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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 17/04/2023 Scarica PDF
Il criterio soglia ex art. 283 II co. C.C.I.I.: un vestito per tutte le stagioni
Massimo Zanoletti, Avvocato in BresciaSommario: 1. Premessa; 2. Il presupposto oggettivo per l’ammissione alla procedura di esdebitazione del sovraindebitato incapiente: utilità ed utilità rilevanti; 3. Valutazione prognostica delle utilità destinabili ai creditori 4. Orientamenti giurisprudenziali; 5. I diversi criteri per la determinazione delle spese di mantenimento nella liquidazione controllata.
1. Premessa
1. Il D.L. 28.10.2020 n. 137[1] con l’art. 4 ter introdusse nella legge n. 3/2012 relativa alle procedure previste per i debitori sovraindebitati l’art. 14 quaterdecies dedicato al “Sovraindebitato incapiente”.
La norma, nella medesima formulazione letterale ed articolazione prescrittiva, è ora contenuta negli artt. 283 e ss. del d. lgs. 14/2019 (C.C.I.I.) e consente, a determinate condizioni, che un soggetto qualificato quale sovraindebitato incapiente possa chiedere l’immediata esdebitazione.
L’accesso a questo rilevante beneficio richiede ben precisi presupposti soggettivi ed oggettivi.
Quanto ai primi, l’istante deve essere persona fisica e meritevole, e cioè, secondo la indicazione del successivo co. 5 non aver procurato la sua condizione di sovraindebitato mediante atti in frode o per dolo e colpa grave.
Quanto al requisito oggettivo esso è declinato nella condizione di “….non essere in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura…” ; la norma esprime altresì una clausola di salvaguardia tale per cui permane “…l’obbligo del pagamento del debito entro quattro anni dal decreto del giudice laddove sopravvengano utilità rilevanti che consentano il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore complessivamente al 10%” (art. 283 c.1 C.C.I.I.).
Le “utilità rilevanti”, secondo quanto previsto dal secondo comma, devono essere valutate: I) su base annua; II) dedotte:
- le spese di produzione del reddito;
- quanto occorrente al mantenimento del debitore e della sua famiglia in misura pari all’assegno sociale aumentato della metà moltiplicato per un parametro corrispondente al numero dei componenti il nucleo familiare della scala di rilevanza ISEE di cui al D.P.R. 159/2013.
2. Il presupposto oggettivo per l’ammissione alla procedura di esdebitazione del sovraindebitato incapiente: utilità ed utilità rilevanti.
La norma sopra ricordata prevede, quindi, due fasi: i) quella dell’ammissione all’immediata esdebitazione; ii) quella successiva quadriennale di vigilanza da parte dell’O.C.C.
Ognuna delle due fasi esprime presupposti e disciplina propri che non paiono in alcun modo fungibili.
Alcuni tribunali cui sono state rivolte le prime istanze ai sensi dell’art. 14 quaterdecies l. n. 3/2012 (ora art. 283 C.C.I.I.) hanno attribuito alla soglia dell’importo dell’assegno sociale (oggi pari ad € 460,28) moltiplicato per tredici mensilità, aumentato della metà e moltiplicato per i parametri di cui alla tabella all. 1 del d.p.c.m. 5.12.2013 n. 159 (cioè in base al numero dei componenti il nucleo familiare) di cui al 2 co. dell’art. 283 citato, la funzione di criterio discretivo per l'ammissione al beneficio della immediata esdebitazione del debitore incapiente, negandone quindi l’accesso qualora il reddito del soggetto istante (determinato detratte le spese di produzione del reddito e di mantenimento) fosse superiore ad esso[2].
L’interpretazione accolta, quantomeno al momento, appare tuttavia una forzatura non condivisibile.
Essa, infatti, ha assegnato al 2 co. dell’art. 283, la cui funzione appare meramente didascalica della locuzione “utilità rilevanti” di cui alla seconda parte del 1 co., quella ulteriore e totalmente eccentrica volta a dare un contenuto oggettivo al termine “utilità”[3], cioè ciò che il sovraindebitato può offrire al momento della presentazione della domanda ai creditori ai sensi del co. 1 prima parte, la cui disponibilità anche prospettica costituisce elemento ostativo all’ammissione del beneficio dell’immediata esdebitazione.
Il termine “utilità” e la locuzione “utilità rilevanti” non sono affatto fungibili essendo ben chiara dal testo normativo la diversità del loro significato di principio e la funzione che il legislatore ha loro attribuito.
Il termine “utilità”, pur nella sua genericità lessicale ed economica, individua il presupposto oggettivo originario tale per cui il sovraindebitato possa considerarsi o meno incapiente ai fini dell’ammissione alla procedura di cui all’art. 283 C.C.I.I. (già 14 quaterdecies legge n. 3/2012); la locuzione “utilità rilevanti”, al contrario, è del tutto estranea allo scrutinio iniziale di ammissibilità e, data la rilevanza economico-sociale del beneficio della immediata esdebitazione, rappresenta una sorta di clausola di salvaguardia volta a destinare ai creditori quanto sopravvenisse nel patrimonio del sovraindebitato durante il cosiddetto periodo di vigilanza da parte dell’O.C.C.
Non tutte le sopravvenienze, tuttavia, sono destinate ai creditori ma solo quelle che consentano il soddisfacimento di essi in misura non inferiore complessivamente al 10%.
Questa previsione pare coerente con la finalità astratta del beneficio della immediata esdebitazione del sovraindebitato incapiente nel senso che se si vuole riservare effettivamente una “second chance”, nella comparazione tra il limitato beneficio del/i creditore/i (importo inferiore al 10% dei crediti complessivi) con il sollievo del sovraindebitato, viene privilegiato quest’ultimo.
Appare allora in tutta la sua criticità l’incongruenza interpretativa di utilizzare quale “criterio discretivo” per l’ammissione alla procedura stessa quello quantitativo previsto per regolare i rapporti tra sovraindebitato e creditori in corso di procedura; così facendo, infatti, la previsione astratta verrebbe frustrata da una applicazione concreta talmente restrittiva da vanificarla.
Si deve virare, quindi, verso una interpretazione che, senza aperture indiscriminate, rispetti la finalità della legge determinando limiti di ammissibilità che abbiano un minimo di logica e ragionevolezza.
Si prenda, ad esempio, la pronuncia del Tribunale di Milano 26 ottobre 2021, cit., ove i giudici hanno motivato il rigetto della richiesta del beneficio dell'esdebitazione a zero del debitore incapiente osservando che la soglia del reddito minimo del debitore sarebbe stata pari ad € 18.292,40, essendo il nucleo familiare composto da 3 persone; mentre il reddito dell'istante per l'anno 2020 fu pari ad € 18.796,62 pertanto, eccedente la soglia di cui al comma 2 dell'art. 14 quaterdecies l n. 3/2012 (ora art. 283 2 co. C.C.I.I.) di € 578,80.
Quindi, dirottando il sovraindebitato alla procedura di liquidazione controllata, ai sensi degli artt. 268 e ss. C.C.I.I., si potrebbe ipotizzare che, data una disponibilità pari ad € 578,80 su base annua (€ 48,23 su base mensile), allo scadere dei tre anni per ottenere l’esdebitazione si avrebbe una “utilità” di ben € 1.736,28.=, importo probabilmente insufficiente per pagare le sole spese di procedura (OCC, Gestore e liquidatore) senza alcun residuo per i creditori.
Se questa è la conclusione, si deve allora convenire che, onde evitare che la procedura diventi meramente autoreferenziale, non possa assegnarsi tout court alla soglia dell’importo dell’assegno sociale (oggi pari ad € 460,28) moltiplicato per tredici mensilità, aumentato della metà e moltiplicato per i parametri di cui alla tabella all. 1 del d.p.c.m. 5.12.2013 n. 159 (cioè in base al numero dei componenti il nucleo familiare) di cui al 2 co. dell’art. 283 citato, la funzione di criterio discretivo assoluto per l'ammissione al beneficio della esdebitazione del debitore incapiente negandone l’accesso per il solo fatto che il reddito del soggetto istante sia superiore, anche solo per pochi euro.
In tal caso, a parere di chi scrive, al sovraindebitato deve riconoscersi il requisito dell’incapienza senza perplessità di sorta.
3. Valutazione prognostica delle utilità destinabili ai creditori
Se si vuole evitare che il coinvolgimento dell’OCC, del Tribunale, dei professionisti si risolva in un’attività oggettivamente antieconomica per il “sistema”, il rigetto dell’istanza di accesso al beneficio dell’immediata esdebitazione per incapienza dovrebbe maturare all’esito di una valutazione prognostica rigorosa, da cui risulti che al termine della procedura di liquidazione controllata vi siano somme disponibili al soddisfacimento non delle sole spese di procedura ma anche di una quota dei crediti. Ma su che basi tale valutazione potrebbe compiersi?
A tal fine, l’unico criterio utilizzabile, per analogia, per stimare quanto si ricaverebbe dalla procedura al termine del periodo proposto[4], sarebbe quello che definisce il presupposto in base al quale le eventuali “utilità rilevanti” che dovessero sopravvenire nel corso del periodo di vigilanza debbano esser destinate ai creditori, cioè qualora ne “consentano il soddisfacimento in misura non inferiore complessivamente al 10%” (co. 1 seconda parte).
Quindi, la valutazione ex ante per negare l’accesso alla procedura dell’immediata esdebitazione per incapienza del sovraindebitato dovrebbe semplicemente articolarsi in una previsione, rebus sic stantibus, che il residuo disponibile al termine della procedura alternativa della liquidazione controllata, depurato dalle spese di produzione del reddito e di mantenimento, consenta di soddisfare i creditori in misura non inferiore complessivamente al 10%.
Il diniego all’ammissione al beneficio dell’immediata esdebitazione sarebbe così assolutamente coerente con il criterio per cui, nel corso di tale procedura, si destinerebbero ai creditori solo quelle utilità rilevanti che consentissero di soddisfarli in misura non inferiore complessivamente al 10%.
Anticipando la valutazione al momento della domanda circa la possibilità di soddisfare i creditori in misura non inferiore al 10%, al netto delle spese di produzione del reddito e di mantenimento, si avrebbe altresì il pregio di disporre l’apertura della procedura di liquidazione controllata, con i relativi oneri di gestione, solo qualora vi fosse, seppur in astratto, una ragionevole prospettiva di soddisfazione dei creditori non meramente simbolica.
La interpretazione offerta, ad avviso di chi scrive, da un lato evita derive di eccessiva indulgenza e, dall’altro, offre la via per una concreta applicazione della norma nel rispetto delle ragioni di fondo che l’hanno ispirata.
La ratio della norma, infatti, è quella di evitare il passaggio del debitore impossidente attraverso una procedura liquidatoria che non potrebbe comunque offrire alcuna significativa utilità ai creditori per assenza di beni da liquidare e scarsità di risorse da distribuire in quanto le modeste eccedenze rispetto alle esigenze di mantenimento del sovraindebitato e della sua famiglia sarebbero destinate a soddisfare i costi di procedura.
Si eviterebbe così anche quella contraddizione, che si rivelerebbe vera e propria iniquità, tale per cui al sovraindebitato incapiente ammesso alla procedura si consentirebbe il godimento di sopravvenienze che, pur non eccedendo un netto disponibile del 10% della massa complessiva dei crediti, potrebbero integrare somme di un qualche rilievo; mentre si negherebbe l’accesso al soggetto che evidenziasse una modestissima eccedenza rispetto alla soglia di cui al 2 co. dell’art. 283.
4. Orientamenti giurisprudenziali
Pur non essendo giunte a tale conclusione, la consapevolezza del problema è emersa da recenti pronunce[5].
5. I diversi criteri per la determinazione delle spese di mantenimento nella liquidazione controllata
Il criterio soglia dell’importo dell’assegno sociale (oggi pari ad € 460,28), aumentato della metà e moltiplicato per i parametri di cui alla tabella all. 1 del d.p.c.m. 5.12.2013 n. 159 (cioè in base al numero dei componenti il nucleo familiare) di cui al 2 co. dell’art. 283 C.C.I.I. è stato adottato da alcuni Tribunali quale limite per la determinazione dell’importo da lasciare nella disponibilità del sovraindebitato per il mantenimento suo e del suo nucleo familiare con apprensione alla procedura dell’eccedenza[6].
L’utilizzo di tale criterio e, soprattutto, la motivazione a pretesto per la sua applicazione lasciano alquanto perplessi.
L’art. 268 co. 4 dispone in linea generale che non sono ricompresi nella liquidazione i crediti impignorabili ai sensi dell’art. 545 c.p.c., ulteriormente precisando alla lett. b) che non sono ricompresi nella liquidazione, inter alia, “..gli stipendi, le pensioni, i salari e ciò che il debitore guadagna con la sua attività nei limiti, indicati dal giudice, di quanto occorra al mantenimento suo e della sua famiglia..” demandando al giudice una valutazione cui sono estranei automatismi di sorta e che, al contrario, debba considerare la specifica situazione posta alla sua valutazione.
Contrariamente a quanto affermato dalla giurisprudenza citata, esiste, quindi, una ben specifica previsione normativa che rende priva di qualsiasi giustificazione l’attribuzione di un ruolo di supplenza al criterio di quantificazione dettato dall’art. 283 co. 2 C.C.I.I.
Quest’ultimo, infatti, è sorto a fini fiscali per determinare quali soggetti potessero godere di determinate esenzioni/benefici e si basa su un calcolo astratto che considera i componenti del nucleo familiare quale mero elemento per l’individuazione del parametro di moltiplicazione applicabile[7]. Ma i componenti di un nucleo familiare sono persone che non possono essere omologate, quanto a bisogni primari, in rigidi standard. Il mantenimento di un anziano si basa su bisogni diversi da quelli di un giovane e quelli di un giovane da quelli di un bambino; le persone bisognose di cure richiedono un impegno economico diverso da quelle sane. Appare di tutta evidenza, quindi, la necessità che il Giudice delegato non si limiti ad un ruolo notarile ma si spinga ad una valutazione che tenga in debita considerazione le peculiarità del caso specifico[8].
Sono quindi da condividere per la puntuale e ragionata applicazione della norma (art. 268 co. 4, lett. b) quelle pronunce che riservano al Giudice la determinazione della quota di reddito da escludere dalla liquidazione all’esito di una valutazione oggettiva[9].
Alcune delle decisioni che si sono espresse adottando tale criterio, lo hanno tuttavia temperato (fortunatamente, verrebbe da dire) riconoscendo al sovraindebitato le “…spese necessarie alla produzione di reddito del debitore e eventuali spese straordinarie periodiche indispensabili al fabbisogno familiare, e la sua concreta determinazione debba essere rimessa al Giudice delegato una volta acquisita dal debitore la documentazione necessaria sentito il parere del liquidatore” (così Tribunale di Pescara, 8 febbraio 2023 in questa Rivista); oppure, dopo aver enunciato il principio in termini di assoluta genericità “deve essere effettuata, di regola, secondo il criterio previsto dall’art.283 c.2 C.C.I.I., (relativo all’esclusione, ai fini della rilevanza delle utilità sopravvenute dell’esdebitato incapiente, degli importi destinati al mantenimento suo e della sua famiglia) essendo medesima la ratio legis della disposizione” precisando che “in ragione del favor legislativo alla ripresa dell'attività lavorativa da parte del debitore, debbano inoltre essere escluse dall'attivo liquidabile, su base mensile e a titolo di meccanismo incentivante, le somme eventualmente eccedenti la predetta quota di emolumenti: - fino ad E 500,00, nella misura del 50%; - da E 500,01 ad E 1.000,00, nella misura del 40%; - da C 1.000,01 ad e L500,00, nella misura del 30%; - oltre E 1.500,00, nella misura del 20%” (Tribunale di Vicenza 20 febbraio 2023, in questa Rivista).
Peraltro, il provvedimento da ultimo citato esprime, a parere di chi scrive, una insanabile contraddizione laddove da un lato afferma l’applicazione in linea di principio del criterio previsto dall’art. 283 c. 2 C.C.I.I. e dall’altro,ricorda il “…favor legislativo alla ripresa dell'attività lavorativa…” quale presupposto per smentire nei fatti la coerenza del primo per determinare il limite di reddito da escludere dalla liquidazione ai sensi dell’art. 268 co. 4, lett. b). L’articolato meccanismo adottato dal Tribunale di Vicenza è la conferma più evidente che, se si sente la necessità di temperare il criterio ex art. 283 2 co. C.C.I.I. con tali integrazioni, tanto vale sforzarsi di applicare l’art. 268 co. 4, lett. b) C.C.I.I., determinando il limite di reddito da escludere dalla liquidazione sulla base delle effettive e dimostrate esigenze e condizioni del nucleo familiare.
Ammesso per ipotesi che la condiscendenza verso il criterio ex art. 283 c.2 C.C.I.I. per determinare quanto occorra al mantenimento del sovraindebitato e della sua famiglia sia stata suggerita dall’esigenza di eliminare ogni discrezionalità del giudice uniformando in via generale ed astratta il trattamento di questi debitori, si deve osservare che, in tal caso, preferibile allo scopo appare l’art. 545 c.7 c.p.c. che fissa l’impignorabilità in un importo pari al doppio della misura massima mensile dell’assegno sociale, con un minimo di mille euro, disponendo che l’eccedenza sia pignorabile (quindi acquisibile alla procedura) nei limiti previsti dal 3°, 4° e 5° comma dello stesso art. 545 c.p.c. nonché da speciali disposizioni di legge.[10]
Anche questa soluzione rimanda sostanzialmente ad un criterio predeterminato ma, quantomeno, trae legittimazione direttamente dalla lettera della legge[11] e non da una interpretazione additiva/sostitutiva; inoltre, superando quell’astrattezza assoluta dell’art. 283 2° co. consente una liquidazione delle spese di mantenimento se non proporzionata quantomeno più rispettosa sia delle esigenze del sovraindebitato sia delle aspettative dei creditori.
Se si accoglie l’idea che il criterio ex art. 283 c.2 C.C.I.I. deve esser abbandonato, per i limiti evidenziati, si deve altresì convenire che quello rinveniente dall’applicazione dell’art. 545 7° e precedenti c.p.c. non può che esprimere una funzione di tutela minima al di sotto della quale non sia possibile andare, da prendere a riferimento solo qualora il giudice non avesse concreti elementi di valutazione.
Deve riconoscersi, quindi, la centralità dell’art. 268 co. 4, lett. b), soprattutto nel momento in cui si affacciano ulteriori criteri per determinare la quota di reddito da escludere dalla liquidazione, criteri che potranno eventualmente esser di supporto, complementari, ma mai sostitutivi di quella valutazione che la norma demanda al giudice. Quest’ultimo è tenuto a determinare “quanto occorra al mantenimento” che, per definizione, non può trarsi da calcoli astratti ma deve esser il frutto di una valutazione riferita ad elementi, esigenze, condizioni di carattere oggettivo della specifica situazione in cui un certo grado di discrezionalità potrà esprimersi a fini d’equità ma non quale presupposto per l’applicazione di criteri preconfezionati cui la legge non ha pensato.
La normativa sul sovraindebitamento e relative procedure può esser oggetto di valutazioni giuridiche, economiche ed etiche diametralmente opposte[12]; agli operatori compete il rispetto del criterio ispiratore evitando, da parte dei professionisti, derive di eccessiva accondiscendenza e suggestioni di facili fughe dagli obblighi maturati e, da parte dei Giudici, di eccessivo rigore ed applicazione generalizzata di istituti previsti in funzione di specifici obiettivi poiché così facendo si creerebbero ulteriori danni rispetto a quelli creati dallo stato di sovraindebitamento stesso.
[1] Convertito, con modificazioni dalla Legge 18 dicembre 2020, n. 176.
[2] Si vedano ad esempio Tribunale Milano 26 ottobre 2021, Tribunale Mantova 22 febbraio 2022, entrambe in Il Fallimentarista (citate in “Esdebitazione di debitore incapiente: rassegna di giurisprudenza di merito” di Gianfranco Benvenuto, Rosanna Capasso - Focus del 21 settembre 2022).
[3] Cioè quelle ordinariamente disponibili in capo al debitore e prese a riferimento per la proposizione della domanda.
[4] Anche se ora l’interpretazione prevalente pare quella di delimitare al termine di tre anni la possibilità di apprendere beni al patrimonio da liquidare; al pari di quanto espressamente stabilito dall'art. 281, commi V e VI, C.C.I.I., la dichiarazione di esdebitazione ai sensi dell'art. 282 C.C.I.I. non può in sé precludere la prosecuzione dell'attività liquidatoria, ma è altrettanto vero che l'attività liquidatoria non può che essere intesa in relazione ai beni rientranti nella massa al momento della esdebitazione, per cui, intervenuta la dichiarazione di esdebitazione, non può proseguire l'acquisizione dei beni consistenti nelle quote di reddito non ancora maturate in quel momento, cosicché l'apprensione della quota parte di reddito dovrà avvenire fino alla dichiarazione di esdebitazione ai sensi dell'art. 282 C.C.I.I. (così Tribunale Padova, 20 ottobre 2022 e nello stesso senso Tribunale Verona 6 ottobre 2022,Tribunale Bologna 27 settembre 2022, in questa Rivista).
[5] Si vedano Tribunale di Rimini 22 aprile 2021, in Il Fallimentarista - Liquidazione del patrimonio ed esdebitazione: rassegna di giurisprudenza di merito - Gianfranco Benvenuto, Rosanna Capasso - Focus del 16 agosto 2022 secondo cui “La recente introduzione dell'art. 14 quaterdecies intitolato “Debitore Incapiente”, conferma l'opinione appena espressa e muove nel senso di evitare il passaggio obbligato del debitore impossidente attraverso una procedura liquidatoria non utile, per assenza di beni da liquidare e scarsità di risorse da distribuire, e tale da assorbire in costi professionali gran parte, se non tutte, le esigue risorse disponibili. Pertanto, l'apertura di una liquidazione senza beni neppure in prospettiva – o con una esigua somma liquida inidonea a coprire perfino le spese della procedura – è contraria ai principi di efficienza e di economicità che devono ispirare l'attività processuale esecutiva”; poi ancora Tribunale di Rimini 23 dicembre 2022, in questa Rivista. Per Trib. Piacenza 20 giugno 2022 (in Il Fallimentarista, cit.) - “…..non possono essere aperte procedure di sovraindebitamento che, di fatto, comportino unicamente la maturazione di debiti prededucibili, in evidente pregiudizio delle ragioni dei creditori ed in violazione dei principi di efficienza e di economicità che devono ispirare l'attività processuale (anche esecutiva/concorsuale)”.
[6] Si richiamano in proposito la recentissima sentenza del Tribunale di Velletri n. 15/2023 del 7-13.3.2023 in questa Rivista, che, peraltro in termini, per certi aspetti, contraddittori, demanda al giudice delegato “… la fissazione del limite di cui all’art. 268 co. 4 lett. b) previo parere del liquidatore, che nel più breve tempo possibile formulerà una proposta in merito, attenendosi al criterio di quantificazione dettato dall’art. 283 co. 2 C.C.I.I., da ritenersi applicabile alla liquidazione controllata in assenza di una diversa specifica previsione normativa..”. In motivazione si richiamano altresì Tribunale Pescara 8.2.2023 e Tribunale di Vicenza 20.2.2023 entrambe in questa Rivista.
[7] Non può dimenticarsi che, in ogni caso, l’Isee è il risultato del rapporto tra l’indicatore della situazione economica in cui sono compresi non solo i redditi ma anche una percentuale dei valori mobiliari ed immobiliari in cui il parametro desunto dalla scala di equivalenza è solo uno dei fattori, non l’unico considerato.
[8] La locuzione “.. quanto occorra al mantenimento suo e della sua famiglia..” è sintomatica, indicando la ragionata e motivata valutazione del giudice circa le oggettive necessità del nucleo familiare che è l’esatto contrario di una liquidazione astratta, per relationem; infatti, laddove il legislatore ha ritenuto di applicarla l’ha espressamente prevista, come nel 2° co. dell’art. 283, senza necessità quindi di un intervento del giudice, bastando una tabella da applicare indistintamente in tutti i casi.
[9] Cfr. Tribunale di Mantova 12 gennaio 2023, Tribunale di Bologna 29 novembre 2022, Tribunale di Forlì 22 novembre 2022, tutte in questa Rivista.
[10] Cfr. Tribunale di Lagonegro 4 ottobre 2021, in questa Rivista. In altra vicenda, conseguente alla sentenza di apertura della liquidazione controllata da parte del Tribunale di Brescia del 19.1/23.2.2023, risulta che sia stato lo stesso difensore del sovraindebitato in sede di istanza di modifica dell’importo riconosciuto per le spese di mantenimento, a chiedere di innalzare l’importo sino al limite minimo di impignorabilità di € 1.000, istanza accolta dal G.D.
[11] Così smentendo la tesi secondo cui mancherebbe una (diversa, rispetto al criterio ex art. 283 2° co. C.C.I.I., ndr) specifica previsione normativa
[12] Si vedano i due recenti interventi di F. Cesare, La rivoluzione del debito, Giuffrè 2022 e D. Crivellari, Perdono del debito: avanti con prudenza, una lettura consigliata, in Ristrutturazioni Aziendali, gennaio 2023.
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