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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 29/05/2021 Scarica PDF

La diligenza del debitore nella relazione particolareggiata del gestore della crisi: un concetto di meritevolezza o solo un controllo degli atti in frode?

Carmine Capozzi, Giudice delegato alle procedure concorsuali e delle esecuzioni immobiliari presso il Tribunale di Lucca


1.- L’art.4 ter della legge 18 dicembre 2020, n.176, di conversione del decreto-legge 28 ottobre 2020, n.137, ha novellato la legge 27 gennaio 2012, n.3, nella parte relativa alla composizione della crisi da sovraindebitamento, recependo alcune delle disposizioni previste dal Codice della Crisi della Impresa e dell’Insolvenza.

Tra le nuove disposizioni assumono un posto di rilievo, ai fini della presente relazione, quelle che hanno novellato:

(i) l’art.7, co.2 della L.3/2012, aggiungendo le lett. d-ter) e d-quater), in punto di presupposti d’ammissibilità della proposta.

La condotta del debitore consistita nell’aver determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode è ostativa all’ammissibilità della proposta di piano del consumatore (lett. d-ter).

La previsione sostituisce quella dell’art.12 bis, co.3, la quale prevedeva, invece, che il giudice potesse omologare il piano del consumatore soltanto quando il consumatore:

(a) non avesse assunto le obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere, ovvero

(b) non avesse colposamente determinato il sovraindebitamento, anche per mezzo di un ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali.

E’ rimasta inalterata, invece, la disposizione contenuta nell’art.12 bis, co.1, secondo cui, in sede di apertura della procedura, il giudice verifica l’assenza di atti in frode ai creditori. Previsione che sembra sovrapporsi a quella in esame, che fa riferimento (oltre alla colpa grave) alla malafede e alla frode del consumatore.

Il compimento di atti diretti a frodare le ragioni dei creditori è invece ostativo all’ammissibilità della proposta di accordo di composizione della crisi (lett. d-quater).

Sul punto, è stata trasposta nella sede corretta, quella delle disposizioni generali, una norma la cui esistenza già si desumeva dall’art.10, co.3, che è rimasto invariato.

(ii) l’art.9, co.3-bis e 3-bis 1, circa il contenuto della relazione dell’organismo di composizione della crisi che deve essere allegata alla proposta di piano del consumatore o alla domanda di accordo di composizione della crisi.

Per quanto interessa in questa sede, sia nel caso della proposta di piano del consumatore che nella domanda di accordo di composizione della crisi, la relazione particolareggiata dell’OCC ha il medesimo contenuto, dovendo il gestore riferire, nell’una e nell’altra procedura, circa: a) le cause dell'indebitamento e della diligenza impiegata dal debitore nell'assumere le obbligazioni; b) le ragioni dell'incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte.

(iii) l’art.14 quaterdecies, co.7, in relazione alla nuova ipotesi dell’esdebitazione del debitore incapiente.

La disposizione prevede che il giudice, nel valutare la meritevolezza del debitore incapiente, deve verificare (a tal fine) l’assenza di atti di frode e la mancanza di dolo o colpa grave nella formazione dell’indebitamento.

Se non mi inganno, è la prima volta che, nel contesto della L.3/2012, il legislatore usa il termine “meritevolezza”; il sintagma “giudizio di meritevolezza” è invece invalso da tempo nell’uso dottrinale e giurisprudenziale.

 

2.- L’evidente distonia tra i precetti contenuti negli artt.7, co.2, lett. d-quater, e 9, co.3-bis 1, credo sia alla base del legittimo interrogativo che mi è stato posto dagli organizzatori di questo incontro.

Se la condotta colposa del debitore nel causare il sovraindebitamento è irrilevante nell’accordo di composizione della crisi, perché mai la relazione particolareggiata dell’OCC deve esprimersi anche sulla diligenza impiegata dal debitore nell'assumere le obbligazioni e sulle ragioni dell'incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte?

Il tentativo di dare una risposta all’interrogativo passa necessariamente da un preliminare inquadramento del tema in esame nel contesto più ampio della responsabilità patrimoniale del debitore.

Nell’impianto del codice civile del 1942 il debitore rispondeva dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri e le limitazioni a tale responsabilità non erano ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge (v. art.2740).

Le norme limitative, proprio perché eccettuative a una regola generale, erano di stretta interpretazione e, pertanto, insuscettibili di applicazione analogica (art.14 preleggi).

Nell’impianto del codice civile non era contemplata la possibilità che il debitore – civile o commerciale – smettesse di rispondere delle proprie obbligazioni o, visto il problema da un punto di vista diverso, rispondesse delle proprie obbligazioni soltanto con i beni presenti in un dato momento (o sopravvenuti in un arco temporale limitato a seguito dell’apertura di una procedura giudiziale o amministrativa) e non anche con tutti i beni futuri.

Forme di esdebitazione erano invece disciplinate dalla legge fallimentare nel caso del concordato fallimentare o del concordato preventivo.

Al di fuori di queste ipotesi, anche la legge fallimentare del 1942 non contemplava in generale l’istituto dell’esdebitazione.

Rispetto a questo impianto normativo, è maturata nel tempo anche da noi la convinzione, già acquisita in altri ordinamenti, che l’estinzione o l’inesigibilità dei debiti dell’insolvente (tanto civile che commerciale), la c.d. esdebitazione, sia pur non automatica ma subordinata all'esistenza di specifiche condizioni, assuma una valenza centrale, non solo per i singoli debitori direttamente interessati, ma per il sistema economico e l’ordinamento nel suo complesso.

Gli scopi perseguiti sono evidenti: (i) favorire la tempestiva emersione dell’insolvenza con le positive ricadute per il sistema tutto; (ii) indurre il debitore a non porre in essere condotte dilatorie ed ostruzionistiche, con conseguente aggravamento dei danni per i creditori; (iii) consentire al debitore di avere una seconda opportunità, in questo modo recuperandolo sia come imprenditore che come consumatore chiamato a concorrere con i suoi atti – di produzione e di consumo – alla creazione della ricchezza in un ordinamento basato sull’economia di mercato.

La riforma del diritto fallimentare del 2006-2007 ha costituito l’occasione per introdurre l’istituto dell’esdebitazione dell’imprenditore fallito non piccolo e persona fisica (art.142 e ss L.F.).

Il successivo intervento legislativo attuato con la L.3/2012, in un contesto più ampio finalizzato al contrasto del fenomeno dell’usura, ha esteso l’esdebitazione all’insolvente non fallibile: l’esdebitazione è consustanziale alle procedure di composizione della crisi (accordo di composizione e piano del consumatore), inoltre essa può essere riconosciuta all’esito della procedura di liquidazione del patrimonio.

Il quadro normativo si è arricchito con il d.lgs.14/2019 (Codice della Crisi della Impresa e dell’Insolvenza, la cui entrata in vigore è stata posticipata al 1.9.2021) che ha diversamente disciplinato l’esdebitazione del sovraindebitato (art.282), prevedendo anche l’esdebitazione del debitore incapiente (art.283).

Nel frattempo è intervenuto anche il diritto unionale con la direttiva (UE) 2019/1023 del 20 giugno 2019 (che deve essere attuata entro il 17.7.2021), riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, direttiva che si applica all’imprenditore, così come definito dal diritto europeo, e cioè a colui che svolge un’attività economica produttiva di beni e servizi (in tale definizione è incluso quello che il nostro codice civile definisce come lavoro autonomo).

Le disposizioni della direttiva possono tuttavia essere estese dagli Stati membri, quanto alla esdebitazione dai debiti, anche ai consumatori (art.1, co.4).

In base alla direttiva gli Stati membri devono provvedere affinché l’imprenditore insolvente abbia accesso ad almeno una procedura che porti all’esdebitazione integrale in un tempo ragionevole (v. artt.20, co.1 e 21, co.1).

Gli Stati membri possono subordinare l’esdebitazione integrale al rimborso parziale del debito. In tal caso, tuttavia, l’obbligo di rimborso deve basarsi sulla situazione individuale dell’imprenditore e, in particolare, deve essere proporzionato al reddito e agli attivi sequestrabili o disponibili dell’imprenditore durante i termini (di regola, triennali, art.21) per l’esdebitazione e deve tenere conto dell’equo interesse dei creditori.

In base alla direttiva deroghe all’esdebitazione possono essere introdotte per alcune tipologie di debiti (art.23, co.4) o per ragioni soggettive legate a comportamenti fraudolenti del debitore (art.23, co.1 e 2), quali, ad esempio, il fatto che l’imprenditore insolvente abbia agito nei confronti dei creditori o di altri portatori di interessi “in modo disonesto o in mala fede ai sensi del diritto nazionale” oppure abbia presentato una domanda abusiva di esdebitazione o ancora abbia violato gli obblighi di informazione e cooperazione.

Il considerando n.79 della direttiva precisa, in via esemplificativa, che, per stabilire se un imprenditore sia disonesto, l’autorità giudiziaria o amministrativa chiamata a decidere dell’esdebitazione potrebbe tenere conto di alcune circostanze come: la natura e l’entità dei debiti (assunti); il momento in cui questi sono sorti; gli sforzi compiuti dall’imprenditore per estinguerli e ottemperare  agli obblighi giuridici, comprese le autorizzazioni e la necessità di una corretta contabilità; le azioni intraprese dall’imprenditore per vanificare le azioni di rivalsa dei creditori; l’adempimento degli obblighi che incombono, nel caso di una probabilità d’insolvenza, all’imprenditore che è dirigente di una società; il rispetto del diritto dell’Unione e nazionale in materia di concorrenza e lavoro.

Mi sembra evidente dalla lettura della direttiva che ai fini della concessione della esdebitazione il dato oggettivo (la misura della soddisfazione dei creditori) ceda di fronte a quello soggettivo (la condotta tenuta dal debitore prima e nel corso della procedura). Ai fini del riconoscimento della esdebitazione il rimborso potrebbe essere anche del tutto assente. Non è invece ritenuta appropriata la concessione dell’esdebitazione in presenza di condotte disoneste del debitore, riferibili, quando si tratti di debitore-imprenditore, anche al rispetto delle regole che presidiano il mercato, da quelle di contabilità a quelle concorrenziali, a quelle infine poste a tutela del lavoro e della sicurezza dei lavoratori (v. considerando n.79).

Mi sembra ancora evidente dalla lettura della direttiva che alla prospettiva del diritto unionale sembra sfuggire – mi sbaglierò – la distinzione tipica del diritto interno tra condotte dolose e condotte colpose (lievi, medie o gravi), privilegiandosi un approccio unitario.

Un debitore disonesto è, nella prospettiva del considerando n.79, tanto il debitore che compia atti di frode, ostacolando il diritto di rivalsa dei creditori, quanto il debitore che assuma debiti in un momento in cui non avrebbe dovuto assumerli, tanto il debitore che violi le norme sulla concorrenza e sul lavoro (non necessariamente recando pregiudizio in questa maniera ai propri creditori), quanto il debitore che assuma debiti spropositati rispetto alla situazione patrimoniale e finanziaria esistente in un dato momento e alla tipologia di debito assunta.

La terminologia di imprenditore disonesto, propria del diritto comunitario, è per noi nuova, anche se non del tutto sconosciuta, mentre è invece molto comune in altri Stati europei. In Francia, ad esempio, l’espressione “entrepreneur malhonnète” è d’uso corrente e indica, per fare degli esempi, tanto l’appaltatore che abbia eseguito male un’opera e non abbia posto rimedio ai vizi e ai difetti, quanto l’imprenditore che fugga con la cassa. L’imprenditore disonesto è, quindi, quello che si discosta da un modello, da chi agisce correttamente nel rispetto della normativa di riferimento. In altri Stati (UK, USA) ci si interroga da tempo sui costi sociali dell’imprenditore disonesto.

L’evoluzione del quadro normativo mostra, quindi, come la regola dell’art.2740 c.c., secondo cui il debitore risponde delle proprie obbligazioni con tutti i beni presenti e futuri, non sia più una regola sempre applicabile in quanto, ricorrendo determinate condizioni, il debitore può limitare la propria responsabilità ai soli beni esistenti (o ad alcuni di essi, si pensi alla possibile tutela accordata alla c.d. prima casa), conseguendo l’esdebitazione anche in presenza di un rimborso soltanto parziale.

In particolare, essa non è più una regola applicabile al debitore (consumatore o imprenditore) onesto nel senso del diritto comunitario.

Da qui la necessità di un giudizio sulla condotta del debitore, giudizio imposto anche dal diritto comunitario (v. considerando n.83[3]), non potendo il beneficio della esdebitazione essere concesso al debitore disonesto.

Questo giudizio è stato sintetizzato nella prassi giudiziaria italiana con l’espressione “giudizio di meritevolezza”, con riferimento, in particolare, alla valutazione a cui era chiamato il giudice dall’art.12 bis, co.3L.3/2012, nel testo anteriore alla recente novella, al momento dell’omologazione del piano del consumatore; valutazione diversa da quella sulla sussistenza degli atti in frode ai creditori richiesta invece nell’accordo di composizione della crisi.

La prospettiva dell’art.14 quaterdecies, con riferimento all’esdebitazione dell’incapiente, è oggi più in linea con il diritto comunitario: un unico giudizio sulla condotta del debitore in cui confluiscono elementi soggettivi di varia natura, nel quale rilevano tutti quegli aspetti che concorrono a definire un debitore disonesto, e così tanto l’assunzione imprudente delle obbligazioni e il successivo non adoperarsi per l’estinzione, quanto il compimento di atti in frode ai creditori, tanto un difetto di informazione nel redigere la proposta, quanto la distruzione o sottrazione di documenti necessari ai fini di una completa ricostruzione della situazione patrimoniale e finanziaria.

 

3.- Nel nostro ordinamento il giudizio sulla condotta del debitore si caratterizza diversamente a seconda che i creditori siano chiamati o meno ad approvare il piano di ristrutturazione dei debiti.

Nella procedura di piano del consumatore la verifica affidata all’autorità giudiziaria, in difetto di voto dei creditori, ha un perimetro più ampio, come risulta anche dal nuovo combinato disposto degli art.7, co.2 lett. d-ter) e 9, co.3 bis.

Il giudice è chiamato, infatti, ad esprimersi anche sulla diligenza tenuta dal debitore nell’assunzione del debito. E tale giudizio, anche dopo la recente novella, non può essere ridotto o sottovalutato (semmai se ne impone una diversa declinazione) costituendo il contraltare all’assenza del voto dei creditori. 

Nella procedura di accordo di composizione della crisi il controllo dell’autorità giudiziaria è invece limitato ai soli atti diretti a frodare le ragioni dei creditori.

In fondo, se si vuole, in quest’ultima procedura sono i creditori a esprimersi sulla “meritevolezza” del debitore, votando a favore o contro la proposta di accordo, e questo spiega perché la relazione dell’OCC (su cui tornerò fra poco) deve indicare comunque le cause dell’indebitamento e la diligenza impiegata dal debitore nell’assumere le obbligazioni.

Nell’attuale conformazione della L.3/2012 il voto negativo del creditore, anche se fosse unicamente motivato da ragioni afferenti alla non ritenuta meritevolezza del beneficio da parte del debitore, non è sindacabile dall’autorità giudiziaria.

Può porsi, inoltre, il dubbio della conformità alla direttiva UE 1023/19 di queste disposizioni che graduano diversamente il perimetro del controllo dell’autorità giudiziaria, a seconda che i creditori siano chiamati o meno a votare la proposta di ristrutturazione del debitore, in quanto il considerando n.83 della direttiva, nel prevedere che “Gli Stati membri dovrebbero poter stabilire che l’autorità giudiziaria o amministrativa possa verificare, d’ufficio o su richiesta di una persona avente un interesse legittimo, se l’imprenditore soddisfa i requisiti per ottenere l’esdebitazione integrale”, non sembra consentire una simile differenziazione, che rimette alla valutazione della maggioranza dei creditori la concessione del beneficio dell’esdebitazione pure in presenza, in ipotesi, di un debitore  che sia manifestamente disonesto secondo la definizione della direttiva.

 

4.- Nella verifica della condotta del debitore la L.3/2012 assegna all’organismo di composizione della crisi un ruolo centrale: l’OCC è chiamato a redigere una relazione particolareggiata da allegare alla proposta di accordo o di piano del consumatore, che ha un’essenziale funzione informativa, sia per i creditori chiamati ad esprimere il proprio voto o a contestare la convenienza del piano, sia per l’autorità giudiziaria chiamata a controllare la sussistenza dei presupposti d’ammissibilità della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento.

Il contenuto della relazione, in entrambi i procedimenti di composizione della crisi, è pressoché sovrapponibile e, ai fini in esame, come già sopra detto, del tutto identico.

Rileva il seguente contenuto:

a) l’indicazione delle cause dell’indebitamento e della diligenza impiegata dal debitore nell’assumere le obbligazioni;

b) l’esposizione delle ragioni dell’incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte;

c) la valutazione sulla completezza e sull’attendibilità della documentazione depositata a corredo della domanda.

Si tratta di tre contenuti differenti, anche se tutti funzionali ad esprimere il giudizio sulla condotta del debitore.

La loro diversità non consente di fare confusione tra l’uno e l’altro.

Le indicazioni sulla diligenza impiegata dal debitore nell’assumere le obbligazioni attengono al momento genetico del debito.

Ad esse non può essere ricondotto, a mio parere, il contenuto della relazione riferita agli atti del debitore diretti a frodare le ragioni dei creditori, essendo questi ultimi, di regola, successivi e diversi da quelli d’assunzione del debito. Anche se, come vedremo fra poco, la distinzione tende a sfumare nei casi in cui la condotta del debitore è fraudolenta già al momento stesso dell’assunzione del debito, resta ferma la diversità concettuale tra atto d’assunzione del debito e compimento di atti (distrattivi-dispositivi) in frode ai creditori.

Le indicazioni che la relazione deve fornire sugli atti del debitore diretti a frodare le ragioni del creditore possono essere ricondotte alla parte della relazione relativa vuoi alle cause dell’indebitamento (sub specie, delle cause del sovraindebitamento), vuoi alle ragioni dell’incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte (quale conseguenza dell’atto dispositivo).

Per intenderci, il debitore può essersi indebitato senza colpa ed essere incapace di adempiere alle obbligazioni perché successivamente ha compiuto atti distrattivi del patrimonio. Così come per contro, il debitore può essersi indebitato con colpa grave ma non avere compiuto alcun atto distrattivo e, quindi, essere incapace di adempiere alle proprie obbligazioni semplicemente per insufficienza dei mezzi patrimoniali e/o finanziari disponibili.

E’ possibile, pertanto, dare una risposta al quesito che mi è stato posto dagli organizzatori dell’incontro: il controllo sulla diligenza impiegata dal debitore nell’assumere le obbligazioni non può essere confuso, anche nella procedura di accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento, con il controllo sull’esistenza di atti diretti a frodare le ragioni dei creditori; esso afferisce all’atto da cui trae origine il debito e postula una verifica ampia e attenta della diligenza tenuta dal debitore in tale occasione, verifica che andrà effettuata secondo la c.d. tecnica della prognosi postuma.

In altre parole, nell’effettuare il controllo occorre porsi idealmente ex ante e valutare la condotta del debitore sulla base del modello prefigurato dalla normativa in esame: l’OCC, prima, nel fornire le informazioni, e il giudice, poi, al momento dell’apertura della procedura o dell’omologa del piano del consumatore, devono chiedersi se un debitore onesto nel senso del diritto comunitario avrebbe assunto, data la sua situazione patrimoniale e finanziaria, una nuova obbligazione che, aumentando i debiti, avrebbe determinato immediatamente o potuto determinare a breve una situazione di sovraindebitamento.

Nel caso della procedura di composizione della crisi saranno invece i creditori, sulla base dell’informativa dell’OCC, a valutare anche gli aspetti soggettivi e, quindi, a votare o meno a favore della proposta del debitore, consapevoli che, nel caso di voto favorevole, essi rinunciano alla possibilità di far valere i propri crediti sui beni futuri o su quelli estranei al perimetro dell’accordo di ristrutturazione.

In tale giudizio, da condursi ex ante, non rilevano, pertanto, tutti quei fatti sopravvenuti incidenti sulla capacità del debitore di pagare regolarmente le proprie obbligazioni e non prevedibili al momento dell’assunzione del debito, quali la perdita involontaria del posto di lavoro, il sopravvenire di una crisi coniugale con i conseguenti costi di mantenimento, la morte del coniuge o di altro familiare o convivente che contribuiva al pagamento dei debiti, la distruzione di un bene immobile in conseguenza di un incendio o di un fatto naturale, la perdita, momentanea o definitiva, di un’entrata (quale ad esempio il canone di locazione, per effetto della morosità non prevedibile del conduttore).

Rilevano per contro le condotte connotate da evidente intento fraudolento, quale l’assunzione programmata e sproporzionata di nuove obbligazioni con il contestuale (o addirittura anticipato) compimento di atti dispositivi volti a ridurre o azzerare la garanzia patrimoniale generica. In questo caso la distinzione tra diligenza nell’assumere le obbligazioni e atti in frode ai creditori tende, sul piano pratico, con ogni evidenza, a sfumare.

Rilevano ancora le condotte connotate da negligenza grave e, quindi, da una evidente sopravvalutazione della propria capacità di adempiere le obbligazioni in rapporto alle entrate e al patrimonio disponibili.

Ritengo, poi, che la recente novella, in una lettura suggerita anche dal diritto unionale, possa (anzi, debba) consentire una diversa declinazione del “giudizio di meritevolezza”, acquisendo rilievo a tale scopo, sia le ragioni dell’assunzione dei debiti (come ad esempio il caso del debitore costretto ad assumere un’obbligazione sproporzionata per far fronte alla necessità impellente di cure mediche per sé o per propri cari, cure non fornite in tutto o in parte dal servizio sanitario nazionale), sia la condotta successiva del debitore che si sia adoperato per cercare di rimediare alla situazione di sovraindebitamento. In questa prospettiva le ragioni dell’assunzione del debito o la condotta successivamente tenuta dal debitore possono incidere sul giudizio di onestà/disonestà del debitore.

Un discorso a parte va fatto per alcune condotte che potremmo definire borderline.

Si pensi, e nel fare gli esempi attingo ad alcuni casi da me esaminati, ad un genitore che contragga un primo finanziamento personale con il cui ricavato acquisti un’autovettura ad un figlio,  un secondo finanziamento con cui acquisti altra autovettura ad altro figlio e un terzo finanziamento che destina all’acquisto di un esercizio commerciale per l’ultimo figlio e che, sopravvenuta la situazione di sovraindebitamento, proponga un accordo di composizione della crisi senza che le risorse acquistate con i predetti finanziamenti (ancora nella titolarità e disponibilità dei figli) siano messe, in tutto o in parte, direttamente o indirettamente, a disposizione dei creditori.

Si pensi ancora al caso di Tizio che, coniugatasi con Caia, vada a vivere in un immobile di proprietà del suocero concesso in comodato alla figlia, immobile che, per essere adibito a casa coniugale, necessiti di significativi lavori di ristrutturazione, la cui esecuzione è effettuata da Tizio con somme prese a prestito da intermediari finanziari. Anche in tal caso, verificatasi la situazione di sovraindebitamento, Tizio propone un accordo di composizione ai creditori che non dà conto assolutamente di eventuali ragioni di credito nei confronti del suocero.

In tali casi, il debitore ha disposto di somme prese a prestito da terzi, in sostanza, per arricchire propri familiari o affini.

Tali condotte, secondo me, possono rientrare (e perciò sono valutabili anche nella procedura di accordo di composizione della crisi) tra le iniziative e gli atti in frode ai creditori, ove si assuma un concetto più ampio di atto in frode, non coincidente soltanto con gli atti dispositivi rispetto ai quali operano i rimedi tradizionali previsti dal codice civile (azione surrogatoria e azione revocatoria).

Mi sembra che, in un’ottica di diritto comunitario, un debitore quale quello degli esempi sopra fatti sia un debitore disonesto.

Fatta questa breve digressione, e tornando al contenuto della relazione dell’OCC, va ancora una volta rimarcato che esso è identico sia nel caso della proposta di accordo sia nel caso nella proposta di piano del consumatore.

E’ di fondamentale importanza che questa parte della relazione dell’OCC, come, più in generale, anche le altre parti riferibili alla condotta del debitore, sia frutto di un’accurata indagine e di un’attenta disamina dei fatti e delle circostanze riferiti dal debitore.

Devo segnalare, purtroppo, che le relazioni finora esaminate nella mia breve esperienza di giudice delegato alle procedure di sovraindebitamento, sono di norma scarsamente approfondite, se non a volte quasi accondiscendenti rispetto alla prospettazione dei fatti operata dal debitore.  Ho coltivato pertanto l’abitudine di chiedere l’integrazione della relazione dell’OCC su specifici punti.

Va compresa, invece, l’importanza del ruolo che si è chiamati a svolgere nel nuovo contesto normativo.

L’esdebitazione va riconosciuta soltanto al debitore onesto nel senso del diritto unionale o, se volete, usando la terminologia di diritto interno, al debitore meritevole. E l’OCC deve aiutare i creditori e il giudice a discernere da caso a caso, da debitore a debitore. L’importanza del ruolo si coglie ancora di più se si comprende la svolta epocale cui siamo chiamati.

Le norme che stiamo esaminando, come altre della L.3/2012 o alcune introdotte dal Codice della Crisi dell’Impresa e dell’Insolvenza, hanno un forte valore promozionale, in quanto tese a promuovere la realizzazione di valori che, con ogni evidenza, non appartengono alla comunità economica e sociale in cui viviamo, adusa a sotterfugi e scorciatoie, abituata al motto che “a pagare e morire c’è sempre tempo” e, perciò, ad abusare di istituti giuridici nati per altre finalità per frodare le ragioni dei creditori (l’esperienza dell’uso distorto del fondo patrimoniale e del trust, o addirittura della separazione, giudiziale o consensuale, dei coniugi, è a tal fine emblematica).

In una lettura assiologica della vicenda, si può dire che qui il diritto non sembra operare come valore di secondo grado e, quindi, dare tutela ad altri valori già emersi nella comunità, ma sembra piuttosto promuovere esso stesso la realizzazione di nuovi valori; in particolare, di un nuovo modello di imprenditore e di un nuovo modello di consumatore (come anche di un nuovo modello di finanziatore).

E’ un cambiamento culturale non semplice, non immediato, che richiede del tempo. Non è chiaro nemmeno fino a che punto esso sia esigibile e possa, pertanto, produrre i frutti sperati. Non è una scommessa semplice e scontata nell’esito. Ma è un’operazione cui, OCC e giudici, siamo tutti chiamati.



[1] Il presente scritto riproduce la relazione tenuta in data 30.4.2021 alla giornata di aggiornamento professionale organizzata dall’associazione ADR e Crisi – Commercialisti e Avvocati, giornata coordinata dalla prof.ssa Maria Lucetta Russotto dell’Università degli Studi di Firenze. Ne conserva il carattere discorsivo e informale.

[2] L’autore è giudice delegato alle procedure concorsuali e giudice delle esecuzioni immobiliari presso il Tribunale di Lucca.

[3] Secondo il quale: “Gli Stati membri dovrebbero poter stabilire che l’autorità giudiziaria o amministrativa possa verificare, d’ufficio o su richiesta di una persona avente un interesse legittimo, se l’imprenditore soddisfa i requisiti per ottenere l’esdebitazione integrale”.


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