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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 11/07/2023 Scarica PDF

La nuova esdebitazione: soluzioni a confronto

Stefano Barbiani, Professore a contratto di Diritto Processuale Civile nell'Università di Bologna. Avvocato


L’Ufficio fallimentare del Tribunale di Rimini, arricchendo il quadro giurisprudenziale, non allineato, che si sta formando sul punto, interviene con due pronunce gemelle[1] in materia di applicabilità delle disposizioni del codice della crisi alle domande di esdebitazione presentate dopo la data del 15 luglio 2022 da parte di soggetti dichiarati falliti sotto la vigenza della legge fallimentare.

Le decisioni in commento, particolarmente organiche e sistemiche rispetto alle tematiche trattate, offrono interessanti spunti di riflessione per un approfondimento a tutto campo delle questioni oggi maggiormente dibattute che si appuntano, principalmente, sulla natura giuridica dell’istituto della esdebitazione e sui compiti ai quali è chiamato l’interprete, tenuto a svolgere, in assenza di una disciplina transitoria tracciata dal legislatore, un’operazione interpretativa particolarmente delicata per le inevitabili ricadute pratiche che produce sulle sorti del singolo imprenditore ma, più in generale, sul sistema economico nel suo complesso.

Il dibattito è animato dalla aspirazione, per taluni legittima e fondata sul principio del favor debitoris di dare immediata attuazione al nuovo istituto delineato dall’art. 278 cci al quale si riconosce il merito: 1) di aver ampliato il perimetro di accesso alla esdebitazione, per effetto della abrogazione del requisito oggettivo del soddisfacimento, anche solo parziale, dei crediti concorsuali, richiesto, prima, dall’art. 142, comma due, lf. 2) di aver anticipato temporalmente la possibilità di richiedere la misura, non dovendosi più attendere la chiusura della procedura concorsuale, potendo presentare il ricorso nella pendenza della procedura stessa, decorsi tre anni dalla sua apertura 3) di aver incluso tra i soggetti legittimati al beneficio le società, sia di persone che di capitali, eliminando ogni distinzione e discriminazione a seconda della forma organizzativa dell’impresa.

Dall’altro, si registrano posizioni più caute, che aderenti ai principi civilistici che governano il fenomeno della successione delle leggi nel tempo, senza accreditare prevalenza all’una o all’altra disciplina in ragione del trattamento più o meno favorevole che riservano al fallito, applicano l’art. 11 delle preleggi al codice civile muovendo dalla premessa di metodo che l’ordinamento giuridico non consenta all’interprete, impegnato nel compito di individuare quale sia la normativa applicabile al caso di specie, di scindere gli aspetti processuali da quelli di sostanza dell’istituto in commento[2].

E’ evidente che il confronto tra le diverse impostazioni ha quale prima conseguenza quella di incidere significativamente sulla misura dell’impatto della nuova normativa in materia di esdebitazione, sospesa tra la ultrattività della legge fallimentare alle procedure concorsuali ancora oggi pendenti che si sono aperte sotto la vigenza del R.D. n. 267/1942 e l’esigenza, da taluni avvertita come prioritaria, di regolamentare sin da subito l’accesso alla misura secondo la nuova disciplina introdotta dal legislatore con il codice della crisi di impresa.

Come si anticipava, tutto dipende  da come si intenda qualificare l’esdebitazione, un istituto di diritto sostanziale, dotato di una propria autonomia, che determina l’estinzione delle obbligazioni del fallito rimaste insoddisfatte all’esito della procedura concorsuale[3], ovvero come una mera appendice della procedura concorsuale che trova il proprio fondamento ma anche la propria regolamentazione nella sede concorsuale della quale è un’articolazione.

Quanto agli aspetti di natura sostanziale dell’istituto, è tecnicamente improprio il richiamo ad una causa estintiva delle obbligazioni in quanto l’esdebitazione, per chiaro disposto normativo, determina l’effetto più circoscritto della semplice inesigibilità del credito residuo nei soli confronti del fallito. L’art. 278, sesto comma, cci chiarisce che sono salvi i diritti vantati dai creditori nei confronti dei coobbligati e dei fideiussori del debitore, nonché degli obbligati in via di regresso e ciò fuga ogni dubbio al riguardo.

E’ allora preferibile, continuando ad indagare i profili di diritto sostanziale dell’istituto, accomunare l’esdebitazione ad una particolare ipotesi di remissione del debito ex art. 1236 c.c, operante tra creditore e debitore concorsuale, o ad una forma di pacto de non petendo per la parte eccedente la percentuale rimasta insoddisfatta, delineando possibili similitudini con le obbligazioni naturali ex art. 2034 c.c.[4]

Il tratto distintivo della figura, sul quale certamente si può convenire, a prescindere dai requisiti sostanziali o processuali della esdebitazione, concerne la codificata deroga al principio della responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740, comma 1, c.c. secondo il quale il debitore risponde dei propri debiti con tutti i suoi beni presenti e futuri, nonché l’eccezione alla regola di cui all’art. 120 lf. che assegna ai creditori rimasti insoddisfatti il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta dei crediti.

Il Collegio riminese nelle pronunce in commento privilegia la dimensione processualistica dello strumento giuridico che conduce alla dichiarazione di inesigibilità dal debitore fallito dei crediti sopravvissuti alla chiusura della procedura concorsuale e si interroga sul grado di autonomia ed indipendenza che essa abbia rispetto alla procedura  concorsuale che ne costituisce la genesi.

L’iter motivazionale si snoda attraverso molteplici considerazioni per giungere all’approdo conclusivo di ritenere l’esdebitazione una procedura consequenziale, finale ed eventuale, strettamente collegata alla procedura concorsuale cui accede.

Non un istituto autonomo che vive di vita propria ma una mera propaggine della procedura di liquidazione coattiva dei beni.

Pur nel richiamo consapevole dell’esistenza nell’ordinamento giuridico di una figura di esdebitazione autonoma, che prescinde completamente dalla liquidazione dei beni del debitore in realtà inesistenti, quella della persona fisica incapiente di cui all’art. 14 quaterdecies Legge n. 3/12, il Tribunale riminese àncora il proprio convincimento ad una serie di parametri valutati come stringenti al fine di ravvisare un rapporto di stretta dipendenza tra la procedura concorsuale ed il procedimento di cui all’art. 278 del codice della crisi.

In primo luogo l’unicum rappresentato dalla normativa sopra richiamata che conferma che al di fuori della sola ipotesi della persona fisica dell’incapiente, il debitore non può accedere alla misura premiale della esdebitazione se non sia stato precedentemente sottoposto ad una procedura concorsuale nella quale il proprio patrimonio sia stato destinato a soddisfare le ragioni dei creditori. Solo la procedura liquidatoria che si sia svolta nel rispetto del principio della par condicio creditorum e nella quale la garanzia patrimoniale del debitore sia stata integralmente offerta per l’adempimento di tutte le obbligazioni contratte fa sorgere il diritto del debitore di ottenere la liberazione dai debiti residui.

La procedura concorsuale diviene, pertanto, un antecedente necessario, ineludibile, in mancanza del quale non sussiste la possibilità per il debitore di richiedere la concessione della misura premiale.

Si sottolinea, poi, l’indubbio collegamento temporale tra la pendenza della procedura concorsuale e la presentazione del ricorso, reso ancora più stringente nella vigenza del codice della crisi in quanto se prima occorreva attendere l’esito della procedura con un’appendice finale di un anno entro il quale la domanda poteva essere presentata, secondo il nuovo art. 278 cci, l’esdebitazione può essere richiesta anticipatamente decorsi tre anni dalla dichiarazione di apertura della procedura e sino alla sua chiusura ma non oltre.

In altri termini, l’esdebitazione è un segmento endoprocessuale che deve necessariamente presentarsi a pena di decadenza alla chiusura della procedura concorsuale a cui accede.

Anche le condizioni che regolano l’accesso all’istituto per quanto riformate sotto il profilo del criterio oggettivo, oggi soppresso, hanno, pur tuttavia, mantenuto una inscindibile correlazione tra il comportamento processuale che il debitore abbia tenuto nella pendenza della procedura concorsuale e la possibilità per quest’ultimo di accedere alla misura della inesigibilità dei propri debiti residui.

Il giudizio di meritevolezza soggettiva è rimasto immutato, così che non ogni debitore può ottenere il beneficio della esdebitazione ma solo il debitore che sia stato collaborativo con gli organi della procedura, che non ne abbia rallentato lo svolgimento, che non abbia occultato l’attivo o che non abbia rappresentato passività inesistenti, che non abbia riportato condanne penali per fattispecie di reato collegate alla procedura.

In sintesi, si afferma che l’esdebitazione non è un diritto soggettivo assoluto che spetta automaticamente al debitore fallito o sottoposto ad altre procedure liquidatore ma è un beneficio riservato al debitore  sfortunato ma onesto che abbia assunto una condotta irreprensibile durante la procedura fallimentare e che non si sia macchiato di responsabilità penali per fatti collegati al suo dissesto economico. 

La conclusione alla quale perviene il Collegio riminese rispondendo al quesito iniziale è che l’esdebitazione in quei casi continui ad essere regolata dalla legge fallimentare per l’ultrattività sancita dall’art. 390, comma 2, cci.

La circostanza che nell’elenco delle procedure richiamate dalla suddetta disposizione codicistica non sia nominalmente ricompresa l’esdebitazione non pone particolari problemi ermeneutici, una volta affermata la natura incidentale ed endoconcorsuale dell'esdebitazione con il logico corollario che ad essa dovrà applicarsi la legge che governa la procedura concorsuale si riferimento.

La ricostruzione operata dall’Ufficio fallimentare del Tribunale di Rimini individua un sistema binario in forza del quale ove alla procedura concorsuale sia applicabile ratione temporis la legge fallimentare, la conseguente esdebitazione sarà regolata dalla stessa legge; viceversa, in caso di procedura concorsuale regolata dal codice della crisi, la relativa esdebitazione sarà disciplinata dal cci. 

Soluzioni diverse sono state adottate dagli uffici fallimentari di altri tribunali i quali ponendo l’accento sulla natura costitutiva del provvedimento giudiziale che concede l’esdebitazione hanno anteposto alla dimensione procedimentale dell’istituto i presupposti di diritto sostanziale da accertarsi sulla base della normativa vigente al tempo della pronuncia del giudice ex art. 11 preleggi c.c. e ciò anche per procedure chiuse prima del 15.07.2022, per le quali sia ancora pendente il termine annuale di cui all’art. 143 l.f.[5]

Secondo tali ricostruzioni, l’ultrattività prevista dall’art. 390 cci si riferirebbe esclusivamente all’aspetto procedimentale dell’esdebitazione e non anche ai profili di diritto sostanziale, con l’effetto, secondo i giudici riminesi, di applicare retroattivamente la nuova normativa con violazione del disposto dell’art. 11 delle preleggi c.c.

La sistematicità dei provvedimenti in commento risulta particolarmente apprezzabile per lo sforzo compiuto di confutare tutti gli argomenti a contrariis utilizzati nelle pronunce giurisprudenziali giunte a conclusioni opposte in punto di diritto transitorio.

La prima barriera concettuale era rappresentata dalla necessità di giustificare la mancata applicazione del principio del favor debitoris che avrebbe imposto nella successione di disposizioni di legge diverse in materia di esdebitazione di applicare quella più favorevole al richiedente.      

Alle tesi che elevano il favor debitoris a principio generale dell’ordinamento giuridico ravvisando in esso, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata, un argine a possibili disparità di trattamento tra falliti e soggetti alla liquidazione giudiziale, si obietta che la successione delle leggi nel tempo è regolata dall’art. 11 delle preleggi al c.c, che sancisce la generale irretroattività della legge e che applicare la nuova normativa della esdebitazione alle procedure fallimentari regolate da RD n. 267/1942 significherebbe infrangere detto divieto.

Interessante, poi, notare come a chiusura dei provvedimenti il Tribunale riminese, prendendo posizione sul trattamento di maggior favore che il legislatore avrebbe riservato al debitore, sottolinei come l’applicazione dell’art. 278 cci ai ricorsi presentati dopo il 15 luglio 2022 impedirebbe l’accesso alla misura della remissione dei debiti residui rimasti insoddisfatti una volta dichiarata chiusa la procedura concorsuale, non potendosi giovare il ricorrente del termine più lungo (un anno dalla chiusura del fallimento) previsto dall’art. 143 della legge fallimentare.

Risulta, così, confutata la principale obiezione di fondo mossa alle pronunce di rigetto dei ricorsi per esdebitazione in forza della ultrattività sancita dall’art. 390 cci.   

Particolarmente efficace quale argomentazione a supporto della impostazione seguita, ricordare l’intervento del legislatore all’art. 19 del D.Lgs. n.169/2007 che al fine di colmare la lacuna di diritto transitorio stabiliva espressamente la possibilità di estendere retroattivamente l’efficacia delle nuove norme in materia di esdebitazione in luogo del vecchio istituto della riabilitazione alle procedure fallimentari pendenti al 16 luglio 2006, data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 5/2006.

Il parallelo con le recenti riforme  normative risulta di immediata comprensione, richiedendosi anche per le norme introdotte dal codice della crisi di impresa una disposizione codicistica che deroghi alla regola generale della irretroattività sancita dall’art. 11 delle preleggi.

Condivisibile, ancora, per l’autorevolezza della fonte citata[6], il convincimento che nessuna violazione del principio costituzionale di uguaglianza può ravvisarsi ove corrisponda ad una precisa scelta legislativa la volontà di differenziare la disciplina di un determinato istituto giuridico secondo un preciso discrimine temporale. Il rimando concettuale è al principio ripetutamente espresso dal Giudice delle leggi che lo stesso naturale fluire del tempo è valido elemento diversificatore delle situazioni giuridiche, a meno di una manifesta arbitrarietà intrinseca[7]. 

Nell’attesa che lo scenario giurisprudenziale volga ad un indirizzo uniforme, non rimane che monitorare il difficile cammino della nuova esdebitazione.      



[1] Tribunale di Rimini, 30 marzo 2023, in corso di pubblicazione in questa Rivista.

[2] Tribunale di Catania, 2 marzo 2023, Corte Appello Bologna, 27 gennaio 2023

[3] Tribunale di Verona, 2 dicembre 2022

[4] “La nuova procedura di liberazione dei debiti del debitore incapiente” di Nicola Soldati, Professore associato di Diritto dell’economia nell’Università Alma Mater Studiorum di Bologna

[5] Tribunale di Mantova, 9 febbraio 2023; Tribunale di Modena, 7 dicembre 2022; Corte Appello di Bologna, 18 febbraio 2022

[6] Corte Cost., sentenza n.24727/2015

[7] Corte Cost., sentenza n. 94/2009, Corte Cost., sentenza n.341/2007, Corte Cost., ordinanza n.170/2008, Corte Cost. ord. n. 212/2008



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