Bancario


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 23/05/2021 Scarica PDF

Assegno di traenza e diligenza della banca negoziatrice nel controllo della persona del beneficiario

Lucrezia Cipriani, .


1.- Nel ricco panorama di pronunce inerenti alla negoziazione dei titoli di pagamento, e più in particolare dell’assegno di traenza non trasferibile, si inserisce una recente ordinanzaa della Corte Suprema di Cassazione, 14 aprile 2021, n. 9842 (Pres. Scaldaferri; Rel. Dolmetta), che ha aggiunto un tassello a chiarimento del tema del «dimensionamento» (per qualità e per quantità) della diligenza della banca negoziatrice. 

La decisione offre importanti spunti di riflessione, poiché affronta sotto una diversa prospettiva l’annosa questione degli obblighi posti in capo alla banca negoziatrice nell’identificazione del soggetto che presenta all’incasso un assegno di traenza munito di clausola di intrasferibilità, al fine di valutare in quali casi sia eventualmente configurabile la responsabilità della stessa[1].

La portata della pronuncia in esame può essere adeguatamente colta se posta in relazione all’iter giurisprudenziale in materia; che, nel prosieguo, proverò a ricostruire, partendo da una nota pronuncia di legittimità del 2007 (Pres. Carbone; Rel. Rordorf)[2] fino ad arrivare all’orientamento espresso dalla sentenza de qua.

 

2.- In via preliminare e prima di riflettere sulla portata delle varie pronunce, pare opportuno ricordare che, sul piano fattuale, la rilevanza della questione è correlata alla circostanza che l’assegno di traenza rappresenta, nei tempi attuali, uno strumento non poco diffuso nella pratica, in particolar modo nei rimborsi per danni legati a r.c. auto. Può accadere, in specie, che la compagnia di assicurazione del responsabile dei danni causati da un incidente non sia a conoscenza delle coordinate del conto corrente del beneficiario ma solo del suo indirizzo. In siffatti casi, non essendo di fatto possibile pagare mediante bonifico[3], la compagnia assicurativa emetterà un assegno di traenza a valere su conto corrente a sé intestato, munito della clausola di intrasferibilità[4].

Spesso, tuttavia, l’assegno viene spedito al beneficiario del risarcimento con mezzi meno sicuri di quelli costituiti dalla raccomandata a.r. o dall’assicurata: il riferimento va, in via segnata, all’invio per posta ordinaria[5], che comporta l’esposizione del mittente a un rischio maggiore di quello previsto dal rispetto delle regole di comune prudenza.

Sul punto, la Cassazione a Sezioni Unite (Cass., 26 maggio 2020, n. 9769: Pres. Tirelli; Rel. Mercolino) ha stabilito che la spedizione dell’assegno a mezzo posta ordinaria[6], facilitando l’incasso fraudolento delle relative somme a persona diversa dal legittimo beneficiario, si configura come «antecedente dell’evento dannoso», sicché sussiste un concorso di colpa ex art. 1227 cod. civ. con la condotta eventualmente tenuta dalla banca negoziatrice nell’identificazione del presentatore[7]. Di conseguenza, per ridurre il rischio che il titolo sia trafugato a causa delle modalità di spedizione dello stesso, la Corte ha ritenuto indubbio che la colpa del creditore-emittente incida nella determinazione del danno[8].

 

3.- Per meglio entrare nel merito del comportamento professionalmente diligente a cui la banca negoziatrice è tenuta nel verificare la rispondenza della persona che presenta l’assegno all’incasso al beneficiario effettivo dello stesso, pare opportuno inquadrare la figura dell’assegno di traenza, così da segnalarne le peculiarità[9].

In particolare, con riferimento alle caratteristiche strutturali del titolo, la Cassazione a Sezioni Unite 26 giugno 2007, n. 14712, sopra citata, ha «puntualizzato» che gli assegni di traenza differiscono dagli assegni bancari di conto corrente per diversi rilievi.

Nei primi, invero, «una banca autorizza taluno a sottoscrivere – appunto per traenza - sulla banca stessa inviandogli a tal fine un modulo di assegno appositamente predisposto con previsione di pagamento in favore del traente medesimo o di altro eventuale soggetto indicato come beneficiario»[10]. Quest’ultimo, ricevuto il modulo di assegno, lo sottoscriverà «per traenza», sicché è evidente che, nel momento in cui viene inoltrato il titolo al beneficiario, lo stesso risulta privo di firma, che sarà inserita nel documento solo successivamente, ovverosia quando il titolo viene presentato alla banca negoziatrice per l’incasso. Ciò significa – ha soggiunto la pronuncia – che «non già la banca trattaria, bensì soltanto la banca negoziatrice è tenuta ed è concretamente in condizione di controllare l’autenticità della firma di colui che, girando l’assegno per l’incasso, lo immette nel circuito di pagamento», così chiarendo che spetta alla banca negoziatrice del titolo porre in essere tutti gli adempimenti necessari per la verifica ed il controllo del corretto beneficiario; e che, conseguentemente, non è sulla banca trattaria, bensì sulla negoziatrice, che grava la responsabilità finale per errore nell’identificazione.

 

4.- L’architettura costitutiva dell’assegno di traenza, appena accennata, non esclude che lo stesso sia inquadrabile nella figura dell’assegno bancario, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di normativa applicabile.

La pronuncia a Sezioni Unite di cui sopra ha infatti puntualizzato che «le peculiarità di tali titoli [...] non toglie che essi siano riconducibili al genus dell’assegno bancario»[11].

Al di là del fatto che l’emissione di un assegno di traenza presuppone – come nel caso dell’assegno bancario – un rapporto contrattuale, la Corte ha evidenziato che tale tipologia di titoli contiene, in verità, tutti i tratti principali che configurano l’assegno.

Invero, gli stessi possono essere sia trasferiti mediante girata, sia limitati nel loro trasferimento attraverso l’apposizione sul documento della c.d. clausola di non trasferibilità.

Con tali osservazioni, di particolare rilievo, la Corte ha dunque confermato che la disciplina applicabile alla circolazione e al pagamento di un assegno di traenza altro non è che quella stabilita dal legislatore in materia di assegno bancario non trasferibile; disciplina che, come è noto, trova la sua collocazione nell’art. 43 legge assegni, il cui primo comma stabilisce che «l’assegno emesso con clausola di non trasferibilità può essere pagato soltanto al prenditore o, a richiesta di costui, accreditato sul suo conto corrente, e che il prenditore non può perciò girarlo, se non ad un banchiere per l’incasso»[12].

 

5.- Attesa l’applicazione all’assegno di traenza della disciplina propria dell’assegno bancario, ne deriva che al primo si applica la disciplina di responsabilità propria del secondo.

Rileva dunque in proposito che le Sezioni Unite sono venute a esprimersi sull’interpretazione e sul contenuto della norma di cui all’art. 43 legge assegni per precisare la natura della responsabilità della banca negoziatrice con la nota sentenza del 21 maggio 2018, n. 12477. Questa, con particolare riguardo all’interpretazione del secondo comma dell’art. 43[13], ha espresso il principio per cui la responsabilità della banca negoziatrice (l’unica concretamente in grado di operare controlli sull’autenticità dell’assegno e sull’identità del soggetto che lo immette nel circuito di pagamento) ha «natura contrattuale»[14]. La ratio di tale scelta si rinviene nell’obbligo professionale di protezione (obbligo preesistente, specifico e volontariamente assunto), operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine dell’operazione, posto in capo alla banca affinché il titolo sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità alle regole che ne presidiano la circolazione e l’incasso[15].

In tale direzione, la sentenza ha rilevato, da un lato, come le regole di circolazione e pagamento dell’assegno munito di clausola di non trasferibilità risultino sostanzialmente mirate alla tutela dei diritti dei terzi che, a vario titolo, hanno un interesse, ovvero un’aspettativa, nella circolazione di uno specifico titolo; dall’altro, che la concreta esecuzione del pagamento è rimessa a un soggetto dotato di specifica professionalità, strumenti e competenze, qual è la banca[16].

 

6.-Come specificato nel punto 3, la dinamica strutturale dell’assegno di traenza comporta l’assenza di sottoscrizioni sul documento nell’intero arco temporale che va dal momento in cui viene spedito il titolo all’indirizzo del beneficiario fino alla presentazione dello stesso per l’incasso da parte del creditore (apparente o effettivo), che, come detto, figura come traente.

A fronte di questa caratteristica (solitamente non presente, in effetti, nel contesto dell’assegno bancario), appare necessario comprendere come le peculiarità dell’assegno di traenza si riflettano in termini di responsabilità e in che modo la prassi sia riuscita a gestirle.

Per lungo tempo, le banche negoziatrici (che, nel concreto, il più delle volte sono rappresentate dalle Poste Italiane) si sono nella prassi adeguate a una circolare dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI) del 7 maggio 2001; ciò in quanto - come già affermato da Cass., 14 maggio 2014, n. 10464 (Pres. Ceccherini; Rel. Nazzicone) - i regolamenti e le convenzioni emanati dall’ABI hanno, di norma, natura contrattuale.

La circolare de qua si è occupata in modo specifico dello standard di diligenza richiesto alla stessa banca negoziatrice dell’assegno[17] e, tra le altre indicazioni, ha segnalato l’opportunità che la banca richiedesse non più uno, bensì due documenti personali muniti di fotografia, al fine di rendere più sicura l’attività di identificazione del soggetto portatore del titolo e legittimo beneficiario del pagamento.

 

7. La prassi, tuttavia, non ha superato il vaglio del giudice di legittimità, che – senza alcuna riserva – ha ritenuto non attribuibile alcun valore «cogente» alla segnalazione dell’associazione.

Si richiama, al riguardo, la pronuncia di Cass., 19 dicembre 2019, n. 34107 (Pres. De Chiara; Rel. Amatore), la quale ha argomentato –  in negativo – che «sebbene sia astrattamente predicabile che lo standard di diligenza richiedibile al debitore della prestazione professionale, secondo la clausola generale contenuta nel secondo comma dell'art. 1176 cod. civ.[18], possa essere estratto [...] anche da regolamentazioni di natura negoziale dettate da associazioni di categorie professionali (come nel caso dell'ABI) - nel caso di specie non possa essere riconosciuta alcuna natura precettiva [...] ad un ‘regolamento’».

In sostanza, la circolare del 7 maggio 2001 altro non è – secondo quanto specificato dalla Corte – che una «lettera indirizzata agli iscritti», ovverosia una «raccomandazione» priva di cogenza negoziale; così intesa, la stessa – ha proseguito la sentenza citata – non introdurrebbe alcuna prescrizione per gli associati, limitandosi piuttosto a «segnalare» agli stessi l’opportunità di adottare prassi operative virtuose mirate a minimizzare il rischio di essere travolti in eventuali contenziosi risarcitori[19]. La sentenza da ultimo richiamata[20] ha altresì evidenziato che la presunta necessità di richiedere due documenti identificativi dotati di fotografia quale regola di condotta prudenziale, in realtà, «non è rintracciabile neanche negli standard valutativi di matrice sociale ovvero ricavabili all’interno dell’ordinamento positivo»; argomentando – stavolta in positivo – che «l’attività di identificazione delle persone fisiche avviene normalmente tramite il riscontro di un solo documento di identità personale (carta d’identità, passaporto ovvero patente di guida) sia nell’ambito delle attività aventi rilevanza pubblicistica sia nell’ambito dell’attività negoziale tra privati[21]».

A prescindere dalle regole di condotta rinvenibili nell’ordinamento, la pronuncia ha altresì specificato che l’esibizione di due documenti d'identità, pur rendendo più difficile la contraffazione degli stessi, non elimina con certezza la possibilità che il soggetto non legittimato riesca, in ogni caso, a effettuare anche la contraffazione del secondo documento identificativo richiesto; sicché non pare neppure necessaria la richiesta di un doppio controllo identificativo, come suggerito invece dalla circolare ABI.

 

8.- L’orientamento giurisprudenziale sopra espresso è stato in via ulteriore specificato, di recente, con l’ordinanza di Cass, 12 febbraio 2021, n. 3649 (Pres. De Chiara; Rel. Fidanzia), la quale, nel confermare la sufficienza del controllo di un solo documento di identità personale, ha rilevato che negli standard valutativi di matrice sociale, ovvero ricavabili all'interno dell'ordinamento positivo, non sussiste alcuna regola di condotta che imponga ulteriori accertamenti in via prudenziale. Inoltre, la pronuncia ha evidenziato che, con riferimento ai rapporti tra intermediari e clienti, la norma di cui all’art. 19, comma 1, lett. a), d. lgs n. 231/2007 (c.d. legge antiriciclaggio), avente a oggetto le modalità di adempimento degli obblighi di adeguata verifica della clientela, prevede che l'identificazione e la verifica della clientela debba essere svolta, in presenza del cliente, con il solo controllo del documento di identità, purché lo stesso «non risulti scaduto prima della instaurazione del rapporto continuativo»[22].

In altri termini, la Corte ha sottolineato che la stessa disciplina antiriciclaggio ha ritenuto idoneo il controllo di un solo documento ai fini dell’esonero dell’intermediario da responsabilità per violazione del principio di diligenza ex art. 1176, comma 2, cod. civ.

La tesi sviluppata dalla pronuncia ha precisato, comunque, che la carta d'identità (alla stregua del passaporto, della patente o di qualsivoglia documento valido di identificazione) «costituisce uno strumento sufficiente per una diligente identificazione» a condizione che sul documento «non siano rilevabili segni o altri indizi di falsità».

In conclusione, qualora il titolo di pagamento presenti qualche forma di irregolarità, o siano rinvenibili indizi di falsità dello stesso, la carta di identità per sé non risulta essere documento sufficiente per sgravare la banca negoziatrice da responsabilità.

 

9.-Un passo ulteriore rispetto alle pronunce finora esaminate è stato compiuto – come preannunciato all’inizio[23] – dall’ordinanza di Cass., 14 aprile 2021, n. 9842, che ha chiarito gli aspetti e i criteri da prendere in considerazione sotto il profilo della valutazione del diligente comportamento della banca negoziatrice nell’ambito dell’espletamento delle dovute verifiche[24].

Riprendendo la motivazione della decisione a Sezioni Unite del 2007, la pronuncia ha ritenuto opportuno evidenziare che la mancata disponibilità di sottoscrizioni di comparazione della firma di traenza innalza necessariamente il livello di attenzione richiesto nell’attività di controllo. Per tale ragione, non potendo l’istituto di credito comparare la firma apposta sul titolo di credito con il c.d. cartoncino o specimen delle firme[25] ai fini della verifica dell’identità del cliente, la verifica da compiere per il rispetto del criterio della diligenza professionale ex art. 1176, comma 2, cod. civ.[26] va orientata verso profili attinenti alla concreta fattispecie.

Il riferimento va, dunque, alla circostanza che, nel caso dell’assegno di traenza, il controllo identificativo risulta di per sé affidato alla verifica dei vari dati «extra-cartolari» che la singola fattispecie viene a presentare nel caso concreto.

Come abbiamo visto sopra[27], inoltre, la presentazione di più di un solo documento di identità non impedisce la contraffazione di tutti i documenti presentati; né, comunque, la contraffazione di più documenti costituisce un incremento di difficoltà rispetto a quella connessa alla contraffazione di un solo documento.

Ciò significa che l’attività di controllo della rispondenza della persona che presenta il titolo al reale beneficiario non deve basarsi tanto sulla firma di traenza apposta sul titolo nel momento della sua presentazione, né tantomeno sulle caratteristiche dell’‘intrinseco’ documentale: risulta, invece, più opportuno, alla luce del quadro delineato, far riferimento agli standard valutativi presenti nella realtà sociale, costituiti bensì dal controllo e dallo scrupoloso esame dei documenti di identità personale del presentatore da parte della banca negoziatrice, ma soprattutto dall’esame dei sospetti extra-documentali. O meglio: ferma restando, chiaramente, la necessità (e l’opportunità) di procedere in primis al controllo meticoloso di uno dei documenti riconosciuti come tali dall’ordinamento vigente – contenenti pure una rappresentazione «visiva» del loro titolare (e.g. carta di identità, passaporto ovvero patente di guida), la banca dovrebbe successivamente procedere all’acquisizione di ulteriori informazioni[28], non potendo accontentarsi di identificare il cliente per mezzo di un mero controllo documentale.

In una simile prospettiva, l’attività della banca dovrà volgersi in via elettiva all’effettuazione di un unico controllo dei documenti di identità sopra indicati. Tuttavia, poiché la questione del rispetto della diligenza professionale attiene, per propria natura, non tanto alla quantità di verifiche effettuate, quanto piuttosto alla qualità delle stesse, la Corte ha dedotto che la positiva effettuazione di un controllo tramite il mero riscontro documentale non esaurisce completamente la tematica del comportamento diligente a cui la banca negoziatrice è tenuta per adempiere all’obbligo di diligente verifica.

Pertanto, – ha proseguito – «in una simile prospettiva non vi è ragione oggettiva per assegnare al documento d’identità un valore senz’altro esaustivo o tale da mettere sempre e comunque a tacere ogni diversa indicazione che, nell’eventualità, il contorno della fattispecie concreta venga a presentare». Orbene, se è vero che «il controllo affidato al documento di identità si pone come aspetto ‘naturale’ (o prioritario, o anche tipico, se si preferisce)», è pur vero che la sussistenza concreta di una serie di circostanze particolari, ovverosia «anomali», idonee a destare un «oggettivo sospetto» circa la non rispondenza del soggetto presentatore dell’assegno al legittimo beneficiario dello stesso, impone l’espletamento di verifiche ulteriori (aventi un maggiore grado di specificità e accuratezza rispetto a quelle ordinarie).

 

10.- L’ordinanza della Corte[29] ha individuato, in particolare, i seguenti fattori di sospetto: i) il soggetto che chiede l’incasso non risulta essere cliente abituale della banca; ii) l’apertura di un libretto postale e la richiesta di riscossione della somma avvengono in un brevissimo arco temporale e quasi congiuntamente; iii) l’ufficio postale utilizzato per compiere le operazioni risulta molto distante rispetto all’indirizzo dell’effettivo beneficiario.

Tra l’altro, scorrendo i provvedimenti più recenti[30] è agevole rilevare che tali circostanze si ripresentano con forte frequenza, al punto che la stessa ordinanza ha affermato che sussiste «una catena di circostanze che rappresenta una delle modalità più diffuse e conosciute di «trarre profitto» da assegni di traenza sottratti dalla loro destinazione naturale»; catena da prendere in considerazione per valutare la sussistenza di segnali di sospetto nelle singole fattispecie.

Sotto tale punto di vista, si evince, dunque, che pur non essendo essenziale, ovvero necessario, il controllo di un unico documento personale di riconoscimento, la presenza – da valutare caso per caso – di ulteriori segnali di peso in sé significativo (divergenti da quelli messi in luce dal riscontro di un solo documento di identità), deve mettere in discussione l’esito del controllo e portare a esigere l’effettuazione di ulteriori, più specifici e approfonditi controlli, nonché l’adozione di maggiori cautele[31]. È chiaro, infatti, che sotto il profilo della valutazione della diligenza, una condotta della banca negoziatrice che non tenga conto di una simile «catena» di eventi, che si ripete costantemente, aggrava la responsabilità posta in capo alla stessa.



[1] Sulla ricostruzione della disciplina dell’assegno e della clausola di intrasferibilità cfr. SANTONI, Gli assegni non trasferibili, Napoli, 1988, passim; MARTORANO, Pagamento di assegno non trasferibile, in I titoli di credito, a cura di Pellizzi, Milano, 1980, 361; COTTINO, Noterelle su un tema controverso: l’art. 43 legge assegni, in Riv. dir. imp., 2005, 3; MICHELI-DE MARCHI, Assegno bancario. Diritto privato, in Enc. dir., III, Milano, 1958, 335; TEDESCHI, Assegno bancario, assegno circolare e assegni speciali, in D. disc. priv., sez. comm., Torino, 1985, 287; BUTTARO, Assegno bancario, assegno circolare, assegni speciali, in Noviss. Digesto it., Torino, 1958, 1072; LAMBO, Appunti sulla responsabilità della banca per il pagamento di assegno non trasferibile al falso legittimato, in Foro it., 1999, I, 800; PATRONI GRIFFI, Banca emittente, banca girataria e richiedente nel pagamento dell'assegno circolare "non trasferibile" al non legittimato, in Banca, borsa, tit. cred., 1980, I, 358.

[2] Cass., Sez. Un., 26 giugno 2007, n. 14712, in Banca, borsa, tit. cred, 2008, II, 567, con nota di CIOCCA, Responsabilità della banca girataria per l’incasso per il pagamento di assegno (di traenza) non trasferibile; successivamente, conformandosi al principio di diritto, Cass., 13 maggio 2009, n. 11130 (Pres. Luccioli; Rel. Tavassi); Cass., 30 marzo 2010, n. 7618 (Pres. Senese; Rel. Vivaldi) e Cass., 22 maggio 2015, n. 10534 (Pres. Carleo; Rel. Ambrosio).

[3] Come è noto, il bonifico bancario o postale è un ordine impartito dal titolare di conto corrente alla propria banca, avente ad oggetto l’accredito di una determinata somma a favore di un soggetto identificato con i) nome, ii) cognome o ragione sociale, iii) codice IBAN. Il pagamento mediante bonifico risulta molto più semplice e sicuro rispetto all’accredito della somma mediante assegno, in quanto, per un verso, la banca – in virtù del rapporto di mandato con il proprio cliente – è tenuta ad adempiere immediatamente; per altro verso, i trasferimenti di denaro tramite bonifico offrono una traccia in tempo reale del pagamento effettuato, così fornendo una maggiore garanzia circa l’incasso delle somme da parte del legittimo beneficiario.

[4] Si veda, ex multis, Cass., Sez. Un., 21 maggio 2018, n. 12477 (Pres. Canzio; Rel. Cristiano); cfr. anche Cass., 14 aprile 2021, n. 9842 cit.

[5] Trattasi di un metodo molto rischioso, poiché la spedizione via posta ordinaria non garantisce né la prova dell’invio né tantomeno del ricevimento. Inoltre, l’eventuale smarrimento del titolo non è coperto da alcuna assicurazione, per cui se la lettera non dovesse arrivare a destinazione, il pagamento si intende come non eseguito, sicché il creditore avrebbe diritto a un nuovo assegno.

[6] Il rischio di trafugamento (e della successiva alterazione) di un assegno inviato per posta ordinaria costituisce ormai nozione di comune esperienza, essendo molteplici i casi di consumazione di tale illecito fino a quando non è prevalso l’utilizzo di modalità di pagamento telematiche (v. Cass., Sez. Un., 21 maggio 2018, n. 12477). La Corte di Cassazione muove dalla considerazione che il pagamento dell'assegno al creditore apparente genera certamente un danno al traente, ma non è una circostanza imprevedibile nella sequenza di eventi in atto, iniziata con la spedizione postale dell'assegno; la conseguenza logica è la sua inidoneità a interrompere il nesso causale e quindi, ferma restando l'eventuale responsabilità colposa della banca negoziatrice, deve essere valutata anche la responsabilità del mittente ai sensi dell'art. 1227, comma 1, cod. civ.RICCI, Circolazione titoli e pagamento dell'assegno a soggetto non legittimato. Il tramonto della responsabilità oggettiva, in Banca, borsa, tit. cred., 2019, 318 ss.

[7] Cass., Sez. Unite, 26 maggio 2020, n. 9769: «la spedizione per posta ordinaria di un assegno, ancorché munito di clausola di intrasferibilità costituisce, in caso di sottrazione del titolo e riscossione da parte di un soggetto non legittimato, condotta idonea a giustificare l’affermazione di colpa del mittente», cit.

Sul punto cfr. anche Trib. Milano, 28 giugno 2005, in Banca, borsa, tit. credito, 2008, II, 151. Di diverso avviso Trib. Milano, 27 maggio 1991, in Banca, borsa, tit. credito, 1992, II, 587 e App. Torino, 25 gennaio 2012. in Giur. it., 2012, 2298, secondo cui nell’ipotesi sia inviato «un assegno bancario di traenza a mezzo posta ordinaria» e sia poi rivendicato «un risarcimento dei danni patiti a seguito del mancato pervenimento a destinazione del titolo, la totale mancanza di diligenza della banca negoziatrice nella fase di negoziazione del titolo rappresenta un fattore causativo del danno idoneo a svolgere un’efficienza causale esclusiva e assorbente, tale da escludere qualsivoglia relazione eziologica concorrente tra l’invio dell’assegno con la suddetta modalità e la sua finale sottrazione alla disponibilità del legittimato beneficiario».

[8] Cfr. BENCINI, Spedizione di assegno via posta ordinaria: il concorso di colpa dell’emittente, in Diritto&Giustizia, 2019, 7, fasc. 11.

[9] In via preliminare, la pronuncia ha chiarito che l’espressione “colui che paga”, adoperata dall’art. 43, comma 2, legge assegni., va intesa in senso ampio, sì da riferirsi non solo alla banca trattaria (o all’emittente, nel caso di assegno circolare), ma anche alla banca negoziatrice. Tale disposizione, inizialmente prevista dall’art. 5 r. d. n. 2283/1923, è stata confermata dall’Allegato 2 della Convenzione di Ginevra sull’assegno bancario del 1931, e oggi si applica esclusivamente agli assegni pagabili in Italia. Cfr. SPAGNUOLO, La responsabilità della banca per l'errata identificazione del prenditore di assegno non trasferibile, in Banca, borsa, tit. cred., 2019, 306; SUPINO-DE SEMO, Della cambiale e dell’assegno bancario, Torino, 1935; FERRERO, Assegno in diritto uniforme, in D. disc. priv., sez. comm., I, Torino, 1987, 328 ss.

[10] A differenza dell’assegno di conto corrente, la pronuncia ha Sezioni Unite ha puntualizzato che quello di traenza non presuppone la sussistenza di una convenzione di assegno tra la banca e il proprio correntista.

[11]  Cfr., ex multis, Appello Milano, sez. I, 21 luglio 2020, n. 1929; Appello Firenze, sez. II, 10 febbraio 2020, n. 355; Appello Venezia, sez. I, 02 maggio 2019, n. 1801; Tribunale Milano, sez. VI, 14 marzo 2019, n. 2491; Tribunale Vicenza, 28 febbraio 2019, n. 491; Appello Milano, sez. I, 7 giugno 2017, n. 2512.

[12] CIOCCA, Responsabilità della banca girataria per l’incasso per il pagamento di assegno (di traenza) non trasferibile, nota a sentenza, in Banca, borsa, tit. cred., fasc. 5, 2008, 567.

[13]  In una prima, risalente, pronuncia (Cass., 7 ottobre 1958, n. 3133: Pres. Oggioni; Rel. Stella Ritcher) si sostenne che l’art. 43, comma 2, legge assegni non configura un’obbligazione risarcitoria della banca verso il prenditore, ma attiene all’obbligazione cartolare originaria, che non è stata validamente adempiuta e che deve quindi essere ancora adempiuta con un nuovo pagamento a favore del legittimato, senza che rilevi la difficoltà nell’identificazione del presentatore del titolo. L’orientamento espresso nella citata decisione fu abbandonato a partire da Cass., 9 luglio 1968, n. 2360 (Pres. Rossano; Rel. Malfitano): la sentenza (cui successivamente si uniformarono Cass. nn. 3317/78, 5118/79, 686/83, 4187/87, 4087/92, 10460/94, 9888/97) affermò che chi esegue il pagamento di un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore, ma che si legittima come tale, ne risponde verso l’effettivo prenditore soltanto nei casi in cui non è rispettata la dovuta diligenza nell’identificazione del presentatore del titolo.

Gli argomenti addotti da Cass., 9 luglio 1968, n. 2360 furono ritenuti non convincenti da Cass., 9 febbraio 1999, n. 1098 (Pres. Cantillo; Rel. Losavo), che confermò l’orientamento espresso dalla sentenza del 1958, sostenendo che la disciplina dell’assegno non trasferibile si discosta da quella di diritto comune di cui all’art. 1189 cod. civ., sicchè la banca che abbia effettuato il pagamento a chi non era legittimato non è liberata dalla propria obbligazione finché non paghi al prenditore esattamente individuato, e ciò a prescindere dalla sussistenza dell’elemento della colpa nell’errore sull’identificazione (cfr. anche Cass. nn. 1978/2000, 9141/2001, 10190/2001, 3654/2003, 7949/2010). Alle pronunce conformi a tale indirizzo nel 2016 se ne sono affiancate altre, che hanno nuovamente assegnato centralità al criterio della colpa ex art. 1176, comma 2, cod. civ. Cfr. sul punto SPAGNUOLO, La responsabilità della banca per l'errata identificazione del prenditore di assegno non trasferibile, in Banca, borsa, tit. cred., 2019, 300; su Cass., 9 luglio 1968, n. 2360, cfr.  Banca, borsa, tit. cred., 1968, II, 495 con nota di MOLLE, Clausola «non trasferibile» e responsabilità nel pagamento, nonché Riv. dir. comm., 1969, II, 332, con nota di SCIALOJA, In tema di responsabilità della banca per il pagamento di assegni non trasferibili; Cass., 9 febbraio 1999, n. 1098, in Foro it. 1999, I, 799, con nota di LAMBO, Appunti sulla responsabilità della banca per il pagamento di assegno non trasferibile al falso legittimato e in Giust. civ. 1999, I, 3021, con nota di SCHERMI, Assegno non trasferibile e responsabilità del banchiere.

[14] Sub specie del c.d. contatto qualificato, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 cod. civ. e da cui derivano i doveri di correttezza e buona fede, con esclusione, dunque, di ogni riferimento al canone della responsabilità oggettiva. Sul punto, la sentenza di Cass., Sez. Un., 21 maggio 2018, n. 12477 ha evidenziato, verbatim, che «una responsabilità oggettiva può infatti concepirsi solo laddove difetti un rapporto in senso lato “contrattuale” tra danneggiante e danneggiato, ed il primo sia chiamato a rispondere del fatto dannoso nei confronti del secondo non per essere con questi entrato in contatto, ma in ragione della particolare posizione rivestita o della relazione che lo lega alla res causativa del danno». Si ricorda che il principio di una responsabilità oggettiva della banca è stato abbandonato dalla Corte solo a partire dalla sentenza di Cass., 9 luglio 1968, n. 2360, secondo cui la norma di cui all’art. 43, comma 2, legge assegni non comporta alcuna deroga ai principi generali in tema di identificazione del presentatore dei titoli a legittimazione nominale, per cui l’errore nella identificazione del prenditore, se diligentemente attuata, libera la banca da responsabilità.

[15] Sul punto è ancora da aggiungere, sulla scia di questo precedente, la decisione di Cass., 19 dicembre 2019, n. 34107 (Pres. De Chiara; Rel. Amatore), la quale ha richiamato espressamente il principio secondo cui l’operatore professionale è tenuto a rispondere anche in ipotesi di colpa lieve ai sensi dell’art. 1176, comma 2, cod. civ.

[16] SPAGNUOLO, La responsabilità della banca per l'errata identificazione del prenditore di assegno non trasferibile, in Banca, borsa, tit. cred., 2019, 301; SCOGNAMIGLIO, Sulla responsabilità dell’impresa bancaria per violazione di obblighi discendenti dal proprio status, in Giur. it., 1995, IV, 356; ID., Ancora sulla responsabilità della banca per violazione di obblighi discendenti dal proprio status, in Banca, borsa, tit. cred, 1997, II, 655; TUCCI, Pagamento di assegno non trasferibile all’apparente legittimato e responsabilità della banca, in Banca, borsa, tit. cred, 2002, I, 341.

[17] Cfr. la nota a sentenza Cass., 21 maggio 2019, n. 12477 di NOBILI, Risolto il contrasto sulla natura giuridica della responsabilità da pagamento dell’assegno non trasferibile a soggetto non legittimato, in ridare.it, fasc. 11 ottobre 2018.

[18] La norma di cui all’art. 1176, comma 2, cod. civ. va intesa nella sua accezione di «norma elastica» integratrice del contenuto contrattuale.

[19] Si ricorda, comunque, che i regolamenti e le convenzioni dettate dall'ABI hanno, solitamente, natura giuridica contrattuale (cfr., ex multis, Cass., Sez. 1, 14 maggio 2014, n. 10464; Cass., Sez. 1, 6 giugno 2003, n. 9095).

[20] Cass., 19 dicembre 2019, n. 34107 (cfr. anche Cass., 19 dicembre 2019, n. 34108).

[21] Con riferimento alle attività aventi rilevanza pubblicistica si pensi all’attività di identificazione da parte degli organi di polizia giudiziaria; di contro, l’attività negoziale tra privati si riferisce alle attività collegate a scambi commerciali ovvero, in generale, alle attività di natura contrattuale che presuppongono la corretta identificazione dei soggetti contraenti.

[22] L’adozione di misure ulteriori adeguate e commisurate di rischio è imposta esclusivamente nel caso in cui la clientela sia costituita da persone giuridiche, trust o soggetti analoghi: in tali casi, la disciplina antiriciclaggio prevede, inter alia, il ricorso a pubblici registri, elenchi, etc. per l’identificazione e la verifica dell’identità del cliente.

[23] Supra, punto 1.

[24] Banca e finanza – titoli di credito. Assegno di traenza: il controllo sui documenti non è sufficiente, in www.dirittobancario.it, 20 aprile 2021.

[25] Https://www.bankpedia.org.

[26] Da siffatto criterio ne consegue che la banca negoziatrice che paghi l’assegno non trasferibile a persona diversa dall’effettivo prenditore è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza nascente, ai sensi del comma 2 dell’art. 1176 cod. civ., dalla qualità di operatore professionale, tenuto a rispondere del danno anche in ipotesi di colpa lieve (cfr. sul punto anche Cass., 7 marzo 2019, n. 6710; Cass., 20 maggio 2019, n. 13568; Cass., 1° luglio 2019, n. 17641: Pres. Genovese; Rel. Dolmetta).

[27] Supra, punto 7.

[28] Cass., Sez. Un., 21 maggio 2018, n. 12477.

[29] Cass., 14 aprile 2021, n. 9842.

[30] Da ultimo Cass., 14 maggio 2021, nn. 9845, 13148, 13149, 13150, 13151, 13152 (Pres. Scaldaferri; Rel. Dolmetta).

[31] Si precisa che l’accertamento del rispetto della doverosa diligenza professionale nell’identificazione del portatore del titolo costituisce apprezzamento di fatto, riservato all’esclusiva competenza del giudice di merito, dunque non censurabile in sede di legittimità. Sul punto v. LEO, La diligenza professionale, in I precedenti. La formazione giurisprudenziale del diritto civile, a cura di Alpa, Torino, 2000, 561 ss.


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