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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 14/03/2021 Scarica PDF
La transazione fiscale deroga alla regola della priorità assoluta
Giulio Andreani e Angelo Tubelli, Giulio Andreani, Of Counsel PwC TLS. Angelo Tubelli, Director PwC TLS1. Premessa
Il Tribunale di Milano, con un articolato provvedimento del 25 febbraio 2021,
si è pronunciato sia sul criterio di ripartizione delle somme ai creditori
applicabile nel concordato preventivo sia sulla natura ("endogena" o
"esogena") dei flussi generati dalla prosecuzione dell'attività da
parte dell'impresa debitrice. In proposito i giudici meneghini hanno sancito (i)
che il principio da adottare ai fini del riparto è quello della "priorità
assoluta" e (ii) che costituiscono finanza esogena, cioè esterna, solo gli
apporti che non transitano nel patrimonio del debitore, con la conseguenza che
i flussi generati dalla prosecuzione dell'attività dell'impresa costituiscono
finanza endogena.
I principi affermati si riflettono anche sul trattamento dei crediti tributari
(e contributivi) e quindi sulla proposta di transazione fiscale che l'impresa
debitrice deve presentare per disciplinarne il soddisfacimento.
2. In merito alla regola della priorità assoluta
Com'è noto, l'art. 160, comma 2, l.f. stabilisce che:
a) la proposta di concordato può prevedere la soddisfazione non integrale dei
creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, ma a condizione che la misura
di detta soddisfazione risulti "non inferiore a quella realizzabile, in
ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione,
avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali
sussiste la causa di prelazione indicato nella relazione giurata di un
professionista in possesso dei requisiti di cui all'art. 67, comma 3, lett.
d)";
b) il trattamento stabilito per ciascuna classe non può "avere l'effetto
di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione".
Secondo i sostenitori della tesi della priorità assoluta, queste disposizioni
impongono l'obbligo di prevedere l'integrale pagamento del credito di rango
superiore prima di poter soddisfare quelli di rango inferiore[1]. Ciò perché,
se la consistenza del patrimonio non consente di soddisfare i crediti assistiti
da un certo grado di privilegio, significa che non può residuare nulla di detto
patrimonio da attribuire ai creditori di rango inferiore; viceversa, se, in tal
caso, una parte del patrimonio venisse attribuita ai chirografari, essa
risulterebbe sottratta ai creditori muniti di privilegio generale mobiliare,
che così sarebbero soddisfatti in misura inferiore rispetto a quella ottenibile
in sede di liquidazione fallimentare, venendo perciò contravvenute entrambe le
due regole stabilite dall'art. 160, comma 2.
Secondo la tesi della priorità relativa, invece, le suddette norme non
osterebbero alla possibilità di prevedere la falcidia del credito di rango
poziore e il pagamento del credito di rango minore, essendo sufficiente al
riguardo assicurare al primo un trattamento più favorevole (sotto il profilo
strettamente quantitativo e/o per quanto attiene la tempistica dei pagamenti)
rispetto a quello riservato al secondo[2]. Questa è infatti la regola generale
contemplata dall'art. 11, par. 1, lett. c), della Direttiva (UE) 2019/1023 del
20 giugno 2019 (che tuttavia consente agli Stati membri di derogarvi), la quale
troverebbe fondamento nella generale possibilità di far partecipare il debitore
ed i soci alla distribuzione degli utili del concordato preventivo
(incentivandone così anche il ricorso), nonché nella maggiore efficienza di cui
potrebbe così godere la procedura concordataria. A sostegno di questa seconda
tesi è stato in particolare osservato che, con l'apertura del concordato, il
patrimonio del debitore "diventa, più che la misura del soddisfacimento
dei creditori muniti di privilegio generale, lo strumento per la soddisfazione,
secondo le modalità proposte, dell'intera massa dei creditori. In virtù di ciò,
il privilegio generale, privo dei cennati caratteri di assolutezza ed
immediatezza, si traduce in una regola di preferenza dei creditori privilegiati
rispetto ai creditori chirografari (rispetto al solo patrimonio attuale, come
meglio si vedrà di seguito), ma non in una regola di obbligo di destinazione
esclusiva del patrimonio mobiliare a soddisfazione dei primi"[3].
Sulla questione un importante chiarimento è pervenuto dalla Corte di cassazione
con la sentenza 8 giugno 2020, n. 10884, secondo cui nel concordato preventivo
il soddisfacimento parziale dei crediti muniti di privilegio generale può
trovare un fondamento giustificativo solo nell'incapienza del patrimonio
mobiliare del debitore; infatti: o i beni hanno un valore eccedente i crediti
privilegiati, e allora questi devono essere soddisfatti integralmente, o i beni
hanno un valore inferiore rispetto ai crediti privilegiati, e allora i
creditori di rango inferiore non possono essere soddisfatti in alcuna misura, risultando
prioritario il pagamento di quelli di rango superiore, che rimangono essi
stessi parzialmente insoddisfatti. Conseguentemente, il creditore chirografario
non può vedere "adempiuta, neanche parzialmente, la propria obbligazione
se il presumibile valore di realizzo dei beni su cui insiste il diritto di
prelazione non consenta di soddisfare i creditori privilegiati".
Il principio di diritto affermato dai giudici di legittimità con la sentenza
citata è stato fatto proprio dal Tribunale di Milano con il provvedimento del
25 febbraio 2021, con il quale ha testualmente affermato quanto segue: "la
prima delle condizioni poste dall'art. 160, comma 2, implica che l'ammontare
della somma ritraibile dalla liquidazione concorsuale segni il limite minimo di
soddisfacimento dei creditori privilegiati: e da tale limite si desume che il
creditore chirografario non possa vedere adempiuta, neanche parzialmente, la
propria obbligazione se il presumibile valore di realizzo dei beni su cui
insiste il diritto di prelazione non consenta di soddisfare i creditori
privilegiati". Pertanto, in presenza di crediti assistiti dal privilegio
generale su beni mobili del debitore, qualora questi siano incapienti rispetto
alle ragioni di credito dei titolari di tale diritto di prelazione, "i
crediti privilegiati non potranno essere ulteriormente falcidiati a beneficio
di quelli chirografari: diversamente si ammetterebbe che, sulla medesima massa
attiva, creditori di rango inferiore (quali sono quelli in chirografo) siano
soddisfatti prima che lo siano, per l'intero, i creditori di rango poziore. E
un tale risultato urterebbe, come è evidente, non solo col principio per cui il
piano concordatario deve assicurare la soddisfazione dei creditori privilegiati
in misura almeno pari a quella cui gli stessi potrebbero aspirare, in ragione
della loro collocazione preferenziale, in caso di liquidazione, ma anche con la
regola che vieta di alterare l'ordine delle cause legittime di
prelazione".
Ne discende: 1) con riguardo ai crediti assistiti da ipoteca, pegno e
privilegio speciale, che essi possono essere soddisfatti parzialmente, solo se
il valore dei beni su cui tali diritti di prelazione insistono è inferiore
all'ammontare del relativo credito; 2) con riguardo ai crediti assistiti da privilegio
generale sui beni mobili, che, se il valore di tali beni è inferiore a quello
delle ragioni di credito dei titolari dei relativi diritti di prelazione, i
crediti privilegiati non possono essere ulteriormente falcidiati a beneficio di
quelli chirografari.
Stando così le cose, i creditori chirografari possono essere soddisfatti solo
in presenza di beni immobili ultra-capienti e/o dell'apporto di finanza
esterna, considerando solo quella che non comporti un incremento né dell'attivo
né del passivo dell'impresa debitrice. Anche questa affermazione riflette
quanto chiarito dai giudici di legittimità con la citata ordinanza n.
10884/2020, secondo cui, qualora i beni, oggetto del privilegio generale,
risultino essere insufficienti ad assicurare il soddisfacimento integrale dei
creditori privilegiati, "il soddisfacimento dei creditori chirografari non
può che dipendere, in tal caso, dalla presenza di beni immobili (ovviamente per
la parte che non è deputata a garantire i creditori che vantino un titolo di
prelazione su di essi) o da liquidità estranee al patrimonio del debitore
stesso", ovverosia in presenza della cosiddetta finanza esterna.
2. La nozione di "finanza esterna" e la qualificazione come
"finanza endogena" dei flussi di cassa derivanti dalla prosecuzione
dell'attività
Come enunciato dalla Corte di cassazione con la stessa sentenza 8 giugno 2012,
n. 9373, il divieto di alterazione della graduazione dei crediti muniti di
prelazione di cui all'art. 160, comma l.f., trova il suo limite nel patrimonio
del debitore, sul quale ai sensi dell'art. 2741 c.c. i creditori hanno eguale
diritto di essere soddisfatti, salve le cause legittime di prelazione. L'ultima
norma citata "pone le premesse della soddisfazione dei crediti secondo
l'ordine delle prelazioni, essendo a questi effetti irrilevante quale sia
l'origine e la provenienza dei mezzi finanziari con i quali il debitore paga i
suoi creditori", ma né essa né il citato art. 160, comma 2, dettano regole
particolari per il collocamento dei crediti prelatizi in relazione all'apporto
effettuato dal terzo finanziatore che interviene con mezzi propri a pagare i
debiti del fallito, che perciò non deve sottostare alle regole del concorso.
La corretta individuazione delle risorse finanziarie non provenienti dal
patrimonio del debitore, e perciò definite finanza "esterna" o
"esogena", si rivela dunque spesso determinante ai fini della
fattibilità del concordato, potendo essere - solo tali risorse e non anche
quelle "endogene" - liberamente distribuite senza dovere rispettare
l'ordine delle cause di prelazione. Per la medesima ragione diventa altrettanto
spesso decisiva la possibilità di ricondurre o meno in tale nozione i flussi di
cassa generati dalla prosecuzione dell'attività economica (fattispecie non
espressamente presa in esame dalla Corte di Cassazione nella sentenza sopra
citata)[4].
Anche su tale dirimente questione si è espresso il Tribunale di Milano, il
quale ha disposto che i flussi di cui trattasi costituiscono finanza endogena,
così modificando l'orientamento precedentemente espresso con decreto del 3
novembre 2016.
Con quest'ultima pronuncia, infatti, i giudici milanesi avevano
condivisibilmente osservato come la nuova finanza deve "essere intesa nel
concordato in continuità come operativamente limitata, nel tempo, alla data
della presentazione della domanda di concordato e nella 'dimensione
applicativa' al patrimonio della concordataria esistente a quella data. Il
parametro che costituisce il limite di riferibilità per appurare se vi sia
violazione o meno dell'ordine della prelazione o se la stessa sia degradata e,
quindi venuta meno e incorporata nei chirografi, è il momento della
presentazione della domanda, perché ciò che è valutabile ai fini della capienza
in sede di redazione del piano è solo il patrimonio attuale della società e
solo esso sarebbe passibile di azioni esecutive o di collocazione sul mercato
al cui risultato si dovrebbe comparare l'offerta formulata dalla società per
appurare se essa lede il privilegio o meno. È evidente che tale comparazione
non può essere condotta con il patrimonio che residuerà al termine di 5 anni di
piano caratterizzato da reinvestimenti, eseguiti con finanza esterna, sia
perché esso è indeterminato per definizione, sia, soprattutto, perché esso,
senza la nuova finanza (...) non potrebbe certo avere quelle dimensioni che
presumibilmente avrà, e probabilmente non sussisterebbe per nulla, visto che in
assenza di concordato non vi è alcuna alternativa al fallimento". Sulla
base di queste considerazioni venivano qualificati come nuova finanza, e quindi
svincolati dal rispetto dell'ordine delle cause di prelazione, i flussi di
cassa generati dalla prosecuzione dell'attività, sul presupposto che il
patrimonio del debitore nella misura determinata alla data di apertura della
procedura costituisse il naturale spartiacque tra finanza endogena e finanza
esogena.
Un'attenuazione di tale indirizzo era invero rilevabile già nel successivo
decreto del 5 dicembre 2018, con il quale lo stesso Tribunale di Milano aveva
ricondotto nella nozione di finanza esterna i soli flussi generati dalla
prosecuzione dell'attività aziendale a propria volta resa possibile unicamente
dall'apporto di un assuntore, ereditandone il carattere esogeno.
Con il citato provvedimento del 25 febbraio 2021 i giudici milanesi hanno
definito ulteriormente il proprio orientamento sulla nozione di finanza
esterna, la cui individuazione, in assenza di una definizione normativa,
dovrebbe avvenire unicamente al ricorrere di entrambe le "condizioni
indicate da Cass. 8 giugno 2012, n. 9373: e cioè allorché l'apporto del terzo
risulti neutrale rispetto allo stato patrimoniale della società, non
comportando né un incremento dell'attivo patrimoniale della società debitrice,
sul quale i crediti privilegiati dovrebbero in ogni caso essere collocati
secondo il loro grado, né un aggravio del passivo della medesima, con il
riconoscimento di ragioni di credito a favore del terzo, indipendentemente
dalla circostanza che tale credito sia stato postergato o no".
Dunque il patrimonio del debitore continua a costituire lo spartiacque tra
finanza endogena e finanza esogena, ma non più nei limiti dell'entità
determinata alla data di apertura della procedura, come stabilito con il
provvedimento del 2016, ma secondo una definizione idonea ad attrarre tutte le
variazioni patrimoniali successive a tale data, comprese quelle prodotte dai
flussi di cassa generati dalla prosecuzione dell'attività e finanche dagli
apporti del terzo finanziatore qualora vengano "versati direttamente alla
società concordataria" (perché in tal caso "si confonderebbero col
suo patrimonio e si otterrebbe l'effetto di dover seguire le cause legittime di
prelazione"). In definitiva, partendo dall'opposto (e più ampio) concetto
di finanza endogena, le risorse finanziarie qualificabili come finanza esterna
andrebbero individuate "per differenza" e dunque ricercate nelle
risorse finanziarie messe a disposizione da terzi a vantaggio dei creditori
nell'interesse del debitore, ma senza transitare in alcun modo nel patrimonio
dello stesso.
3. I riflessi dei principi statuiti dal Tribunale di Milano sulla transazione
fiscale (e contributiva)
Non vi è dubbio che la congiunta applicazione della tesi della priorità
assoluta e del principio secondo cui i flussi gestionali costituiscono finanza
endogena, distribuibile dunque secondo l'ordine delle cause di prelazione sulla
base della regola della priorità assoluta, riduce notevolmente le possibilità
di soddisfacimento dei creditori chirografari, in assenza di un apporto di
denaro da parte di terzi.
Ciò posto, e rinviando a precedenti scritti per la censura della tesi che
qualifica i flussi in parola come finanza endogena, è utile soffermarsi sui
riflessi che la congiunta applicazione di tali regole genera sul trattamento dei
crediti tributari (e contributivi), i quali sono quasi integralmente assistiti
da una causa legittima di prelazione.
Infatti, atteso che, secondo il Tribunale di Milano, i flussi generati dalla
continuazione dell'attività aziendale nel concordato preventivo devono essere
ripartiti fra i creditori secondo l'ordine delle cause di prelazione (non
costituendo finanza esterna, ma risorse derivanti dal patrimonio dell'impresa
debitrice) e che l'attuale formulazione dell'art. 160, comma 2, impone
l'applicazione della regola della priorità assoluta, le risorse costituite dai
suddetti flussi potrebbero essere destinate al pagamento dei creditori di rango
inferiore solo se i crediti tributari (e contributivi), in quanto di rango
superiore, siano stati integralmente soddisfatti; conseguentemente, se il
patrimonio dell'impresa debitrice non è sufficiente per assicurare il pagamento
integrale di tali crediti (come normalmente accade), il concordato risulta
attuabile soltanto grazie agli apporti di terzi che non transitino nel
patrimonio dell'impresa debitrice.
Tuttavia, pur avendo la regola della priorità assoluta di per sé valenza
generale e riguardando tutti i crediti, sussistono buone ragioni per escludere
che essa debba essere applicata anche ai crediti tributari.
Infatti, l'art. 182-ter l. fall. individua nella convenienza il criterio che il
Fisco deve adottare per valutare la proposta di trattamento dei crediti
tributari che gli viene formulata nel concordato; inoltre gli articoli 180 e
182-bis della medesima legge attribuiscono al tribunale, in mancanza del voto
del Fisco, il potere di approvare tale proposta ove sia, appunto, conveniente
(e al tempo stesso, com'è noto, il voto dell'amministrazione finanziaria, o
degli enti previdenziali, sia determinante ai fini del raggiungimento delle
maggioranze richieste dall'art. 177 della legge fallimentare).
La proposta di trattamento dei debiti tributari può essere conveniente per il
Fisco anche se ne prevede un soddisfacimento inferiore a quello che
ipoteticamente, qualora il debitore potesse proseguire l'attività, all'Erario
spetterebbe in base all'applicazione della regola della priorità assoluta. Ciò
perché, se, a causa dell'adozione di tale regola, le risorse disponibili
fossero impiegate per pagare l'Erario e non ne residuassero per soddisfare i
creditori di rango inferiore, il concordato non sarebbe attuabile:
conseguentemente il debitore verrebbe dichiarato fallito, l'attività non
continuerebbe, i flussi non verrebbero pertanto prodotti e l'Erario riceverebbe
un soddisfacimento peggiore di quello che potrebbe essergli alternativamente
destinato mediante una proposta di trattamento dei crediti tributari che,
derogando alla regola della priorità assoluta, escludesse il pagamento
integrale dei crediti tributari e destinasse parte delle risorse al
soddisfacimento dei crediti di rango inferiore.
Inoltre, la prima parte del secondo periodo dell'art. 182-ter della legge
fallimentare stabilisce il cosiddetto "divieto di trattamento
deteriore" dei crediti tributari (e contributivi), disponendo testualmente
quanto segue: "Se il credito tributario o contributivo è assistito da
privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non
possono essere inferiori o meno vantaggiosi rispetto a quelli offerti ai
creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una
posizione giuridica e interessi economici omogenei a quelli delle agenzie e
degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie".
Tale disposizione risulterebbe priva di un senso logico nel caso in cui la
regola della priorità assoluta dovesse considerarsi applicabile anche ai
crediti tributari (e contributivi) privilegiati, atteso che detta regola è di
per sé già sufficiente a garantire a tali crediti un trattamento non deteriore
rispetto a quelli di rango successivo, discendendo dalla sua piana applicazione
che questi non possono essere pagati senza che quelli precedenti (cioè quelli
tributari e contributivi) siano stati integralmente soddisfatti.
Pertanto, attraverso la suddetta disposizione l'ordinamento considera
evidentemente compatibile la soddisfazione parziale dei crediti tributari (e
contributivi) privilegiati anche in presenza di un patrimonio (futuro)
capiente, purché essi non siano trattati in maniera deteriore rispetto a quelli
di rango inferiore e ricorra l'essenziale condizione della convenienza del
trattamento dei crediti di cui trattasi rispetto a quello che essi
riceverebbero per effetto della liquidazione.
Nell'ambito di una disciplina governata dalla regola della priorità assoluta,
la disposizione contenuta nel primo comma dell'art. 182-ter afferma dunque la
(diversa) regola della priorità relativa con riferimento ai crediti tributari
(e contributivi), in deroga a quanto previsto per la generalità dei crediti
privilegiati dall'art. 160, comma 2, e comunque indipendentemente da quanto
stabilito per gli altri crediti [5].
Questa conclusione pare del resto confermata dall'Agenzia delle Entrate, la
quale, con la circolare n. 34 del 29 dicembre 2020 (paragrafo 3.5), dopo averne
sostenuto la natura endogena dei flussi gestionali (al pari del Tribunale di
Milano), ha espressamente affermato che "la distribuzione delle somme
provenienti dai flussi di cassa prodotti dalla continuità aziendale dovrà
avvenire in modo tale da assicurare in ogni caso un trattamento non deteriore
alla pretesa tributaria rispetto ai creditori concorrenti, secondo le
prescrizioni dell'art. 182-ter, primo comma, LF, e, nel contempo, il miglior
soddisfacimento rispetto all'alternativa liquidatoria". Questa
affermazione equivale a riconoscere l'operatività della regola della priorità
relativa con riguardo al trattamento dei crediti tributari privilegiati, che
(una volta appuratane la convenienza rispetto all'alternativa liquidatoria)
deve risultare rispettoso unicamente del divieto di trattamento deteriore: di
essi è dunque da ritenersi ammessa la soddisfazione parziale anche in presenza
del pagamento di crediti di rango inferiore, purché essa non risulti meno
vantaggiosa.
In altri termini, è legittimo proporre al Fisco un soddisfacimento meno
elevato, purché esso sia però più conveniente di quello discendente dalla
liquidazione dell'impresa debitrice e venga rispettato il divieto di
trattamento deteriore dei crediti tributari; in tal modo le minori somme
destinate all'Erario possono essere utilizzate per soddisfare anche i creditori
di rango inferiore, rendendo attuabile il concordato e assicurando
all'Amministrazione finanziaria il miglior trattamento possibile. Del resto, la
convenienza della proposta di transazione fiscale deve essere valutata
dall'Agenzia delle Entrate, non tanto con riguardo a una prospettazione
teorica, qual è quella che assume il pagamento dei crediti tributari mediante
utilizzo dei flussi sulla base della regola della priorità assoluta senza
curarsi della effettiva possibilità di produzione di quei flussi in virtù del
concordato in continuità, ma sulla base di una situazione reale, qual è quella
che invece considera a quali condizioni il concordato può essere attuato e
l'attività può proseguire consentendo la produzione dei flussi gestionali, vale
a dire quella situazione determinata tenendo conto della necessità di
soddisfare, seppur in misura diversa, tutti i creditori, anche a discapito di
coloro che subiscono un sacrificio, al fine ultimo di permettere a questi
ultimi il conseguimento del miglior risultato possibile. Si pensi, ad esempio,
a un'impresa che abbia i) debiti prededucibili e privilegiati anteriori ai
debiti fiscali pari a 20, ii) debiti fiscali per 40 e iii) debiti chirografari
per 80, a fronte di un attivo di 20 e di flussi gestionali futuri pari a 40.
Applicando la regola della priorità assoluta, all'Erario dovrebbe essere
assegnato un importo di 40, pari a quello dei flussi; tuttavia, in questo caso,
nessuna risorsa potrebbe essere destinata ai creditori chirografari e ciò
impedirebbe l'attuazione del concordato, con la conseguenza che il Fisco non
riceverebbe in realtà alcun pagamento. Se, invece, solo una parte dei flussi
viene attribuita all'Erario, ad esempio 30, il residuo importo di tali flussi,
pari a 10, può essere ripartito a favore dei creditori chirografari, rendendo
attuabile il concordato e consentendo al Fisco di percepire un pagamento pari a
30, che rispetta i presupposti della convenienza e del divieto di trattamento
deteriore previsti dall'art. 182-ter della legge fallimentare.
Questa lettura delle norme concilia quindi la regola della priorità assoluta
con il principio di convenienza che costituisce il fulcro dell'art. 182-ter,
evitando il contrasto fra norme e garantendo il miglior soddisfacimento
possibile dei crediti fiscali. Tuttavia, a ben vedere, il citato art. 182-ter,
più che come deroga alla regola della priorità assoluta, dovrebbe essere
considerato espressione del più generale principio secondo cui tale regola
trova applicazione solo ai fini della ripartizione fra i creditori del
patrimonio esistente alla data di apertura della procedura e non anche di
quello formatosi successivamente.
[1] In dottrina si vedano ex multis: M. Fabiani, "Fallimento e concordato preventivo", II, in Commentario Scialoja-Branca-Galgano, 2014, pag. 243; G. Bozza, "Il trattamento dei creditori privilegiati nel concordato preventivo", in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, n. 4/2012, pag. 381; A. Guiotto, "Destinazione dei flussi di cassa e gestione dei conflitti d'interessi nel concordato preventivo con continuità aziendale", ivi, n. 8-9/2019, pag. 1099; P.F. Censoni, "Il concordato preventivo", in A. Jorio - B. Sassani (diretto da), Trattato delle procedure concorsuali, 2016, pag. 152; A. Rossi, "Le proposte 'indecenti' nel concordato preventivo", in Giurisprudenza commerciale, n. 2/2015, I, pag. 334; L. Stanghellini, "Il concordato con continuità aziendale", in Società, banche e crisi d'impresa, 2014, pag. 1240; S. Bonfatti, "La disciplina dei creditori privilegiati nel concordato preventivo con continuità aziendale", in Società, banche e crisi d'impresa, 2014, pag. 1240.
[2] Cfr., ex multis, G. Terranova, "I concordati in un'economia finanziaria", in Diritto fallimentare, 2020, I, pag. 20; G. D'Attorre, "Concordato con continuità ed ordine delle cause di prelazione", in Giurisprudenza commerciale, n. 1/2016, I, pag. 43; F. Guerrera, "Struttura finanziaria, classi dei creditori e ordine delle prelazioni nei concordati delle società", in Diritto fallimentare, 2010, I, pag. 720; G. Racugno, "Concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e transazione fiscale. Profili di diritto sostanziale", in V. Buonocore - A. Bassi (diretto da), Trattato di diritto fallimentare, I, 2010, pag. 497; P. Catalozzi, "La falcidia concordataria dei crediti assistiti da prelazione", in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, n. 9/2008, pag. 1014.
[3] Così testualmente G. D'Attorre, "La distribuzione del patrimonio del debitore tra absolute priority rule e relative priority rule", in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, n. 8-9/2020, pag. 1077.
[4] Invero non manca chi, pur sostenendone la natura endogena, ritiene ugualmente "libera" la distribuzione dei flussi di cassa generati dalla continuazione dell'attività in considerazione dell'esdebitamento discendente, ai sensi dell'art. 184 l.f., dall'omologazione del concordato. Questa corrente di pensiero rileva al riguardo che, "se, per effetto dell'omologazione, la pretesa di tutti i creditori originari viene sostituita con la nuova e diversa obbligazione concordataria assunta dal debitore con la proposta, ne consegue che anche il diritto di prelazione dei creditori privilegiati cessa di svolgere una propria funzione con l'apertura della procedura. Poiché il privilegio ha natura accessoria rispetto al credito cui accede, anch'esso si estingue per effetto della novazione e sostituzione dell'obbligazione originaria, rimanendo poi irrilevante ai fini che qui interessano la qualificazione della fattispecie in termini di estinzione o inesigibilità del credito nei confronti del debitore originario, e fatta salva la regola dell'art. 184, comma 1, l.f. (...). A partire dall'omologazione, pertanto, i creditori anteriori diventano tutti creditori aventi medesimo rango, che si traduce nell'identico diritto ad ottenere l'adempimento della nuova obbligazione concordataria, non potendosi più distinguere (salvo l'ipotesi di risoluzione o annullamento del concordato) tra privilegiati e chirografari (...) Le regole di distribuzione del patrimonio del debitore e la priorità (assoluta) attribuita ai privilegiati rispetto ai chirografari dovrebbero considerarsi operanti nei concordati solo con riferimento al patrimonio esistente al momento della presentazione della domanda, ma non con riferimento al patrimonio posteriore, che comprende anche gli eventuali risultati positivi derivanti dalla prosecuzione dell'attività d'impresa" (così testualmente G. D'Attorre, "La distribuzione del patrimonio ...", cit., pag. 1078). In questo solco interpretativo si pongono anche A. Guiotto, cit., pag. 1098, e M. Fabiani, La struttura finanziaria del concordato preventivo, 2019, pag. 218, secondo il quale, una volta determinato il perimetro della garanzia patrimoniale, i profitti derivanti dalla prosecuzione dell'attività sarebbero liberamente disponibili, senza necessità di rispettare l'ordine delle prelazioni.
[5] Cfr. in tal senso G. D'Attorre, La distribuzione del patrimonio ..., cit., pag. 1075, nota n. 9; E. Stasi, Sub art. 182-ter, in G. Lo Cascio (diretto da), Codice commentato del fallimento, 2017, pagg. 2453 e 2454.
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