Civile
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 07/05/2021 Scarica PDF
Infortuni sul lavoro: responsabilità del datore di lavoro. Rischio prevedibile o diritto dell'imprevedibile?
Bruno Beneduce, Avvocato in NapoliCorte di Cassazione, IV sezione penale, 15 febbraio 2020, n. 845
Il conferimento a terzi della delega relativa alla redazione del documento di valutazione dei rischi non esonera il datore di lavoro dall’obbligo di verificarne l’adeguatezza e l’efficacia, di informare i lavoratori dei rischi connessi ai lavori in esecuzione e di fornire una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza.
Sommario: 1. Il caso – 2. Gli obblighi fondamentali nel sistema di prevenzione: la valutazione dei rischi ed il DVR. - 3. Delegabilità della redazione del DVR e corresponsabilità. - 4. L’esclusione della responsabilità del datore di lavoro per condotta imprudente o anomala del lavoratore.
1. Il caso
Con la sentenza in commento la Corte torna ad occuparsi del reato colposo omissivo e della responsabilità del datore di lavoro in tema di sicurezza sul lavoro ed in particolare, degli obblighi e delle responsabilità del datore di lavoro quale destinatario - in quanto garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro - del generale obbligo di sicurezza, ribadendo i confini dell'area di esclusione della responsabilità penale nell’ipotesi di concorso di colpa del lavoratore per condotta anomala quando tale ultima, pur imprudente o inutile, non risulti eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell'ambito del ciclo produttivo.
Nel caso in esame, la Corte di Appello di Napoli, condannava il datore di lavoro per colpa generica e per la violazione della normativa per la prevenzione degli infortuni sul lavoro di cui agli art. 18, comma 1, lett a e b, art. 28 comma 2 lett a e 71 comma 7 lett lett a e b d.lgs 81 del 2008, poiché ritenuto responsabile delle lesioni personali gravissime subite dal lavoratore; in particolare quest'ultimo, operaio apprendista, effettuava le operazioni di pulizia con la macchina ribobinatrice in moto, rimanendo con la mano sinistra incastrata nell'accoppiamento dei rulli.
La Corte territoriale condivideva le valutazioni degli appellanti in ordine alla necessità di predisposizione del Documento di valutazione dei rischi (d’ora in poi DVR), connessa all'uso del macchinario ex art. 28 comma 2 lett.a) d.lgs n. 81 del 2008 e all'obbligo del datore di lavoro di formazione dei lavoratori ai sensi dell'art. 71, comma 7, lett a) e b) d.lgs 81 del 2008, accedendo ad una interpretazione, diversa da quella privilegiata dal giudice di prime cure, circa l'obbligatorietà della predisposizione del DVR e dell'informazione e formazione dei lavoratori sui rischi connessi all'uso dei macchinari.
Il giudice di secondo grado, rilevata la mancanza di idonea documentazione attestante l'avvenuta formazione con particolare riferimento ai rischi connessi con l'uso della macchina ribobinatrice, ribadiva che soltanto la prova della effettiva informazione e dell'avvenuta formazione specifica dei lavoratori addetti alla macchina circa i rischi inerenti alle loro mansioni e le corrette procedure di utilizzo e manutenzione, mediante la disposizione di periodici corsi specifici e la predisposizione di un DVR di valutazione aggiornato ( in ispecie insussistente ) avrebbe consentito di ritenere abnorme la condotta del lavoratore e, dunque, idonea ad interrompere il nesso di causalità con l'evento dannoso; nel caso, l'azione del lavoratore, seppur inutile e imprudente, non risultava eccentrica rispetto alle mansioni a lui assegnate nell'ambito del ciclo produttivo. In tal senso, la Corte chiariva che la condotta dell'operaio infortunato rientrava nell'area delle azioni prevedibili e prevenibili dal garante, compatibili con la lavorazione in corso e col contesto di lavoro, ed ha pertanto aderito al consolidato indirizzo giurisprudenziale[1] secondo cui, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme - e quindi idonea a escludere il nesso di causalità - è necessario non tanto che essa sia imprevedibile quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia [2].
2. Gli obblighi fondamentali nel sistema di prevenzione: la valutazione dei rischi e il DVR
I “principi generali” sui quali si innerva e si sviluppa il sistema normativo di tutela della salute e sicurezza in azienda, originano fondamentalmente dall’art. 2087 c.c. e dall’art. 15 d.lgs. 81/2008. Quest’ultima fonte provvede ad articolare, in relazione a ciascuno dei soggetti obbligati, gli specifici doveri di prevenzione di cui sono destinatari.
È agevole comprendere come lo snodo cruciale di tutto il complesso sistema di obblighi sia costituito dalla valutazione dei rischi (e dal relativo DVR), alle condizioni e modalità espressamente previste dagli artt. 28 e 29 d.lgs. 81/2008. La Valutazione dei Rischi (e dal relativo DVR che in ragione della sua rilevanza, attualmente[3] non può non avere “data certa) deve fornire, dettagliata, la fotografia della azienda relativamente alla organizzazione e gestione della sicurezza e deve rispettare alcune condizioni essenziali: essa deve essere preventiva, pur nel periodico, necessario aggiornamento conseguente ad ogni contingente modifica nell’assetto organizzativo “dato” oltre che, evidentemente, al verificarsi di eventi pericolosi, di infortuni ovvero di prevedibili rischi per la salute di lavoratori che ne suggeriscano o impongano una verifica ed eventuale revisione; deve avere ad oggetto tuttii possibili “rischi”.
Il DVR è uno strumento duttile, suscettibile di essere in ogni momento aggiornato per essere costantemente al passo con le esigenze di prevenzione che si ricavano dalla pratica giornaliera dell’attività lavorativa.
La specificità delle previsioni contenute nel documento di valutazione - tra i quali assume particolare rilievo “l’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare nonché dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono prevedere” ( art. 28, 2^ comma, lett.d d.lgs 81/2008) - per costante orientamento della giurisprudenza[4], costituisce elemento essenziale nella economia della gestione del rischio facente capo al datore di lavoro. Si è ripetutamente affermato che il datore di lavoro è tenuto ad individuare con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda.
Il tema della “massima sicurezza tecnologicamente possibile” costituisce peraltro il principio che caratterizza il modello italiano di prevenzione[5] e che trova conferma nella legislazione di scaturigine comunitaria[6]. Tale principio costituisce l’approdo di un lungo dibattito di dottrina e giurisprudenza che anche dopo l’intervento della Corte Costituzionale [7] non sembra certamente esaurito[8].
Il principio della massima sicurezza tecnologicamente possibile trova, peraltro, esplicito riconoscimento in molte disposizioni del d.lgs 81/2008, sia in tema di misure generali di tutela, - laddove, ad es., si prevede “l’eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico” (art. 15, 1^ comma, lett. c) od ancora, la previsione di obblighi a carico del datore di lavoro e del dirigente, i quali sono tenuti ad aggiornare le misure di prevenzione in relazione, tra l’altro, “al grado di evoluzione della tecnica della prevenzione e della protezione (art. 18, comma 1^, lett z)” - sia nelle tematiche specifiche, in relazione ad esempio all’uso delle attrezzature di lavoro.[9]
3. Delegabilità della redazione del DVR e corresponsabilità.
Al datore di lavoro è attribuito in via esclusiva il compito di predisporre il documento di valutazione dei rischi, il piano operativo di sicurezza, nonché la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP). Si tratta di doveri non delegabili, tranne che in presenza di rischi particolarmente complessi e specifici: tuttavia il conferimento a terzi della delega - o comunque il coinvolgimento di terzi nella redazione di tali documenti - non esonera il datore di lavoro dall'obbligo di verificarne l'adeguatezza e l'efficacia, di informare i lavoratori dei rischi connessi ai lavori in esecuzione e di fornire loro una formazione sufficientemente adeguata in materia di sicurezza e salute, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro e alle proprie mansioni.
Il ricorso all'ausilio di professionisti specializzati, invero, non implica alcuna possibilità di far ricadere sugli stessi le responsabilità di cui è espressamente onerato il datore di lavoro ma significa soltanto la opportunità, per quest’ultimo, di potersi avvalere - facendole proprie - di segnalazioni, raccomandazioni, consigli precauzionali e prevenzionali espressi dagli specialisti medesimi in ordine agli aspetti particolari dell’attività lavorativa per la quale è stato sollecitato il loro intervento. È pur vero che nelle imprese di grandi dimensioni si pone la delicata questione attinente all'individuazione del soggetto che assume, in via immediata e diretta, la posizione di garanzia; questione la cui soluzione precede, logicamente e giuridicamente, quella relativa alla (eventuale) delega di funzioni. In imprese di tal genere, infatti, non può individuarsi automaticamente questo soggetto in colui che occupa la posizione di vertice, occorrendo un puntuale, concreto accertamento dell'effettiva gerarchia delle responsabilità all'interno dell'apparato aziendale, così da verificare la eventuale predisposizione di un adeguato organigramma dirigenziale ed esecutivo la cui corretta applicazione esonera l'organo di vertice da responsabilità sia di livello intermedio che finale[10]; in altri termini, nelle imprese di grandi dimensioni non è, senz'altro, possibile attribuire all'organo di vertice la responsabilità per l'inosservanza della normativa di sicurezza, occorrendo sempre analizzare l'apparato organizzativo costituito sì da poter risalire, all'interno di questo, al responsabile di settore. Del resto, opinando diversamente, si finirebbe con l'addebitare all'organo di vertice una sorta di responsabilità oggettiva in relazione a circostanze ragionevolmente non controllabili, perché devolute alla cura ed alla conseguente responsabilità di altri. È altresì vero che il problema interpretativo ricorrente è sempre stato quello della individuazione delle condizioni di legittimità della delega: ciò tanto al fine di evitare una facile elusione dell'obbligo di garanzia gravante sul datore di lavoro, quanto, nel contempo, di scongiurare il rischio - sopra evidenziato - di collegare a tale obbligo una sorta di responsabilità oggettiva, correlata in via diretta ed immediata alla posizione soggettiva verticistica del datore di lavoro. Sul punto, costituisce affermazione consolidata che il datore di lavoro è il primo e principale destinatario degli obblighi di assicurazione, osservanza e sorveglianza delle misure e dei presidi di prevenzione antinfortunistica; ciò è ragionevolmente desumibile - a tacer degli molteplici obblighi specifici posti a carico dello stesso datore di lavoro dal decreto legislativo in commento - dalla "norma di chiusura" contenuta nell'art. 2087 c.c., (perennemente integrativa della legislazione speciale di prevenzione) che impone al datore di lavoro, in quanto tale, di farsi garante dell'incolumità dei lavoratori. Va, quindi, ancora una volta, ribadito che il datore di lavoro, proprio in forza delle disposizioni specifiche previste dalla normativa antinfortunistica e di quella generale di cui all'art. 2087 c.c., è il "garante" dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale del lavoratore, con la già rilevata conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l'evento lesivo gli viene addebitato in forza del principio che "non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo"[11].
A ben vedere, la sentenza in commento non appare idonea ad obliterare le incertezze interpretative che già nella vigenza del D.Lgs. 19 settembre 1994, n.626 e successivamente nel D.Lgs 81/2008 (in evidente continuità logico/normativa) caratterizzavano la necessità di coniugare il principio della non delegabilità della valutazione dei rischi, di esclusiva competenza del datore di lavoro ex art. 17 comma 1 lett.a), con la necessità moderna e necessaria (specie nelle imprese di dimensioni non ridotte) di avvalersi di soggetti diversi, anche interni all’azienda, dotati di specifiche competenze e professionalità.
Il rigore interpretativo della norma di cui all’art. 17 costituisce, ancora una volta , un limite che pare inibire la possibilità di escludere (e forse finanche di limitare) la responsabilità del datore di lavoro in tema di sicurezza poiché sembra ridurre la figura del professionista specializzato - come anche quella del responsabile del servizio di prevenzione e protezione - ad una sorta di consulente i risultati della cui attività di studio e di elaborazione sono fatti propri dal datore di lavoro che lo ha scelto, con la conseguenza che quest'ultimo è chiamato a rispondere delle eventuali negligenze del primo.[12]
In modo anche più netto è stata infatti definita la rilevanza e l’efficacia del ricorso all'ausilio di professionisti specializzati nella redazione del DVR, precisandosi che in tal caso la “delega” non implica alcuna possibilità di far ricadere sugli stessi ogni responsabilità di cui è espressamente onerato il datore di lavoro ma significa solo la possibilità per quest’ultimo di avvalersi, facendole proprie, delle segnalazioni, raccomandazioni, consigli precauzionali e prevenzionali espressi dagli specialisti
L’analisi del concetto - pur consolidato nella giurisprudenza di legittimità[13] - richiamato nella sentenza in oggetto, secondo cui “ ..il conferimento a terzi della delega relativa alla redazione di suddetto documento non esonera il datore di lavoro dall’obbligo di verificarne l’adeguatezza e l’efficacia…” sembra evocare una interpretazione la cui conclusione ridonda nella premessa intepretativa e ciò in quanto, posto il fondamento positivo del dovere datoriale (non delegabile) di redazione del DVR ed ammesso comunque il ricorso a soggetti diversi dotati di capacità tecniche specialistiche (fenomeno quasi necessario, specie nelle realtà di medie-grandi dimensioni), viene conclusivamente posto - come già in premessa - nuovamente in capo al datore di lavoro l’obbligo (e la relativa responsabilità) di verificarne l’adeguatezza e l’efficacia.
Ma, la riconduzione in capo al datore di lavoro dell’obbligo di verifica dell’idoneità del DVR redatto da soggetti diversi, sembra assumere un senso soltanto laddove il datore di lavoro abbia la capacità e la competenza per effettuare tale valutazione; tuttavia è evidentemente facile osservare che il ricorso a soggetti diversi trova generalmente fondamento nella insufficiente capacità tecnico-specialistica del datore di lavoro (o, comunque, nella maggiore competenza e specializzazione del terzo affidatario).
In tal senso, ritenere comunque obbligato (e conseguentemente responsabile) il datore di lavoro a verificare l’efficacia e l’adeguatezza di un documento - la cui redazione sia stata affidata ad altri soggetti in ragione della loro maggiore competenza - presuppone necessariamente una esperienza del “verificatore” , se non superiore, quanto meno pari a quella del “verificato”.
La questione era già stata affrontata dalla Giurisprudenza seppur con risultati non particolarmente decisivi o utili a ricavare con certezza i limiti entro i quali può ammettersi un principio di “deresponsabilizzazione” del datore di lavoro.
“La non delegabilità di funzioni non significa che il datore di lavoro non possa servirsi di persone maggiormente competenti e qualificate per la valutazione del rischio e la redazione del documento di valutazione del rischio. Significa solo che questi compiti rimangono suoi e il documento conserva questa provenienza.[14]
Ed allora, si può ritenere restituito al principio di non delegabilità il valore di obbligare il datore di lavoro a valutare le capacità tecniche di chi redige materialmente il documento oltre che, naturalmente, quello di valutare preventivamente quali siano i rischi ritenuti maggiormente significativi all'interno dell'azienda, verificando se questi rischi siano stati presi in considerazione nel documento e se siano state prospettate soluzioni idonee a contrastarli. Di conseguenza, l’assolvimento di tali obblighi potrebbe esonerare il datore di lavoro da responsabilità connessa ad una scelta tecnica errata da lui non controllabile (se non con la scelta di altra persona tecnicamente qualificata: ma in questo modo si andrebbe all'infinito). [15]”
Peraltro, come puntualmente osservato dalla dottrina[16], la
disciplina positiva delle funzioni non delegabili conferma che la prevalenza
attribuita alla normativa in materia di delega di funzioni di cui agli
artt. 16 e 17 TU sulle disposizioni che impongono al datore di lavoro,
attraverso la previsione di reati propri, di eseguire personalmente
gli obblighi prevenzionistici delegabili, si fonda sull’espressa
previsione dell’art. 51 c.p. perché prevede una facoltà di delega che
costituisce “esercizio di un diritto”.
Con la precisazione però che intanto si può ricondurre la facoltà di
delega all’esercizio di un diritto in quanto si tratti appunto di una facoltà,
cioè di un’attività discrezionale; viceversa, quando a causa della complessità
o delle dimensioni dell’azienda, non è possibile per il datore di lavoro
assolvere personalmente gli obblighi che gli vengono
imposti attraverso la previsione di reati propri, allora l’esercizio della
delega potrà costituire adempimento di un dovere.
Si può invero sostenere che in questi casi egli avrà il dovere, penalmente sanzionato, di nominare propri delegati, individuandoli anche tra dirigenti e preposti, responsabili dei lavori ecc., al fine di ottemperare agli obblighi prevenzionistici, fermo restando che la fattispecie sarà comunque da ricondurre nell’ambito dell’art. 51 c.p.
La non delegabilità dell’obbligo di valutazione costituisce un limite di straordinaria importanza ai poteri imprenditoriali e si pone come il risultato non soltanto di un lungo percorso esegetico ma anche dell’evoluzione del comune sentire della società civile che ha trovato riscontro anche nella Costituzione Repubblicana e nell’Atto Unico Europeo[17].
Nell’espletamento di tale compito indelegabile egli dovrà, ovviamente, coordinarsi con gli altri soggetti dotati di particolari competenze tecnico specialistiche quali il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, il medico competente (nei casi in cui sia prevista la sorveglianza sanitaria) e, ovviamente, con gli stessi lavoratori.
Ferma la responsabilità del datore di lavoro, pertanto, la ratio della norma è quella di stimolare una sempre maggiore partecipazione all’attività prevenzionale di tutti i soggetti direttamente coinvolti nel processo produttivo.
Per altro verso, se la valutazione dei rischi compete al datore di lavoro, le diverse figure aziendali (dirigenti, preposti, responsabile del servizio di prevenzione e protezione, medico competente) sono comunque tenute a collaborare alla sua realizzazione dal momento che “…una regola propedeutica a tale valutazione…discende dall’obbligo di osservare le comuni regole di diligenza che impongono, anche a chi non abbia un potere deliberativo, di segnalare eventuali pericoli o carenze nei sistemi di protezione….”. [18]
Invero, non può trascurarsi come il sistema normativo, e la sua applicazione nel diritto vivente, prefigura un modello “cumulativo” e non “alternativo” di posizioni di garanzia e correlate responsabilità. Nel senso che la ripartizione di funzioni tra datore di lavoro, dirigente e preposto non implica che, necessariamente, la responsabilità di un soggetto escluda la responsabilità anche degli altri, ben potendosi verificare un concorso di diverse responsabilità tra più soggetti[19].
Il sistema della normativa antinfortunistica, è dunque andato lentamente trasformandosi da un modello “iperprotettivo”, interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro ad un modello “collaborativo” in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori.
4. L’esclusione della responsabilità del datore di lavoro per condotta imprudente o anomala del lavoratore
In stretta connessione con l’area di rischio che l’imprenditore è tenuto a dichiarare nel DVR, si sono individuati criteri che consentono di stabilire se la condotta del lavoratore possa risultare appartenente o estranea al processo produttivo o alle mansioni di sua specifica competenza.
Si è dunque profilata la distinzione tra comportamento “esorbitante” ed “abnorme” del lavoratore; l’esorbitanza riguarda quelle condotte che fuoriescono dall’ambito delle mansioni e disposizioni impartite dal datore di lavoro o di chi ne fa le veci, nell’ambito del contesto lavorativo; invece l’abnormità - già costantemente delineato dalla giurisprudenza della Corte di legittimità[20]- si riferisce alla condotta posta in essere in maniera imprevedibile dal prestatore di lavoro al di fuori del contesto lavorativo e che, cioè, nulla ha a che vedere con l’attività svolta.
Anche la giurisprudenza[21] si indirizza verso una maggiore considerazione della responsabilità dei lavoratori (c.d. “principio di autoresponsabilità del lavoratore); in sostanza, si abbandona il criterio esterno delle mansioni e si sostituisce con il parametro della prevedibilità intesa come “dominabilità umana del fattore causale”
Da un lato dunque l'accento, sotto il profilo oggettivo, è posto sulla verifica “ontologica” dell'azione compiuta, nel senso di verificare se essa risulti riconducibile (finalisticamente, strumentalmente o relativamente) alle mansioni lavorative assegnate; dall'altro, sotto il profilo soggettivo, una volta sussunta la condotta nell'alveo della imprudenza, occorre verificare se essa fosse prevedibile e quindi oggetto obbligatorio di preventiva valutazione e predisposizione di presidi e canoni volti ad evitarla.
In tal senso, di assoluto rilievo per la rilevanza confermativa risulta la sentenza da ultimo resa dalla IV Sezione Penale della Corte di Cassazione[22]. Con tale pronuncia di condivisione della sentenza resa dal giudice di Appello la Corte ne ha evidenziato il tratto confermativo della giurisprudenza legittimità secondo cui il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, ha l'obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 cod. civ., egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro[23].
Il principio, ancora una volta ribadito, è quello che il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme - nei termini sopra riferiti - ovvero, pur riferibile alle mansioni proprie del lavoratore, sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del dipendente nella esecuzione del lavoro [24].
Costante giurisprudenza di legittimità ha affermato che, in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici, vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori l'osservanza delle regole di cautela, cosicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e, comunque, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile [25] .
La Corte ha dunque ribadito il principio che non è configurabile la responsabilità ovvero la corresponsabilità del lavoratore per l'infortunio occorsogli nel caso in cui il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità; ciò sul rilievo che le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli[26].
Peraltro, a sottolineare la prevalenza dell’elemento decisionale e delle connesse responsabilità in capo al datore di lavoro, la Corte ha espresso il convincimento che qualora sussista la possibilità di ricorrere a plurime misure di prevenzione di eventi dannosi, il datore di lavoro è tenuto ad adottare il sistema antinfortunistico sul cui utilizzo incida meno la scelta discrezionale del lavoratore, al fine di garantire il maggior livello di sicurezza possibile[27].
Ribadendo il concetto della “eccentricità”, altra recente pronuncia[28] ha puntualizzato che, perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che quest’ultimo abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante.
Da ultimo, quanto all'aspetto concernente l'asserita esclusività della colpa dell'accaduto in capo alla vittima, tale da integrare un comportamento di tale abnorme imprudenza da non essere prevedibile né prevenibile, non può non richiamarsi - per la rilevanza e la notorietà della vicenda - il principio[29], in base al quale, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, é necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia [30] oppure, quanto meno, che il rischio concretizzatosi rientri bensì nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro [31].
Appare dunque evidente che l’abbrivio della costante giurisprudenza della Corte di legittimità[32] restituisce un riscontro formidabile allo sforzo del legislatore, teso a non obliterare le istanze di prevenzione in tema di sicurezza sul lavoro elaborate e codificate dalle legislazioni nazionali e sovranazionali. Pur tuttavia si può affermare che la propensione verso un modello di assoluto rigore può comportare il rischio di una eccessiva esasperazione del principio di responsabilità “comunque”, pericolosamente avulsa dai tradizionali criteri di imputazione della responsabilità, fino ad arrivare – appunto- ad una sorta di diritto dell’imprevedibile.
[1] Cass. Sez. IV, n. 15124 del 13-02-2016
[2] G.Natullo, “Ambiente di lavoro e tutela della salute”. Giappichelli Editore, 2020, pag. 44 e segg
[3] Il D.lgs 106/2009 ha fornito chiarimenti su aspetti non del tutto perspicui del testo originario dell’art. 28 d.lgs 81/2008 come quello relativo alla certezza della data del documento mediante la sottoscrizione da parte del datore di lavoro nonché, ai soli fini della prova della data, tramite la sottoscrizione del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, o del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza Territoriale e del Medico Competente. P. PASCUCCI, La tutela dela salute e della sicurezza su lavoro: Il titolo I del D.Lgs n. 81/2008 dopo il Jobs Act., Aras Edizioni, 2017, pag. 174 ss.
[4] Sulla necessità che siano chiaramente indicate nel documento di valutazione dei rischi le procedure e l’organigramma aziendale di sicurezza, cfr.in particolare, cass.pen., 2 febbraio 2016 in c. Viccaro e altro, in ISL, 2016, p.228.
[5] Cfr., sul punto R.GUARINIELLO, Obblighi e responsabilità delle imprese nella giurisprudenza penale, in Riv.giur.lav.,2001, p. 530 ss, e G.G. BALANDI, L’obbligazione di sicurezza, in Quad.dir.lav.rel.ind., Torino,1994, p.79 ss, il quale optando per la coesistenza del principio della massima sicurezza tecnologicamente possibile con quello della massima sicurezza ragionevolmente praticabile, individua prioritariamente nella contrattazione collettiva lo strumento di specificazione sul piano concreto del principio in questione.
[6] Per l’esatta portata del principio in esame nelle direttive comunitarie, cfr L.ANGELINI, La sicurezza del lavoro nell’ordinamento europeo, in G. Natullo ( a cura di), Salute e sicurezza, p. 48 ss
[7] Sent. 25 luglio 1996 n. 312 con la quale, la Corte, chiamata a valutare l’eventuale contrasto tra il principio contenuto nell’art. 41, 1^ comma del d.lgs 277/1991 e l’art. 25 2^ Cost, ha ha chiarito che misure “concretamente attuabili” sono quelle che corrispondono ad applicazioni tecnologiche generalmente praticate e ad accorgimenti organizzativi e procedurali altrettanto generalmente acquisiti.
[8] M.LAI, Il diritto della sicurezza sul lavoro tra conferme e sviluppi, G.Giappichelli Editore 2017, pag. 17 ss.
[9] M.LAI, op. cit., pag. 18
[10] (così, esattamente, Sezione IV, 9.7. 2003, Sezione IV, 27.3. 2001, Sezione IV, 26.4.2000, Sez. 4, n. 27295 del 2 dicembre 2016, n. 27035501; Sez. 4, n. 22147 del 11 febbraio 2016.
[11] Sulla non delegabilità della valutazione dei rischi cfr. Cass.pen. 24 aprile 2015, in C. Montaguti e Cass.pen., 2 marzo 2015, in C.Bassanelli, in R.GUARINIELLO, Il T.U. Sicurezza su lavoro, cit. p. 286 ss.
[13] V. Cass.Pen.., sez. IV, 02-12-2016 n. 27295; Sez. IV, 10-03-2016 n. 20129
[14] Cass. Pen.,sez .IV, 20-08-2010 n. 32195; Cass.pen., sez. IV, 03-06-2014, n. 38100
[15] v. Cassazione IV penale - n. 4981 del 6.2.2004
[16] Alberto De Vita, La delega di funzioni, in Nuova Giurisprudenza di Diritto Civile e Commerciale, UTET Giuridica, pag 380 ss
[17]Così Olivelli, La valutazione dei rischi, in Il nuovo trattato della sicurezza sul lavoro a cura di Persiani-Lepore, Torino, 2012, p. 276; Persiani, Contratto di lavoro ed organizzazione, Padova, 1966, p. 28
[18] Cfr. Cass.pen., 9 marzo 2001, che ha affermato la responsabilità del preposto per l’omessa segnalazione ai superiori dell’inadeguatezza dei mezzi protettivi a salvaguardare i lavoratori dal rischio di malattie conseguenti al contatto con oli minerali utilizzati nelle lavorazioni.
[19] (Sez. 4, n. 27295 del 2 dicembre 2016, Sez. 4, n. 22147 del 11 febbraio 2016 )
[20]Cfr. Cassazione penale sez. IV, 20/03/2019, n.27871; Cassazione penale sez. IV, 14/01/2014, n. 7364 Cassazione penale sez. IV, 27/06/2012, n. 37986.
[21] Cassazione penale, sez. IV, 7 settembre 2015, n. 36040; Cassazione penale, sezione IV n. 15186 del 5 aprile 2018.
[22] Cass.Pen. 09/03/2021, dep. 25 marzo 2021, n. 11469, in una fattispecie relativa a responsabilità del datore di lavoro per le lesioni subite dal lavoratore colpito da una fascia di nylon in occasione della movimentazione delle attrezzature di lavoro e infortunio del lavoratore. Responsabilità del datore di lavoro).
[25] (così, ex multis, Sez. 4 n. 37986 del 27/6/2012, che, in applicazione del principio di cui in massima ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità - in ordine al reato di cui all'art. 590, comma terzo, cod. pen.- dell'imputato, legale rappresentante di una s.a.s., per non avere adeguatamente informato il lavoratore, il quale aveva ingerito del detersivo contenuto in una bottiglia non contrassegnata, ritenendo trattarsi di acqua minerale; conf. Sez. 4, n. 3787 del 17/10/2014 in un caso in cui la Corte ha ritenuto non abnorme il comportamento del lavoratore che, per l'esecuzione di lavori di verniciatura, aveva impiegato una scala doppia invece di approntare un trabattello pur esistente in cantiere
[29] Affermato dalla sentenza a Sezioni Unite n. 38343/2014 (Espenhahn ed altri, c.d. sentenza Thyssenkrupp)
[30] (Negli stessi termini, Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016; cfr. in termini sostanzialmente identici Sez. 4, n. 15174 del 13/12/2017 )
[32] Cfr, da ultimo, Cassazione penale sez. IV, 13/01/2021, n.4075, secondi cui il datore deve adottare idonee misure di sicurezza anche in relazione a rischi non contemplati nel documento di valutazione dei rischi.
Scarica Articolo PDF