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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 09/02/2021 Scarica PDF

Il nuovo "cram down" del tribunale nella transazione fiscale

Michele Monteleone e Stefania Pacchi, Michele Monteleone, giudice nel Tribunale di Benevento. Stefania Pacchi, professore ordinario di diritto fallimentare nell'Università di Siena


Sommario: 1. le modifiche apportate alla Legge Fallimentare dalla legislazione emergenziale – 2. Il mancato voto e la mancata adesione – 3. Il nuovo impianto normativo: aspetti problematici.

   

1. Le modifiche apportate alla Legge Fallimentare dalla legislazione emergenziale.

Nel pieno dilagare della pandemia, in data 3 dicembre 2020 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge 27 novembre 2020, n. 159, che ha convertito in legge il D.L. n. 125/2020inserendo, all'art. 3, comma 1-bis, importanti modifiche[1] in materia di concordato preventivo e di accordi di ristrutturazione dei debiti, con riguardo al trattamento dei debiti tributari e contributivi, riscrivendo la legge fallimentare, attualmente vigente (artt. 180, 182-bis e 182-ter) e, di fatto, anticipandone l'applicabilità di disposizioni contenute nel CCII, altrimenti destinate ad entrare in vigore il 1° settembre 2021. Il Tribunale può, così, procedere all'omologazione, anche senza il voto favorevole dell'Amministrazione finanziaria, sempreché tale voto sia determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze richieste dalla legge fallimentare e a condizione che il professionista indipendente attesti, nella propria relazione, la convenienza della proposta di transazione fiscale rispetto all'alternativa fallimentare.

La modifica proposta avrà, naturalmente, un notevole impatto sui concordati e sugli accordi di ristrutturazione dei debiti, in quanto consentirà di ottenere la omologazione degli stessi, anche senza il voto dell’Erario.

Il legislatore ha espressamente chiarito che le novità introdotte dalla legge n. 159/2020, in sede di conversione del D.L. 125/2020, intendono rispondere alla situazione di crisi economica determinata dall'emergenza legata all’epidemia da Covid-19, essendo, evidentemente, finalizzate ad agevolare l'accesso delle imprese a procedure concorsuali minori nel tentativo di evitarne il fallimento. Si aggiunge, come è stato evidenziato dai primi commentatori della novella, un intento premiale, volto a semplificare, con qualche cautela di “expertise” collaudata, tutti i tentativi, drammatici in questo periodo, di superamento della crisi, così creando un corridoio in cui lo Stato – tra i maggiori creditori delle imprese in difficoltà - non erge la propria posizione ad un ruolo di veto[2].

I riflessi economici e finanziari negativi derivanti dalla diffusione italiana e mondiale della pandemia da Covid-19, hanno portato il Governo ad una serie di iniziative legislative volte a contenere tali effetti sull’economia nazionale. Queste iniziative si sono affastellate nell’ultimo anno in maniera incessante, tanto da esser state definite una vera e propria “alluvione normativa”. Con particolare riguardo alle procedure concorsuali, sono state approntate diverse disposizioni, in deroga all’attuale disciplina fallimentare, con il dichiarato obiettivo di “garantire la piena efficacia degli strumenti alternativi al fallimento”. Il legislatore, difatti, ha voluto offrire la possibilità, alle imprese attualmente in crisi, di beneficiare di ulteriori termini – eccezionali rispetto alla disciplina fallimentare – al fine di poter garantire il proficuo andamento della procedura concorsuale stessa ed impedirne il collasso, sempre a beneficio del miglior soddisfacimento del ceto creditorio[3].

Le disposizioni in commento consentono, infatti, alle imprese che non possono soddisfare integralmente i debiti nei confronti dell'INPS, dell'Agenzia delle Entrate e degli altri enti titolari di crediti tributari e previdenziali, di ottenere l'omologazione del concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti, anche in mancanza del voto favorevole di tali creditori quando, e solo quando, la relativa adesione sia determinante per raggiungere le maggioranze stabilite dall'art. 177 l. fall. (maggioranza dei crediti ammessi al voto e, in ipotesi di concordato preventivo con classi, stessa maggioranza nel maggior numero di classi) e dall'art. 182-bis l. fall. (60 %).

Uno dei maggiori problemi che, nelle applicazioni pratiche, si incontra quando si deposita una domanda di concordato preventivo o di omologazione di un accordo diristrutturazione dei debiti, è rappresentato dalla circostanza che gli enti impositori, difficilmente prendono posizione di fronte alla proposta del debitore, oppure si limitano ad esprimere un parere negativo.

Quale la genesi di tale condotta? Normalmente il funzionario di turno evita di prendere decisioni che potrebbero essere considerate svantaggiose per l’ente con il rischio di vedersi coinvolto in un giudizio di danno erariale. È molto più semplice e sicuro non esprimersi o dare un voto negativo, senza (il più delle volte) motivare. In questo modo spesso si crea, però, un duplice danno: da una parte si rende impraticabile il concordato o l’accordo, visto che lo Stato è un creditore decisivo (di fatto, “strategicoper il buon esito dell’operazione) e le varie procedure richiedono una esplicita adesione, nuocendo all’impresa che vuole ristrutturarsi; dall’altro lato si danneggia lo stesso Ente, il quale potrebbe ricevere un utile, che con l’alternativa del fallimento non vedrà quasi certamente[4].

Per cercare di dare una risposta a questo problema, il legislatore con la legge 159/2020, ha emanato una norma che modifica i tre articoli della legge fallimentare. In realtà gli istituti del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, avuto riguardo alle pretese pubblicistiche spettanti alla amministrazione finanziaria ovvero agli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie, si dotano di uno “strumento inedito”, che riscrive a regime gli attuali artt. 180, 182-bis e 182-ter l. fall. [5].

Come è stato rilevato da attenta dottrina, la modifica normativa in commento asseconda un graduale processo di semplificazione della tradizionale transazione fiscale e contributiva, già iniziato, nel nostro ordinamento, a seguito della pronuncia di Cassazione Sezioni Unite 13 gennaio 2017, n. 760 che ebbe a sancire la regola dell’infalcidiabilità (con riguardo all’IVA, dopo Cass. SS.UU. 27 dicembre 2016, n. 26988 e Corte Giustizia 7 aprile 2016, C-546/14)[6]. Tanto operava solo per la transazione fiscale in senso stretto, cioè per il concordato che la contemplasse, ma senza che il sistema potesse dirsi impositivo nell’adottare lo strumento del concordato con transazione fiscale, ben potendo coesistere la ristrutturazione di tale passivo anche nel concordato comune. Ciò nel presupposto, progressivamente precisato, che gli effetti di stabilizzazione e di beneficio restassero distinti, così, dando rilievo alla natura condizionante dell’intervento-voto del creditore pubblico, per come espresso nella procedura speciale[7].

Sul piano organizzativo, in relazione alle modifiche apportate alla transazione fiscale e contributiva disciplinata dall'art. 182-ter l. fall., viene precisato, così, codificando un approdo giurisprudenziale, che la nozione di debito tributario e previdenziale assunto quale chirografario ai sensi della norma sia anche quella derivante da una degradazione del privilegio: non dunque solo quello che ne rivesta sin dall’origine la qualità, ma anche ogni porzione di credito munito di causa di prelazione, privo di capienza satisfattiva, per difetto del bene oggetto della garanzia, o per suo scarso o non adeguato valore di realizzo[8]. Viene poi prescritto, in merito a contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie, che copia della proposta di transazione, contestualmente al deposito in Tribunale, deve essere depositata all'ufficio competente secondo l'ultimo domicilio fiscale del contribuente (art. 182-ter, c. 5 l. fall.). La legge di conversione ha poi, opportunamente, fatto "cessare l'applicazione" del D.M. 4 agosto 2019 adottato ai sensi dell'art. 32, c. 6, del D.L. n. 185/2008, che regola la transazione da parte degli enti previdenziali nell'ambito di accordi di ristrutturazione e concordati preventivi, facendo venire meno l'obbligo dell'INPS di rifiutare le transazioni previdenziali in caso di mancato soddisfacimento integrale dei crediti di sua titolarità.

Con la nuova transazione fiscale e contributiva, il ruolo dell'attestatore professionista indipendente (che è sempre esposto a responsabilità penale ex art. 236-bis l. fall. per “informazioni false od omissioni circa informazioni rilevanti in sede di relazione o attestazione”), diventa così ancor più determinante, essendo chiamato ad attestare, nella propria relazione, che i beni, su cui possono essere fatti valere i privilegi dall'amministrazione finanziaria o dagli altri enti, non sono sufficienti al pagamento integrale dei crediti, come garantiti, se venduti nel contesto fallimentare. Il professionista dovrà, altresì, dimostrare, secondo una valutazione coerente e motivata, basata anche sulle le possibili ipotesi di liquidazione dell'attivo in tale scenario, che la proposta transazione fiscale e contributiva sia dunque più conveniente rispettivo all'alternativa fallimentare, in modo tale che la parte incapiente possa degradare da privilegiata a chirografo e, per l’effetto, possa essere oggetto di stralcio, con conseguente esdebitazione[9].

Resta fermo, si ritiene, il sindacato del Tribunale sulla fattibilità del piano, entro i limiti individuati dalla giurisprudenza e, specificamente, sulla convenienza del trattamento proposto dall'imprenditore, con la transazione fiscale e contributiva, rispetto alla liquidazione fallimentare.

Tali nuove disposizioni, invero, accolte con favore dalla dottrina e in attesa della sperimentazione giurisprudenziale, vanno esaminate con attenzione sia per comprenderne l'esatto ambito applicativo, sia per segnalarne eventuali carenze che potrebbero generare incertezze o applicazioni difformi da parte dei tribunali interessati.

 

2. Il mancato voto e la mancata adesione.

L'esatta interpretazione della locuzione “mancanza di voto” nell’ambito dei concordati preventivi, ovvero “mancanza di adesione” per gli accordi di ristrutturazione presenta delicati aspetti interpretativi. La dottrina “avanguardista” sembra orientata verso una sorta di equiparazione tra il silenzio - rappresentato dal comportamento omissivo della P.A. - e il voto negativo espresso, poiché entrambi i comportamenti produrrebbero, quale effetto finale, la “mancanza di voto” o la “mancanza di adesione”, così da ritenere che le fattispecie disciplinate siano tanto il silenzio che il rigetto. Tale indirizzo argomenta la tesi attraverso spunti di riflessione desunti anche dalla relazione illustrativa, a commento dell’articolo 48, comma 5 del CCII (D. lgs. 14/2019)[10]. Tale norma (opportunamente integrata dal decreto correttivo, di cui D. Lgs. 147/2020, con l’estensione della previsione anche al concordato preventivo) intende “superare ingiustificate resistenze alle soluzioni concordate, spesso registrate nella prassi” e non vi è dubbio che tali resistenze possono concretizzarsi, sia qualora l'ente creditore dilazioni oltre misura la risposta alla proposta di transazione, sia qualora esso rigetti espressamente tale proposta. A tale conclusione, sempre secondo questo orientamento, si perverrebbe anche grazie alla lettera della nuova norma, atteso che sia l'espressione anche in mancanza di adesione” (utilizzata sia nel comma 2 dell'art. 63 del CCII, sia nel novellato comma 4 dell'art. 182-bis l. fall., con riguardo all'accordo di ristrutturazione), quanto l'espressione “anche in mancanza di voto” (utilizzata sia nel decreto correttivo al CCII, sia nel novellato comma 4 dell'art. 180 l. fall., a proposito del concordato preventivo) possono essere intese non solo come assenza di risposta da parte dell'Erario o degli enti previdenziali ma, anche, come risposta negativa.

Infatti, anche il rigetto della proposta, dà luogo alla mancanza di adesione”, così come il voto negativo corrisponde alla mancanza di voto”, cioè alla mancanza di un voto che consenta l'approvazione della proposta di concordato, giungendo alla conclusione che se proprio si volesse far derivare da tali espressioni un'incertezza interpretativa, questa dovrebbe essere superata sulla base della ratio delle norme di cui trattasi, che conduce, appunto, alla conclusione testé esposta[11].

Tuttavia, a fronte di tale interpretazione estensiva fornita dai primi commentatori, si ritiene fondato, a parere di chi scrive, il rischio che si affermi, in sede di applicazione giurisprudenziale, un’interpretazione più restrittiva della disposizione in commento, secondo cui il “voto negativo” non potrebbe configurare una “mancanza di voto” essendo esso stesso un voto espresso, tanto in base al combinato disposto di cui agli artt. 177 e 178 l. fall., non incisi dalla novella. Deporrebbe, invero, in tal senso la necessità di un consenso espresso della maggioranza per addivenire all’approvazione della proposta, come previsto dall’art. 178 l. fall. Con l’intervento modificativo del 2015 dell’art. 178 l. fall., infatti, si è posto fine alla questione che più di altre ha “tenuto banco” nel dibattito degli ultimi anni: quella del significato da attribuire all’inerzia dei creditori, essendosi passati, con moto classicamente pendolare, dal silenzio-dissenso della legge del 1942 (a differenza di quanto stabilito a proposito del concordato fallimentare), al silenzio-assenso della riforma del 2012, fino al ripristino della regola “tradizionale” ad opera della riforma del 2015, che richiede il consenso espresso della maggioranza per addivenire all’approvazione della proposta; così, si sono sgravati i creditori dissenzienti dall’onere di manifestare, esplicitamente, la propria contrarietà alla soluzione concordataria; conseguentemente, il silenzio, di per sé neutro,in applicazione del principio, avente portata generale, di non significatività, icasticamente espresso nel broccardo qui tacet neque dicit, neque negat, neque utique fatetur, concorre, in maniera determinante, nel computo delle maggioranze, con l’effetto, in concreto, di rendere ancora più arduo il conseguimento del risultato[12].

Inoltre, come si coniugherebbe tale interpretazione estensiva con il principio di negozialità che governa il concordato preventivo (e ancor più gli accordi di ristrutturazione)? È noto come in dottrina non si sia, in generale, mai dubitato del carattere negoziale del concordato, discutendosi semmai della sua qualificazione come “contratto”.

La Corte di Cassazione non pare avere dubbi sul carattere non solo negoziale, ma più specificatamente contrattuale del concordato preventivo, non solo perché ad esso ha applicato la categoria della causa in concreto e, quindi, della funzione dello strumento di regolazione dei rapporti tra le parti propria del contratto, bensì perché lo ha espressamente riconosciuto, nella nota sentenza, sulla rilevanza del conflitto di interessi nel concordato[13], laddove evidenzia “che l’esigenza della sterilizzazione dei conflitti d’interesse è, in definitiva, imposta dal fondamentale principio dell’autonomia privata, nella quale anche il concordato [fallimentare] si iscrive per i suoi pacifici profili contrattualistici, dei quali, anzi, l’approvazione della proposta è l’essenziale manifestazione” e che “costituirebbe un’evidente lesione dell’autonomia privata dei creditori, contrastante con la stessa nozione di contratto (nella misura in cui essa pacificamente rileva nell’istituto del concordato), assoggettare i creditori alla volontà, in ipotesi decisiva, della loro stessa controparte, senza neppure la garanzia di un giudizio imparziale di compatibilità, in concreto, di tale volontà con l’interesse comune, in nome del quale soltanto si giustifica, come si è visto, l’applicazione della regola maggioritaria”[14].

Del resto, l'intervento suppletivo del tribunale troverebbe una sua plausibile giustificazione di fronte all'inerzia del creditore, ma non, di certo, in presenza di una manifestazione di voto negativa, laddove il creditore ha effettuato il suo apprezzamento in ordine alle valutazioni esposte dal professionista attestatore, anche circa la maggiore convenienza della procedura così come proposta, rispetto all'alternativa fallimentare. Infatti, se così non fosse, si arriverebbe a ipotizzare una sorta di “ammissione di ufficio” (pur sempre nel rispetto della ricorrenza dei requisiti previsti dalla norma), della proposta concordataria, seppur priva del requisito del raggiungimento della maggioranza.

Ulteriore addentellato a favore dell’interpretazione restrittiva è dato dal tenore letterale dell’art. 179 l. fall., non modificato dal legislatore riformista, che, di fatto, “costringe” il commissario giudiziale e, per l'effetto, il tribunale all’accertamento e alla declaratoria di inammissibilità nel caso di mancato raggiungimento delle maggioranze.Tanto è ancor più vero, ove si consideri che, avveduta dottrina, ha ritenuto necessario un intervento del legislatore per consentire la fissazione di un'udienza di omologa anche in caso di mancato raggiungimento delle maggioranze prescritte ex lege, in caso di equiparazione del voto espresso contrario alla mancata espressione del voto del creditore Erariale rimasto silente.

Di qui la necessità, paventata da una parte della dottrina, dell'importanza di un intervento normativo, che potrebbe prevenire sul nascere il rischio di applicazioni non omogenee delle nuove norme.

Una prima interpretazione in termini di istruzioni operative per l'applicabilità della nuova normativa è stata proposta dall'Agenzia delle Entrate, che con la circolare n. 34/E del 29 dicembre 2020, ha fissato le regole per la valutazione delle proposte di trattamento del credito tributario presentate dai contribuenti.

Con la circolare in commento, l'Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in tema di gestione delle proposte di transazione fiscale nelle procedure di composizione della crisi di impresa. In tal modo ha inteso offrire, ai propri uffici, un ausilio per una tempestiva gestione delle procedure di composizione delle crisi di impresa e fornire un supporto agli operatori che si trovano ad affrontare l’attuale congiuntura economica. In particolare, si è inteso delineare le regole per la valutazione delle proposte di trattamento del credito tributario presentate dai contribuenti, nell’ottica di favorire la ripresa produttiva e la conservazione dei posti di lavoro[15].

La circolare rappresenta un utile ed opportuno vademecum per orientare e uniformare il comportamento degli uffici Finanziari su tutto il territorio nazionale, considerato il crescente ricorso all’istituto transattivo nella gestione delle crisi di impresa, tenuto conto, anche, delle ripercussioni finanziarie sugli operatori economici determinate dall’emergenza Covid-19. In particolare nella circolare è stato chiarito, proprio in relazione alla manifestazione del voto e con riferimento alle valutazioni da svolgere nell'ambito del concordato preventivo (analogamente gli accordi di ristrutturazione), che “l’eventuale diniego da parte dell’Ufficio dovrà necessariamente essere corredato da una puntuale motivazione, idonea a confutare analiticamente, in base ad elementi chiari, oggettivi e verificabili, le argomentazioni e le conclusioni del Commissario medesimo. Nel formare il proprio convincimento gli Uffici dovranno fare riferimento, quindi, agli elementi esposti nel piano attestato dal professionista indipendente e, nel caso di concordato preventivo, anche a quanto attestato e verificato dal Commissario Giudiziale, potendo disattenderne le rispettive risultanze solo allorquando le ritengano manifestamente non attendibili, ovvero non sostenibili, anche alla luce del contesto economico e competitivo di riferimento, nonché della situazione economico-patrimoniale dell'impresa. In tal caso gli Uffici devono corredare il giudizio di manifesta inattendibilità o insostenibilità con una puntuale motivazione, idonea a individuare in maniera analitica le ipotesi, le prospettazioni e i dati - compendiati nel piano e nella relazione - ritenuti non attendibili. In tale evenienza, si devono portare a conoscenza del contribuente gli esiti delle valutazioni, al fine di consentire - in tempo utile - una interlocuzione nella quale esaminare, attraverso l’utilizzo di parametri di comune dominio, gli elementi di criticità rilevati”.

L’atto di indirizzo interpretativo in esame fornisce l’approdo, certo, nel ritenere fondata la tesi che vedrebbe l'intervento del tribunale solo ed esclusivamente nel caso di inerzia (mancanza di voto) della P.A. Infatti, argomentando a contraris, si otterrebbe, l'effetto distonico di una sostituzione, di fatto, del tribunale alla volontà del creditore Erario, che ha votato negativamente, consapevolmente e in maniera informata sulla proposta del debitore.

A fortiori altra dottrina, ha argomentato la tesi restrittiva, con particolare riferimento agli accordi di ristrutturazione, focalizzando l'attenzione della incompatibilità dell'applicazione della novella, in via estensiva, riferita al dissenso manifestato dall'amministrazione finanziaria, con le previsioni che la Direttiva (Ue) 2019/1023 del 20 giugno 2019, c.d. Insolvency, stabilisce quali limiti per l’omologa dei piani di ristrutturazione, che contemplano una ristrutturazione attuata malgrado il dissenso espresso da una classe di creditori (c.d. ristrutturazione trasversale), nella specie rappresentata dagli enti destinatari della proposta di ristrutturazione tramite lo strumento dell’art.182 ter l. fall., comunque, per questa vincolante. In particolare, viene evidenziato come l'interpretazione estensiva consentirebbe al Tribunale di omologare malgrado l’eventuale insussistenza dei presupposti richiesti dalla direttiva fra cui spiccano la necessità di rispettare la cd. relatively priority rule,oltre che quella di consentire, comunque, all’autorità giudiziaria di non procedere all’omologa, quando la ristrutturazione proposta non si profili realmente in grado di superare lo stato di insolvenza[16].

Ulteriore interrogativo da porsi afferisce, infine, agli scenari che potrebbero aprirsi per l’imprenditore in crisi, in caso di manifestazione di voto negativo privo di qualsivoglia motivazione.

L'atto così emesso dal funzionario pubblico risulterebbe viziato sotto un duplice profilo: in primo luogo si potrebbe ipotizzare una violazione di legge, ex art. 3 della L. 241/90, che si riverberebbe sulla legittimità del provvedimento per carenza assoluta di motivazione in relazione alla “dichiarazione di voto in merito alla proposta di concordato preventivo[17].

Risulterebbe, di fatto, palesemente violato l’obbligo dell’Ente di motivare il provvedimento. La motivazione attua il principio della trasparenza e rappresenta un mezzo di conoscenza della dinamica dell'attuazione del potere amministrativo, rendendone conoscibile l'operato. L’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi è inteso dalla consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo una concezione sostanziale/funzionale, nel senso che esso è da intendersi rispettato quando l’atto reca l’esternazione del percorso logico-giuridico seguito dall’amministrazione per giungere alla decisione adottata e il destinatario è in grado di comprendere le ragioni di quest’ultimo e, conseguentemente, di utilmente accedere alla tutela giurisdizionale, in conformità ai principi di cui agli artt. 24 e 113 della Costituzione[18].

In secondo luogo, l'atto risulterebbe parimenti illegittimo in quanto adottato in violazione di circolari legittime. La recente circolare emanata dall'Agenzia delle Entrate in data 29.12.2020, come sottolineato in precedenza, ha inteso delineare le regole per la valutazione delle proposte di trattamento del credito tributario presentate dai contribuenti, offrendo un utile ed opportuno vademecum per orientare e uniformare il comportamento degli uffici Finanziari su tutto il territorio nazionale.

In particolare, in più punti viene rimarcato come “l’eventuale diniego da parte dell’Ufficio dovrà necessariamente essere corredato da una puntuale motivazione, idonea a confutare analiticamente, in base ad elementi chiari, oggettivi e verificabili, le argomentazioni e le conclusioni...[19].

Pertanto, partendo dal presupposto che la circolare ponga un vincolo, più o meno stringente, nei confronti dei soggetti pubblici che ne siano destinatari, si prospetta, nel caso in cui lo stesso vincolo venga disatteso immotivatamente o senza plausibile e congrua motivazione, il vizio sintomatico di eccesso di potere per violazioni di circolariche si traduce, in realtà nella violazione del principio sovraordinato di ragionevolezza per contraddittorietà tra un atto di indirizzo fissativo di regole di buon andamento ed un atto singolare che, ingiustificatamente, lo disapplichi nella sua effettiva e puntuale portata.

Conseguentemente, il provvedimento esecutivo della circolare risulterà affetto da una illegittimità derivata, che ne comporterà l'annullabilità.

Valutato in termini di illegittimità il diniego immotivatamente espresso dall'amministrazione finanziaria, il Tribunale potrà,incidenter tantum, disapplicare l'atto stesso, con l’effetto pratico di equiparare il voto contrario, privo di motivazione, alla mancanza di voto; solo con tale interpretazione di sistema, la novella troverebbe piena applicazione[20].

Come ritenuto, la questione relativa alla legittimità o meno del dissenso espresso dall’amministrazione finanziaria rispetto alla transazione fiscale proposta - su cui si è sinora formata una giurisprudenza vivente consolidata circa la competenza della giurisdizione tributaria - finirebbe per essere assorbita dalla valutazione svolta dal Tribunale ordinario, in sede di omologa, con un duplice beneficio: si eviterebbe l’allungamento della tempistica connessa all’impugnazione del dissenso innanzi alla giurisdizione tributaria e, contemporaneamente, si rimetterebbe al Tribunale fallimentare – organo giurisdizionale deputato alla soluzione della crisi di impresa - la valutazione sulla convenienza o meno rispetto all’alternativa liquidatoria[21], in conformità alla ratiosottesa all’intervento del legislatore riformista.

 

3. Il nuovo impianto normativo: aspetti problematici

Tra gli ulteriori aspetti che meritano un approfondimento va evidenziata, con riferimento al concordato preventivo, la circostanza che la norma, sembra riferirsi a quei creditori pubblici i quali, in condizione di poter votare, siano titolari di crediti di per sé originariamente chirografari ovvero anche privilegiati, ma assistiti da cause di prelazione incapienti in tutto o in parte che, tuttavia, si astengano dal voto. Per quanto, dunque, non richiamato, l’art. 160 comma 2 l. fall. troverebbe, per il creditore prelatizio incapiente, necessaria applicazione, continuando, in ogni caso, a gravare sul debitore proponente l’onere di stima del bene oggetto di garanzia, mediante il ricorso alla relazione giurata del professionista di cui all’art. 67 comma 3 lett. d) l. fall., senza interferenze – sul punto – con le attività dell’attestatore[22].

La suddetta relazione giurata di stima, ex art 160 comma 2 l. fall., dovrà essere, quindi, parte integrante dell’attestazione specifica dal parte del professionista (circostanza meglio precisata solo nella modifica dell’art. 182-ter l. fall., che si può ritenere di leggere, necessariamente, in combinato disposto con gli articoli 160 e ss. e 182-bis l. fall.), in quanto il giudizio di convenienza andrà, necessariamente, riferito estensivamente anche a questo aspetto, giustificandosi, così, il richiamo alle “risultanze della relazione” senza, per converso, vincolare lo stesso tribunale, pienamente abilitato ad valutazione estesa anche al merito, deponendo in tal senso proprio il dato letterale della novella “anche sulla base delle risultanze della relazione” che ne evidenzia la non vincolatività[23].

In relazione, poi, allo specifico riferimento “alle maggioranze di cui all’articolo 177” l. fall., contenuto nella novella, trattasi di crediti ammessi al voto che, ove siano previste diverse classi di creditori, devono essere conseguite anche nel maggior numero di classi. Conseguentemente, l’omologazione forzata da parte del tribunale è idonea a intervenire, in via suppletiva, nel caso in cui, stante la forza determinante del voto degli enti impositori, una o entrambe delle maggioranze non siano raggiunte. In altri termini, conseguita, comunque ed indipendentemente, la maggioranza dei crediti ammessi al voto, l’omologa “forzosa” interverrebbe solo al fine di sanare il mancato raggiungimento della maggioranza per classi, ovvero, gli stessi effetti si avrebbero anche quando sia la maggioranza per crediti a non essere stata raggiunta, mentre, sia stata raggiunta la maggioranza per classi[24].

Quanto poi al requisito della convenienza, ulteriore elemento indispensabile per l’omologa “forzosa” del tribunale, va evidenziato che, nell’assenza di riferimenti contenuti nei lavori preparatori, il generico rinvio alla sola convenienza senza l’indicazione di ulteriori termini di paragone, rispetto all’alternativa della liquidazione in sede fallimentare, vada inteso non nel senso di un trattamento non deteriore (quindi in sintesi anche identico a quello riservato in sede fallimentare) quanto, piuttosto, ad un diverso vantaggio satisfattivo (sebbene non quantificato) per il creditore[25].

A suffragio di tale lettura, soccorre la richiamata circolare dell'Agenzia delle Entrate, che ha evidenziato come il fulcro del procedimento argomentativo, che porta a ritenere accoglibile una proposta di trattamento del credito tributario, deve essere incentrato sulla maggiore, o minore, convenienza economica della stessa rispetto all’alternativa liquidatoria. In tal senso depone l’azione del Legislatore che, come anticipato, ha previsto che il Tribunale possa omologare il concordato preventivo o l’accordo di ristrutturazione pur in mancanza, rispettivamente, del voto o dell’adesione dell’Amministrazione Finanziaria, allorquando ritenga, anche in base alle risultanze della relazione del professionista attestatore, che la proposta dell’imprenditore sia migliorativa rispetto all’ipotesi del fallimento[26].

Gli uffici, quindi, ai fini dell’accoglibilità di una proposta di trattamento del credito tributario, sono chiamati a esaminare il requisito della maggiore, o minore, convenienza economica della proposta stessa rispetto all’alternativa liquidatoria, onde poter esprimere, consapevolmente, il consenso ovvero il diniego. È, quindi, necessario confrontare l’importo che l’erario può percepire sulla base della proposta con quello realizzabile, alternativamente, mediante la liquidazione giudiziale dell'impresa, tenendo conto dei valori degli assets aziendali e dell’ammontare conseguibile, in forza delle legittime cause di prelazione, in sede di assegnazione ai creditori delle somme realizzate mediante la liquidazione stessa. Gli uffici nel loro convincimento dovranno fare riferimento, quindi, agli elementi esposti nel piano attestato dal professionista indipendente, dal quale possono discostarsi solo se lo ritengono manifestamente non attendibile o non sostenibile, anche alla luce del contesto economico e competitivo di riferimento, nonché della situazione economico-patrimoniale dell'impresa.

Dalla relazione del professionista, previamente attestata, dovrà, quindi, emergere che la proposta concordataria sia maggiormente satisfattiva dei crediti tributari e previdenziali, all’esito della comparazione tra il pagamento proposto con la domanda di concordato e quanto ritraibile dalla alternativa liquidatoria. Ai fini di tale confronto, l’attestazione dovrà contenere tutti gli elementi che tengano conto, anche, del maggiore apporto patrimoniale, rappresentato esemplificativamente: dai flussi o dagli investimenti generati dalla eventuale continuità aziendale; dalla eventuale presenza di finanza esterna (assente in caso di successiva liquidazione fallimentare); oppure, infine, dall’esito dell’attività liquidatoria gestita in sede concordataria. Tale apporto, secondo quanto espressamente dettato dal tenore letterale della circolare in commento, non costituisce una risorsa economica nuova, ma deve essere considerato come finanza endogena, in quanto, ai sensi dell’articolo 2740 c.c., il proponente è chiamato a rispondere dei debiti assunti con tutti i propri beni, presenti e futuri[27].

La proposta così formulata è oggetto di valutazione da parte del Commissario Giudiziale, organo del Tribunale Fallimentare e pubblico ufficiale, attraverso la relazione redatta ex art. 172, l. fall. Con tale relazione, il Commissario procede alla valutazione della fattibilità giuridica ed economica della proposta e del piano, nonché della loro convenienza rispetto all’ipotesi liquidatoria (fallimentare). Pertanto, laddove il Commissario Giudiziale renda un parere favorevole alla proposta di concordato e, conseguentemente, alla connessa proposta di trattamento del credito, l’eventuale diniego da parte dell’Ufficio dovrà necessariamente essere corredato da una ancor più puntuale motivazione, idonea a confutare, analiticamente, in base ad elementi chiari, oggettivi e verificabili, le argomentazioni e le conclusioni del Commissario medesimo[28].

Analoghe considerazioni (in punto di qualità e quantità della pretesa pubblica, asseverazione del professionista attestatore e giudizio di convenienza da parte del tribunale) valgono gli accordi di ristrutturazione. Si potrebbero porre degli interrogativi circa la possibilità di una frazionabilità del credito ai fini del raggiungimento della percentuale richiesta dalla norma per l'approvazione dell'accordo, ma come è stato fatto notare dai primi commentatori della novella, invero, la norma non detta un criterio selettivo, né autorizza a pensare che il debitore o il tribunale siano abilitati ad una simile scelta, così potendosi ipotizzare che l’intero credito pubblicistico, se attestato come detto, sarà convertito nella sua totalità in credito aderente all’accordo[29].

Anche in merito alla convenienza la Circolare n. 34/E del 29 dicembre 2020 ha chiarito che l’attestazione (relativamente ai crediti tributari o contributivi, e relativi accessori) avrà ad oggetto il trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale[30].

Ultimo profilo da esaminare, di non poco momento, attiene all’applicabilità della normativa ai procedimenti in corso.

Nonostante l’invito dell’Ufficio studi del Senato, che aveva sollecitato il Parlamento a valutare “l’opportunità di chiarire se le novelle in esame riguardino anche le procedure già pendenti alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”, nessuna specifica norma sui termini di efficacia della novella è stata adottata[31].

Nell'assenza di disposizioni transitorie, che stabiliscano se una novità normativa si applichi anche alle fattispecie sorte anteriormente (e, quindi, in assenza di una deroga espressa al principio di irretroattività della legge), si dovrà valutare, ai fini dell'efficacia, se la modifica rivesta carattere sostanziale o processuale.

Una questione non solo teorica in quanto, dall’esatta individuazione della natura della norma dipende l’applicazione del principio di successione delle leggi nel tempo, ex art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale del Codice Civile.

Nel caso si ritenga la norma di natura sostanziale, infatti, essa non potrà applicarsi alle fattispecie già pendenti, mentre, nel caso la si ritenga di rilievo processuale, la modifica potrà ritenersi immediatamente operativa per tutte le fattispecie vigenti, in forza del principio di stretta legalità tempus regit actum.

Ci si dovrà chiedere, allora, se le norme che disciplinano il procedimento concorsuale, quali quelle che attengono all’espressione e al conteggio del voto o alle maggioranze richieste per l’approvazione del piano o dell'accordo, possano considerarsi norme processuali o meno.

Molteplici considerazioni portano a ritenere tali norme come processuali e, pertanto, applicabili anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della novella normativa.

Anzitutto, la considerazione che la giurisprudenza riferisce il principio tempus regit actum ad ogni assetto regolatorio, definibile come procedimentale in senso lato.

Infatti, in materia concorsuale si è ritenuta la fase esecutiva del concordato fallimentare, una fase processuale autonoma a sé stante rispetto a quella giurisdizionale, conclusasi con l’omologa, con la conseguenza di ritenere applicabile anche ai concordati già omologati il nuovo regime di iniziativa per la risoluzione, con esclusione della legittimazione d’ufficio della procedura (Cass. Civ. Sez. VI Ord., 22/02/2012, n. 2674).

Un’importante precisazione è stata poi fornita dalla Cass. Civ., Sez. I, 24/6/2016, n. 13165, la quale, nell’interpretare la norma transitoria del D. Lgs. n. 169/2007 (primo correttivo della riforma delle procedure concorsuali del 2006, con la quale si stabiliva che le novità normative si applicassero “alle procedure concorsuali aperte successivamente alla sua entrata in vigore”), ha chiarito che l’espressione “procedure concorsuali” andasse riferita alla disciplina interna propria di tali procedure, con esclusione dei procedimenti di rilievo esterno come le azioni da proporsi contro terzi da parte del curatore. Tale precisazione, indirettamente, costituisce una conferma del fatto che, in assenza di una specifica norma transitoria, che ne differisca l’entrata in vigore o che riferisca l’efficacia solo alle procedure aperte successivamente, le norme che disciplinano le procedure concorsuali vanno intese come norme procedimentali rette dal principio “tempus regit actum”[32].

Ulteriore conferma della rilevanza processuale delle norme in materia concorsuale la si trova nei termini di efficacia delle novelle più recenti.

Quella del 2006 (D.Lgs. 5/2006), in vigore dal 16 luglio 2006, non dettava alcuna disciplina transitoria per le rilevanti modifiche apportate in materia di concordato preventivo, limitandosi a statuire solo in merito ai fallimenti e ai concordati fallimentari pendenti, oltre che sui procedimenti per la dichiarazione di fallimento. Sicché, da quella data, si è fatta applicazione della regola tempus regit actum e si è ritenuto, ad esempio, che i concordati in corso non potessero più convertirsi automaticamente in fallimento, stante l’intervenuta abolizione della dichiarazione d’ufficio, prevista prima dall’art. 8 l. fall.[33]

Pertanto, proprio in assenza di una norma transitoria che ne stabilisca l’efficacia esclusivamente alle nuove procedure concorsuali instaurate, le disposizioni dell’art. 3, comma 1-bis della legge 27/11/2020, n. 159 dovranno ritenersi applicabili anche alle procedure attualmente pendenti, salvo, naturalmente, il caso in cui possa dirsi già esaurita la fase procedimentale oggetto della novella normativa.

L’esigenza di non pregiudicare l’aspettativa che gli enti impositori (ma anche degli altri creditori) possono aver riposto nel meccanismo di raccolta del voto nel concordato, ovvero dell’adesione nell’accordo sinora vigente, porta ad escludere che la nuova disciplina possa dirsi applicabile ai procedimenti in cui sia già stata avviata la fase della raccolta del voto o dell’adesione, in modo da non pregiudicare la facoltà dell’amministrazione finanziaria di esprimere, consapevolmente, le proprie determinazioni e trarne le relative conseguenze[34].

Per contro, pacificamente, applicabile è la disciplina nel caso di mancata apertura delle operazioni di voto: infatti, ai sensi dell’art 162 l.fall., l’iter procedimentale regredirà alla fase di integrazione della documentazione (nella specie, relazione del professionista circa la convenienza) da portare a conoscenza degli Uffici Finanziari, ex art. 182 ter l.fall., onde consentirne una consapevole espressione di voto e del Commissario Giudiziale, per la compiuta redazione della relazione ex art. 172 l.fall.

Per le ragioni esposte, convincente è la tesi che consentirebbe l'applicazione della norma anche oltre la fase della raccolta del voto, argomentando il convincimento sul presupposto che le novità vengono riferite al giudizio di omologazione e non alla fase di raccolta ed espressione del voto; le nuove norme potranno ritenersi, così, applicabili in tutti quei casi in cui sia pendente il giudizio di omologa, ex art. 180 l. fall., ovvero a quei casi in cui il collegio abbia trattenuto a sé la decisione sulla inammissibilità della proposta, ai sensi dell’art. 179 l. fall. e il mancato raggiungimento delle maggioranze previste dipenda, esclusivamente, dalla mancata espressione del voto da parte degli enti impositori[35] e non, invece, dalla manifestazione di aperto dissenso.



* Il contributo è destinato all’appendice del Volume EVOLUZIONE DEGLI ORGANI DELLA CRISI D’IMPRESA in corso di pubblicazione per i tipi di IPSOA. Gli Autori ringraziano la dr.ssa Patrizia De Nunzio per il suo apporto scientifico.

[1] Legge 27 novembre 2020, n. 159 (in Gazz. Uff., 3 dicembre 2020, n. 300). - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 ottobre 2020, n. 125, recante misure urgenti connesse con la proroga della dichiarazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19 e per la continuità' operativa del sistema di allerta COVID, nonché' per l'attuazione della direttiva (UE) 2020/739 del 3 giugno 2020. (…): “All'articolo 3: al comma 1, le parole: «recante "Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell'economia"» sono sostituite dalle seguenti: «convertito, con modificazioni, dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126 »; dopo il comma 1 sono aggiunti i seguenti: «1-bis. In considerazione della situazione di crisi economica per le imprese determinata dall'emergenza epidemiologica da COVID-l9, al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 180, quarto comma, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: "Il tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di voto da parte dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l'adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze di cui all'articolo 177 e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista di cui all'articolo 161, terzo comma, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria"; b) all'articolo 182-bis, quarto comma, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: "Il tribunale omologa l'accordo anche in mancanza di adesione da parte dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l'adesione è decisiva ai fini del raggiungimento della percentuale di cui al primo comma e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista di cui al medesimo comma, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria"; c) all'articolo 182-ter: 1) al comma 1, secondo periodo, dopo le parole: "natura chirografaria" sono inserite le seguenti: "anche a seguito di degradazione per incapienza"; 2) al comma 5, il secondo periodo è sostituito dal seguente: "In tali casi l'attestazione del professionista, relativamente ai crediti tributari o contributivi, e relativi accessori, ha ad oggetto anche la convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale; tale punto costituisce oggetto di specifica valutazione da parte del tribunale"; 3) al comma 5, dopo il terzo periodo è inserito il seguente: "Ai fini della proposta di accordo su crediti aventi ad oggetto contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie, e relativi accessori, copia della proposta e della relativa documentazione, contestualmente al deposito presso il tribunale, deve essere presentata all'ufficio competente sulla base dell'ultimo domicilio fiscale del debitore". 1-ter. Dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto cessa di avere applicazione il provvedimento adottato ai sensi dell'articolo 32, comma 6, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2»; alla rubrica sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, nonché applicazione di norme in materia di accordi di ristrutturazione dei debiti e di concordati preventivi»”.

[2] M. Ferro, L. 159/2020: il giudizio di convenienza supplisce nei concordati al mancato voto dell’ente pubblico per debiti tributari e previdenziali, in www.quotidianogiuridico.it, Wolters Kluwer, 07/12/2020, il quale ha precisato che «La razionalità della scelta poggia sulla difficoltà organizzativa, per un verso, a muovere le complesse macchine burocratiche verso una manifestazione consapevole e tempestiva di consenso o dissenso alle iniziative ristrutturative dei debitori. Vi è perciò constatazione che spesso l’inerzia opera come un ostacolo ai piani e ai progetti delle soluzioni alternative alla liquidazione, quand’anche foriere di scenari ripartitori di vantaggio per i crediti pubblici».

[3] In tal senso F. M. Cocco, Concordato preventivo e accordi di ristrutturazione: le principali novità del Decreto Liquidità, in Crisi di impresa, 04/12/2020.

[4] P. Baliani, Più facile stralciare i debiti con l'erario con la legge 159/2020, inwww.baliani.it, 07/12/2020.

[5] Ancora M. Ferro, op. cit.

[6] Cfr. sul punto M. Monteleone in “L’(In)falcidibilità del credito IVA” – Commento alla Sentenza della Corte di Giustizia UE del 07 aprile 2016 (causa C-546/14), pubblicato a cura del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, anno 2016; nonché in www.osservatorio-oci.org;

[7] Così M. Ferro, op. cit.

[8] In tal senso M. Ferro, op. cit.

[9] Sul punto merita evidenziare quanto riportato dalla recente circolare dell'Agenzia delle Entrate siglata il 29 dicembre 2020, con la quale sono state riepilogate le istruzioni operative sulla valutazione delle proposte transattive del debito tributario nell'ambito dei procedimenti per la gestione della crisi di impresa, che a proposito del professionista attestatore precisa «Gli interventi legislativi in materia di composizione della crisi di impresa hanno, progressivamente, assegnato ai professionisti che attestano la veridicità dei dati aziendali e l’attuabilità dell’accordo (nel prosieguo anche “attestatori”) un ruolo sempre più rilevante, precisandone le richieste competenze tecniche ed i requisiti personali, nonché chiarendo quali contenuti devono essere necessariamente riportati nella relazione di attestazione. La scelta adottata dal Legislatore di propendere verso soluzioni simil- “privatistiche” della crisi aziendale ha, infatti, enfatizzato la necessità di adottare adeguati presidi a tutela dei terzi e dei creditori. Proprio in ciò risiede la ratio dell’attestazione, che assume la funzione di strumento di garanzia a favore dei terzi e dei creditori, soprattutto se estranei al piano di risanamento, volto a consentire che le scelte e le rinunce di fronte alle quali sono posti siano ponderate ed assunte in base a informazioni corrette, attendibili e sufficientemente complete. Il lavoro dell’attestatore, quindi, è determinante in quanto deputato a rafforzare la credibilità degli impegni assunti dal debitore mediante il piano, che devono essere finalizzati al riequilibrio della situazione economico-finanziaria e, sostanzialmente, al risanamento dell’impresa. Inoltre, la relazione di attestazione, in esito alle modifiche recate dal decreto legge 7 ottobre 2020, n. 125, è espressamente indicata (artt. 180 e 182-bis della LF) come uno degli elementi di cui può avvalersi il Tribunale per omologare il concordato preventivo o l’accordo di ristrutturazione, anche in mancanza, rispettivamente, del voto o dell’adesione dell’Amministrazione finanziaria In ragione della rilevanza degli interessi tutelati, il Legislatore, come predetto, ha subordinato l’esercizio della funzione attestativa al possesso di una serie di requisiti, tra cui spicca quello dell’indipendenza, atti ad assicurare che gli accertamenti condotti, le analisi economico-finanziarie e patrimoniali elaborate, le valutazioni prospettiche di convenienza e di sostenibilità del piano industriale o di risanamento, la garanzia sulla veridicità dei dati e il giudizio finale siano effettuati da soggetti in possesso di particolari competenze professionali. Si tratta, quindi, di un ruolo centrale, da assolvere con rigore, competenza e trasparenza per assicurare la corretta riuscita della procedura di composizione della crisi».

[10] In tal senso G. Angelini e G. Dan, Nuova transazione fiscale: applicazione da uniformare, in Norme & Tributi Diritto dell’economia in Il Sole 24 Ore, 28/12/2020.

[11] G. Andreani, Le novità del codice della crisi sulla transazione fiscale, in www.ilfallimentarista.it,30/11/2020.

[12] S. Ambrosini, Problemi in tema di voto nel concordato preventivo, in www.fallimentiesocieta.it 12/12/2017.

[13] Cass. civ., sez. unite, 28 giugno 2018, n. 17186 in Foro it., n. 12/2018 I, 4020; in Giur. it., n. 11/2018, p. 2407, con nota di M. Spiotta; in Fallimento, nn. 8-9/2018, p. 960 nota di G. D’Attorre.

[14] V. Zanichelli, Il concordato come procedimento concorsuale negoziato, in www.questionegiustizia.it, n. 2 2019.

[15] Così è dato leggere in Normativa e Prassi, Istituto della transazione fiscale, le istruzioni operative per gli uffici, in www.fiscooggi.it, rivista online dell'Agenzia delle Entrate, 29/12/2020.

[16] L. De Bernardin, Brevi note a prima lettura sull’omologa dei piani di ristrutturazione con trattamento dei crediti tributari e contributivi (o anche: “del cram down del tribunale nella transazione fiscale”), in www.ilcaso.it, 02/01/2021.

[17] Va aggiunto che la L. 11 febbraio 2005, n. 15, introducendo il nuovo articolo 21 septies della L. 241/90, ha previsto una disposizione che potrebbe astrattamente ritenersi incida sull’argomento della motivazione, modificandone il suo regime di trattamento giuridico quale forma di patologia dell’atto. L’art. 21 septies prevede, infatti, insieme ad altre varie ipotesi, la nullità del provvedimento amministrativo che manchi degli elementi essenziali, sicché occorre chiedersi se la motivazione, di cui all’art. 3 della L. 241/90, non sia un elemento essenziale del provvedimento la cui mancanza determini nullità. Tenendo conto dell’insegnamento classico della dottrina più attenta ai profili classificatori della struttura dell’atto, deve escludersi che la motivazione sia un elemento strutturale dell’atto, necessario per la sua ricognizione sul piano dell’esistenza giuridica: essa è un requisito di validità dell’atto, che ne condiziona la legittimità, configurato dall’ordinamento, in via generale, come afferente al regime dell’annullabilità. Secondo un certo orientamento, anche a voler ipotizzare che la mancanza della motivazione possa rilevare come mancanza di un elemento essenziale, ciò avverrà solo nei casi in cui il difetto di motivazione si traduca nell’impossibilità di riconoscere del tutto la volontà espressa nel provvedimento, rendendola non individuabile, non nei casi in cui la volontà vi sia, ma non sia stata indicata la ragione della scelta amministrativa.

[18] Da ultimo: Consiglio di Stato, Sez. V, 25 maggio 2017 n. 2457, Cons. Stato, III, 23 novembre 2015, nn. 5311 e 5312; IV, 21 aprile 2015, n. 2011; V, 24 novembre 2016, n. 4959, 23 settembre 2015, n. 4443, 28 luglio 2015, n. 3702, 14 aprile 2015, n. 1875, 24 marzo 2014, n. 1420; VI, 6 dicembre 2016, n. 5150.

[19] Cfr. tenore letterale Circolare Agenzia delle Entrate n. 34/E del 29 dicembre 2020.

[20] Nessuna violazione circa la divisione dei poteri si profila con il sindacato indiretto del giudice ordinario, di cui all’art. 5 L.A.C., che si configura quando oggetto della controversia non è l’atto amministrativo in sé, ma la situazione giuridica che lo assumesse in qualche modo a fondamento. In questo caso, l’accertamento della legittimità dell’atto amministrativo si pone come questione pregiudiziale (di merito) in senso logico rispetto alla statuizione sulla situazione soggettiva fatta valere dinnanzi al giudice ordinario. La giurisprudenza di legittimità del resto, nello specificare i limiti del potere di disapplicazione dell'atto amministrativo illegittimo da parte del giudice ordinario, ha chiarito che lo stesso non può essere esercitato nei giudizi in cui sia parte la P.A., ma unicamente nei giudizi tra privati e nei soli casi in cui l'atto illegittimo venga in rilievo, non già come fondamento del diritto dedotto in giudizio, bensì, come mero antecedente logico, sicché la questione venga a prospettarsi come pregiudiziale in senso tecnico (Cass. Sez. I Civ. Ord. n. 17485 del 04/07/2018, Cass. Sez. VI Civ. Ord. n. 6329 del 05/03/2020, Cass. Sez. Un. n. 2244 del 06/02/2015, Cass. n. 19659 del 13/09/2006).

[21] Cfr. in tal senso L. De Bernardin, op.cit.

[22] Cfr. in tal senso M. Ferro, op. cit.

[23] Così M. Ferro, op cit, il quale evidenzia che «in ogni caso il passaggio a questa fase decisoria senza il voto favorevole di siffatti creditori pubblici è norma che reagisce anche ritroso sulla fase approvativa, pena la frustrazione della novella. Per quanto sul punto il legislatore non sia intervenuto, si può cioè ridisegnare l’intera vicenda della deliberazione della proposta: della conveniente sorte liquidatoria di tali pretese, intanto illustrate e qualificate chirografarie, ne dovrà trattare il commissario giudiziale, formalmente esse entreranno nel computo dei voti ammessi, ci potrà essere una pratica postilla a fianco delle adesioni ove decisive. La natura formale delle operazioni rimesse in particolare al giudice delegato non parrebbe conferirgli poteri maggiori, salvo quelli sull’ammissione provvisoria in caso di contestazioni ai sensi dell’art. 176 legge fallim., ben potendo i creditori pubblici in parola – come gli altri - votare anche nei 20 giorni dopo l’adunanza».

[24] In tal senso G. Angelini e G. Dan, Nuova transazione fiscale: applicazione da uniformare, in Norme & Tributi Diritto dell’economia, in Il Sole 24 Ore, 28/12/2020.

[25] Così M. Ferro, op. cit., il quale ha puntualizzato come «la dizione sulla convenienza, infine, esprime una singolarità lessicale smarcante rispetto alla comune nozione accolta di cram down all’art. 180 comma 4 prima parte legge fallim. In via di prima ricognizione interpretativa e tenuto conto degli scarsi riferimenti dei lavori preparatori, relativi ad un emendamento approvato al Senato sul d.d.l. A.S. n. 1970 , emerge la non ripetizione della formula del trattamento deteriore: non solo perché, come sarebbe stato ben possibile, difetta un rinvio secco al criterio del soddisfacimento in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili, ma proprio perché il richiamo alla convenienza implica l’accertamento positivo che la soluzione proposta con il concordato sia migliore al confronto dell’alternativa liquidatoria. È vero che appare omessa una più univoca determinazione comparativa, come sarebbe stato se si fosse scritto “più conveniente”, ma anche il ricorso al mero aggettivo (“conveniente”) induce a ritenere che non basti la prova di un trattamento non deteriore (e, dunque, al più anche eguale) rispetto alla prospettiva liquidatoria ed occorra, invece, un diverso vantaggio satisfattivo per il creditore».

[26] Cfr. Circolare Agenzia delle Entrate n. 34/E del 29 dicembre 2020 secondo cui in sede di valutazione della maggior convenienza della proposta assume particolare rilevanza la relazione del professionista attestatore che, qualora ricomprenda le informazioni dettagliate, è in grado di far acquisire un valore presuntivo alle prospettazioni e alle conclusioni contenute nella proposta.

[27] Va rilevato, sul punto, che l’Agenzia delle Entrate nella Circolare in commento, ha mostrato di aderire all’orientamento restrittivo, secondo cui i flussi generati dalla prosecuzione dell’attività, da parte dell’impresa debitrice nell’ambito di un concordato preventivo in continuità, hanno natura “endogena” (in quanto non derivanti da un apporto esterno) e sarebbero, quindi, da considerare parte del patrimonio di tale impresa. Tale interpretazione confligge, con una dominante giurisprudenza di merito - Corte App. Venezia, 19 luglio 2019; Trib. Milano, 5 dicembre 2018; Trib. Massa, 27 novembre 2018; Trib. Milano, 3 novembre 2016; Trib. Prato, 7 ottobre 2015; Trib. Treviso, 16 novembre 2015 e 23 marzo 2015; Trib. Rovereto, 13 ottobre 2014; Trib. Torino, 7 novembre 2013; Trib. Saluzzo, 13 maggio 2013 - che aderisce ad un orientamento più favorevole, secondo cui, invece, le risorse finanziarie originate dalla prosecuzione dell’attività di impresa (ovvero i flussi finanziari disponibili o free cash flow), sebbene da essa provenienti, avrebbero natura “esogena”, poiché non fanno parte del patrimonio dell’impresa debitrice come stimato all’apertura della procedura. Per questa diversa corrente di pensiero, infatti, il valore del patrimonio del debitore esistente in tale momento costituisce il limite di soddisfazione della garanzia dei creditori prelatizi ex art. 160, comma 2, L. fall. e, perciò, andrebbe tenuto distinto dal valore del patrimonio del debitore successivamente formatosi per effetto della prosecuzione dell’attività, con il quale va invece identificato il “surplus concordatario” al pari degli apporti finanziari esterni al patrimonio del debitore. In altri termini, sulla base di questo indirizzo, al divieto di alterazione delle cause legittime di prelazione e alla regola del concorso non dovrebbero soggiacere le risorse, di qualsiasi natura, che eccedono l’ammontare ricavabile dalla liquidazione dell’attivo [determinato sulla base della relazione prevista dal citato art. 160, comma 2] (così G. Andreani, Transazione fiscale e flussi di cassa gestionali dopo (e nonostante) la Circolare n. 34/E/2020, in www.dirittobancario.it, gennaio 2021). Ancora merita sul punto evidenziare quanto riportato da attenta dottrina (A. Pezzano e M. Ratti, La finanza “terza” e “nuova” nella prospettiva riformatrice, in www.osservatorio-oci.org, 13/12/2017) che ha evidenziato come “L’attuale sedime normativo consente, così, di affermare che rientra nell’ambito della finanza terza sia quella di provenienza esogena, anche se transita nel patrimonio del debitore concordatario, che quella derivante dalla prosecuzione dell’attività di impresa e acquisita, in qualsiasi forma, a procedimento concordatario “chiuso” ai sensi dell’art. 181 l.fall.. L’unica norma che, in tutto il corpo della normativa fallimentare, disciplina i distinti (esclusivamente sotto il solo profilo semantico lessicale) concetti di risorsa esterna e finanza generata con la prosecuzione dell’attività di impresa, è l’art. 182-quinquies, comma 5, l.fall. L’unica norma che, in tutto il corpo della normativa fallimentare, disciplina i distinti (esclusivamente sotto il solo profilo semantico lessicale) concetti di risorsa esterna e finanza generata con la prosecuzione dell’attività di impresa, è l’art. 182-quinquies, comma 5, l.fall. Detta norma, ...disciplina, tra l’altro, il pagamento dei creditori “strategici”, senza specificare la loro posizione giuridica e senza preoccuparsi di verificare se detto pagamento possa condurre ad una alterazione della par condicio. Come noto, infatti, grazie a tale disposizione viene ammesso ante omologa (ed anche durante la fase del concordato con riserva) il pagamento integrale di un creditore concorsuale (anche chirografario) al verificarsi di una delle due alternative condizioni: che ciò avvenga con finanza apportata da un terzo oppure con finanza endogena, purché, in detta ultima ipotesi, il pagamento sia essenziale per l’attività d’impresa nonché funzionale al miglior soddisfacimento di tutti gli altri creditori. Le risorse estranee ed i flussi di cassa generati nel corso della prosecuzione della continuità (giocoforza “attestata” come funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori) vengono così perfettamente assimilate, sia in termini di effetti che di allocazione...”. Cfr., inoltre, ex multis A. Guiotto, “Destinazione dei flussi di cassa e gestione dei conflitti d’interessi nel concordato preventivo con continuità aziendale”, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali n. 8-9/2019, pagg. 110-114; C. Trentini, I concordati preventivi, 2014, pag. 168; S. Ambrosini, “Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti”, in Tratt. Cottino, 2008, pag. 57. Per un ulteriore approfondimento della tematica si rinvia alla parte II, Capp. 10 - 11, del presente volume.

[28] Cfr. Circolare Agenzia delle Entrate, cit.

[29] In tal senso M. Ferro, op. cit.

[30] Nel caso degli accordi di ristrutturazione il professionista effettua, quindi, una valutazione comparativa oramai del tutto assimilabile a quella richiestagli in caso di concordato preventivo (cfr. tenore Circolare Agenzia delle Entrate cit.).

[31] P. Cecchinato, L’immediata applicabilità delle nuove disposizioni su concordato preventivo e accordi di ristrutturazione dei debiti, in www.dirittobancario.it, 07/12/2020.

[32] Cfr. P. Cecchinato, op. cit.

[33] Cfr. N. Lucarelli, Procedure concorsuali: l’adesione d’ufficio in tempo di Covid-19, in www.altalex, 28/12/2020

[34] Cfr. in tal senso L. De Bernardin, op.cit

[35] Così N. Lucarelli, op.cit.


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