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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 02/08/2021 Scarica PDF

Il divieto di azioni esecutive sui beni sequestrati

Gloria Visaggio, Dottore di ricerca in diritto commerciale presso Università degli Studi di Bari, Avvocato


Sommario: 1. Premessa: il panorama normativo di riferimento e la sua evoluzione - 2. Il rapporto tra procedure esecutive e misure di prevenzione patrimoniale nel vigore della legge n. 575/1965. - 3. Segue: i risultati dell’elaborazione giurisprudenziale e dottrinale sotto il vigore della legge n. 575/1965 e il Codice Antimafia. – 4. Segue: interessi pubblici e privati: un'ipotesi di lettura tra tutela giuridica e tutela giurisdizionale dei diritti dei creditori. - 5. Gli interessi dei creditori nel Codice Antimafia e nella Legge di Stabilità 2013.

 

 

1. Premessa: il panorama normativo di riferimento e la sua evoluzione.

Il problema del rapporto tra azioni esecutive individuali e sequestro penale ha subito molteplici e ripetuti interventi da parte del legislatore storico.

Con specifico riferimento alle misure di prevenzione patrimoniali nei confronti di soggetti sospettati di appartenere ad organizzazioni criminali di tipo mafioso, il primo enunciato normativo di riferimento, rappresentato dalla legge 31 maggio 1965, n. 575, prevedeva, sub art. 2 sexies, commi 14 e 15, nella disciplina introdotta dalla legge n. 94/2009 e successivamente modificata dal d.l. n. 4 /2010, prevedeva che “le procedure esecutive, gli atti di pignoramento e i provvedimenti cautelari in corso da parte di Equitalia S.p.A. o di altri concessionari di riscossione pubblica sono sospesi nelle ipotesi di sequestro di aziende o società disposto ai sensi della presente legge con nomina di un amministratore giudiziario. È conseguentemente sospesa la decorrenza dei relativi termini di prescrizione” e che “nelle ipotesi di confisca dei beni, aziende o società sequestrati i crediti erariali si estinguono per confusione ai sensi dell' articolo 1253 del codice civile”.

Il comma 5 dell’art. 2 ter della citata legge n. 575/1965, nella sua originaria formulazione, con riferimento alla tutela dei terzi, si limitava a prevedere che “se risulta che i beni sequestrati appartengono a terzi, questi sono chiamati dal tribunale, con decreto motivato, ad intervenire nel procedimento e possono, anche con l’assistenza di un difensore, nel termine stabilito dal tribunale, svolgere in camera di consiglio le loro deduzioni e chiedere l’acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione sulla confisca”.

La disciplina in parola, quindi, non recava alcuna specifica disposizione in punto di raccordo e coordinamento tra provvedimenti di sequestro e/o confisca e procedure esecutive individuali in corso o a instaurarsi da parte di soggetti diversi dai concessionari della riscossione pubblica, codificando solo una tendenziale incompatibilità tra confisca quale provvedimento di prevenzione patrimoniale e procedure esecutive, attesa la sottoposizione dei beni attinti da siffatta misura ablatoria al regime proprio dei beni demaniali o del patrimonio indisponibile dello Stato[1].

Un primo passo avanti, nella direzione di un chiarimento di tutti i problemi posti, nella prassi, in parte qua, fu compiuto con il d.l. n. 4/2010, il cui art. 5, modificò il succitato comma 5 dell’art. 2 ter, l. n. 575/65, aggiungendo il seguente periodo: “per i beni immobili sequestrati in quota indivisa, o gravati da diritti reali di godimento o di garanzia, i titolari dei diritti stessi possono intervenire nel procedimento con le medesime modalità al fine dell’accertamento di tali diritti, nonché della loro buona fede e dell’inconsapevole affidamento nella loro acquisizione. Con la decisione di confisca, il tribunale può, con il consenso dell’amministrazione interessata, determinare la somma spettante per la liberazione degli immobili dai gravami ai soggetti per i quali siano state accertate le predette condizioni. Si applicano le disposizioni per gli indennizzi relativi alle espropriazioni per pubblica utilità”.

 Le richiamate disposizioni della legge n. 575/65 sono state successivamente abrogate dall’art. 120 del d. lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (Nuovo Codice Antimafia), con cui il legislatore ha apprestato una disciplina più specifica e dettagliata del rapporto tra misure di prevenzione cc.dd. antimafia, tutela dei terzi e procedure esecutive e concorsuali, disponendo, all’art. 45, che “a seguito della confisca definitiva di prevenzione i beni sono acquisiti al patrimonio dello Stato liberi da oneri e pesi. La tutela dei diritti dei terzi è garantita entro i limiti e nelle forme di cui al titolo IV e, quindi, secondo quanto previsto dagli artt. 52 e 55 ed alle condizioni ivi indicate” e, sub art. 55, che: “a seguito del sequestro non possono essere iniziate o proseguite azioni esecutive. I beni gia' oggetto di esecuzione sono presi in consegna dall'amministratore giudiziario. Le esecuzioni sono riassunte entro un anno dalla revoca definitiva del sequestro o della confisca. In caso di confisca definitiva, esse si estinguono. Se il sequestro riguarda beni oggetto di domande giudiziali precedentemente trascritte, aventi ad oggetto il diritto di proprieta' ovvero diritti reali o personali di godimento sul bene, il terzo, che sia parte del giudizio, e' chiamato ad intervenire nel procedimento di prevenzione ai sensi degli articoli 23 e 57. In caso di revoca definitiva del sequestro o della confisca per motivi diversi dalla pretesa originariamente fatta valere in sede civile dal terzo chiamato ad intervenire, il giudizio civile deve essere riassunto entro un anno dalla revoca”.

Il secondo e terzo comma del succitato art. 55 sono stati, poi, modificati dall’art. 20, comma 4, della legge 17 ottobre 2017, n. 61 e sostituiti dai seguenti: “le procedure esecutive già pendenti sono sospese sino alla conclusione del procedimento di prevenzione. Le procedure esecutive si estinguono in relazione ai beni per i quali interviene un provvedimento definitivo di confisca. In caso di dissequestro, la procedura esecutiva deve essere iniziata o riassunta entro il termine di un anno dall'irrevocabilita' del provvedimento che ha disposto la restituzione del bene. Se il sequestro riguarda beni oggetto di domande giudiziali precedentemente trascritte, aventi ad oggetto il diritto di proprietà ovvero diritti reali o personali di godimento o di garanzia sul bene, il terzo, che sia parte del giudizio, è chiamato ad intervenire nel procedimento di prevenzione ai sensi degli articoli 23 e 57; il giudizio civile è sospeso sino alla conclusione del procedimento di prevenzione”.

Le norme in parola non si applicano, a mente dell’art. 117, comma 1, del medesimo Codice Antimafia, per i procedimenti in relazione ai quali, prima della data della sua entrata in vigore (13 ottobre 2011), sia stata formulata la proposta di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale (si tratta, quindi, di disposizioni irretroattive, che trovano attuazione per le sole misure di prevenzione disposte successivamente al 13 ottobre 2011).

Al fine di raccordare, quindi, la disciplina introdotta dal Codice Antimafia con lo stato delle procedure di prevenzione patrimoniali iniziate prima del 13 ottobre 2011, il legislatore è nuovamente intervenuto, con la legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) che, in particolare, ai commi da 194 a 205 dell’art. 1, prevede in materia disposizioni di maggiore dettaglio e contiene, per l’appunto, la disciplina di diritto transitorio.

Per quanto in questa sede maggiormente interessa, e in particolare, a mente del comma 194 dell’art. 1 della citata legge di stabilità 2013, “a decorrere dall’entrata in vigore della presente legge, sui beni confiscati all’esito dei procedimenti di prevenzione per i quali non si applica la disciplina dettata dal libro 1 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, non possono essere iniziate o proseguite, a pena di nullità, azioni esecutive” e, ai sensi del successivo comma 197, “gli oneri e i pesi iscritti o trascritti sui beni di cui al comma 194 anteriormente alla confisca sono estinti di diritto”.

Siffatte disposizioni si applicano, quindi, ai sensi del citato comma 194, ai beni confiscati all’esito del procedimento di prevenzione, cui non si applica la disciplina di cui al libro primo del c.d. Codice Antimafia, ovverosia in relazione alle misure di prevenzione disposte prima del 13 ottobre 2011 (e originariamente soggette, quindi, alla previgente legge n. 575/1965).

A tale riguardo, la legge di Stabilità distingue, anzitutto, a seconda che il provvedimento di confisca sia o meno già intervenuto alla data della sua entrata in vigore (01 gennaio 2013).

Allorquando sia già stato emesso il provvedimento di confisca al g. 01 gennaio 2013 vi è, poi, un’ulteriore distinzione tra i casi in cui, alla data di entrata in vigore della medesima legge di Stabilità, i beni attinti dalla confisca siano stati o meno, altresì, già trasferiti o aggiudicati, anche in via provvisoria.

Nella prima ipotesi – in cui, cioè, vi sia stata aggiudicazione, anche in via provvisoria, o trasferimento dei beni confiscati al 1° gennaio 2013, ovvero se il bene da confiscare consista in una quota di proprietà indivisa già pignorata – restano fermi gli effetti dell’aggiudicazione o del trasferimento in parola.

Diversamente – se, cioé, al 1° gennaio 2013, non vi sia ancora stato un provvedimento di trasferimento o di aggiudicazione dei beni confiscati – la Legge di Stabilità 2013 prevede, in sintesi, che: a) non potrà essere iniziata o proseguita sui beni in parola alcuna azione esecutiva; b) i pesi e gli oneri iscritti o trascritti prima della confisca si estinguono; c) i creditori ipotecari, pignoranti o intervenuti nell'esecuzione potranno fare valere le proprie ragioni nei confronti dell'Agenzia, secondo il procedimento indicato dai commi 199 – 204.

Qualora, invece, alla data di entrata in vigore della legge di Stabilità 2013, non sia stato ancora emesso il provvedimento di confisca, a mente del comma 205 dell’art. 1, troveranno applicazione le medesime disposizioni, sopra succintamente riportate, relative all’ipotesi dei beni confiscati, ma non ancora trasferiti o aggiudicati, con l’unica differenza che il termine di centottanta giorni concesso ai creditori ipotecari per proporre la propria domanda di ammissione del credito decorrerà dal momento in cui la confisca diventi definitiva.

L’analisi del quadro normativo qui riportata consente quindi di procedere, ora, alla disamina delle questioni interpretative poste, con riferimento al problema del rapporto tra procedure esecutive e sequestro, nel previgente assetto normativo, per capire se le stesse siano state o meno superate dagli interventi di riforma pure richiamati e se la complessa disciplina transitoria introdotta dalla legge di Stabilità 2013 abbia riempito tutte le prevedibili “zone d’ombra” originate dalla menzionata successione di leggi nel tempo.

Ma procediamo per gradi.

 

2. Il rapporto tra procedure esecutive e misure di prevenzione patrimoniale nel vigore della l. n. 575/1965.

Come accennato nel § precedente, il quadro normativo antecedente l’entrata in vigore del c.d. Codice Antimafia non chiariva con esattezza il rapporto tra misure di prevenzione patrimoniale e procedure esecutive (civili), sì che era per lo più commesso agli interpreti il compito di delinearne il perimetro.

Il problema che si poneva all’attenzione degli interpreti era, in prima battuta, se vi fosse prevalenza del provvedimento del Giudice penale rispetto alle ragioni dei terzi interessati, in ragione dei diritti reali di garanzia costituiti sui beni del proposto attinto dalla misura cautelare, a esperire in danno di quest’ultimo procedure esecutive (e, quindi, se gli iura in re aliena iscritti anteriormente all’attivazione delle misure di prevenzione sul patrimonio del debitore/proposto fossero o meno opponibili a quest’ultimo anche nell’alveo della misura di prevenzione penale); in secondo luogo, si trattava di capire quale fosse la sede giudiziaria opportuna per delibare in ordine alla legittimità o meno dei diritti di garanzia istituiti dai terzi sui beni attinti dalla misura di prevenzione patrimoniale e, per l’effetto, quale fosse la sorte delle eventuali procedure esecutive frattanto instaurate (recte: con quale procedimento occorresse vagliare ed esaminare la pretesa del creditore munito di titolo di prelazione).

Della prima questione sono stati chiamati ad occuparsi sia la giurisprudenza costituzionale sia quella di legittimità.

 Secondo l’opinione tradizionale della S.C., avuto riguardo alla funzione della confisca, essa “pur nel suo contenuto di sanzione inflitta all’autore della violazione, mira a soddisfare un interesse pubblico attraverso la sottrazione della cosa al suo proprietario per il carattere di pericolosità che essa riveste. Fin dove si estende quell’interesse, non è configurabile la coesistenza di un interesse privato che si risolva in un ostacolo alla realizzazione del prevalente fine pubblico perseguito con la confisca; ma, dove tale realizzazione si arresti, il concorrente interesse privato non rimane privo di tutela, posto che la condizione giuridica di beni del patrimonio pubblico non preclude l’esercizio di diritti privati nelle forme con essa compatibili, salva, per quelli del patrimonio indisponibile, la conservazione del bene alla sua destinazione”[2].

Di talché, secondo la riferita impostazione giurisprudenziale, occorrerebbe distinguere a seconda che la confisca sia resa necessaria dalla “intrinseca e obiettiva pericolosità della cosa nella sua interezza, a prescindere dal soggetto che ne è titolare”, nel qual caso la res dovrebbe essere sottratta all’esercizio di qualsiasi diritto (del reo, ma anche di terzi); diversa sarebbe invece l’ipotesi, tipica dei provvedimenti di carattere preventivo, in cui l’interesse pubblico risulta soddisfatto con la sottrazione al reo del bene, di talché la confisca non confliggerebbe con i diritti che terzi abbiano acquistato sulla cosa (non pericolosa in sé) e con il predetto interesse pubblico che il procedimento cautelare è volto a soddisfare[3].

In questo secondo caso, non essendo riconducibile lo scopo ultimo e la funzione del provvedimento di confisca a un’intrinseca pericolosità della res, esso non impedirebbe il permanere, e quindi l’efficacia e l’opponibilità, dei diritti eventualmente vantati dal creditore sul medesimo bene, con il solo limite del carattere incolpevole dell’affidamento di quest’ultimo, e quindi a condizione che il terzo sia rimasto completamente estraneo all’attività illecita del proposto[4].

La confisca, secondo l’impostazione riferita, non pregiudicherebbe quindi i diritti reali e di garanzia acquisiti dai terzi in buona fede attinti dalla misura, né ne determinerebbe l’estinzione.

Così impostato, quindi, il problema è stato affrontato e risolto dagli interpreti, nel regime normativo previgente all’entrata in vigore del Codice Antimafia, in considerazione degli interessi che rilevano nella fattispecie in esame e della consequenziale necessità di realizzarne un bilanciamento e un contemperamento costituzionalmente orientato.

Vi è, infatti, al vertice della questione ivi considerata, il conflitto tra le ragioni e gli interessi (privati) dei creditori titolati ad agire in executivis sul patrimonio del proposto/debitore e l'interesse, di rango pubblicistico, dello Stato a confiscare i medesimi beni, in ragione delle attività illecite poste in essere dal loro proprietario: e, nell’alveo di tale conflitto, la giurisprudenza maggioritaria si è attestata nel senso di accordare prevalenza ai primi, affermando che, in base al principio generale di giustizia distributiva, la misura sanzionatoria non potrebbe risolversi in un ingiustificato sacrificio delle posizioni giuridiche soggettive di chi sia rimasto estraneo all’illecito, la cui posizione è e rimane protetta, sia pure al cospetto del preminente interesse pubblico dello Stato, dall’esigenza di tutela dell’affidamento incolpevole[5].

Secondo un diverso orientamento (minoritario), invece, il conflitto in parola andrebbe risolto tenendo conto di quanto disposto dall’art. 41, Cost. che, nel contrasto tra iniziativa economica privata e utilità sociale, accorda prevalenza alla seconda, sì che, determinandosi con le misure di prevenzione patrimoniali “un vincolo di destinazione, per così dire, <sociale> dei beni confiscati”, si realizzerebbe “l’ingresso degli stessi nel patrimonio indisponibile dello Stato con conseguente inespropriabilità”[6].

Corollario di siffatta impostazione del problema in esame è se l'acquisto, in capo allo Stato, dei beni confiscati abbia carattere derivativo, ovvero originario.

Sul punto, la giurisprudenza maggioritaria prodottasi nel vigore della legge n. 575/65 è pervenuta alla conclusione per cui l'acquisto alla mano pubblica delle res confiscate abbia carattere derivativo, giacché esso non prescinderebbe dal rapporto preesistente tra i beni in questione e il loro precedente titolare, ma anzi  il trasferimento del diritto sul patrimonio dal proposto allo Stato presupporrebbe detto rapporto e sarebbe proprio finalizzato a farlo venire meno[7].

Con l'immediato effetto che, investendo la confisca il diritto sulla cosa nella sua esatta conformazione all'epoca dell'emissione del provvedimento, lo Stato, quale nuovo titolare dei diritti su quella medesima cosa attinta dal provvedimento ablativo in questione, non potrebbe acquisire facoltà che non erano nella titolarità del proposto; id est: non potendo avere il trasferimento in favore dello Stato un diritto di contenuto diverso e più ampio rispetto a quello facente capo al proposto (ovverosia al precedente titolare), la confisca, secondo l'impostazione in esame, non sarebbe suscettibile di estinguere gli eventuali iura in re aliena costituiti da terzi (in buona fede) sulla cosa confiscata[8].

In ragione del carattere derivativo dell'acquisto dei beni confiscati in capo allo Stato si determinerebbe, quindi, secondo taluni, una mera modificazione soggettiva attiva, ex latere creditoris, dell'originario rapporto obbligatorio, realizzandosi quindi una sostituzione della persona del creditore, ex lege o per factum principis e una vera e propria ipotesi di surrogazione legale ex art. 1203, c.c., sì che, in altri termini, rispetto all'originario rapporto obbligatorio con il proposto, al creditore garantito subentrerebbe lo Stato, il quale ultimo potrebbe quindi esercitare la pretesa contro il debitore per conseguire le somme altrimenti destinate al creditore pignoratizio[9].

L'orientamento qui richiamato, come detto, era assolutamente predominante presso la giurisprudenza degli Ermellini: consta, invero, un unico precedente difforme che, vale la pena segnalare, atteneva peraltro a una tipologia di provvedimento di confisca (quella disposta ai sensi dell'art. 7, l. n. 47/85 per gli immobili costruiti abusivamente) molto diversa, per funzione e presupposti, dalla misura di prevenzione patrimoniale di cui ci stiamo occupando[10].

Così impostato il problema nelle sue premesse logiche – se, cioé, la misura di prevenzione patrimoniale importi estinzione dei diritti reali e/o di garanzia costituiti dai terzi sui beni del proposto – si è quindi trattato di capire quali siano le facoltà, processuali e sostanziali, commessi ai terzi titolari di siffatti iura in re aliena e, quindi, se sia compatibile con il sequestro prima e con la confisca poi l'instaurazione e la prosecuzione di procedure esecutive individuali sul patrimonio del proposto, da parte dei predetti terzi.

Il problema – che in ultima analisi comporta il vaglio della questione della compatibilità o meno degli strumenti di coazione sul bene commessi dall'ordinamento giusprivatistico al creditore garantito con il regime giuridico della res attinta da misura di prevenzione penale –  è stato affrontato da prospettive diverse da parte degli interpreti sotto il previgente regime normativo, offrendo soluzioni non sempre coincidenti e coerenti tra loro.

Sotto un primo profilo, pur partendo dal presupposto per cui la misura di sicurezza patrimoniale non estingue le garanzie ipotecarie (e, più in generale, i diritti reali o di garanzia di cui siano titolari i terzi, aventi ad oggetto il patrimonio del proposto), certa parte della giurisprudenza ha però affermato il principio per cui, a seguito della confisca,  i beni del proposto/debitore sarebbero assoggettati a un regime giuridico sovrapponibile a quello dei beni facenti parte del demanio o del patrimonio indisponibile dello stato, di talché sarebbe esclusa la loro pignorabilità e la sottoponibilità degli stessi a procedure esecutive immobiliari[11] che, ove iniziate, dovrebbero quindi essere dichiarate improseguibili[12].

L'assoggettamento dei beni del preposto a confisca importerebbe quindi, secondo una parte della giurisprudenza fautrice dell'orientamento di cui si sta dicendo, un vero e proprio “perimento giuridico” delle res, sì che l'ipoteca, divenuta inefficace, si estinguerebbe ai sensi dell'art. 2878, n. 4), c.c.[13]

La soluzione in parola, che, invero, trovava un preciso riferimento normativo nell'art. 2 decies, comma 2, ult. periodo, l. n. 575/1965[14], era a sua volta mutuata dall'orientamento tradizionale della giurisprudenza di legittimità, in ordine alla impignorabilità dei beni appartenenti al demanio pubblico o statale, ovvero che ricevano detta destinazione a seguito di espropriazione forzata per pubblica utilità[15], sì che, parificata quoad effectum tale ultima ipotesi a quella derivante dalla confisca del patrimonio del proposto, si finiva con il reputare inopponibile allo Stato l'eventuale esecuzione privata da parte di terzi titolari di iura in re aliena sui predetti beni, inibendo il pignoramento o, se già avvenuto, reputandolo improduttivo di effetti, ovvero improcedibile.

A siffatta conclusione (che, cioé, i diritti vantati sul bene del proposto da parte dei creditori non potessero trovare soddisfazione nel procedimento di espropriazione immobiliare, allorquando i medesimi beni fossero attinti da un provvedimento di prevenzione penale), invero, gli interpreti pervenivano anche attraverso iter argomentativi differenti da quello qui analizzato.

Sia pure partendo dalla (condivisa) premessa maggiore per cui i diritti reali di garanzia in titolarità dei terzi non fossero in alcun modo intaccati dalla confisca penale e senza individuare nella vicenda traslativa del bene attinto da misura di prevenzione penale una fattispecie estintiva di siffatti diritti dei creditori del proposto, altra parte della giurisprudenza ha focalizzato la propria attenzione sull'individuazione del modo attraverso cui si assicurasse tutela ai diritti dei terzi in parola, esplicitamente o implicitamente comunque prospettando la incompatibilità tra l'instaurazione o la prosecuzione di procedure espropriative private e la sussistenza di misure di prevenzione penali a carico dei medesimi beni.

Il problema traeva origine dal disposto dell'art. 2 ter, comma 5, l. n. 575/1965, che nella sua originaria formulazione così recitava: “se risulta che i beni sequestrati appartengono a terzi, questi sono chiamati dal tribunale, con decreto motivato, ad intervenire nel procedimento e possono, anche con l'assistenza di un difensore, nel termine stabilito dal tribunale, svolgere in camera di consiglio le loro deduzioni e chiedere l'acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione sulla confisca”.

Ebbene, partendo dal presupposto che tra i terzi cui “appartengano” i beni sequestrati fossero da ricomprendersi anche i titolari di diritti reali o di garanzia sul patrimonio del proposto[16], si è detto, da parte di certa giurisprudenza, che questi siano anzitutto titolati a partecipare al procedimento di prevenzione e che, nel caso in cui essi non avessero partecipato al procedimento di applicazione della misura patrimoniale, potessero proporre incidente di esecuzione, ivi rivendicando la  titolarità del proprio ius in re aliena e chiedendo, per l'effetto, la restituzione del bene colpito dalla misura preventiva de qua[17].

Una volta riconosciuta, attraverso l'incidente di esecuzione, l'opponibilità del diritto del terzo in parola, secondo la richiamata tesi interpretativa, il credito garantito, “pur deprivato della facoltà di procedere direttamente ad esecuzione forzata per soddisfarsi sul ricavato (<ius distrahendi>), può essere fatto valere soltanto dinanzi al giudice civile con i residui mezzi di tutela”[18].

Non è ben chiaro, invero, quale sia il perimetro dei poteri devoluti al giudice civile in base alla ricostruzione appena riportata: sembrerebbe di capire che, secondo siffatto orientamento, riconosciuta la competenza del giudice penale (nel procedimento di prevenzione, prima; nell’eventuale incidente di esecuzione, poi) a conoscere e delibare in ordine alla qualità di creditore in buona fede sussistente in capo al soggetto che vanti diritti reali e/o di garanzia sui beni del proposto e alla opponibilità o meno di siffatti titoli in confronto dello Stato, permarrebbe poi un ambito di competenza, devoluto al giudice civile cui, in caso di esito positivo degli accertamenti precedentemente esperiti dal giudice penale, il creditore in buona fede potrà rivolgersi al fine di promuovere un’azione di condanna nei confronti dello Stato confiscante, surrogatosi al debitore/proposto ai sensi dell’art. 1203, c.c., per conseguire il soddisfacimento del proprio diritto[19].

Secondo altra tesi, invece, commettendo alla nozione di “appartenenza” ex art. 2 ter della l. n. 575/1965 il significato, più restrittivo, di un collegamento tra soggetto e res tale da identificare la legittimazione a intervenire nel procedimento di prevenzione unicamente in capo ai “terzi in senso assoluto”[20], si è operata una distinzione tra i terzi “estranei” e non al procedimento di prevenzione, i primi essendo coloro che, a norma dell’art. 2 ter, commi 2 e 5, l. n. 575/65, rivendichino un bene del quale il proposto non poteva, direttamente o indirettamente, disporre; solo costoro, secondo l’orientamento richiamato, avrebbero la possibilità di fare valere al di fuori del procedimento e della competenza del giudice della misura patrimoniale l’esistenza di propri diritti preesistenti sulla cosa confiscata, diversamente essendo siffatto accertamento devoluto unicamente al giudice della misura patrimoniale, trattandosi di indagine “…fondata non sulla intestazione del bene, ma sulla sua materiale disponibilità da parte del proposto, e sollecita una nuova indagine, la cui estensione e i cui strumenti, diversi da quelli consentiti al giudice civile, non possono ritenersi limitati in ragione del solo fatto dell’omessa chiamata o del mancato intervento del terzo nel procedimento di applicazione della misura”[21]. 

La distonia tra i due orientamenti suindicati, al vertice, mette capo alla diversa interpretazione in ordine alla funzione cui aspira la misura di prevenzione, cui si è fatto cenno in precedenza, a seconda, cioè, che si accordi massima prevalenza all’interesse pubblicistico, ipotizzando l’illiceità in senso assoluto delle cose oggetto del procedimento di prevenzione e la loro intrinseca portata criminosa (sì che la loro destinazione allo Stato sia il fine preminente, e i diritti - diversi da quello, assoluto, di proprietà - dei terzi dovrebbero quindi cedere dinanzi a siffatto interesse), ovvero che si intenda assicurare il bilanciamento dell'interesse pubblico con quello, di rango privatistico, dei terzi titolari di iura in re aliena diversi dal diritto di proprietà in senso stretto e assoluto[22].

In posizione dissonante rispetto agli orientamenti fin qui indicati, si pone l'orientamento di certa giurisprudenza, per cui l'accertamento del diritto di garanzia sul bene confiscato sarebbe stato invece di competenza del giudice dell'esecuzione civile, essendo le questioni inerenti all'obbligo dello Stato di liberare gli immobili dalle ipoteche, ovvero alla promovibilità dell'espropriazione forzata immobiliare, estranee all'ambito giurisdizionale di pertinenza del giudice dell'esecuzione penale[23].

La disamina qui svolta, in ordine ai risultati interpretativi dell’indagine svolta, sotto il vigore della legge n. 575/1965, sul rapporto tra misure di prevenzione patrimoniale e procedure esecutive, consente ora di trarre qualche prima considerazione e conclusione.

 

3. segue: i risultati dell’elaborazione giurisprudenziale e dottrinale sotto il vigore della legge n. 575/1965 e il Codice Antimafia.

Nel previgente sistema normativo, molteplici sono stati, quindi, gli sforzi degli interpreti volti a colmare la lacuna legislativa esistente in merito alla questione dell’esatto atteggiarsi del rapporto tra misure di prevenzione patrimoniale e procedure esecutive, ma il risultato cui si è pervenuti non è, ad avviso di chi scrive, né convincente, né uniforme.

Sia pure se condotte attraverso itinerari argomentativi diversi, nell’alveo del quadro normativo previgente, possiamo sinteticamente affermare che le riflessioni degli interpreti muovevano da un’esigenza, comunemente avvertita: che, cioè, fosse necessario trovare un adeguato bilanciamento tra il sistema della prevenzione penale e quello, giusprivatistico, in cui trovano soddisfazione e tutela gli interessi dei privati in buona fede.

Se, però, partendo da siffatta premessa unitaria, sul piano sostanziale – e intendo dire dei diritti e degli interessi – mi sembra fosse radicato pressochè uniformemente il convincimento per cui gli interessi, di rango pubblicistico, che presiedono al procedimento penale di prevenzione non potessero per ciò stesso legittimamente elidere i diritti dei terzi incolpevoli, travalicando tout court il principio generale di tutela dell’affidamento, le soluzioni adottate al fine di assicurare attuazione all’assetto di interessi in parola, così come ipotizzato, non potevano dirsi soddisfacenti.

E invero, come si è visto, non soltanto non vi era né certezza, né univocità di vedute in ordine alle tecniche di tutela degli interessi dei terzi in buona fede, ma, in ultima analisi, mi sembra che tutte le soluzioni al fine elaborate dagli interpreti finissero proprio con il disattendere quell’obiettivo del bilanciamento tra i contrapposti interessi (dello Stato confiscante; del creditore in buona fede) che pure era ritenuto di preminente rilievo.

Infatti, pur affermandosi il principio della necessaria tutela da assicurare ai diritti costituiti dai terzi di buona fede sui beni attinti da misure di prevenzione patrimoniale, cionondimeno si finiva poi con l’ammettere una tendenziale incompatibilità tra le facoltà processuali e le tecniche di tutela commesse al creditore ipotecario e il nuovo regime giuridico del bene confiscato, giacché o si legittimava il terzo in parola a fare valere le proprie istanze nell’alveo del procedimento di prevenzione, ovvero, a confisca definitiva, ad attivare i propri diritti di credito, secondo una tesi, in via endoprocedimentale (e quindi innanzi al giudice penale), secondo altra ricostruzione, attraverso un’autonoma azione cognitiva nei confronti dello Stato (davanti al giudice civile).

Nessuna delle soluzioni prospettate, però, in effetti realizzava il bilanciamento degli interessi in gioco.

Innanzitutto, più o meno implicitamente si perveniva in ogni caso alla conclusione per cui fosse inibito al terzo di agire in executivis a tutela dei propri interessi, sì che la procedura esecutiva trovava il proprio limite di esperibilità e/o di proseguibilità nella sottoposizione a confisca penale dei beni del proposto; per l’effetto, tutte le ipotesi ricostruttive indicate finivano comunque con il privare il terzo della garanzia specifica vantata sulla res confiscata e dei poteri conseguentemente dallo stesso attivabili a tutela del proprio diritto (sia che gli si consentisse di agire in via endoprocedimentale, sia che gli si consentissero le azioni civili verso lo Stato), con un risultato, quindi, che disattendeva la premessa maggiore, per cui il terzo creditore non dovesse riuscire pregiudicato dall’esperimento della misura di prevenzione patrimoniale in danno del proprio debitore[24].

Nel mentre, quindi, si riconosceva l’esistenza del diritto di credito vantato dal terzo in buona fede munito di un titolo di prelazione sul bene del proposto, gli si negava però l’accesso agli strumenti di tutela e di pagamento (preferenziali) viceversa accordati dall’ordinamento giusprivatistico, realizzando così un’indubbia compressione dei diritti del terzo in parola (giacché, all’evidenza, riconoscere un diritto ma pretermetterne gli strumenti di tutela significa depotenziare e svilire quel diritto) e, su un piano più generale, una vera e propria prevalenza del sistema penalistico delle misure di prevenzione su quello giusprivatistico della tutela dei diritti[25].

Insomma: alla ricerca di un equo contemperamento tra interessi contrapposti, nel vigore della disciplina precedente, si perveniva non soltanto a vanificare, nella sostanza, quel punto di equilibrio programmaticamente ricercato, ma altresì a consacrare una vera e propria prevalenza del sistema penale delle misure di prevenzione su ogni altro sistema di tutela dei diritti.

E siffatto distonico risultato si spiega, a mio avviso, nell'irriducibilità della peculiare condizione e situazione giuridica dei beni attinti dalle misure di prevenzione patrimoniali agli istituti e ai sintagmi tipici delle espropriazioni forzate civili.

Mi sembra, detto con altre parole, che ciò che l'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale compiuta nel vigore del precedente assetto normativo insegna è che l'eventuale punto di equilibrio tra gli interessi dello Stato a garantire l'effettività della misura di prevenzione patrimoniale e quello dei terzi titolari di diritti sui beni del proposto non possa essere proficuamente ricercato sul terreno della prevalenza o meno degli strumenti di coazione sul bene consacrati attraverso le procedure esecutive individuali e gius-privatistiche rispetto alla (attuazione della) misura di prevenzione patrimoniale penale.

Vi è, infatti, a mio avviso, una tendenziale incompatibilità tra la condizione giuridica impressa al bene per effetto della confisca e la procedura esecutiva individuale e, al contempo, una tale diversità tra gli interessi (pubblici e privati) coinvolti nelle due procedure in esame (quella di prevenzione patrimoniale, da un lato; quella di esecuzione individuale, dall'altro), da precluderne il confronto e l'analisi in termini di prevalenza dell'uno sull'altro e viceversa.

Mi spiego meglio.

 

4. Segue: interessi pubblici e privati: una proposta di lettura tra tutela giuridica e tutela giurisdizionale dei diritti dei creditori.

Orientare il rapporto tra procedure esecutive individuali e misure di prevenzione patrimoniali in termini di prevalenza dell'interesse pubblico su quello privato o viceversa non è, a mio parere, né risolutivo né esplicativo dei problemi interpretativi segnalati.

E invero, mutando la visuale di osservazione del problema, si ha che le due procedure tendono a salvaguardare ambedue, al contempo, interessi pubblici e privati, ma connotati in maniera talmente diversa da risultare, come detto, irriducibili ad unità.

Vi è, al vertice, un problema di rapporto tra tutela giuridica e tutela giurisdizionale dei diritti dei creditori.

La tutela giurisdizionale dei diritti, è ben vero, rende efficace la tutela dei diritti[26], e però di quest'ultima ne rappresenta una species[27]: il bisogno di tutela dei diritti sostanziali, in vero, non trova nel processo il suo esclusivo momento satisfattivo.

Davanti alla domanda di tutela dei diritti, la tutela giurisdizionale è, insomma, solo una delle risposte che l'ordinamento offre: il diritto e la sua necessità di tutela non si risolvono né si attuano, cioé, unicamente nel processo.

Rispetto al fatto dell'inadempimento del debitore, il diritto del creditore può trovare tutela in executivis, per effetto della domanda che il creditore esperisca a conseguire tutela (giurisdizionale) del proprio diritto: il processo esecutivo è, in tal caso, la risposta dell'ordinamento alla richiesta di tutela giurisdizionale attivata dal creditore[28] e, nel processo esecutivo, al titolare del diritto è attribuito il potere esclusivo di esercitare l'azione, di servirsene o meno, e di stabilirne la portata[29].

Attraverso le tecniche del processo esecutivo si realizzano, quindi, al contempo, l'interesse del creditore a conseguire la tutela giuridica e giurisdizionale a un tempo del proprio diritto e quello (che ben potremmo dire pubblico) dell'ordinamento a garantire l'attuazione (coattiva, in questo caso) della legge: la tutela giurisdizionale, in tal caso, assicura tutela giuridica al diritto del creditore.

Detto con altre parole, nell'ipotesi considerata, vi è, al contempo, l'interesse (privato) del creditore e quello (pubblico) dell'ordinamento a rimuovere la violazione di legge che si consuma con l'inadempimento del debitore, sicché ambedue gli interessi in parola trovano composizione e attuazione nella tutela giurisdizionale apprestata dalla procedura esecutiva.

Vi sono, però, situazioni in cui accanto all'interesse del creditore emergono altri interessi che l'ordinamento deve tutelare; o, per meglio dire, quell'interesse pubblico, di cui si diceva poc'anzi, all'attuazione della legge violata e alla rimozione dell'illegalità non necessariamente si risolve o coincide con il fatto dell'inadempimento del debitore, cui si ricollega l'interesse del creditore.

Ne è palmare dimostrazione il caso del fallimento, in cui con l'interesse del privato creditore del fallito uti singuli concorre quello dell'ordinamento a rimuovere l'insolvenza, in quanto fattore distorsivo dell'ordine pubblico e dell'economia nazionale[30]: in tale ipotesi, la tutela del diritto di credito del singolo non può trovare soddisfazione nella procedura esecutiva individuale, bensì unicamente in quella concorsuale, ma il venir meno degli strumenti di tutela giurisdizionale (e alludo al ricorso alle procedure esecutive) non priva per ciò stesso di tutela (concorsuale, appunto) il creditore.

Non può, quindi, in detta ipotesi reputarsi che l'interesse pubblico prevalga su quello privato e lo travalichi: vi è solo un diverso atteggiarsi dell'interesse pubblico, rispetto a quello del privato, sì che la tutela dei diritti di quest'ultimo non può attuarsi attraverso gli strumenti giurisdizionali che attribuiscono al singolo il potere di aggredire il patrimonio del debitore, dovendo questo essere appreso dagli organi della procedura al fine di offrire soddisfazione a tutti i creditori e rimuovere così l'insolvenza.

E come, quindi, nell'alveo della procedura concorsuale si realizza in maniera cristallina quella non coincidenza tra tutela giuridica e tutela giurisdizionale dei diritti (chè, come detto, i creditori, pur se privati della tutela loro fisiologicamente offerta dal processo esecutivo, cionondimeno possono trovare altre modalità di soddisfazione dei propri diritti e interessi), mutatis mutandis, a mio avviso, ad analoghe conclusioni dovrebbe pervenirsi con riferimento al rapporto tra procedure esecutive individuali e misure di prevenzione patrimoniali antimafia.

L'interesse pubblico che presiede all'applicazione di siffatte misure è, infatti, l'eliminazione del patrimonio del proposto – ricorrendo determinate condizioni – dal sistema economico e dal mercato[31], obiettivo, questo, che evidentemente non consente che quel medesimo patrimonio sia reimmesso nel circuito produttivo a seguito della vendita coattiva che dello stesso si verifichi in seno a una procedura esecutiva individuale.

Così come osservato per l'ipotesi del fallimento, quindi, anche in tal caso la tecnica di tutela giuridica dei diritti dei creditori non potrà identificarsi con la tutela giurisdizionale offerta dalla procedura esecutiva, ma ciò non potrà, in via immediata, significare che le istanze dei privati ne ricevano un sacrificio, in nome dell'interesse pubblico, allorquando siano predisposte altre modalità di tutela dei diritti in parola.

Così impostato il problema, si tratta ora di verificare se e come il legislatore del Codice Antimafia abbia conferito diritto di cittadinanza anche agli interessi dei creditori, nell'alveo del procedimento di prevenzione.

 

5. Gli interessi dei creditori nel Codice Antimafia e nella Legge di Stabilità 2013.

Non v'è dubbio, possiamo subito affermare, che il Codice Antimafia prima e la l. n. 228/2012 (c.d. Legge di Stabilità 2013) abbiano impresso rilevanti modifiche al rapporto tra procedure esecutive e misure di prevenzione patrimoniale, risolvendo molti dei problemi esegetici posti dal precedente impianto normativo, e di cui si è detto supra.

E' stato, infatti, espressamente codificato, anzitutto, il principio per cui il sequestro inibisce l'inizio delle procedure esecutive e la prosecuzione di quelle in corso, che dovranno essere sospese (art. 55, commi 1, 2 e 3, Codice Antimafia) e che, a seguito della confisca definitiva, i beni sono acquisiti al patrimonio dello Stato liberi da oneri e pesi (art. 45, comma 1, Codice Antimafia).

Principi, questi ultimi, che sono stati ulteriormente puntualizzati dalla Legge di Stabilità 2013 che, come detto in apertura, ha dettato disposizioni volte a regolamentare le situazioni di diritto intertemporale, distinguendo a seconda che, alla data del g. 1 gennaio 2013, per le procedure soggette alla previgente disciplina ex l. n. 575/1965, sia stato o meno emesso il provvedimento di confisca e, nel caso in cui sia intervenuta la confisca, a seconda che il bene confiscato e sottoposto a procedura esecutiva sia stato o meno aggiudicato o trasferito.

E così, quantomeno nelle intenzioni del legislatore storico: a) per i beni che, al g. 1 gennaio 2013, siano stati già confiscati ma non ancora aggiudicati né trasferiti, si prevede che nessuna azione esecutiva potrà essere iniziata o proseguita e i pesi e gli oneri trascritti o iscritti prima della confisca si estinguono; b) per i beni confiscati al g. 1 gennaio 2013, ma già aggiudicati o trasferiti in virtù di un procedimento di esecuzione forzata, restano fermi gli effetti dell'aggiudicazione o dell'esecuzione; c) per il caso dei beni che, sempre al g. 1 gennaio 2013, siano sì sottoposti a esecuzione forzata, ma non ancora attinti da provvedimento di confisca, troverà applicazione il medesimo regime normativo indicato sub a), sia pure con qualche lieve differenza[32].

Dalla succinta disamina compiuta, due aspetti appaiono di particolare rilievo per il tema trattato: 1) a far data dal sequestro patrimoniale antimafia, le procedure esecutive non possono essere né iniziate né proseguite (e il medesimo effetto, ai sensi della Legge di Stabilità 2013, si determina per le procedure esecutive in corso al g. 1 gennaio 2013, ma unicamente dalla confisca, non dal sequestro[33]); 2) a seguito della confisca, i beni del proposto sono acquisiti al patrimonio dello Stato liberi da pesi e oneri.

Quanto al primo aspetto, vi è quindi, da parte del legislatore storico, un esplicito riconoscimento del divieto di far coesistere, sul medesimo bene, la misura di prevenzione patrimoniale e la procedura esecutiva individuale, ciò che in astratto riproporrebbe quindi il problema, ampiamente discusso e dibattuto presso gli interpreti nel vigore della previgente disciplina, di come si coordinino, in tal caso, gli interessi pubblici e privati coinvolti.

E siffatto problema, a mio avviso, per le ragioni spiegate nel § precedente, non può essere risolto in termini di affermata prevalenza dell'interesse pubblico su quello dei privati.

Sovvengono, invero, a conforto di tale considerazione le disposizioni contenute nell'art. 52 del Codice Antimafia (e, quanto alla disciplina di diritto transitorio, nell'art. 1, comma 194, della Legge di Stabilità 2013), a mente del quale “la confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro, nonché i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro”, ricorrendo le condizioni di seguito specificate dal medesimo enunciato normativo, sicché, ricorrendo la buona fede dei precitati terzi e valutata l'infruttosità dell'eventuale escussione del restante patrimonio del proposto, detti creditori potranno far valere i propri crediti secondo il procedimento di accertamento regolamentato dai successivi artt. 57, 58 e 59.

E', quindi, il procedimento di prevenzione patrimoniale un fatto suscettibile di interrompere quella relazione che altrimenti legherebbe il creditore del proposto al patrimonio di quest'ultimo, consentendogli di attivarne la vendita forzata: alla situazione giuridica originaria (quella, cioé, relativa ai poteri attivabili dal creditore in sede di esecuzione forzata sul patrimonio del debitore), a seguito e a causa dell'applicazione della misura di prevenzione, se ne sostituisce e sovrappone un'altra, in cui devono trovare armonica composizione interessi ulteriori, come si è visto, rispetto a quelli del (solo) creditore del proposto, interessi che, imperniandosi nella necessità di espungere dal circuito produttivo il bene attinto dalla misura di prevenzione, modificano la situazione giuridica precedente, che atteggiando il diritto del creditore a diritto su quella medesima res, realizza un oggettivo conflitto tra le istanze del creditore e quell'interesse (pubblico) che si ha di mira con la misura di prevenzione patrimoniale[34].

La destinazione impressa al bene (acquisito al patrimonio pubblico) per effetto della confisca, quindi, rende inefficace l'azione esecutiva e produce la cessazione degli effetti del pignoramento, non potendosi più realizzare l'effetto tipico e conclusivo del procedimento di esecuzione individuale (la vendita coattiva della res pignorata)[35].

Ma, si osservi, il creditore non perde il proprio diritto: mutano gli strumenti giurisdizionali esperibili, tant'è che, come detto, precluso il ricorso alle procedure esecutive civili, gli si consente di partecipare al procedimento di accertamento ex artt. 57, 58 e 59 del Codice Antimafia (e un analogo meccanismo è previsto nella Legge di Stabilità 2013, per i procedimenti ivi disciplinati, sub commi 200-203).

Ed è, va precisato, quest'ultimo, un procedimento che presenta profili di immediata sintonia e corrispondenza con quello di accertamento del passivo determinato dalla legge fallimentare al fine di vagliare le istanze dei creditori dell'imprenditore insolvente: vi si prevede, infatti, la predisposizione, da parte dell'amministratore giudiziario dei beni, di un elenco nominativo dei creditori con l'indicazione specifica degli eventuali titoli di prelazione e, da parte dei creditori, di apposite istanze (tempestive e tardive) di accertamento dei propri diritti (artt. 57 e 58 Codice Antimafia), cui segue il procedimento di verifica dei crediti, condotto dal giudice delegato, con l'assistenza dell'amministratore giudiziario e la partecipazione facoltativa del pubblico ministero, all'esito del quale si forma lo stato passivo, consacrato da un provvedimento (decreto) giudiziale esecutivo, avverso il quale sono esperibili i medesimi strumenti di opposizione e tutela attivabili nell'alveo delle procedure fallimentari (art. 59, Codice Antimafia).

Di qui prenderà il via, quindi, il procedimento di liquidazione del patrimonio del proposto (artt. 60 – 62, Codice Antimafia e comma 203, Legge di Stabilità 2013), finalizzato a pagare i creditori del proposto i cui diritti siano stati previamente accertati, secondo il procedimento cui si è supra succintamente fatto riferimento.

Il diritto sulla res anteriormente vantato dal creditore del proposto, quindi, si converte nel diritto alla liquidazione pecuniaria, assoggettato, come detto, ad altre e diverse forme di tutela giurisdizionale rispetto alla procedura esecutiva altrimenti esperibile, ma non per tale ragione il diritto di credito rimane privo di tutela.

Quanto detto consente di trarre, a mio avviso, qualche significativa considerazione in ordine alla funzione della confisca rispetto al patrimonio attinto dalla misura patrimoniale e, conseguentemente, al rapporto tra quest'ultima e gli iura in re aliena costituiti in data antecedente sui beni del proposto.

Come esposto, la sottrazione del patrimonio al proposto, realizzata attraverso le misure di prevenzione patrimoniale in esame, non priva tout court i creditori di tutela, assicurando a costoro di conseguire soddisfazione in sede di liquidazione dei beni attinti dalla confisca: questa rappresenta un'ulteriore argomentazione, a mio avviso, a sostegno della conclusione per cui sia la sottrazione stessa del bene al circuito produttivo lo scopo ultimo cui mira la misura di prevenzione patrimoniale (tant'è che la misura di prevenzione “segue” il patrimonio del proposto anche nel caso di morte di quest'ultimo[36]), non anche l'acquisizione di quella res al patrimonio dello Stato, ciò che è all'evidenza il risultato della confisca, ma non è in sé l'obiettivo cui tende il procedimento di prevenzione[37].

E però, una volta che il patrimonio del proposto sia acquisito definitivamente da parte dello Stato, mi sembra un imprescindibile effetto della confisca che, mutando il regime giuridico dei beni attinti dalla misura di prevenzione, si estinguano di diritto i pesi e gli oneri precedentemente iscritti sulla res[38], così come previsto dall'articolo 45 del Codice Antimafia.

L'effetto traslativo che, in ragione della confisca, si realizza sul patrimonio del proposto è, cioé, il risultato del nuovo regime giuridico che la confisca imprime ai beni in parola: e se, in ragione di siffatta conformazione delle res, la finalità di eliminare il patrimonio del proposto dal circuito produttivo ed economico del mercato esclude il ricorso agli strumenti di vendita forzata che si attuano nell'alveo delle procedure esecutive, è allora un immediato precipitato di siffatto regime giuridico che si estinguano anche le ipoteche iscritte sul bene, giacché al creditore rimane in ogni caso sottratto il diritto di espropriare che, a mente dell'art. 2808, c.c., è effetto e conseguenza naturale della costituzione stessa dell'ipoteca.

E invero, la natura essenziale della connessione che, attraverso l'ipoteca, si realizza tra diritto del creditore e bene offerto in garanzia fa sì che le vicende proprie che subisca il bene (o il diritto di credito) necessariamente condizionano l'esistenza ovvero la qualificazione, la dimensione e la durata dell'ipoteca: si tratta di una relazione necessaria e necessitata dalla funzione e dalla stessa natura giuridica dell'ipoteca, che distacca la res dal nesso di destinazione generica alla responsabilità patrimoniale ex art. 2740, c.c., per conferire tutela e soddisfazione preferenziale a un determinato credito (per l'appunto) garantito[39].

Ne consegue che, una volta sottratto il bene, per effetto della confisca, a siffatta sua funzione, in ragione del più volte richiamato mutamento del regime giuridico della res (che viene sottratto al commercio e acquisito irreversibilmente al patrimonio dello Stato), l'ipoteca andrà incontro a un fisiologico e consequenziale perimento[40], convertendosi l'aspettativa di tutela del creditore, che prima aveva come oggetto e fine la res, nel diritto (assistito da prelazione) di partecipare alle operazioni di liquidazione del bene stesso.

Mi sembra, dunque, che l'effetto commesso alla confisca dall'art. 45, Codice Antimafia (che, cioé, i beni del proposto sono acquisiti al patrimonio indisponibile dello Stato “liberi da oneri e pesi”) sia una conseguenza naturale e immediata della funzione stessa del provvedimento penale e del regime giuridico per l'effetto impresso ai beni in parola.

Risulta, quindi, a mio avviso superato il problema di qualificare l'acquisto da parte dello Stato come a titolo originario ovvero derivativo, ovvero di fare rientrare o meno la confisca tra le cause di estinzione dell'ipoteca ex art. 2878 c.c.: si tratta, invero, di questione che, in ragione del rilevato mutamento nella condizione giuridica del bene, rimarrebbe puramente teorica e dogmatica[41], oltre che inefficiente a connotare esattamente la vicenda traslativa che si realizza per effetto della confisca, che estingue, sì, i pesi e gli oneri insistenti sul bene, ma al contempo lascia sopravvivere, come detto, i diritti di credito che abbiano eventualmente dato causa a quei pesi ed oneri, così prospettando quanto meno qualche seria perplessità in ordine alla inequivoca riconducibilità della fattispecie di che trattasi tra gli acquisti cc.dd. a titolo originario[42].

A meno di non volere sostenere (ma mi sembra che il risultato sia identico) che, in ragione del sequestro, si attui un tertium genus di acquisto del bene del proposto in capo allo Stato, non immediatamente riconducibile né al tipo degli acquisti a titolo originario, né a quello degli acquisti a titolo derivativo[43]: ma sarebbe anche questo, a mio avviso, un tentativo di qualificazione teorica della fattispecie privo di concreta utilità ed efficacia.

Così ricostruito il nuovo sistema del rapporto tra procedure esecutive e misure di prevenzione patrimoniali, mi sembra peraltro coerente con l'impostazione del sistema la scelta del legislatore di commettere il compito di vagliare le istanze dei creditori, secondo il procedimento di accertamento e verifica di cui si è detto, al Giudice della stessa misura di prevenzione[44], giacché è proprio nell'alveo del procedimento penale in parola che trovano ingresso, come detto, le istanze dei creditori, cui è inibito l'accesso ad altre forme e tecniche di tutela giurisdizionale.



[1] Come si ricava dall’art. 2 undecies della l. n. 575/65: cfr., al riguardo, Minutoli e Campagna, La tutela dei terzi tra sequestro e confisca penali alla luce delle Sezioni Unite civili, in Fallimento, 2014, p. 60.

[2]Così Cass. Civ., SS. UU., 30 maggio 1989, n. 2635, sia pure con riferimento all’ipotesi di confisca ex artt. 19 e 21 della l. n. 689/1981.

[3] “In questa ottica” – prosegue sempre Cass., SS.UU. n. 2635/1989, cit. – “si è parlato in dottrina di trasferimenti coattivi che avvengono indipendentemente dalla volontà del titolare della cosa, ma senza disconoscimento della preesistente situazione soggettiva, in quanto hanno come presupposto la titolarità della cosa medesima in capo a un determinato soggetto, il comportamento del quale (e non quello di altri) si vuole sanzionare, e come causa giustificativa la violazione commessa da quel soggetto”.La distinzione tra confisca con finalità preventive (di evitare, cioè, che per mezzo della cosa possano commettersi reati, e quindi che resti nella disponibilità di privati una cosa di per sé illecita o pericolosa) e con finalità repressive (di punire unicamente il reo per l’illecito commesso) è affermata, per quanto in questa sede interessa, sin dagli anni ’60, presso la giurisprudenza della S.C.: si veda Cass., 30 maggio 1967, n. 1207, secondo cui, nel primo caso (confisca con finalità preventive) non si può consentire che la res sia nella disponibilità di chiunque, mentre nell’ipotesi di confisca con finalità repressive l’interesse dell’ordinamento si realizza con il sottrarre la cosa al reo, e non a terzi, quali il creditore ipotecario, che conseguentemente conserva integra e inalterata la propria garanzia reale. E cfr. anche la Relazione della Corte di Cassazione n. 106 del 31 maggio 2012. In tal senso, si è espressa anche Cass. Pen., SS.UU., 28 aprile 1999, n. 9, con riferimento alla confisca ex art. 240, c.p., riproponendo un convincimento già palesato dalla S.C. nella sentenza del 20 dicembre 1962: “la presunzione di pericolosità che giustifica la confisca inerisce non alla cosa in sé, ma alla relazione in cui essa si trova con il criminale, sicché, qualora il diritto di quest’ultimo sia ridotto o compresso dai diritti che terzi possono vantare sulla cosa, per realizzare il fine specifico della misura di sicurezza è sufficiente privarlo dei residui diritti che egli ha sul bene confiscato, senza necessità di sacrificare anche i diritti che sulla cosa hanno i terzi, la cui tutela, oltre che in un generale precetto dell’ordinamento giuridico, trova, dunque, una particolare giustificazione nella inutilità del sacrificio dei loro diritti per il perseguimento dei fini propri della confisca”; per l’effetto, nessuna forma di confisca può determinare l’estinzione dei diritti reali di garanzia costituiti sulla cosa, in puntuale sintonia col principio generale di giustizia distributiva per cui la misura sanzionatoria non può ritorcersi in ingiustificati sacrifici delle posizioni giuridiche soggettive di chi sia rimasto estraneo all’illecito”. Conformi anche Cass. Pen., 18 aprile 2007, n. 19761; Cass. Pen., 28 gennaio 2008, n. 8775; Cass. Pen., 11 febbraio 2005, n. 12317. Così anche la giurisprudenza costituzionale: cfr. Corte Cost., 10 gennaio 1997, n. 1.

[4] Cass. Pen., 18 aprile 2007, n. 19761.

[5] Così Cass. Pen., 29 aprile 2010, n. 29378; Corte Cost., n. 1/1997, cit.; ma si veda anche Corte Cost., 20 novembre 1995, n. 487, secondo cui “ove …, all’esito della temporanea sospensione dall’amministrazione dei beni, emergano elementi atti a far ritenere che quei beni siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego, e si appalesi quindi per questa via ormai realizzata una obiettiva commistione di interessi tra attività di impresa e attività mafiosa, ben si spiega, allora, la funzione e la legittimità del provvedimento ablatorio, giacché gli effetti che ne scaturiscono si riflettono sui beni di un soggetto certamente non estraneo nel quadro della complessiva gestione del patrimonio mafioso, che a sua volta rappresenta, in ultima analisi, l’obiettivo finale che la confisca mira a comprimere”. Cfr. anche Cass., 05 ottobre 2010, n. 20664; Cass. Pen., 10 maggio 2005, n. 22157; Cass., 16 gennaio 2007, n. 845. In dottrina, cfr. Cassano, Confisca antimafia e tutela dei diritti dei terzi, in Cass. Pen., 2005, fasc. 6, il quale, critico verso le lacune presentate, in parte qua, dal diritto positivo, osserva altresì come “la compressione dei diritti dei terzi di buona fede accentua le diffidenze verso il sistema complessivo della prevenzione, evidenziando come la sua difficoltà a confrontarsi con i principi dell’ordinamento si trasmette oltre i confini del diritto penale, e finisce col negare anche istituti e principi giuridici di antichissima tradizione”; pertanto, opina sempre l’A., “il prestigio della legge rischia di essere profondamente compromesso da una ridotta percezione della legittimità della legge penale”.

[6] Cass. Pen., 19 febbraio 2003, n. 13081.

[7] Così Cass., 03 luglio 1997, n. 5988, secondo cui si accede alla conclusione indicata nel testo privilegiando, nella distinzione teorica tra acquisti a titolo derivativo e a titolo originario, il profilo oggettivo che presiede alla distinzione in parola e quindi risolvendo “... il carattere derivativo dell'acquisto in un nesso di relazione fra il rapporto precedentemente esistente ed il nuovo che si viene ad instaurare: con la precisazione per altro (cui induce la riflessione di autorevole dottrina) che quella tra <perdita> ed <acquisto> non è una relazione di causa ed effetto, dato che tali vicende sono piuttosto, entrambe, effetti della fattispecie (individuata come) traslativa, sono cioé <effetti interdipendenti e contemporanei della medesima causa giuridica>”. Nello stesso senso, la S.C., sia civile sia penale, si è espressa anche in altre occasioni, nel tempo: cfr. Cass. Pen., SS. UU., n. 9/1999, cit.; Cass. Pen., n. 29378/2010, cit.; Cass., n. 2340/2012, ord.; Cass. Pen., 19 novembre 2003, n. 47887.

[8] A tale ultimo riguardo, si è altresì sostenuto che, in ragione della funzione della confisca (consistente “...nell'esigenza, tipicamente preventiva, di interrompere la relazione del bene stesso con l'autore del reato e di sottrarlo alla sfera di disponibilità di quest'ultimo”), quand'anche si volesse qualificare l'acquisto in parola come a titolo originario, e non derivativo, comunque l'equo bilanciamento tra interesse pubblico e interesse privato, per le ragioni anzidette, non potrebbe risolversi in un pregiudizio alle ragioni dei terzi di buona fede, e quindi importare l'estinzione dei diritti costituiti dai medesimi terzi sulle cose attinte dalla confisca: così Cass. Pen., SS. UU., n. 9/1999, cit. E si veda anche, sul punto, Cass. Pen., 28 gennaio 2008, n. 8775.  Sicché, secondo tale ricostruzione, sarebbe sufficiente la considerazione della funzione della confisca, in rapporto all'adeguato bilanciamento degli interessi pubblici e privati che confliggono e coesistono nel caso in esame, a escludere che il provvedimento ablatorio possa importare il sacrificio delle ragioni che terzi in buona fede vantino sui beni del proposto, essendo quindi irrilevante la qualificazione dell'acquisto in capo allo Stato come a titolo originario, ovvero derivativo.  In termini analoghi, in dottrina, si è espresso Cassano, cit., secondo cui il conflitto tra la pretesa ablativa dello Stato e le situazioni pretensive dei privati sui medesimi beni non può più essere affidata a finzioni giuridiche, quali quelle dell’acquisto a titolo originario o derivativo della proprietà o dell’incommerciabilità dei beni di origine illecita.

[9] Cass. Pen., SS. UU., n. 9/1999, cit.; Cass., 20 febbraio 1978, n. 811; Cass., 03 luglio 1997, n. 5988. Invece, per Cass. Pen., 26 febbraio 2007, n. 8015, solo qualora il creditore garantito non dimostri il proprio stato di buona fede, si realizzerebbe una modifica soggettiva dal lato del creditore, che conseguentemente travolgerebbe i diritti di garanzia costituiti sulla cosa attinta dal provvedimento di prevenzione.

[10] Il riferimento è a Cass., 26 gennaio 2006, n. 1693, per cui, trattandosi nel caso esaminato dalla S.C., di fattispecie acquisitiva “di diritto”, “... eventuali pesi o vincoli preesistenti sono destinati a caducarsi in uno con il caducarsi del precedente diritto dominicale, al di là ed a prescindere dall'eventuale anteriorità della relativa trascrizione e/o iscrizione”. Opina nel senso indicato nel testo – e cioé che la fattispecie esaminata dalla Corte di Legittimità, nell'arresto succitato, sia diversa per presupposti e funzione, e quindi incomparabile con quella, oggetto delle presenti note, della confisca c.d. antimafia – anche la stessa Corte di Cassazione, nella relazione n. 106/2012, cit., sub pag. 18 ss.

[11] Così Cass., 16 gennaio 2007, n. 845; Cass. Pen., 09 marzo 2005, n. 13413 (secondo cui “l'impronta rigidamente pubblicistica” della confisca c.d. antimafia “tipicizza la condizione giuridica e la destinazione dei beni, non potendo essere distolti da quella normativamente stabilita”); Cass., 21 giugno 2011, n. 13585; Cass. Pen., 11 febbraio 2005, n. 12317, per cui “è da escludere che i beni confiscati ad indiziati di mafia possano essere oggetto di un'espropriazione forzata immobiliare, che ne modifichi la destinazione, ancorché tale procedura sia stata promossa da un terzo in buona fede titolare di credito assistito da garanzia ipotecaria iscritta prima della trascrizione della confisca”.

[12] E' la soluzione indicata da Cass., 21 giugno 2011, n. 13585, cit.

[13] Cass., n. 13585/2011, cit.; così anche Cass. n. 1693/2006, cit.; Cass., 29 maggio 1976, n. 1946 (che discorre di “sopravvenuta inefficacia dell’ipoteca”); Cass., n. 2340/2012, cit. e Cass., 07 ottobre 2013, n. 22814. Contra l'applicabilità, nel caso di specie, dell'art. 2878, c.c., si è espressa Cass., 16 gennaio 2007, n. 845 e Cass., 05 ottobre 2010, n. 20664, secondo cui i provvedimenti di prevenzione e di confisca non incidono sui preesistenti diritti reali di garanzia che terzi in buona fede vantino sui beni del proposto, i quali si estinguono per le sole cause indicate nell'art. 2878, c.c., non integrate nel caso di specie.

[14] A mente del quale “anche prima dell'adozione del provvedimento di destinazione, per la tutela dei beni confiscati si applica il secondo comma dell'articolo 823 del codice civile”.

[15] Si veda Cass., 06 agosto 1987, n. 6755, che però distingue, in parte qua, tra gli immobili che facciano parte del patrimonio degli enti pubblici per i quali esista un vincolo legale di destinazione a servizio pubblico direttamente costitutivo della loro indisponibilità, dalla diversa situazione di beni che, privi di specifica destinazione a servizi pubblici all'epoca del pignoramento, siffatta destinazione ricevano in concreto nel corso del processo esecutivo attivato da privati. Nel primo caso, secondo la S.C., si tratterebbe di beni ipso iure impignorabili, mentre nell'altra ipotesi, dovendosi realizzare un adeguato bilanciamento tra l'interesse pubblico a soddisfare le esigenze della generalità dei consociati, cui il provvedimento ablativo è finalizzato e rivolto, e l'interesse privatistico del creditore procedente a ottenere il soddisfacimento del proprio credito certo, andrebbe accordata prevalenza al primo, con il conseguente effetto processuale per cui “il pignoramento dei beni del debitore esecutato, sebbene costituisca un atto strutturalmente e giuridicamente autonomo con effetti che da esso derivano in via immediata e diretta, è pur sempre un atto strumentale rispetto al risultato conclusivo del soddisfacimento dei creditori procedenti, sicché, quando la vendita o l'assegnazione dei beni staggiti non può avvenire per circostanze sopravvenute, gli effetti del pignoramento cessano di prodursi”. Sul punto, cfr. anche Cass., SS. UU., 15 settembre 1977, n. 3966; Cass., SS. UU., 12 ottobre 1971, n. 2863 e, più di recente, Cass., 23 agosto 2011, n. 17524.

[16] Problema interpretativo, questo, superato dalla novella del citato quinto comma dell'art. 2 ter, l. n. 575/65, introdotta dall'art. 5 del d.l. n. 4/2010, attraverso cui si è introdotto l'ulteriore periodo per cui “per i beni immobili sequestrati in quota indivisa, o gravati da diritti reali di godimento o di garanzia, i titolari dei diritti stessi possono intervenire nel procedimento con le medesime modalità al fine dell'accertamento dei diritti stessi possono intervenire nel procedimento con le medesime modalità al fine dell'accertamento di tali diritti, nonché della loro buona fede e dell'inconsapevole affidamento nella loro acquisizione. Con la decisione di confisca, il tribunale può, con il consenso dell'amministrazione interessata, determinare la somma spettante per la liberazione degli immobili dai gravami ai soggetti per i quali siano state accertate le predette condizioni. Si applicano le disposizioni per gli indennizzi relativi alle espropriazioni per pubblica utilità”. Precisa Cass., 29 ottobre 2003, n. 16227, con riferimento al concetto di “appartenenza” rinveniente dall'originaria formulazione del richiamato art. 2 ter, comma 5, l. n. 575/1965, che dalla categoria di soggetti terzi cui detto enunciato normativo allude “debbono essere esclusi tutti i titolari di diritti che sono sorti sulla cosa senza alcun collegamento con l'attività dell'indiziato o collusione con esso”, sicché in essa sarebbero ricompresi i titolari di diritti reali di garanzia conseguiti, anteriormente all'insorgere del procedimento di prevenzione, con l'iscrizione dell'ipoteca sui beni poi sottoposti a confisca. Il problema dell’appartenenza di che trattasi aveva, invero, ragione di porsi, con riferimento all’art. 2 ter, comma 5, l. n. 575/1965, in quanto, in base a tale previsione normativa, erano solo i terzi cui appartenessero i beni del proposto ad essere chiamati dal tribunale a intervenire nel procedimento di prevenzione, con la conseguente necessità ermeneutica di capire se siffatto concetto di “appartenenza” dovesse essere inteso, restrittivamente, come inteso ai soli diritti di proprietà, ovvero anche esteso anche ad altri diritti, reali o personali, che in ogni caso istituiscano una relazione tra il terzo e la res, in quanto si tratti di diritti sul bene del proposto. Per una disamina, anche sul piano dell’evoluzione storica, del problema qui menzionato, si rinvia a Fraioli, cit. e alle notazioni che verranno effettuate infra, nel presente lavoro.

[17] Cass., 18 settembre 2002; Cass., 20 ottobre 1997; Cass. Pen., 11 febbraio 2005, n. 12317; Cass. Pen., 18 aprile 2007, n. 19761; Cass. Pen., 10 maggio 2005, n. 22157, che precisa come l'oggetto del giudice investito dell'incidente di esecuzione sarà, in detta ipotesi, l'“accertamento degli esatti confini del provvedimento di confisca attraverso la determinazione dell'eventuale esistenza di <iura in re aliena>, che, per il fatto di non essere pregiudicati dalla devoluzione del bene allo Stato, contribuiscono a delineare la condizione giuridica del bene stesso e a delimitare l'effettiva portata del trasferimento determinato dalla confisca”. Cfr. anche Cass. Pen., 19 novembre 2003, n. 47887; Cass. Pen., 28 gennaio 2008, n. 8775; Cass. Pen., 21 novembre 2007, n. 45572; Cass. Pen., n. 29378/2010, cit., secondo cui in tal caso competerebbero al giudice dell’esecuzione penale anche i provvedimenti conseguenti all’accertamento, dallo stesso condotto, in ordine alla opponibilità o meno dei diritti del terzo nei confronti dello Stato cui il bene sia devoluto in ragione del provvedimento di confisca, quale quello relativo alla cancellazione delle ipoteche costituite in mala fede sui beni del proposto.

[18] Cass. Pen., 11 febbraio 2005, n. 12317, cit.; Cass. Pen., n. 19761/2007, cit.; in tale ultimo senso, sia pure implicitamente, sembra esprimersi anche Cass. Pen., n. 22157/2005, cit., allorquando precisa che la valutazione, in sede di incidente di esecuzione, della buona fede del terzo creditore garantito esaurisce i compiti del giudice dell'esecuzione penale, non potendosi fare rientrare nelle attribuzioni di quest'ultimo la funzione di accertare se e con quali modalità detto terzo possa fare valere il proprio diritto verso lo Stato, subentrato al debitore sottoposto alla misura di prevenzione nella titolarità della proprietà dell'immobile sul quale è stata iscritta l'ipoteca”.

[19] E’ questa la condivisibile lettura della stessa Corte di Cassazione, espressa nella citata relazione n. 106/2012 (pagg. 26 ss.), che non manca di rilevare la “singolarità dell’esito” cui perviene il surrichiamato orientamento giurisprudenziale, atteso che, per un verso, si parte dall’assunto secondo cui il creditore in buona fede non debba patire pregiudizio dalla confisca, per poi trarne la conclusione per cui i diritti del terzo in parola non possano in ogni caso trovare soddisfazione in sede di espropriazione forzata; quindi, per altro verso, si finisce con l’ammettere la competenza del giudice penale al fine dell’accertamento dello stato di buona fede del creditore e in ordine all’esistenza dei diritti reali e/o di garanzia sulle res del proposto e, al contempo, che questi dovrebbe adire anche il giudice civile per ricercare, in un ordinario giudizio di cognizione, tutela dei propri diritti. Il che – si legge nella relazione citata – “vuol dire nella sostanza delle cose privare il creditore ipotecario del proprio diritto di garanzia” (p. 27). Critico rispetto a tale ricostruzione anche Cassano, cit., secondo cui “rinviando la tutela del credito ad epoca successiva al passaggio in giudicato della confisca, e demandandola all’azione civile nei confronti dell’Erario, si radica una visione della misura reale antimafia quale ablazione in incertam rem, con la quale lo Stato incamera controversie piuttosto che utilità, e con la quale può persino accadere che l’Erario risponda ultra vires, per effetto del fuoco di fila di azioni astrattamente proponibili a tutela del credito, senza che la pubblica amministrazione, priva di procedimenti di accertamento dei diritti dei terzi e degli strumenti d’indagine propri del giudice penale, possa fungere in alcun modo da filtro”.

[20] L’espressione è di Fraioli, Note in materia di confisca e persona estranea al reato, in Giur. Merito, 2010, 859 ss.

[21] Così Cass., 30 marzo 2005, n. 6661. In dottrina, si veda, sul punto, la posizione espressa da Cassano, cit., pp. 2155 ss., secondo cui il concetto di appartenenza ex art. 2 ter, l. n. 575/1965 rinvia non soltanto all’appartenenza formale, ma anche alla disponibilità effettiva, che richiama il possesso civilistico e quindi “al terribile diritto, al mondo del c.d. diritti reali di godimento, propri o altrui. … I terzi cui la disposizione fa riferimento sono dunque i proprietari formali, o quanti vantano sui beni diritti reali di godimento. L’espropriazione incide infatti sulla sfera giuridica di soggetti diversi dal mafioso i quali debbono, per poter contraddire, intervenire nel procedimento. Il conflitto tra la funzione sanzionatoria dell’Erario ed il diritto di proprietà del terzo si risolve nell’antico conflitto tra autorità e libertà, e viene processualizzato: il terzo, al pari del mafioso, dev’essere citato in giudizio in quanto titolare di un diritto sul bene confliggente, incompatibile, con la pretesa dello Stato. Qualora pretermesso, la confisca non è nulla, ma il terzo proprietario formale può proporre incidente di esecuzione avverso il provvedimento che ha disatteso la sua istanza di restituzione dei beni e, nell’ambito dell’incidente di esecuzione, egli può contestare il titolo esecutivo che si è formato in assenza del decreto con il quale dev’essere chiamato a intervenire nel procedimento”.

[22] A evidenziare il contrasto di impostazione segnalato nel testo, si veda la differenza tra la decisione di Cass., n. 16227/2003, secondo cui “la necessità che sia impedito di procurarsi …, con il sistema di precostituirsi una schiera di creditori di comodo muniti di titoli con data certa, denaro di provenienza lecita (non può) compromettere il principio della certezza dell’esistenza di un’ipoteca e non consente di adoperare, surrettiziamente a quella del giudice dell’opposizione all’esecuzione forzata civile, l’istituto dell’incidente di esecuzione penale, fuori dei suoi limiti, che sono affatto diversi da quello dell’accertamento dell’esistenza di un diritto reale di garanzia su un bene sottoposto a confisca penale”; invece, secondo Cass., n. 12535/99, “l’esigenza di assicurare al terzo di buona fede la facoltà di soddisfare le ragioni creditorie … non può ostacolare l’impegno dello Stato di colpire il prodotto economico-patrimoniale di attività illecite”. E cfr. anche Fraioli, cit.

[23] Così Cass., 29 ottobre 2003, n. 16227; Cass., n. 845/2007, cit. (la quale ultima sentenza, però, richiama a conforto della tesi per cui “il credito garantito di cui i terzi in buona fede sono portatori potrà essere fatto valere soltanto dinanzi al giudice civile con i residui mezzi di tutela offerti dalla legge”, pur essendo escluso il ricorso alla procedura esecutiva immobiliare, il precedente rappresentato da Cass., n. 12317/2005, che però, come si è detto, si era fatta fautrice di conclusione diametralmente opposta, esprimendosi, cioè, a favore della competenza del giudice penale: rileva siffatta ambiguità anche la Corte di Cassazione, nella relazione n. 106/2012, cit., sub pagg. 21 ss.).  Conforme a siffatto orientamento anche Cass., n. 20664/2010.   Cfr., presso la giurisprudenza di merito, Trib. Bologna, 14 gennaio 2004, ord., in www.ilfallimentoonline.it: “nel caso in cui il sequestro preventivo antimafia ex art. 2-ter l. n. 575/65 sui beni della società esecutata sia successivo al sequestro conservativo, poi convertito in pignoramento, del credito vantato dal creditore procedente nei confronti della società stessa, il conflitto tra il creditore procedente e lo Stato … va risolto davanti al giudice civile”.

[24] Perviene ad analoga conclusione Cassano, cit.

[25] Osserva, al riguardo, Cassano, cit., che “la compressione dei diritti dei terzi di buona fede accentua le diffidenze verso il sistema complessivo della prevenzione, evidenziando come la sua difficoltà a confrontarsi con i principi dell’ordinamento si trasmette oltre i confini del diritto penale, e finisce col negare anche istituti e principi giuridici civilistici di antichissima tradizione”.  Cfr. anche Naucke, Prevenzione generale e diritti fondamentali della persona, in AA. VV., Teoria e prassi della prevenzione generale dei reati, a cura di Romano-Stella, Bologna, 1980, pp. 49 ss.: “il diritto penale fondato solo sulla prevenzione – generale o speciale – è politicamente accettabile, ma da mettere in dubbio in via di principio. Un tale diritto penale è un diritto con una garanzia di giustizia chiaramente ridotta”.

[26] Carnelutti, Tutela dei diritti, in Riv. Dir. Proc. Civ., 1943, I, p. 10.

[27] Bonsignori, Sub artt. 2709 – 2909, in Commentario al Cod. Civ. (a cura di) Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1999, pp. 2 ss.

[28] Bonsignori, Esecuzione forzata in genere, in Digesto delle discipline privatistiche. Sezione Civile, Padova, 1991, 570 ss.; Andrioli, Appunti di diritto processuale civile, Napoli, 1964, 249

[29] Bonsignori, cit., 570.

[30] Provinciali, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1955, 9 ss.

[31] Mi sembrano illuminanti, in parte qua, le parole della Corte Costituzionale, contenute nella sentenza n. 335 del 1996, ove si afferma che “la garanzia della proprietà intanto varrebbe in quanto possa assolvere la propria funzione sociale che consiste nella sua capacià di favorire e incrementare lo sviluppo di altri diritti costituzionalmente protetti. Ma, se ciò non avviene, e se anzi si verifica la <mortificazione> di quella funzione, il diritto di proprietà diviene antisociale e ne viene meno la ragione di tutela …. E tra i beni e gli interessi, costituzionalmente rilevanti, da valutare nell'ambito della tutela della proprietà, vi sono le esigenze di garanzie dell'iniziativa privata, il cui libero ed equilibrato esercizio viene alterato da fattori estranei che ne inquinano le condizioni di funzionamento; vi sono, inoltre, i profili della solidarietà sociale ed economica che trovano concretizzazione attraverso lo svolgimento di attività lavorative legali, mentre le acquisizioni illecite, se non contrastate, incrementano i vincoli intimidatori e rendono <allettante> l'attività illegale finalizzata al profitto in questione, dovuto all'originaria costituzione illecita di essi, permane anche dopo la morte di colui che si era reso responsabile delle condotte illecite; né si può ignorare che, anche dopo tale evento, permangono intatti gli intrinseci effetti distorsivi per il circuito economico lecito e, dunque, la necessità di porvi rimedio”.

[32] E invero, in tal caso, i creditori dovranno presentare la propria domanda di ammissione del credito entro centottanta giorni, decorrenti dl passaggio in giudicato del provvedimento che dispone la confisca, mentre nell'ipotesi dei beni che, al g. 1 gennaio 2013, siano già stati confiscati, ma non ancora aggiudicati né trasferiti in sede di esecuzione coattiva individuale, il termine in parola è fissato al 30 giugno 2013.

[33] Così puntualizza anche Cass., SS. UU., 7 maggio 2013, n. 10534.

[34] Si realizza, in altri termini, quella situazione che Falzea definisce dotata di efficacia “preclusiva”: cfr. Falzea, voce “Efficacia giuridica”, in Enc. dir., Milano, 1965, 498 ss.

[35] Così come condivisibilmente affermato, con riferimento al rapporto tra procedure esecutive individuali e beni patrimoniali indisponibili dello Stato e degli enti pubblici territoriali, dalla già citata Cass., n. 6755/1987.

[36] Cfr. art. 18 del Codice Antimafia; e si vedano anche Corte Cost., n. 21/2012 e Cass. Pen., SS. UU., 26 giugno 2014, n. 4880,

[37] Così anche Di Legami, Chinnici, Amministrazione giudiziaria e tutela dei terzi nel codice antimafia, Pisa, 2013, 149 ss.; Balsamo, Contrafatto, Nicastro, Le misure patrimonili contro la criminalità organizzata, 88.

[38] Cfr. Cass. Pen. SS. UU., n. 4880/2014, cit.

[39] Cfr. Fragali, voce “Ipoteca (dir. Priv.)”, in Enc. Dir., Milano, 1972, 740 ss.

[40] Cfr. Cass., n. 1693/2006, cit. e Cass., n. 13585/2011, cit.

[41] Ma contra, v. Cass., SS. UU., n. 10534/2013.

[42] Di analogo avviso anche Gorgoni, Confisca antimafia e terzi creditori e titolari di diritti reali parziari, in il caso.it, anche in base alla congiunta considerazione di quanto disposto dal primo e dal quarto comma dell'art. 52 del Codice Antimafia, laddove il primo enunciato normativo sembrerebbe richiamare un acquisto a titolo derivativo, mentre il secondo appare maggiormente coerente con una qualificazione dell'acquisto in questione come a titolo originario.

[43] Ipotesi, questa, formulata anche da Gorgoni, op. cit.

[44] A tale riguardo, in vero, a fronte della univocità con cui siffatta conclusione può trarsi con riferimento alla disciplina portata dal Codice Antimafia (i cui artt. 57 ss. devolvono espressamente al giudice delegato dal tribunale alla procedura il compito di procedere all'accertamento e alla verifica dei diritti dei terzi), non la medesima chiarezza emerge dalla Legge di Stabilità 2013, i cui commi 199 e 203 attribuiscono la competenza in parola, rispettivamente, al “giudice dell'esecuzione presso il tribunale che ha disposto la confisca” e al “tribunale del luogo che ha disposto la confisca”: nonostante l'ambiguità terminologica generata, in particolare, dall'utilizzo dell'espressione “giudice dell'esecuzione”, ritengo debba valorizzarsi il riferimento al giudice “che ha disposto la confisca” (recte: al giudice che ha disposto la misura di prevenzione).  Rispetto all'ultima questione prospettata, in termini conformi si è espressa anche Cass., SS. UU., n. 10534/2013, cit.


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