Societario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 08/01/2021 Scarica PDF
Società a responsabilità limitata e successione nel governo "familiare": tecniche di passaggio generazionale
Sara Addamo, Avvocato e dottore di ricerca nell'Università di TrentoSommario: 1. Premessa. – 2. Clausola statutaria con indicazione del subentro dell’erede nella carica di amministratore. – 3. Diritti particolari riguardanti l’amministrazione della società. – 3.1. Circolazione dei diritti particolari e la creazione di “quote speciali”. – 3.2. Trasferimento del diritto particolare di natura amministrativa in presenza di più eredi. – 4. Diritti diversi e categorie di quote emesse nelle s.r.l. P.M.I. – 5. Conclusioni.
1. Premessa.
Il presente contributo si prefigge di indagare gli strumenti a disposizione del capofamiglia per regolare il passaggio generazionale nella gestione dell’impresa familiare nel contesto delle società a responsabilità limitata. Questo tipo societario desta particolare interesse in quanto è quello preminentemente utilizzato dalle realtà imprenditoriali a base familiare, grazie all’ampia autonomia statutaria che consente, tra il resto, di introdurre limiti alla circolazione delle quote, di attribuire diritti particolari a singoli soci e di valorizzare diversi sistemi di amministrazione, i quali lo rendono il modello organizzativo più idoneo a soddisfare gli interessi familiari segnatamente nel momento successorio[1].
Nelle realtà familiari, infatti, occorre tenere in considerazione le capacità, le attitudini e le inclinazioni dei diversi componenti e, in particolar modo, di coloro che potrebbero essere chiamati a succedere, per cui, affinché il passaggio generazionale non incida negativamente sulla sopravvivenza dell’attività produttiva, è fondamentale poter diversificare la posizione di chi subentrerà nel tenere le redini della gestione sociale da chi riceverà una partecipazione volta principalmente alla percezione dell’utile.
La duttilità dello statuto della S.r.l. è, dunque, funzionale alla programmazione della transizione nel governo dell’impresa delle nuove generazioni venendo incontro alle esigenze espresse dal capofamiglia. È difatti costui che normalmente detiene la maggioranza dei voti o comunque il potere decisionale per modificare lo statuto ed adottare le decisioni in merito alle modalità ed al soggetto a cui affidare la gestione della società dopo la sua morte, valutando discrezionalmente le qualità imprenditoriali degli eredi. Nelle pagine che seguono non si tratterà, invece, della speculare ed altrettanto rilevante questione relativa alla successione degli eredi nelle partecipazioni sociali, ovvero l’aspetto per così dire “proprietario”, bensì solamente quella concernente la trasmissione della governance, nell’ottica dell’individuazione della soluzione più adeguata e conveniente a conformarsi alla volontà del fondatore.
2. Clausola statutaria con indicazione del subentro dell’erede nella carica di amministratore.
Lo strumento più immediato per il trasferimento della posizione di governo consiste nell’inserimento nello statuto di una clausola che indichi il nome del futuro amministratore, il quale ricoprirà tale ruolo al verificarsi di una condizione, come la morte del capofamiglia, o il raggiungimento di una data soglia d’età.
È d’uopo precisare che ad un simile risultato non può giungersi per via interpretativa, in quanto il subentro dell’erede nella qualità di socio non può di certo comportare automaticamente la successione nell’incarico di amministratore. Pertanto, l’uscita del capostipite dalla società implica la reviviscenza del regime legale di nomina dell’amministratore, ovvero per decisione dei soci ex artt. 2475, I comma e 2479, II comma, n. 2 c.c.
Occorre quindi chiedersi se l’ampia autonomia statutaria riconosciuta al tipo s.r.l. a seguito della riforma del diritto societario consenta di derogare a tale regime mediante l’introduzione di una clausola che determini la successione dell’erede designato, senza una formale decisione dei soci sul punto.
La risposta affermativa discende anzitutto dal dato letterale derivante dal combinato disposto delle predette norme che affidano la nomina degli amministratori alla maggioranza dei soci, “salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo”, il quale può prevedere forme alternative e perfino, secondo dottrina oramai unanime, l’indicazione di un amministratore a tempo indeterminato[2]. Inoltre, il medesimo risultato sarebbe raggiungibile mediante l’inserimento di previsioni statutarie, della cui legittimità non si discute, che limitino l’accesso alla carica di amministratore stabilendo requisiti e caratteristiche determinate, con un livello tale di dettaglio da individuare in definitiva un solo specifico soggetto. Del resto, la competenza dei soci nella scelta degli amministratori non sarebbe del tutto derogata, in quanto la successione automatica dell’erede nelle posizioni di governo altro non sarebbe che una modalità alternativa di nomina, meramente anticipata rispetto al momento dell’uscita del capofamiglia[3].
Pertanto, si
deve sostenere la validità della clausola statutaria, sospensivamente
condizionata alla cessazione dell’attuale amministratore, che indichi
direttamente il nominativo del successore, o comunque lo identifichi con
precisione. Tuttavia, qualora, a seguito dell’uscita del capofamiglia dalla
società, subentrino nella partecipazione più eredi che detengano
complessivamente la maggioranza, vi è il rischio che tale previsione venga
revocata. Pertanto, per conferire stabilità alla designazione del successore
nella gestione, è necessario che la clausola sia accompagnata da una previsione
che ne renda più complessa la modifica, eventualmente richiedendo l’unanimità
dei consensi.
Infine, la presenza di più eredi complica la situazione anche nella prospettiva del diritto successorio, in quanto tali clausole di successione automatica comportano che un solo erede sia insignito del potere di amministrare e di conseguenza non è possibile prescindere dalla valutazione economica dello stesso, onde scongiurare una violazione delle quote di legittima.
3. Diritti particolari riguardanti l’amministrazione della società.
Il passaggio generazionale nelle posizioni di governo nella s.r.l. potrebbe anche avvenire mediante la trasmissione diretta all’erede dei diritti particolari di amministrare o di nominare gli amministratori che siano attribuiti al capofamiglia ai sensi dell’art. 2468, III comma c.c. Con la circolazione dei diritti particolari non solo potrebbe assicurarsi la successione nella carica di amministratore, ma anche gli altri soci appartenenti a diversi rami familiari e titolari di diritti minori riguardanti la gestione, o la distribuzione degli utili, potrebbero tramandarli ai loro discendenti, garantendo la permanenza del medesimo equilibrio tra i componenti anche a seguito dell’ingresso delle nuove generazioni.
La successione nell’amministrazione mediante la trasmissione dei diritti particolari presenta il vantaggio di conferire all’assetto delle prerogative particolare stabilità, in quanto la modifica, regolata ai sensi dell’art. 2468, IV comma c.c., richiede il consenso di tutti i soci, salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, che può introdurre la regola della maggioranza, fermo il riconoscimento del diritto di recesso ex art. 2473, I comma c.c. Di conseguenza è opinione ampiamente diffusa quella per cui il soggetto che ricopra l’incarico di amministratore in forza di un diritto particolare non possa essere revocato, salvo il ricorrere di una giusta causa[4].
Nondimeno, l’ammissibilità di una clausola statutaria volta al trasferimento dei diritti particolari è controversa, ma prima di addentrarsi nel relativo dibattito, si ritiene opportuno soffermarsi sul possibile contenuto dei diritti rilevanti nella presente sede. Infatti, il trasferimento del potere di governo dal capofamiglia all’erede designato può avvenire efficacemente attraverso la trasmissione dei cosiddetti diritti amministrativi “ad ingerenza forte”, quali il diritto di nomina di uno o più amministratori, il diritto di essere amministratore, oppure il diritto di voto maggiorato.
Prendendo le mosse dal diritto particolare di nomina degli amministratori, la relativa ammissibilità è notevolmente condivisa[5] e le isolate tesi contrarie[6] non meritano accoglimento. È stato infatti sostenuto che il dato letterale dell’art. 2468, III comma c.c. farebbe riferimento all’esercizio della funzione amministrativa e non anche alla sua investitura, ma la lettera della norma (“diritti riguardanti l’amministrazione”) ha portata generale, per cui non potrebbe escludersi con certezza dal relativo ambito applicativo la nomina di chi ricoprirà il ruolo di amministratore.
Non convince altresì l’argomento che vorrebbe interpretare le norme di cui agli artt. 2475, I comma e 2479, II comma, n. 2 c.c. come attributive di una competenza esclusiva alla collettività dei soci in punto di nomina degli amministratori. Si è già avuto modo di osservare come tali disposizioni consentano esplicitamente all’autonomia statutaria di derogarvi, per cui non vi è nulla che osti al riconoscimento al capofamiglia del diritto particolare di nominare non solo un amministratore, ma eventualmente anche la maggioranza o la totalità dei componenti dell’organo amministrativo[7].
Analogamente, il diritto di essere uno degli amministratori o l’amministratore unico della società è riconosciuto quale diritto particolare da un orientamento dottrinale di gran lunga prevalente[8].
Anche in questo caso l’opinione contraria[9] si affida ad argomentazioni agevolmente confutabili, come quella, priva di alcun fondamento normativo, né di ordine sistematico, secondo cui i diritti particolari dovrebbero distinguersi dai “diritti sociali” di cui al secondo comma dell’art. 2468 c.c., ovvero dovrebbero aggiungersi e non identificarsi coi diritti che normalmente spettano ad ogni socio. Inoltre, una simile restrizione dell’ambito applicativo della norma sui diritti particolari dovrebbe condurre ad escludere non solo il diritto di amministrare, ma anche quello di nominare gli amministratori, il quale è invece normalmente riconosciuto dalla dottrina di cui si discute.
Infine, viene addotto un argomento di carattere tipologico secondo cui la riserva della funzione amministrativa in favore di alcuni soci determinati comporterebbe lo sconfinamento nell’area della S.a.p.a., dando apoditticamente per presupposto che il tratto differenziale di quest’ultimo tipo sia la riserva di funzione amministrativa in capo agli accomandatari, peraltro senza avvedersi che la S.a.p.a. costituisce una “variante” non già della s.r.l., bensì della S.p.A. Pertanto, non può ritenersi che sia un argomento sufficiente ad impedire all’autonomia privata nella s.r.l. di attribuire stabilmente la qualifica di amministratore ad un determinato socio.
Vi sono poi altri diritti particolari di natura amministrativa che potrebbero essere attribuiti al capofamiglia, interessanti ai fini della successione nei poteri di governo, ovvero, in ordine di incisività: il diritto di adottare o autorizzare determinate decisioni riguardanti la gestione della società, il diritto di esprimere il gradimento su amministratori designati dagli altri soci, il diritto di veto ed il diritto di consultazione. Tali diritti sono generalmente riconosciuti senza significative obiezioni.
Decisamente più controversa è invece la possibilità di assegnare al capofamiglia, quale diritto particolare, un voto plurimo o comunque maggiorato rispetto alla relativa quota di partecipazione, da esercitarsi nella delibera di nomina dell’organo amministrativo o direttamente in decisioni dal contenuto gestorio.
L’opinione prevalente si esprime negativamente[10], argomentando anzitutto dall’assenza di un’indicazione normativa che consenta di derogare convenzionalmente al principio di proporzionalità del voto rispetto alla partecipazione ex artt. 2479, V comma (in cui non vi sarebbe alcuna “formula di salvezza” di eventuali diverse previsioni dell’atto costitutivo) e 2468, II comma c.c., nonché al diritto di tutti i soci di prendere parte alle decisioni sociali.
Inoltre, il divieto di voto plurimo previsto, fino al d.l. 91/2014, per le azioni della S.p.A. avrebbe trovato fondamento anche nella s.r.l., ove peraltro non vi sarebbe una possibile contrapposizione tra soci risparmiatori e soci imprenditori idonea a giustificare un meccanismo di potenziamento selettivo del voto.
Ancora, l’impossibilità di riconoscere un voto maggiorato era sostenuta argomentando dall’interpretazione restrittiva dei diritti particolari “riguardanti l’amministrazione della società”, secondo cui il diritto di voto non ne avrebbe fatto parte, non riguardando né la gestione dell’impresa, né il funzionamento dell’organizzazione.
Il divieto di voto sovraproporzionale è stato altresì di sovente collegato all’inammissibilità di quote prive del diritto di voto o con diritto di voto limitato o condizionato, argomento ribaditoper le s.r.l. tradizionali anche in seguito all’introduzione della possibilità per le piccole e medie imprese costituite in forma di s.r.l. di creare categorie di quote che non attribuiscono il diritto di voto, o non lo attribuiscono in misura proporzionale alla partecipazione, espressamente derogando all’art. 2479, V comma c.c. Il recente intervento normativo suggellato con l’art. 57, I comma d.l. n. 50/2017, convertito in l. n. 96/2017, che ha esteso a tutte le s.r.l. P.M.I. le previsioni dell’art. 26, III comma d.l. n. 179/2012, convertito in l. n. 221/2012, secondo la corrente dottrinale di cui si sta dando atto, testimonierebbe la volontà legislativa di non estendere analoga possibilità di limitare il diritto di voto al di là dell’ambito soggettivo delle s.r.l. P.M.I. ed oggettivo dello strumento delle categorie di quote espressamente contemplato.
Nel complesso tali argomenti non paiono convincenti, pertanto si ritiene preferibile la tesi favorevole all’ammissibilità del diritto particolare di voto più che proporzionale[11]. In primo luogo, il diritto di voto non proporzionale non contrasta con le caratteristiche del tipo a responsabilità limitata il quale è dotato di una maggiore flessibilità rispetto alla S.p.A. e retto dal principio di ampia autonomia statutaria, per cui anche la proporzione tra partecipazione e voto non può ritenersi inderogabile. Ciò a maggior ragione ove si consideri che l’alterazione del voto rispetto alla nomina degli amministratori o alla decisione su determinate operazioni amministrative può già realizzarsi mediante il riconoscimento di un diritto particolare avente tale contenuto, per cui rispetto alle materie che possono costituire oggetto dell’istituto di cui all’art. 2468, III comma c.c. non sarebbe coerente non ammettere anche un diritto di voto più che proporzionale. In altri termini, la possibilità di attribuire ad un socio il diritto particolare di nomina diretta (financo della totalità) degli amministratori legittima al contempo il riconoscimento di un diritto particolare di voto maggiorato in riferimento alla medesima decisione.
In secondo luogo, fermo che il divieto di emissione di azioni a voto plurimo non era richiamato per le s.r.l. e che, in ogni caso, lo stesso è oggi venuto meno per le S.p.A., deve rilevarsi che l’alterazione del diritto di voto non risponde sempre e solo all’esigenza di regolare la presenza di soci imprenditori e soci risparmiatori. Anzi, nelle s.r.l. e, in particolare, in quelle a base familiare, emergono proprio esigenze di diversificazione dei singoli membri o rami familiari che giustificano la derogabilità di tutte le disposizioni poste in materia di organizzazione interna, tra cui la proporzionalità del voto. Normalmente è proprio attribuendo un peso diverso alla partecipazione rispetto alla possibilità di incidere sulle decisioni sociali che si valorizzano le qualità personali dei diversi componenti ed è possibile realizzare l’obiettivo del passaggio generazionale.
Il fatto poi che il diritto di voto non sarebbe ricompreso nella nozione di cui all’art. 2468, III comma c.c. esprime un’interpretazione parziale del dato letterale, che non tiene conto della funzione del voto quale strumento di influenza e di partecipazione (eventualmente indiretta) all’amministrazione della società.
Infine, la questione dell’ammissibilità del voto maggiorato si pone solo apparentemente in senso speculare rispetto alla possibilità di creare quote prive del diritto di voto o con diritto di voto limitato o condizionato, in quanto, come è stato correttamente sostenuto[12], i diritti particolari possono avere un contenuto solamente positivo od accrescitivo. Di conseguenza, ai fini della tesi che si sta sostenendo, non rileva il dibattito sull’estensibilità o meno della possibilità di creare partecipazioni con diritto di voto limitato o comunque non proporzionale a tutte le s.r.l. anche non P.M.I., fermo che si è convinti che dalle modifiche introdotte nel 2012-2017 non possa trarsi un indice interpretativo univoco della volontà del legislatore di negare la legittimità di un diritto particolare al voto maggiorato nella s.r.l. tradizionale. Anzi, la regolamentazione delle categorie di quote che consente espressamente di derogare al principio di proporzionalità ex art. 2479, V comma c.c. non comporta di per sé che tale possibilità sia preclusa per le partecipazioni ordinarie, rafforzando al contrario la tesi della disponibilità di tale principio.
In definitiva, un diritto particolare di voto plurimo o maggiorato deve ritenersi ammissibile rispetto alle decisioni riguardanti l’amministrazione della società ai sensi dell’art. 2468, III comma c.c., ovvero quelle relative alla nomina degli amministratori, o al compimento di determinate operazioni gestorie, funzionali al soddisfacimento dell’interesse del capofamiglia a programmare la successione nei poteri di governo. L’unico limite deve essere individuato nelle materie indicate dall’art. 2479, II comma c.c. che non concernono la gestione, ovvero l’approvazione del bilancio e la distribuzione degli utili, l’adozione di modificazioni statutarie, o (ma con qualche riserva) la nomina dei sindaci, per le quali non pare possibile derogare alla competenza di tutti i soci.
A prescindere dall’interpretazione, potremmo dire estensiva, qui sostenuta, non può negarsi che il riconoscimento di un diritto particolare al voto maggiorato sia controverso, per cui, ai fini della successione dell’erede designato nell’amministrazione della società, si ritiene più adeguato l’inserimento di una clausola statutaria che contenga l’attribuzione al capofamiglia del diritto di nomina di uno o più amministratori, o di essere amministratore, con cui si raggiunge in definitiva il medesimo risultato.
3.1. Circolazione dei diritti particolari e la creazione di “quote speciali”.
Una volta esaminato il possibile contenuto dei diritti particolari riguardanti l’amministrazione, occorre verificare la possibilità di trasferirli dal capofamiglia all’erede, ovvero l’ammissibilità di una clausola statutaria che legittimi il successore a subentrare anche nei diritti particolari attribuiti al de cuius ai sensi dell’art. 2468, III comma c.c. L’inserimento nell’atto costitutivo di una clausola così configurata è infatti uno strumento particolarmente efficace per assecondare la volontà del capofamiglia e programmare una successione nell’amministrazione idonea a durare nel tempo.
Eppure l’impostazione tradizionale tende ad escludere la circolazione inter vivos o mortis causa dei diritti particolari[13] in base alla considerazione per cui questi siano attribuiti direttamente alla persona del socio e non alla quota.
La natura personale dei diritti particolari è motivata a partire dal dato letterale della norma, la quale si riferisce a diritti attribuibili “a singoli soci”, nonché da ragioni di carattere sistematico derivanti anzitutto dal raffronto tra le quote di s.r.l., caratterizzate da unitarietà, specificità, infungibilità ed identificate dall’appartenenza al rispettivo titolare, e le azioni della S.p.A., oggettivate e standardizzate, alle quali afferiscono invece immediatamente i diritti. Inoltre, la modifica dei diritti particolari richiede il consenso unanime dei soci, o il diritto di recesso in caso di deroga statutaria, così enfatizzando il profilo personalistico, mentre i diritti relativi alle categorie di azioni possono essere pregiudicati purché vi sia l’approvazione della maggioranza dell’assemblea speciale. Infine, la lettura personale dei diritti particolari è quella più conforme all’intenzione del legislatore della riforma del diritto societario, considerato quanto riportato nella Relazione governativa al par. 11: “si è ritenuto coerente con le caratteristiche personali del tipo societario della società a responsabilità limitata da un lato non prevedere la possibilità di categorie di quote, che implicherebbe una loro oggettivizzazione e quindi una perdita del collegamento con la persona del socio … dall’altro consentire con il quarto comma dell’art. 2468 che l’atto costitutivo preveda l’attribuzione a singoli soci, quindi in considerazione della loro posizione personale, particolari diritti concernenti sia i poteri nella società sia la partecipazione agli utili”, nonché all’art. 3, I comma, lett. a), della legge delega n. 366/2001, ove in relazione alla s.r.l. si sollecita a “prevedere un autonomo ed organico complesso di norme, anche suppletive, modellato sul principio della rilevanza personale del socio e dei rapporti contrattuali tra i soci”.
Nondimeno, una frazione minoritaria, ma di certo non irrilevante, della dottrina[14], ritiene che la configurazione personalistica dei diritti particolari sia derogabile e che, pertanto, sia consentita all’autonomia statutaria la reificazione od oggettivazione di determinati vantaggi, mediante la creazione di quote “speciali” o “categorie di quote” caratterizzate dall’incorporazione di diritti particolari. Tale tesi si basa sulla considerazione per cui, ferma l’assenza di un espresso divieto normativo sul punto, in materia di s.r.l. l’autonomia statutaria costituisce un principio generale del sistema non meno pregnante del rilievo della persona del socio e risponde all’esigenza di diversificare il regime giuridico delle partecipazioni. Di conseguenza, nello statuto sarebbe possibile prevedere perfino una standardizzazione della posizione dei titolari di diritti particolari, mediante un’apposita clausola che accluda questi ultimi al contenuto oggettivo della partecipazione, anziché legarli alla persona del socio.
Per quanto ai presenti fini si apprezzi uno dei risultati che tale ricostruzione dottrinale porta con sé, ovvero la pacifica circolazione del diritto particolare con la quota, la stessa non può comunque essere condivisa[15], in quanto la rilevanza centrale della persona dei soci costituisce il principale carattere tipologico della s.r.l. tradizionale, unitamente al divieto di incorporare le partecipazioni in azioni. E ciò in forza delle predette argomentazioni di ordine sistematico, storico e teleologico, che valgono in particolare rispetto all’attribuzione di diritti particolari ai soci, la quale configura la massima espressione del rilievo dell’intutus personae nella s.r.l. – come, ad esempio, in caso di diritto di essere amministratore – che si oppone alla spersonalizzazione conseguente ad una assunzione dei diritti in capo alla quota, a prescindere dal soggetto che verrà a detenerla.
L’elemento tipologico della persona del socio risulta pure accentuato a seguito delle citate riforme sulle s.r.l. P.M.I. e, segnatamente, in considerazione dell’art. 26, II comma d.l. n. 179/2012, che ammette la creazione di categorie di quote fornite di diritti diversi, con contenuto determinato liberamente, anche in deroga a quanto previsto dall’art. 2468, II e III comma c.c. La mancata estensione di questa possibilità per le s.r.l. ordinarie offre uno spunto interpretativo ulteriore per ritenere che il modello di incorporazione dei diritti nelle partecipazioni sia di esclusivo appannaggio dei tipi sociali che consentono la collocazione delle quote sul mercato, ovvero le S.p.A. e le s.r.l. P.M.I., così rimarcando la caratterizzazione personalistica della s.r.l. tradizionale[16].
Del resto, una clausola statutaria potrebbe legittimamente disporre per la circolazione del diritto particolare mortis causa (ma anche inter vivos), senza la necessità di postulare la creazione di quote speciali o categorie di quote[17]. Infatti, se è pur vero che, nel silenzio dello statuto, l’uscita dalla società del titolare del diritto particolare, comportando la perdita della qualità di socio, determina anche l’estinzione della prerogativa allo stesso attribuita, nulla osta all’autonomia statutaria di disciplinare diversamente la sorte del diritto particolare, purché lo faccia nel rispetto dell’art. 2468, IV comma c.c. Quest’ultima disposizione offre infatti il fondamento normativo per ammettere la previsione statutaria del trasferimento del diritto particolare, la quale coincide con una modifica di tipo soggettivo che deve essere decisa con il consenso di tutti i soci, salva diversa disposizione dell’atto costitutivo. Tale inciso, in relazione alla modifica del diritto, consente non solo una deroga al principio unanimistico, legittimando una decisione a maggioranza, ma anche l’introduzione di una specifica clausola che disciplini la sorte del diritto particolare, ad esempio mediante subentro automatico dell’erede nel beneficio. L’introduzione di tale clausola può avvenire, a sua volta, mediante consenso unanime o a maggioranza, fermo che, in tale ultimo caso, deve sempre riconoscersi l’esercizio del diritto di recesso[18].
La sussunzione della fattispecie nel campo di applicazione dell’art. 2468, IV comma c.c. non fa venire meno il collegamento con la persona del titolare del diritto particolare, né la competenza dei soci a decidere sulla modifica del medesimo diritto, essendo semplicemente anticipato, ovvero con l’inserimento della clausola nello statuto, il momento in cui questi esprimono la propria approvazione rispetto al soggetto che disporrà pro futuro di quel determinato beneficio. Pertanto, non è necessario oggettivizzare il diritto particolare nel contenuto della quota per assicurare la trasmissione al discendente delle prerogative del capofamiglia attinenti alla gestione della società.
D’altronde è pacificamente ammessa la configurazione di diritti particolari attribuiti a soci individuati per relationem, nonché subordinati al verificarsi di determinate condizioni oggettive o soggettive, come il raggiungimento di una certa età, o il completamento di un determinato percorso di studi. Conseguentemente deve ritenersi legittima anche la clausola statutaria che disponga, subordinatamente all’evento morte del de cuius, il trasferimento con la partecipazione del diritto particolare all’erede (il cui nome sia o meno indicato, purché il soggetto destinatario sia individuabile con certezza).
Non risulta invece fondata la tesi di chi distingue tra i diritti relativi all’amministrazione e quelli di natura patrimoniale, per cui solo rispetto a questi ultimi sarebbe possibile o agevolato il trasferimento con la quota[19]. In particolare, una parte della dottrina ha sostenuto che il trasferimento dei diritti patrimoniali possa avvenire automaticamente con la partecipazione in quanto l’identità del beneficiario sarebbe irrilevante, mentre i diritti amministrativi, poiché connotati da un’istanza di adempimento personale, potrebbero essere trasmessi solo nel rispetto delle modalità di cui all’art. 2468, IV comma c.c. Inoltre, secondo una variante di tale tesi, i diritti infungibili, ovvero quelli amministrativi, sarebbero connotati dall’intrasferibilità, laddove una clausola statutaria che disciplini la circolazione dei diritti particolari potrebbe ammettersi solo per quelli fungibili, ovvero a contenuto patrimoniale. L’idea di fondo è quella per cui i diritti riguardanti l’amministrazione presenterebbero un livello di personalizzazione più intenso di quelli patrimoniali, anche in considerazione della loro funzione organizzativa che li rende idonei a condizionare dell’andamento della società e, quindi, ad incidere sugli interessi di tutti i soci.
Tuttavia, tale distinzione in base al contenuto dei diritti non è sorretta da alcun dato normativo ed anzi l’art. 2468, III comma c.c. collega ogni diritto, anche di tipo patrimoniale, direttamente alla persona del socio in considerazione delle sue qualità e caratteristiche. Di conseguenza non ha senso distinguere tra diritti fungibili e infungibili e la disciplina applicabile ai diritti particolari non può che essere unitaria[20], con tutto ciò che ne consegue in merito al regime residuale e derogabile dell’intrasferibilità.
È quindi legittima la clausola statutaria che disciplina la sorte della prerogativa riguardante l’amministrazione in seguito all’uscita del capofamiglia dalla società, autorizzando il successore a subentrare anche nella titolarità del diritto particolare.
3.2. Trasferimento del diritto particolare di natura amministrativa in presenza di più eredi.
Giunti alla generale ammissibilità della circolazione dei diritti particolari mediante apposita clausola statutaria, occorre indagare la possibilità per il capofamiglia, titolare di più diritti particolari, di distribuirli ai diversi successori, oppure di attribuire il diritto particolare necessario alla successione nell’amministrazione della società ad un solo erede designato, con esclusione degli altri.
Alla presenza di più eredi, deve preliminarmente affermarsi la possibilità di frazionare la quota anche a seguito della riforma del diritto societario. Infatti, l’art. 2482 c.c. nella precedente formulazione, sanciva espressamente la divisibilità della quota nel caso di successione mortis causa o alienazione, purché fosse rispettato un valore minimo delle quote o multiplo di quel minimo. La frazionabilità della quota non è stata riprodotta nell’attuale art. 2468 c.c. non perché vi fosse una volontà legislativa di senso contrario, ma piuttosto perché sarebbe stato superfluo prevederla, in quanto costituisce carattere naturale della partecipazione in conseguenza di vicende traslative che ne modificano la titolarità[21]. Ad ogni modo, può ritenersi opportuno inserire nell’atto costitutivo una clausola che preveda la frazionabilità della quota in conseguenza della morte del socio, onde superare ogni eventuale incertezza che potrebbe derivare dall’interpretazione del modello legale.
Il discorso poi si complica quando al titolare della partecipazione siano attribuiti diritti particolari, in quanto non è mancato chi, in tal caso, abbia negato in radice la divisibilità della quota[22], nonché, al contrario, chi abbia sostenuto che la divisione comporterebbe l’inclusione del diritto in tutte le frazioni, determinando una moltiplicazione dei titolari della prerogativa[23].
Nel silenzio del dato normativo, si ritiene preferibile, al pari di quanto sostenuto in merito alla trasferibilità dei diritti particolari, affermare che il modello legale non consenta la frazionabilità dei diritti unitamente alla quota, in assenza di una specifica clausola statutaria che disponga in tal senso. L’autonomia statutaria può, quindi, accordare al capofamiglia la libertà di dividere la propria partecipazione tra i suoi eredi, assegnando il diritto particolare soltanto ad uno di essi.
Le predette conclusioni di diritto societario debbono, infine, essere verificate sotto la lente del diritto successorio, in particolare rispetto alla legittimità del trasferimento del diritto di natura amministrativa ad un solo erede designato e a discapito degli altri. Come visto nell’ipotesi di clausole di successione automatica nell’amministrazione, non è possibile prescindere dalla considerazione del valore economico dei diritti particolari, che andrebbe aggiunto a quello della partecipazione sociale trasmessa. Il capofamiglia, pertanto, nella programmazione della divisione della quota tra gli eredi, è tenuto a valutare economicamente anche il diritto di amministrare, al fine di tutelare le ragioni dei legittimari.
4. Diritti diversi e categorie di quote emesse nelle s.r.l. P.M.I.
A seguito delle modifiche legislative principiate con il d.l. n. 179/2012, convertito nella l. 17 dicembre 2012, n. 221 sulle start-up innovative, sono state introdotte rilevanti novità, tra cui la possibilità di emettere categorie di quote fornite di diritti diversi e l’apertura a forme di finanziamento tramite portali online con la tecnica del crowdfunding, le quali sono poi state progressivamente[24] estese a tutte le piccole e medie imprese costituite in forma di s.r.l. (art. 57, I comma, d.l. n. 50/2017, convertito nella l. 21 giungo 2017, n. 96). Il campo di applicazione della nuova disciplina delle s.r.l. P.M.I. è potenzialmente amplissimo, se si ritenga di estenderlo a tutte le società che non raggiungono le soglie previste dalla Raccomandazione 2003/361/CE (attuata in Italia con il D.M. 18 aprile 2005), ovvero l’impiego di 250 persone e un fatturato annuo di 50 milioni di euro, o, in alternativa, un bilancio annuo pari a 43 milioni di euro. Conseguentemente, quasi tutte le imprese familiari che assumono la forma di s.r.l. sono qualificabili come P.M.I. e pertanto la relativa disciplina assurge a modello principale o ordinario.
La nuova normativa presenta profili di notevole interesse per la pianificazione del passaggio generazionale, in particolare con riferimento all’art. 26, II e III comma d.l. n. 179/2012, il quale prevede che l’atto costitutivo, nei limiti imposti dalla legge, possa liberamente determinare il contenuto delle varie categorie, anche in deroga agli artt. 2468, II e III comma e 2479, V comma c.c., e che questo possa coincidere con la privazione del diritto di voto o con l’attribuzione di diritti di voto limitati, subordinati, o in misura non proporzionale alla partecipazione. Infatti, sebbene la possibilità di introdurre tali categorie di partecipazioni fosse stata prevista quale strumento elettivo per il ricorso al mercato del capitale di rischio, può risultare particolarmente utile anche nelle s.r.l. P.M.I. chiuse per differenziare la posizione dei diversi componenti della famiglia.
I diritti diversi di cui possono essere dotate le categorie di quote comprendono, ma non si limitano ai diritti particolari di cui all’art. 2468, III comma c.c.[25]. Tale affermazione, per quanto diffusa, non è pienamente condivisibile. Da un lato, infatti, poiché i diritti diversi afferiscono alla quota e non alla persona che la possiede, non si vede come sia possibile configurare un diritto ad essere amministratore o un diritto di nominare uno o più amministratori, i quali presuppongono che il titolare del diritto sia una persona fisica o giuridica, senza alcun intermediario. In tal senso la nuova disciplina risulta limitativa rispetto a quella dei diritti particolari. Dall’altro lato, le categorie di quote possono espressamente attribuire al socio diritti di voto depotenziati ed è pacificamente riconosciuto che possano assegnare anche un diritto di voto maggiorato o plurimo[26], mentre tale possibilità, come si è visto, è dibattuta rispetto ai diritti particolari. È, quindi, tramite il diritto di voto, specialmente nell’accezione del voto più che proporzionale, che è possibile per il capofamiglia, titolare delle quote standardizzate[27] facenti parte di tale categoria, detenere il potere di governo societario, adottando decisioni gestorie e nominando gli amministratori.
Ad ogni modo, è pacifico che nelle s.r.l. P.M.I. sia possibile realizzare una coesistenza tra quote appartenenti a categorie e diritti particolari attribuiti ad personam[28], anche in capo al medesimo soggetto, offrendo così un’ampia gamma di strumenti a disposizione dei soci e, in particolare, del capofamiglia, per regolare la successione nell’amministrazione.
Il passaggio generazionale mediante le categorie speciali di quote è peraltro agevolato, in quanto i diritti circolano unitamente alla quota in cui sono incorporati. Infatti, con la s.r.l. P.M.I. si assiste al passaggio da una visione meramente soggettiva e obbligatoria ad una oggettiva e reale che porta a legare il diritto diverso alla partecipazione sociale[29]. La specialità della quota diventa, quindi, un elemento perfettamente opponibile alla vicenda traslativa, consentendo al successore di entrare nella piena titolarità dei diritti diversi, senza necessità di una previsione statutaria ad hoc.
Inoltre, si ritiene che la modifica dei diritti diversi non dovrebbe seguire la disciplina prevista per i diritti particolari dall’art. 2368, IV comma c.c., in quanto la manifestazione del consenso di tutti i soci non pare compatibile con la logica di classe sottesa alla creazione delle categorie di quote. Pertanto, è preferibile l’introduzione nello statuto di una clausola che predisponga una struttura organizzativa fondata sulle assemblee speciali, in grado di imprimere una caratterizzazione collettiva e collegiale alle quote, distinguendole dalla regolamentazione dei diritti particolari. Ma, nel silenzio dell’atto costitutivo, la regola legale appare decisamente controversa, sebbene si propenda, in considerazione del connotato oggettivo delle quote di categoria, per l’applicazione del principio di maggioranza sulla falsariga del modello azionario ex art. 2376 c.c., quanto meno nelle s.r.l. P.M.I. aperte al mercato.
Da ultimo, ci si potrebbe chiedere se sia possibile estendere l’assetto dei diritti così come configurato nelle s.r.l. P.M.I. anche alla s.r.l. ordinaria, al fine di comprendere se il capofamiglia possa avere a disposizione lo strumento delle categorie speciali di quote per programmare la successione nell’amministrazione in tutte le s.r.l. Dai ragionamenti svolti emerge una predilezione per la soluzione negativa, la quale valorizza la caratterizzazione personale della s.r.l. tradizionale rispetto alla spersonalizzazione delle s.r.l. P.M.I., intese quale variante autonoma (o “sottotipo”)[30]. In ogni caso, rispetto al più modesto interrogativo a cui ci si si era prefissi di offrire una risposta, ovvero come il capofamiglia possa regolare la successione nella gestione, è sufficiente ricordare che la quasi totalità delle imprese familiari è qualificabile come s.r.l. P.M.I. e pertanto è a questo modello che occorre fare riferimento.
5. Conclusioni
L’ampia autonomia statutaria delle s.r.l. consente al capofamiglia di programmare il passaggio generazionale mediante l’utilizzo di previsioni convenzionali che indichino il successore nella gestione, o che disciplinino la trasmissione dei diritti particolari riguardanti l’amministrazione e, a seguito delle recenti riforme sulle s.r.l. P.M.I., il panorama si è arricchito ulteriormente con le categorie speciali di quote aventi diritti di voto più che proporzionali.
Questi istituti sono tutti idonei a raggiungere lo scopo della successione nell’amministrazione, ma quello in grado di assicurare maggiore stabilità all’assetto organizzativo voluto dal capostipite è senz’altro il trasferimento dei diritti particolari. Infatti, una clausola statutaria che preveda, alla morte del titolare, il passaggio dei diritti particolari assieme alla quota, o ad una frazione della stessa, è da preferire proprio in quanto non potrebbe essere modificata o abrogata se non con il consenso di tutti i soci, o, qualora si introducesse il principio di maggioranza, legittimerebbe quanto meno l’esercizio del diritto di recesso. Inoltre, il socio che ricoprisse il ruolo di amministratore in forza di un diritto particolare non potrebbe essere revocato se non per giusta causa. Gli altri strumenti, invece, sono di regola modificabili a maggioranza e quindi suscettibili di essere soppressi ogni volta che, dopo la morte del de cuius, gli eredi subentranti non detengano complessivamente la maggior parte dei voti. Così, potrebbe essere rimossa la clausola statutaria con indicazione dell’erede nella carica di amministratore, o pregiudicato (nel senso di ridotto o azzerato) il diritto di voto della categoria, con approvazione dell’assemblea speciale.
Alla luce di quanto argomentato, del resto, non residuano dubbi sull’ammissibilità della clausola statutaria che realizzi una modificazione soggettiva, disponendo il trasferimento dei diritti particolari al successore, per cui perde di attrattiva quello che era considerato il vantaggio principale dei diritti di categoria, ovvero la circolazione automatica con la quota.
Infine, in presenza di più eredi, il capofamiglia dovrebbe optare per la circolazione dei diritti particolari poiché gli consentirebbe, nel rispetto delle quote di legittima, di scegliere il successore nella governance, mentre con le quote di categoria i diritti di voto potenziati si trasferirebbero a tutti gli eredi in proporzione alle partecipazioni ricevute, con conseguente frazionamento e dispersione del potere di governo.
[1] L. Balestra, Business & sentimenti, Mulino, Bologna, 2020, pp.101 ss., 119; C. Limatola, Passaggi generazionali e posizioni di governo nella s.r.l.,Giappichelli, Torino, 2017, p. 7 ss.; M. Palazzo, La circolazione delle partecipazioni e la governance nelle società familiari in prospettiva successoria, in Riv. not., 6, 2007, p. 1375.
[2] Tra i vari: P. Butturini, I diritti particolari dei soci: profili generali, in E. Pederzini, R. Guidotti (a cura di), La governance delle società a responsabilità limitata, Cedam, Padova, 2018, p. 88; R. Santagata, I diritti particolari dei soci, in A. A.Dolmetta, G. Presti (a cura di), S.r.l. Commentario, Milano, 2011, p. 291; R. Guglielmo, Diritti particolari dei soci nelle s.r.l. e voto non proporzionale, in Riv. not., 3, 2010, p. 600; A. Santus., G. De Marchi, Sui particolari diritti del socio nella nuova s.r.l., in Riv. not., 2004, p. 86; R. Rosapepe, Appunti su alcuni aspetti della nuova disciplina della partecipazione sociale nella s.r.l., in Giur. comm., I, 2003, p. 482.
[3] In tema di investitura nella funzione amministrativa, cfr. E. Pederzini, La governance delle nuove società a responsabilità limitata. Profili generali, in E. Pederzini, R. Guidotti (a cura di), La governance delle società a responsabilità limitata, Padova, 2018, p. 4 ss.
[4] E. Pederzini, La governance delle nuove società a responsabilità limitata, cit., p. 10 ss.; D. Regoli, La carica di amministratore. La rappresentanza. Il conflitto di interessi – L’invalidità delle decisioni, in C. Ibba, G. Marasà (diretto da), Trattato delle società a responsabilità limitata, Vol. V, L’amministrazione. La responsabilità gestoria, Cedam, Padova, 2012, p. 535; A. Zanardo, Alcuni spunti sulla disciplina della revoca degli amministratori in società a responsabilità limitata, in Contr. e impr., 2006, p. 1601.
[5] Tra i tanti: L. A. Bianchi, A. Feller, Commento sub art. 2468 c.c., in L.A. Bianchi (a cura di), Società a responsabilità limitata, in P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari (a cura di), Commentario delle società, VIII, Milano, 2008, p. 327; E. Pederzini, I diritti particolari, in E. Cusa (a cura di), La cooperativa – s.r.l. tra legge e autonomia privata, Cedam, Padova, 2008, p. 276 ss.; A. Daccò, I diritti particolari del socio nelle s.r.l., in P. Abbadessa, G.B. Portale (diretto da), Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, 3, Torino, 2007, p. 403; P. Revigliono, Art. 2468, in G. Cottino, G. Bonfante, O. Cagnasso, P. Montalenti(diretto da), Il nuovo diritto societario. Commentario, 2, Bologna, 2004, p. 1808 ss.; M. Maugeri, Quali diritti particolari per il socio di società a responsabilità limitata?, in Riv. soc., 2004, p. 1505.
[6] Con argomentazioni non del tutto coincidenti: G. Zanarone, Commento sub art. 2475 c.c., in G. Zanarone, Della società a responsabilità limitata, in F.D. Busnelli (diretto da), Il codice civile. Commentario fondato da P. Schlesinger, I, Milano, 2010, p. 951 ss.; L. Abete, I diritti particolari attribuibili ai soci di s.r.l.: taluni profili, in Società, 3, 2006, p. 298; G. Capo, Il governo dell’impresa sociale e la nuova era della società a responsabilità limitata, in Giur. comm., I, 2003, p. 506.
[7] V. De Stasio, Commento sub art. 2468 c.c., in P. Benazzo, S. Patriarca (a cura di), Codice commentato delle s.r.l., Torino, 2006, p. 136.
[8] G. Zanarone, Commento sub art. 2468 c.c., in G. Zanarone, Della società a responsabilità limitata, cit., p. 525; R. Santagata, I diritti particolari dei soci, cit., p. 292; A. Santus., G. De Marchi, Sui particolari diritti del socio nella nuova s.r.l., cit., p. 86; P. Revigliono, Art. 2468, cit., p. 1808; M. Maltoni, Commento all’art. 2468, cit., p. 1832; M. Maugeri, Quali diritti particolari per il socio di società a responsabilità limitata?, cit., p. 1505.
[9] E. Fazzutti, Commento sub art. 2468 c.c., inM. Sandulli, V. Santoro (a cura di), La riforma delle società, III, Giappichelli, Torino, 2003, p. 58.
[10] V. Donativi, I diritti particolari dei soci, in C. Ibba, G. Marasà (a cura di), Le società a responsabilità limitata, I, Giuffrè, Milano, 2020, p. 814 ss.; O. Cagnasso, Il socio di s.r.l. privo del diritto di voto. Qualche riflessione in tema di proprietà e controllo nell’ambito delle società P.M.I., in Nuovo dir. soc., 6, 2018, p. 915 ss.; G. Iaccarino, Attribuzione del diritto di voto non proporzionale alla partecipazione sociale, in Società, 2008, p. 31 ss.; G. Guerrieri, Commento sub. artt. 2479-2479-ter, in A. Maffei Alberti (a cura di), Il nuovo diritto delle società, III, Padova, 2005, p. 2034; M. C. Lupetti, Deroga al criterio di proporzionalità tra partecipazione sociale e diritto di voto nelle s.r.l. tra vecchio e nuovo diritto societario, in Riv. not., 2004, p. 1552; R. Rosapepe, Appunti su alcuni aspetti della nuova disciplina della partecipazione sociale nella s.r.l., cit., p. 482 ss.
[11] P. Butturini, I diritti del socio di s.r.l. e l’autonomia statutaria, cit., p. 29; M. Speranzin, S.r.l. piccole-medie imprese tra autonomia statutaria e ibridazione dei tipi (con particolare riferimento alle partecipazioni prive del diritto di voto), in Riv. soc., 2, 2018, pp. 348 ss., 353; R. Santagata, I diritti particolari dei soci, cit., p. 293 ss.; G. Zanarone, Commento sub art. 2468 c.c., cit., p. 525; L.A. Bianchi, A. Feller, Commento sub art. 2468 c.c., cit., pp. 323-325; A. Daccò, I diritti particolari del socio nelle s.r.l.,cit., p. 405; R. Guglielmo, Diritti particolari dei soci nelle s.r.l. e voto non proporzionale, cit., p. 612 ss.; M. Maltoni, Commento all’art. 2468, cit., p. 1833 ss.; M. Maugeri, Quali diritti particolari per il socio di società a responsabilità limitata?, cit., p. 1504.
[12] M. Cian, S.r.l. PMI, s.r.l., s.p.a.: schemi argomentativi per una ricostruzione del sistema, in Riv. soc., 4, 2018, pp. 822, 825 ss.; G. C. M. Rivolta, La società a responsabilità limitata, in A. Cicu, F. Messineo (diretto da), Trattato di dir. civ. e comm., XXXI, 1, Milano, 1982, p. 171 ss., il quale già prima della riforma del diritto societario sosteneva che le quote non potessero essere prive del diritto di voto, ma ammetteva quelle a voto plurimo.
[13] V. Donativi, I diritti particolari dei soci, cit., pp. 890 ss. e 992 ss.; P. Butturini, I diritti particolari dei soci: profili generali, cit., p. 114 ss.; G. Zanarone, Commento sub art. 2468 c.c., cit., p. 521; R. Santagata, I diritti particolari dei soci, cit., p. 304; R. Guglielmo, Diritti particolari dei soci nelle s.r.l. e voto non proporzionale, cit., p. 616 ss.; A. Daccò, I diritti particolari del socio nelle s.r.l., cit., p. 398 ss.; M. Maltoni, Commento all’art. 2468, cit., p. 1837 ss.; M. Maugeri, Quali diritti particolari per il socio di società a responsabilità limitata?, cit., p. 1492 ss.; P. Revigliono, Art. 2468, cit., p. 1813 ss.; P. Spada, Classi e tipi di società dopo la riforma organica, in Riv. dir. civ., 5, 2003, pp. 502, 505; M. Perrino, La “rilevanza del socio” nella s.r.l.: recesso, diritti particolari, esclusione, in Giur. comm., I, 2003, p. 830. Negano invece del tutto la trasferibilità della quota allorquando il titolare sia investito di diritti particolari: M. Stella Richter, La società a responsabilità limitata. Disposizioni generali. Conferimenti. Quote, in Diritto delle società di capitali. Manuale breve, Milano, 2003, p. 286; R. Rosapepe, Appunti su alcuni aspetti della nuova disciplina della partecipazione sociale nella s.r.l., cit., p. 485 ss.
[14] G. Palmieri, Principio di proporzionalità, diritti particolari dei soci e autonomia statutaria nella s.r.l., in Riv. soc., 5, 2012, p. 897; V. De Stasio, Commento sub art. 2468 c.c., cit., p. 146; A. Santus., G. De Marchi, Sui particolari diritti del socio nella nuova s.r.l., cit., p. 100 ss. (sebbene in senso dubitativo); M. Notari, Diritti “particolari” dei soci e categorie “speciali” di partecipazioni, in Anal. Giur. Econ., 2003, pp. 325 ss., 333 ss.;E. Fazzutti, Commento sub art. 2468 c.c., cit., p. 58; A. Tricoli, Sull’ammissibilità di quote di s.r.l. dotate di particolari diritti, in Riv. dir. comm., 2005, p. 1029 ss. Differente è la posizione di C. Limatola, Passaggi generazionali e posizioni di governo nella s.r.l.,cit., pp. 230 ss., 250 ss., secondo cui nella s.r.l. sono ammissibili quote speciali con incorporati direttamente i diritti sociali, ma il contenuto della quota non potrebbe coincidere con i diritti particolari, i quali possono essere riconosciuti solo alla persona del socio.
[15] In senso contrario all’ammissibilità di quote speciali o di categorie di partecipazioni: M. Cian, S.r.l. PMI, s.r.l., s.p.a.: schemi argomentativi per una ricostruzione del sistema, cit., p. 824 ss.; M. C. Di Martino, Tipico e transtipico nelle categorie speciali di quote delle s.r.l. P.M.I., in Nuove leggi civ. comm., 6, 2019, p. 1500 ss.; P. Benazzo, Categorie di quote, diritti di voto e governance della “nuovissima” s.r.l.: quale ruolo e quale spazio per la disciplina azionaria nella s.r.l.-PMI aperta?, in Riv. soc., 5, 2018, p. 1458; R. Santagata, I diritti particolari dei soci, cit., p. 285 ss.; G. Zanarone, Commento sub art. 2468 c.c., cit., p. 521 ss.;A. Mondani, Il trasferimento della quota munita di diritti particolari, in Banca borsa e tit. cred., 4, 2010, p. 471 ss.; P. Revigliono, Art. 2468, cit., p. 1814; P. Spada, Classi e tipi di società dopo la riforma organica, cit., p. 502; R. Rosapepe, Appunti su alcuni aspetti della nuova disciplina della partecipazione sociale nella s.r.l., cit., p. 481;G. C. M. Rivolta, La società a responsabilità limitata, cit., p. 161 ss.
[16] Questo argomento poggia sul presupposto della classificazione delle s.r.l. P.M.I. come un tipo sociale autonomo e distinto dalla s.r.l. tradizionale, che è invero controversa, sebbene, a seguito del venir meno del carattere temporaneo delle deroghe al diritto societario, sia sempre più diffusa la tesi affermativa.
[17] P. Butturini, I diritti particolari dei soci: profili generali, cit., pp. 117 ss., 119; C. Pasquariello, I diritti particolari riguardanti l’amministrazione della società e le categorie di quote, in E. Pederzini, R. Guidotti (a cura di), La governance delle società a responsabilità limitata, Cedam, Padova, 2018, p. 141; M. Speranzin, S.r.l. piccole-medie imprese tra autonomia statutaria e ibridazione dei tipi (con particolare riferimento alle partecipazioni prive del diritto di voto), cit., p. 354; R. Guglielmo, Diritti particolari dei soci nelle s.r.l. e voto non proporzionale, cit., p. 619; L.A. Bianchi, A. Feller, Commento sub art. 2468 c.c., cit., p. 335; M. Maltoni, Commento all’art. 2468, cit., p. 1837 ss.; A. Tricoli, Sull’ammissibilità di quote di s.r.l. dotate di particolari diritti, cit., p. 1029 ss.
[18] M. Cian, S.r.l. PMI, s.r.l., s.p.a.: schemi argomentativi per una ricostruzione del sistema, cit., p. 823; R. Guglielmo, Diritti particolari dei soci nelle s.r.l. e voto non proporzionale, cit., p. 617 ss.
[19] P. Butturini, I diritti particolari dei soci: profili generali, cit., pp. 115 ss., 119 ss.; A. Mondani, Il trasferimento della quota munita di diritti particolari, cit., pp. 482 ss., 486 ss.; M. Maugeri, Quali diritti particolari per il socio di società a responsabilità limitata?, cit., p. 1494; P. Spada, Classi e tipi di società dopo la riforma organica, cit., p. 505.
[20] V. Donativi, I diritti particolari dei soci, cit., p. 995; C. Limatola, Passaggi generazionali e posizioni di governo nella s.r.l.,cit., pp. 261-263.
[21] C. Pasquariello, I diritti particolari riguardanti l’amministrazione della società e le categorie di quote, cit., p. 141; G. Margiotta, La divisibilità e la cessione parziale della quota di s.r.l., in Società, 2006, p. 425 ss.; V. De Stasio, Commento sub art. 2468 c.c., cit., p. 133; P. Revigliono, Art. 2468, cit., p. 1815.
[22] La quota del titolare del diritto particolare dovrebbe essere non solo intrasferibile, ma anche indivisibile secondo: R. Rosapepe, Appunti su alcuni aspetti della nuova disciplina della partecipazione sociale nella s.r.l., cit., p. 484; E. Fazzutti, Commento sub art. 2468 c.c., cit., p. 53.
[23] Sul frazionamento dei diritti particolari, specie se di contenuto patrimoniale: R. Santagata, I diritti particolari dei soci, cit., p. 305; A. Mondani, Il trasferimento della quota munita di diritti particolari, cit., p. 489; M. Maltoni, Commento all’art. 2468, cit., p. 1838; M. Notari, Diritti “particolari” dei soci e categorie “speciali” di partecipazioni, cit., p. 334.
[24] Ovvero passando per le P.M.I. innovative disciplinate dal d.l. n. 3/2015 convertito nella l. 24 marzo 2015, n. 33, fino ad approdare ad un parametro esclusivamente dimensionale con il d.l. n. 179/2012.
[25] C. Saracino, Categorie di quote e particolari diritti. La comproprietà della quota, in O. Cagnasso, A. Mambriani (diretto da), Start-up e P.M.I. innovative, Zanichelli, Bologna, 2020, p. 356 ss.; C. Pasquariello, I diritti particolari riguardanti l’amministrazione della società e le categorie di quote, cit., p. 155.
[26] Ciò in considerazione anzitutto del dato testuale della norma ex art. 26, III comma d.l. n. 179/2012, che consente genericamente la creazione di categorie di quote che “attribuiscono al socio diritti di voto in misura non proporzionale alla partecipazione”, nonché della ratio volta all’ampliamento delle forme partecipative al capitale di rischio delle s.r.l. P.M.I. Vedi: M. C. Di Martino, Tipico e transtipico nelle categorie speciali di quote delle s.r.l. P.M.I., cit., p. 1517 ss.
[27] Così presupponendo la possibilità di superare il principio di unitarietà della quota (P. Benazzo, Categorie di quote, diritti di voto e governance della “nuovissima” s.r.l.: quale ruolo e quale spazio per la disciplina azionaria nella s.r.l.-PMI aperta?, cit., p. 1460).
[28] C. Saracino, Categorie di quote e particolari diritti. La comproprietà della quota, cit., pp. 352 ss., 355; M. Speranzin, S.r.l. piccole-medie imprese tra autonomia statutaria e ibridazione dei tipi (con particolare riferimento alle partecipazioni prive del diritto di voto), cit., p. 353; M. C. Di Martino, Tipico e transtipico nelle categorie speciali di quote delle s.r.l. P.M.I., cit., p. 1511; M. Maltoni, P. Spada, L’impresa start up innovativa costituita in società a responsabilità limitata, in Riv. not., 2013, p. 590 ss.
[29] C. Saracino, Categorie di quote e particolari diritti. La comproprietà della quota, cit., p. 353 ss.; M. Cian, S.r.l. PMI, s.r.l., s.p.a.: schemi argomentativi per una ricostruzione del sistema, cit., p. 831 ss.; P. Benazzo, Categorie di quote, diritti di voto e governance della “nuovissima” s.r.l.: quale ruolo e quale spazio per la disciplina azionaria nella s.r.l.-PMI aperta?, cit., p. 1459.
[30] La questione tipologica è certamente quella più complessa e rilevante dall’inizio della stagione di riforme che ha interessato le s.r.l. a partire dal 2012 e nella presente sede non è possibile affrontarla con il necessario approfondimento. Del resto, ogni soluzione presuppone una scelta di campo e quella che si predilige tende a dare valore all’alterità tipologica per ragioni di ordine del sistema. In tal senso anche: M. Cian, S.r.l. PMI, s.r.l., s.p.a.: schemi argomentativi per una ricostruzione del sistema, cit., p. 826.
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