausole che assume essere oggetto di intesa.
(8) Sulla natura di prova privilegiata della decisione dell’Autorità garante o dei Giudici amministrativi vedasi, ex aliis: App. Milano, 06 aprile 2021, n. 1097, reperibile in banca dati Dejure
(9) Come noto, compiuta da Banca d’Italia e AGCM con il parere tecnico n. 14251 del 20 aprile 2005.
(10) Ex aliis: Trib. Milano, 25 maggio 2020, n. 2949, reperibile in Fideiussioni nulle in http://fideiussioninulle.it/wp-content/uploads/2020/09/Tribunale-di-Milano-sentenza-25.05.2020-.pdf
(11) Ex aliis: Trib. Monza, 08 marzo 2021, n. 499, con riguardo a modelli di fideiussione risalenti all’inizio del 2007, reperibile in banca dati Dejure.
(12) Ex aliis: Trib. Rovigo, 27 maggio 2021, n. 395, in banca dati Dejure; Trib. Pavia, 19 maggio 2021, n. 694, cit.
(13) Nel giudizio civile antitrust, l’espressione “prova privilegiata” è comparsa, per la prima volta, nella sentenza 13 febbraio 2009 n. 3640, nella quale viene utilizzata dalla Corte di cassazione per indicare il ruolo significativo che il provvedimento dell’AGCM assume nelle azioni follow on, essendo idoneo a dimostrare, almeno prima facie, la violazione della disciplina della concorrenza.
(14) Ex aliis: Cass. civ. 22 maggio 2019, n. 13846; Cass. civ., 28 maggio 2014, n. 11904; Cass. civ., 13 febbraio 2009, n. 3640, reperibili in Questa Rivista o in banca dati Dejure
(15) In dottrina, vedasi anche: A. D. De Santis, La Direttiva 2014/104/UE e il suo impatto sul processo civile, in La direttiva Consumer Rights: impianto sistematico della direttiva di armonizzazione massima, a cura di C. Giustolisi, Napoli, 2017, 149
(16) Trib. Padova, 29 gennaio 2019, reperibile in Questa Rivista in http://bancheclienti.ilcaso.it/sentenze/ultime/21236
(17) Ex aliis: la qui annotata Trib. Milano, ord., 11 giugno 2021; vedasi anche Trib. Padova, 07 aprile 2021, reperibile in Questa Rivista in http://bancheclienti.ilcaso.it/sentenze/ultime/25213 e Trib. Vicenza, 12 gennaio 2021, n. 88, reperibile in Fideiussioni nulle in http://fideiussioninulle.it/wp-content/uploads/2021/01/TribunaleVicenzaSentenza8gennaio2021.pdf
(18) Ex aliis: Trib. Matera, 06 luglio 2020, n. 329, reperibile in Questa Rivista in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/23958.pdf
(19) Segnatamente, per quanto sinora consta, le Sezioni antitrust dei Tribunali di Milano e di Roma; nello specifico Trib. Roma, 15 settembre 2021 e sempre Trib. Roma, 09 maggio 2019: la prima, per quanto consta, inedita e la seconda reperibile in Expartedebitoris in https://www.expartedebitoris.it/wp-content/uploads/2019/05/ORDINANZA.pdf
(20) Per la giurisprudenza di legittimità vedasi, ex aliis: Cass. civ., 16 maggio 1997, n. 4363; per quella di merito, invece, vedasi, ex aliis: Trib. Latina, 28 agosto 2013, entrambe reperibili in banca dati Dejure
(21) Trib. Latina. 28 agosto 2013, cit.
(22) Ex aliis: Cass. civ., 11 giugno 2013, n. 14656, reperibile in banca dati Dejure
(23) Ex aliis: Trib. Trani, 18 giugno 2020, n. 980; Trib. Frosinone, 16 giugno 2020, n. 403; Trib. Grosseto, 03 giugno 2020, n. 363, tutte reperibili in banca dati Dejure
(24) In particolare: Cass. civ., 04 giugno 2021, n. 11564, reperibile in banca dati Dejure
(25) A. Zama, Giudice della Sezione antitrust del Tribunale di Milano, in Atti del convegno del 4 ottobre 2019 presso Università degli Studi di Milano, Il private antitrust enforcement nelle Corti milanesi: una prospettiva europea, in Eurojus, in http://rivista.eurojus.it, fasc. spec. giugno 2020, pg. 31
(26) Di fronte al Giudice ordinario - che non è Giudice antitrust - non sarebbe verosimilmente ammissibile un’istanza di esibizione formulata ai sensi dell’art. 3 D.lgs. n. 3/2017, considerato che il Giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo non è certamente competente ex art. 33 legge 287 del 1990.
(27) Ex aliis: Cons. St., 10 gennaio 2020, n. 236, reperibile in banca dati Dejure
(28) Sulla prova della concertazione per riscontrato “parallelismo” di comportamenti tra le imprese vedasi, ex aliis,: Cons. St., 12 febbraio 2020, n. 1046, reperibile in banca dati Dejure
(29) Del resto, la tesi dell’ABI che tentava di attribuire la diffusione delle tre clausole ad un’esigenza imprescindibile per le banche e il mercato in genere era stata apertamente rigetta e sconfessata dall’Autorità Garante.
(30) Ex aliis: Trib. Bari, 01 marzo 2016, n. 1138, reperibile in banca dati Dejure
(31) Ex aliis: Cass. pen., 08 febbraio 2012, n. 9157, reperibile in banca dati Dejure
(32) Vedasi, per esempio, A. Graziosi, L’esibizione istruttoria nel processo civile italiano, Milano, 2003, pg. 214-215
(33) Sulla possibilità di avvalersi, in subordine, del rimedio dell’ispezione, vedasi Trib. Reggio Emilia, ord., 27 marzo 2014, reperibile in Altalex in https://www.altalex.com/documents/news/2015/01/02/il-terzo-non-ottempera-all-ordine-di-esibizione-il-giudice-puo-ordinare-l-ispezione.
Occorre, però, dare anche conto di un contrario indirizzo della giurisprudenza, secondo cui per l’acquisizione dei testi di fideiussione si potrebbe ricorrere solo all’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c.; vedasi, in tal senso, ex aliis,: Cass. civ., 16 aprile 1997, n. 3260; nonché Cass. civ., 03 dicembre 1994, n. 10411, entrambe reperibili in banca dati Dejure
(34) Ex aliis: Cass. civ., 23 aprile 2020, n. 8109, reperibile in banca dati Dejure
(35) Trib. Roma, 09 maggio 2019, cit.; la Banca d’Italia, peraltro, a modesto avviso di chi scrive, potrebbe essere stata indicata non tanto come diretta destinataria dell’esibizione ma come una sorta di ausiliario che avrebbe dovuto, comunque, procurarsi, i testi di fideiussione dagli istituti bancari sottoposti alla sua vigilanza.
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