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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 26/11/2021 Scarica PDF
Sul difficile equilibrio tra fallimento e credito fondiario in tema di accertamento e graduazione dei crediti prededucibili: nota a ordinanza Tribunale di Salerno
Saverio Bellocchio, PhD Student all'Università Roma TreSommario: 1. Il caso deciso. – 2. Il privilegio processuale del credito fondiario – 3. L’intervento del curatore nell’esecuzione fondiaria – 4 Il nuovo paradigma della Cassazione – 5. Le soluzioni giuridiche adottate nel caso in commento
Massima - In una procedura esecutiva immobiliare promossa da un creditore fondiario nei confronti di una società in bonis e proseguita dopo la dichiarazione di fallimento della esecutata, al G.E. spetta il compito di compiere l’accertamento e la graduazione degli eventuali crediti prededucibili di rango anteriore al credito fondiario
1. In una procedura esecutiva immobiliare promossa da un credito fondiario nei confronti di una società in bonis e proseguita dopo la dichiarazione di fallimento della esecutata, il curatore del fallimento, intervenuto nella procedura individuale, proponeva opposizione ex art. 617 c.p.c. con contestuale istanza di sospensione avverso l’ordinanza con cui il G.E. aveva approvato il progetto di distribuzione del ricavato dalla vendita dell’immobile. La curatela contestava l’esclusione dal piano di riparto di somme a suo dire prededucibili e dovute per legge, quali nello specifico:
- compenso liquidato con decreto dal G.D. in favore del curatore;
- compenso del curatore per l’intervento spiegato nella procedura esecutiva de qua;
- importo dell’IMU gravante sul bene immobile maturato dalla data del fallimento.
Il tribunale accoglieva l’istanza di sospensione, accantonando l’importo preteso dalla curatela. A fondamento della propria decisione, il G.E. riteneva in primis corretto l’operato del G.D. nell’aver liquidato in favore del curatore una quota del compenso da prelevare in prededuzione sul ricavato della vendita del bene pignorato. In secondo luogo ravvisava che, ai sensi dell’art. 111 ter, co. 2, l.f., le spese prededucibili specificatamente inerenti l’immobile oggetto di garanzia, quali l’IMU, debbano essere soddisfatte in via esclusiva sul ricavato del bene stesso. Infine, secondo il Tribunale, riconosciuta la debenza delle somme per compenso e per IMU, automaticamente deve riconoscersi l’ulteriore somma in prededuzione per spese e compensi della procedura esecutiva, spettante a tutti i creditori che partecipino alla distribuzione.
2. L’ordinanza in commento offre l’occasione per addentrarsi all’interno del difficile rapporto tra procedura esecutiva sottesa al soddisfacimento di un credito fondiario e procedura fallimentare. Come ben noto, il credito fondiario[1] costituisce una eccezione al divieto impresso dall’art. 51 l.f. di iniziare e/o proseguire, dal giorno di dichiarazione del fallimento, azioni esecutive o cautelare individuali sui beni compresi nel fallimento[2]. A mente dell’art. 41, co. 2, t.u.b. «L’azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari può essere iniziata o proseguita dalla banca anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore. Il curatore ha facoltà di intervenire nell’esecuzione. La somma ricavata dall’esecuzione, eccedente la quota che in sede di riparto risulta spettante alla banca, viene attribuita al fallimento». Seppur lineare nella sua formulazione, la norma lascia aperti seri interrogativi circa l’ampiezza dell’eccezione de quo. Così se per un verso il certosino lavorio della dottrina e della giurisprudenza, con la partecipazione anche non marginale del legislatore, ha permesso di ricondurre a sistema buona parte dei punti oscuri nel rapporto fallimento - esecuzione fondiaria, è altrettanto vero che il puzzle è ben lontano dal potersi dire completato. La solida base su cui poggia l’intera architettura è la pacifica convinzione che l’art. 41, co. 2, t.u.b. garantisca al creditore fondiario un privilegio di natura esclusivamente processuale. Diretta conseguenza di quanto sopra è che seppur svincolato dal c.d. concorso formale, il credito fondiario non sfugga alle regole del concorso sostanziale. E poiché è pacifico l’assunto secondo cui la legge fallimentare prevede un’unica modalità di concorso sostanziale, fondata sull’ammissione allo stato passivo del credito vantato, deve desumersi che anche il creditore fondiario è tenuto ad insinuarsi al passivo.
Circostanza questa che con il c.d. decreto correttivo della riforma della l.f. (d. lgs. 12 settembre 2007, n. 169) ha potuto contare anche sull’intervento del legislatore, che al comma terzo dell’art. 52 l.f. ha cristallizzato il principio per cui anche sui crediti «esentati di cui all’art. 51» grava l’onere di ammissione allo stato passivo per poter essere correttamente soddisfatti sulla massa fallimentare[3].
Così stando le cose, il privilegio processuale fondiario nell’esecuzione si sostanzia per la banca nel provocare la vendita dell’immobile ipotecato e nel vedersi assegnare solo provvisoriamente le somme ricavate dalla esecuzione, essendo soggetta alle risultanze fallimentari.
In buona sostanza, quindi, secondo l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale del tutto prevalente, almeno sino alla sentenza della Suprema Corte n. 23482/2018 di cui si dirà, l’ammissione allo stato passivo del credito fondiario assolverebbe la funzione di titulus retinendi[4]delle somme provvisoriamente percepite a seguito dell’assegnazione del ricavato della liquidazione del bene nella procedura esecutiva individuale, fermo restando l’obbligo di restituire alla procedura le somme incassate a) per intero, nel caso in cui la domanda di insinuazione al passivo non sia presentata o venga definitivamente rigettata, b) limitatamente alla parte eccedente la quota che in sede di riparto fallimentare risultasse spettante all’istituto di credito, in conformità con quanto previsto dall’art. 41, co. 2, terzo periodo, t.u.b.[5].
3. Sempre ai sensi dell’art. 41, co. 2, t.u.b., «il curatore ha facoltà di intervenire» nell’esecuzione fondiaria. In virtù della letteralità della norma, pare corretto ritenere che il curatore non assurga al ruolo ex se di parte del procedimento esecutivo individuale, in deroga al dettato dell’art. 43 l.f.[6]. Seppur meramente facoltativo è tuttavia innegabile che l’intervento volontario del curatore sia fondamentale per assicurare un giusto bilanciamento fra gli interessi sottesi alle due procedure, tant’è che in dottrina si è efficacemente sostenuto che la partecipazione della curatela avrebbe innanzitutto una funzione informativa, rendendo edotto il g.e. della pendenza della procedura fallimentare sul patrimonio dell’esecutato[7]. Inoltre, l’intervento consentirebbe al curatore di tutelare la par condicio creditorum fallimentare nell’esecuzione individuale, ad esempio:
- contestando il diritto del credito fondiario a procedere in deroga all’art. 51 l.f.[8];
- evitando che per favorirne una rapida aggiudicazione, possa essere fissato per l’immobile un prezzo eccessivamente inferiore rispetto al suo valore di mercato, tale comunque da soddisfare interamente il credito dell’istituto procedente ma in pregiudizio degli altri creditori concorsuali a cui gioverebbe l’eventuale surplus[9]. In più, laddove il predetto surplus fosse effettivamente generato, l’intervento permetterebbe alla curatela di assicurarsi la diretta assegnazione dello stesso[10].
L’attuale assetto normativo non chiarisce tuttavia se il curatore con il suo intervento possa, ovvero sia tenuto a, far valere eventuali crediti fallimentari poziori rispetto a quello fondiario sul ricavato dell’immobile. Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, sviluppatosi ante decreto correttivo, l’intervento del curatore nella procedura avrebbe proprio la precipua funzione di assicurare la salvaguardia di crediti da soddisfare anteriormente rispetto a quello della banca. Ciò tuttavia non ha mai convinto pienamente. In primis perché molto semplicemente, si è detto, l’intervento del curatore non è obbligatorio bensì eventuale e comunque sia condizionato alla conoscenza della pendenza della procedura esecutiva. Cosicché laddove ne ignorasse l’esistenza oppure intervenisse a progetto di distribuzione già approvato o, ancora, l’esecuzione individuale si concludesse prima che venga reso esecutivo lo stato passivo, non riuscirebbe a garantire le ragioni degli altri creditori[11].
In senso analogo, seppur in termini evolutivi, rispetto all’anzidetto indirizzo una giurisprudenza di merito ha ritenuto che laddove il curatore interveniente nell’esecuzione fondiaria miri in quella sede ad ottenere un accertamento della collocazione dei privilegi che insistono sull’immobile esecutato, tale accertamento non potrebbe che avvenire «con il medesimo effetto di stabilità proprio dell’ordinaria distribuzione esecutiva, senza che vi osti il principio dell’art. 52 l.fall., altrimenti operante»[12].
Epperò se l’assunto di partenza è la natura esclusivamente processuale e non anche sostanziale del privilegio attribuito al credito fondiario, allora la procedura esecutiva individuale non potrà che essere ancillare rispetto alla procedura esecutiva collettiva[13]. Il principio di esclusività e unicità del procedimento di verifica dei crediti fallimentari di cui all’art. 52 l.f. renderebbe pertanto evidente che solamente con l’insinuazione allo stato passivo e la relativa formazione dello stato passivo vi possa essere, rispettivamente l’accertamento e la graduazione dei crediti con carattere di definitività. Né, d’altronde, può revocarsi in dubbio che anche l’attività di calcolo e distribuzione definitiva della somma spettante all’istituto sia appannaggio del giudice fallimentare, atteso che tanto i crediti prededucibili quanto i crediti esenti dal divieto di cui all’art. 51 debbano essere collocati nei piani di riparto fallimentare (art. 110, co. 1, l.f.)[14]. D’altronde solo così, si è osservato, si garantirebbe un efficiente coordinamento tra le due procedure[15]: il creditore fondiario, come tutti gli altri creditori, deve essere ammesso al passivo e quindi collocato nei piani di riparto affinché possa trattenere in via definitiva quanto ricavato dall’azione esecutiva individuale; al contempo, eventuali conflitti fra crediti che insistono sul bene oggetto dell’esecuzione individuale saranno risolti davanti al G.D., unico organo competente.
Su tali presupposti comuni si sono sviluppati due diversi orientamenti.
Da un lato vi è chi, proprio privilegiando una lettura sistematica dell’art. 110, co. 1, l.f. rilevi che in nessun modo il curatore sia tenuto ad intervenire nell’esecuzione individuale per far valere le ragioni dei creditori di rango poziore rispetto all’istituto procedente, essendo l’assetto normativo improntato su di «un meccanismo di restituzioni ex post»[16]. Se quanto spetti alla banca all’esito del riparto fallimentare sia inferiore rispetto a quanto percepito nell’esecuzione individuale, spetterà al curatore promuovere nei confronti del creditore fondiario un’azione di ripetizione dell’indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., salvo il caso di un adeguamento spontaneo della banca alle risultanze fallimentari.
Altrove si è opinato che vi sarebbe un vero e proprio onere per il curatore di redigere e farsi approvare un piano di riparto «virtuale» in sede fallimentare da rappresentare al g.e. per far valere dei crediti poziori rispetto al fondiario sul ricavato dell’immobile liquidato nell’esecuzione individuale[17]. Questo perché, secondo tale prospettiva, il creditore fondiario potrebbe trattenere provvisoriamente solamente quanto è verosimile che ottenga in sede fallimentare, ovverosia, ai sensi dell’art. 110 l.f., deve essere correttamente collocato perlomeno su di un progetto di riparto che risolva eventuali conflitti fra crediti che insistono sul bene staggito[18].
4. In tale contesto recentemente la Cassazione, con la sentenza n. 23482/2018[19], parrebbe aver fissato una nuova rotta, riconoscendo all’insinuazione allo stato passivo la funzione di fatto costitutivo del diritto del creditore fondiario di vedersi attribuire qualsiasi somma nell’ambito dell’esecuzione individuale proseguita in costanza di fallimento. Nell’ottica di coordinare la procedura esecutiva individuale con quella fallimentare, l’arresto della Suprema Corte propone quale principio primo quello dell’economia processuale, per cui ogni distribuzione in sede di esecuzione individuale dovrebbe tendere alla definitività, fondandosi su quanto già accertato nella procedura fallimentare. In altri termini, la possibilità per il curatore di agire per la ripetizione ex post di quanto indebitamente e provvisoriamente ottenuto dal creditore fondiario nell’espropriazione forzata non deve essere eletta a costante del sistema. Per ottenere la graduazione di eventuali crediti di massa di rango anteriore a quello fondiario e l’attribuzione delle relative somme, il curatore dovrà intervenire nel giudizio facendo valere «l’avvenuta emissione da parte degli organi della procedura fallimentare di formali provvedimenti (idonei a divenire stabili ai sensi dell’art. 26 l.f.) che (direttamente o quanto meno indirettamente, ma inequivocabilmente) dispongano la suddetta graduazione». In tale rinnovato contesto, al G.E. spetterebbe in definitiva esclusivamente il compito di conformare la distribuzione provvisoria in favore della banca alle risultanze fallimentari dedotte dalla curatela, senza competenza alcuna per sindacare le valutazioni operate dal G.D.. Come è stato autorevolmente notato, la decisione apparirebbe quale coerente sviluppo dell’orientamento per cui l’insinuazione al passivo costituiva il titolo per trattenere definitivamente le somme nei limiti di quanto accertato in sede di riparto fallimentare[20], nonché quale unica impostazione che nell’attuale assetto normativo consentirebbe un coerente bilanciamento fra le due procedure[21].
5. Dell’ordinanza del Tribunale di Salerno oggetto di commento a colpire più che i risultati a cui giunge è il ragionamento condotto dal G.E., che pare non tener conto minimamente dei nuovi dettami della Cassazione. In particolare, poiché la curatela interveniente predicava la prededucibilità di somme sul ricavato dell’immobile venduto, il G.E. si sarebbe dovuto limitare a constatare l’esistenza o meno di provvedimenti del G.D. che avessero in maniera non equivocabile accertato e graduato tali crediti.
Invero, circa la somma per compenso del curatore ex art. 39 l.f. liquidato dal G.D. con provvedimento del 20.9.2019 il Tribunale compie un vero e proprio sindacato sulla legittimità dell’operato del giudice fallimentare: «Ne consegue, pertanto, che correttamente nel fallimento il Tribunale ha liquidato in favore del curatore, omissis, una quota di compenso da “prelevare” in prededuzione sul ricavato dalla vendita del bene pignorato». Essendo stato dedotto dalla curatela un provvedimento idoneo ad acquisire i crismi della stabilità di cui all’art. 26 l.f., il G.E. si sarebbe dovuto limitare a prenderne atto, disponendo in maniera conforme per il sol fatto di essere stato prodotto in giudizio. Il ragionamentoeversivo proposto dal G.E. quindi deve essere censurato vigorosamente, alla luce di quel dovere per il giudice dell’esecuzione di conformarsi alle risultanze fallimentare che la Cassazione ha recentemente cristallizzato ed esplicitato[22]. In termini di più ampio respiro, lo spettro che aleggia fra le pagine dell’ordinanza in commento è che laddove si fosse ravvisata la non debenza di quanto disposto dal G.D., il G.E. avrebbe potuto disattendere il relativo provvedimento, contravvenendo al principio generalissimo per cui è la procedura fallimentare a scandire l’accertamento e la graduazione dei crediti concorsuali.
Anche per le somme richieste per IMU il G.E. si discosta dal dettato della recente sentenza della Cassazione, operando nel merito l’accertamento e la graduazione dei crediti. Stando a quanto emerge dall’ordinanza, contrariamente rispetto alla somma richiesta dal curatore a titolo di acconto sul compenso, non vi sarebbe alcun provvedimento del G.D. che avesse disposto la graduazione in prededuzione sul credito dell’istituto procedente di quanto dovuto per IMU. Il G.E. ne deduce invero la natura prededucibile sulla scorta dell’art. 111 ter l.f. il quale, nel prescrivere al curatore la tenuta di un conto autonomo con analitica indicazione delle entrate e delle uscite per i beni immobili gravati da privilegio speciale e da ipoteca, detterebbe un criterio di regolamentazione degli eventuali conflitti tra crediti prededucibili e crediti assistiti da cause di prelazione sul bene. Anche in questo caso, la ricostruzione operata non convince pienamente. Si osservi che i conti speciali di gestione sono tenuti autonomamente dal curatore, senza alcun vaglio da parte del G.D. se non al momento dell’approvazione del riparto e non pare corretto assimilarli ai provvedimenti di graduazione esplicita o implicita, ma comunque inequivocabile, che richiede la Cassazione[23]. Il ragionamento compiuto dalla Suprema Corte infatti si enuclea sì dall’art. 111 ter l.f., ma nel senso di rilevare il diverso regime di graduazione a cui sono sottoposte da un lato le spese specifiche sostenute dal fallimento ed intrinsecamente gravanti sul singolo bene e dall’altro quelle di carattere generale imputabili a ciascun bene o gruppo di beni secondo un criterio proporzionale. Per le prime infatti, IMU o spese condominiali gravanti sull’immobile, l’antergazione rispetto al creditore fondiario è da ritenersi implicitamente compiuta dal G.D. laddove ne autorizzi il pagamento, ma non anche per il semplice fatto che siano state inserite dal curatore nei relativi conti speciali. Con riguardo alle spese generali, per le quali, essendo imputabili solo in misura proporzionale sul bene oggetto della procedura esecutiva, sarà necessario un esplicito provvedimento dell’organo fallimentare che ne disponga la relativa quantificazione e graduazione.
Le considerazioni appena poste trovano conferma nelle innumerevoli linee-guida pubblicate dai Tribunali[24] per regolare le interferenze tra fallimento ed esecuzione fondiaria alla luce della sentenza n. 23482/2018, tutte conformi nel rilevare che, intervenuta l’aggiudicazione del bene ed emesso il relativo decreto di trasferimento, il curatore dovrebbe:
- chiedere la liquidazione al Tribunale fallimentare di un acconto sul proprio compenso ai sensi dell’art. 109, comma 2, l.f.;
- ottenuta la liquidazione, predisporre un piano di riparto parziale limitato alle somme realizzate in sede esecutiva al fine di accertare la somma che il creditore fondiario ha diritto di ricevere in sede fallimentare, specificando e quantificando l’importo e la natura dei crediti poziori rispetto al fondiario.
Il riparto parziale, una volta dichiarato esecutivo, deve essere prodotto nella procedura individuale unitamente al decreto collegiale di liquidazione del compenso e al provvedimento di esecutività del giudice delegato e costituirà il provvedimento a cui il G.E. dovrà attenersi nella distribuzione delle somme. In assenza di un piano di riparto parziale, al giudice dell’esecuzione spetterà il compito di indagare se perlomeno sia avvenuta una graduazione implicita da parte degli organi fallimentari. Tertium non datur, o meglio: senza un provvedimento che disponga la graduazione per far valere crediti di rango poziore il curatore dovrà necessariamente agire ex post con un’azione di ripetizione dell’indebito laddove all’esito delle risultanze fallimentari il creditore fondiario abbia percepito di più di quanto gli spettasse.
[1] L’originaria disciplina del credito fondiario, contenuta nel R.D. 26 luglio 1905, n. 646, si fondava su di un duplice presupposto, soggettivo e oggettivo. L’erogazione di mutui fondiari, infatti, era appannaggio esclusivo degli istituti di credito specificatamente autorizzati, i quali operavano con i capitali raccolti mediante l’emissione delle c.d. cartelle fondiarie. La provvista che ne derivava garantiva la copertura per l’erogazione di ciascun mutuo, a cui si associava l’ipoteca concessa dal mutuatario. Lo stretto collegamento causale che vi era fra operazioni attive e passive (rectius, identità vera e propria tra la massa delle cartelle e la massa dei mutui), unitamente all’obbligo in capo all’istituto di credito di rimborsare il capitale e gli interessi maturati delle cartelle periodicamente sorteggiate, anche in caso di inadempimento del mutuatario, spiegano la volontà del legislatore di predisporre una disciplina speciale che garantisse una celere ed efficace escussione dell’immobile ipotecato. L’attuale disciplina, contenuta negli artt. 38-41 del t.u.b., ha riformato profondamente la materia, virando in maniera decisa verso una despecializzazione del credito fondiario. Vi è che essendo venuto meno il presupposto soggettivo originariamente tratteggiato, atteso che l’erogazione di credito fondiario rientra nella generale attività di credito, il credito fondiario attualmente si caratterizza esclusivamente per il profilo oggettivo, anch’esso completamente rimodulato nell’ottica dell’ampliamento della categoria. Nello specifico, secondo quanto stabilito dall’art. 38 t.u.b. per credito fondiario deve intendersi la concessione da parte degli istituti di credito di finanziamenti a medio e lungo termine, garantite da ipoteche di primo grado sui beni immobili. In sostanza, secondo quanto ravvisato dalla Suprema Corte, «Se si tiene conto del fatto che la Banca d’Italia ha determinato in diciotto mesi la durata minima del mutuo e nell’80% la percentuale massima di finanziamento concedibile in base al valore dell’immobile non può non rilevarsi come il legislatore, operando una scelta di politica economica diretta alla mobilizzazione della proprietà immobiliare, scelta ritenuta insindacabile dal giudice delle leggi (Corte Costituzionale n. 175/2004), ha esteso sostanzialmente alla grandissima parte dei mutui garantiti da ipoteca su immobili la categoria del credito fondiario» (Cass. Civ., Sez. I, 8 settembre 2011, n. 18436, in Fallimento, 2012, n. 3, 324-326, in part. 325, con nota di L. Abete). Accanto all’ampliamento soggettivo e oggettivo dell’istituto del credito fondiario permane ancor’oggi il regime processuale privilegiato in capo all’istituto di credito nell’escussione dell’immobile ipotecato. Per un approfondimento sulle finalità dell’istituto del credito fondiario e sulla evoluzione storica della disciplina si rinvia a A.M. Soldi, Manuale dell’esecuzione forzata, Padova, 2019, 1878 ss.; M. Sepe, Commento all’art. 38, in F. Capriglione (a cura di), Commentario al T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia, Padova, 2018, 414 ss.; G. Falcone,L’espropriazione per credito fondiario, in G. Arieta, F. De Santis, A. Didone (a cura di), Codice commentato delle esecuzioni civili, 2016, Milano, 2345 ss.; M. Farina, Superamento del limite di finanziabilità e (nullità del) credito fondiario, in B.B.T.C., 2015, n. 4, 534 ss.;A. Paluchowski, La procedura esecutiva concorsuale ed i rapporti con quella individuale. In particolare l’esecuzione del Credito Fondiario ed il fallimento. Le interferenze fra esecuzione ed esdebitazione, concordato preventivo, 182 bis ed automatic stay, Seminario Unijuris, Udine, 2011; G. Falcone, Sub Art. 38, in M. Porzio (a cura di), Testo Unico Bancario, Milano, 2010, 365 ss.;G.P. Macagno, Rapporti tra esecuzione individuale e concorsuale di credito fondiario: conferme dal legislatore della riforma, in Fallimento, 2009, n. 10, 1231 ss.;G.B. Nardecchia, Il difficile rapporto tra credito fondiario e fallimento: irrisolte incertezze interpretative e recenti novità legislative, in Fallimento, 2008, 190 ss.; A. Patti, Credito fondiario tra esecuzione individuale e fallimento: accertamento del credito e liquidazione dei beni, in Fallimento, 2005, 1147 ss.; M.C. Olivieri, In tema di credito fondiario e di azione esecutiva individuale, in B.B.T.C., 2000, n.3, 280 ss.;; A. Didone, Credito fondiario e fallimento: due privilegi in cerca di «ratio», in Fallimento, 1997, n. 10, 953 ss.; Bozza G., Il credito fondiario nel nuovo T.U. bancario, Padova, 1996; S. Bonfatti, La disciplina dei crediti speciali nel “Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, in Giur. Comm., 1994, 6, 1010 ss..
[2] Per S. Sanzo, Gli effetti del fallimento per i creditori, in O. Cagnasso, L. Panzani (a cura di), Crisi d’impresa e procedure concorsuali, I, Milano, 2016,1090 ss., nell’attuale quadro normativo l’azione esecutiva fondiaria costituirebbe l’unica eccezione rilevante al divieto di cui all’art. 51. Tuttavia, va sottolineato che anche al credito per le opere pubbliche di cui all’art. 42, co. 4, t.u.b. e al credito agrario e peschereccio di cui all’art. 44, co. 5, t.u.b., ove garantiti da ipoteca su beni immobili, si applica la disciplina prevista per le operazioni di credito fondiario. Vi è anche chi riconosce nella facoltà attribuita dall’art. 53 l.f. al creditore, previa ammissione allo stato passivo e autorizzazione del G.D., di procedere direttamente alla vendita dei beni mobili ricevuti in pegno o gravati da privilegio ex artt. 2756, 2761 c.c. un’ulteriore deroga all’art. 51, cfr. sul punto P. Bortoluzzi, Sub art. 51, in M. Ferro (a cura di), La legge fallimentare, Padova, 2014,700 ss., contra S. Di Amato, Gli effetti del fallimento rispetto ai creditori, in L. Panzani (a cura di), Il fallimento e le altre procedure concorsuali, I, Torino, 2012, 308-309, V. Andrioli, voce «Fallimento», in Enciclopedia del Diritto, XVI, Milano, 1967, 440-442, secondo cui «la liquidazione del bene non cessa di essere fallimentare perché è il giudice delegato che la dispone». Da ultimo, una deroga espressa all’art. 51 l.f. si rinviene nell’art. 104 ter, co. 8, l.f., che disciplina la derelizione da parte del curatore, e previa autorizzazione del comitato dei creditori,dei beni i cui costi per la liquidazione si prevedono ben maggiori rispetto all’eventuale valore di realizzo con la conseguenza che i creditori «possono iniziare azioni esecutive o cautelari sui beni rimessi nella disponibilità del debitore» (F. Marelli, Sub art. 51, in A. Jorio (a cura di), Il nuovo diritto fallimentare, I, Bologna, 2006, 768-769,V. Baroncini, Natura del provvedimento di autorizzazione alla derelictio e sua ricorribilità per cassazione ex art. 111 Cost., in Fallimento, 2020, n. 1, 43 ss.).
[3] Si rileva che prima dell’intervento chiarificatore del legislatore molteplici sono state le pronunce giurisprudenziali che si esprimevano nel senso di negare l’esistenza dell’onere del creditore fondiario di insinuarsi al passivo, cfr. ex multis Cass. Civ. Sez. I, 15 giugno 1994, n. 5806, in BBTC, 1995, II, 672 con nota di Tardivo; Cass. Civ., Sez. I, 19 febbraio 1999, n. 1395, in Mass. Giur. It., 1999; Cass. Civ., Sez. I, 9 ottobre 1998, n. 10017, in Fallimento, 1999, 10, 1972 con nota di M. Terenghi; Cass. Civ., Sez. I, 15 giugno 1994, n. 5806, in Fallimento, 19994, 11, 1161 con nota di L. Panzani.; dello stesso avviso, in dottrina, A. Saletti, L’espropriazione per credito fondiario nella nuova disciplina della legge bancaria, in Riv. dir. proc., 1994, 1004 ss.
[4] Così M. Montanari, La realizzazione dei crediti fondiari nel fallimento, in ilCaso.it, 4 settembre 2018, 23.
[5] A.M. Soldi, op. cit., 1892; G. Pellizzoni, N. Fiorentin, Osservazioni sul privilegio processuale fondiario ex art. 41, comma 2 T.U.L.B. alla luce del decreto correttivo, in Fallimento, 2008, 5, 614 ss.
[6] M. Montanari, op. cit., 5; L. Panzani, Credito fondiario, esecuzione immobiliare e fallimento, in Fallimento, 1994,11, 1161 ss., secondo cui conseguentemente si dovrebbe riconoscere solamente in capo al fallito la legittimazione processuale in quanto parte nell’esecuzione fondiaria. Di diverso avviso A.M. Soldi, op. cit., 1892 per la quale la legittimazione passiva spetterebbe tanto al debitore quanto al curatore. Tuttavia entrambe le accennate teorie convergerebbero nel ritenere che il curatore possa anche introdurre l’opposizione ex art. 615 c.p.c. contestando il diritto dell’istituto di credito all’espropriazione in costanza di fallimento per la mancanza delle condizioni previste nell’art. 41 t.u.b.
[7] V. Sangiovanni, Le particolarità fallimentari del credito fondiario, in Fallimento, 2011, 10, 1153 ss.
[8] Cass. 2 ottobre 2003, n. 14675; Cass. 5 febbraio 2014, n. 2608
[9] In questi termini M. Sepe, op. cit., 1195.
[10] Scongiurando l’ipotesi che il G.E., ignorando l’apertura della procedura concorsuale, assegni le somme residue al debitore. Assegnazione, tuttavia, che in tal caso non sarebbe irreversibile stante la disciplina dell’art. 44 l.f.
[11] Cass. 2532/1987, L. Panzani, op. cit.,
[12] Cosi Corte d’Appello Torino, Sez. I, 5 settembre 2007, in Fallimento, 2008, 2, 186 ss., in part. 189, con nota fortemente critica di G.B. Nardecchia.
[13] In termini analoghi cfr. Cass. Civ., Sez. I, 8 settembre 2011, n. 18436, già cit., «sia l’elaborazione giurisprudenziale che l’intervento legislativo organico in materia fallimentare hanno consentito di sancire chiaramente la soggezione della procedura esecutiva individuale alla competenza concorsuale in materia di accertamento del credito e dei privilegi e alla ripartizione della somma ricavata. Ne deriva il carattere accessorio e subordinato al procedimento concorsuale della procedura esecutiva condotta dal creditore fondiario il quale […] resta comunque soggetto all’attrazione e al controllo della procedura individuale da parte di quella concorsuale»; meno recentemente Cass. civ., 15.1.98, n. 314, in Fall., 1998, 812; in dottrina G.B. Nardecchia, Il difficile rapporto tra credito fondiario e fallimento: irrisolte incertezze interpretative e recenti novità legislative, in Fallimento, 2008, 2, 192 ss.
[14] A. Paluchowski, op. cit.,
[15] V. Sangiovanni, op. cit., 1154.
[16] M. Montanari, op. cit., 27 ss.
[17] F. D’Aquino, La ripartizione dell’attivo, in S. Ambrosini (a cura di), Le nuove procedure concorsuali, Bologna, 2008, 300;
[18] S. Ambrosini, La ripartizione dell’attivo, in S. Ambrosini, G. Cavalli, A. Jorio (a cura di), Il fallimento, in Tratt. dir. comm., diretto da G. Cottino, Padova, 2009, 655, nt. 4.
[19] Pubblicata in Riv. Dir. Proc., 2019, 1, 397 con nota di S. Vincre.
[20] G.B. Nardecchia, Accertamento, quantificazione e graduazione del credito fondiario: l’intervento del curatore nell’esecuzione individuale, in Fallimento, 2018, 12, 1396
[21] S. Leuzzi, Appunti sistematici sui rapporti convulsi fra esecuzione fondiaria e fallimento, in Ilfallimentarista.it, 19 ottobre 2018, 8. Tuttavia non sono mancate opinioni dissenzienti. Vi è chi ha ritenuto che un’impostazione siffatta finisca per svilire la ratio sottesa al privilegio processuale del creditore fondiario, ché ancorarlo alle tempistiche della procedura fallimentare significherebbe mettere a serio rischio le prospettive di celere provvisorio realizzo che lo animano (S. Passafiume, Il credito fondiario fra esecuzione e fallimento, in in executivis, 1 aprile 2019, 7 ss.).
[22] su cui si sofferma diffusamente A. Nascosi, I rapporti tra procedura concorsuale ed espropriazione forzata nella tutela del credito fondiario alla luce di una recente decisione della Cassazione, in Riv. es. forz., 2019, n. 2, 363 ss.
[23] In tal senso si esprime fermamente S. Passafiume, op. cit., 11.
[24] Cfr. ex multis le linee guida del Tribunale di Modena https://www.ordineavvocatimodena.it/wp-content/uploads/2020/05/TRIBMODENALINEEGUIDAAICURATORI_784_16872.pdf; del Tribunale di Firenze http://www.ordineavvocatifirenze.eu/wp-content/uploads/2020/01/CIRCOLARE-ESEC-FALL.pdf; del Tribunale di Alessandria con nota di S. Passafiume, inRiv. es. forz., 2019, n. 2, 389 ss.
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