CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 24/11/2020 Scarica PDF
Il trattamento dei crediti tributari e contributivi: ancora novità sulla cd "transazione fiscale"
Emanuele Mattei, Avvocato. Docente in Diritto dell’Impresa – Lumsa Roma. Professore straordinario in Diritto Commerciale – Link University – RomaPoche norme come l’art. 182ter della legge fallimentare hanno subito modifiche e integrazioni nel corso degli ultimi quindici anni e, a differenza di altre aree del diritto, questo lungo e tormentato iter appare financo giustificato se si tiene conto che la norma in questione affronta un tema di delicatezza estrema: il trattamento dei crediti pubblici.
Dopo aver esteso l’applicabilità dell’istituto, limitato inizialmente al solo concordato preventivo, anche agli accordi di ristrutturazione dei debiti per effetto del D.Lgs n. 169/2007, il dibattito di dottrina e giurisprudenza si incentrò sulla natura della transazione fiscale e la falcidiabilità dei singoli tributi, in quanto la norma non affrontava direttamente la questione.
Si passò, quindi, dalla transigibilità limitata ai tributi “amministrati dalle agenzie fiscali” con esclusione dei tributi costituenti “risorse proprie dell’Unione europea”, di cui alla norma in vigore sino al 2016[1], all’attuale estensione dell’area della falcidia che oggi comprende anche il tributo IVA e le ritenute erariali/previdenziali: dopo un tormentato iter giurisprudenziale che ha portato a sollevare la questione dinanzi alla Corte di Giustizia UE,[2] quest’ultima ha finalmente permesso al legislatore interno di modificare l’art. 182ter che, nell’attuale formulazione, permette, in presenza di comprovate condizioni di insufficienza patrimoniale del debitore, di addivenire ad una soddisfazione parziale del debito erariale e contributivo, con possibile dilazione del pagamento, nell’ambito di due procedure di composizione della crisi quali l’accordo di ristrutturazione e il concordato preventivo.
I temi sollevati dall’art. 182ter non si limitarono agli aspetti sostanziali ma coinvolsero anche gli aspetti procedurali: l’esito dei contenziosi pendenti con il fisco e la cessazione della materia del contendere, la natura dell’eventuale diniego alla proposta di transazione fiscale, nelle diverse procedure di concordato o accordi, la questione della liquidazione e della certificazione del debito alla data della proposta, costituiscono solo alcune delle problematiche che hanno interessato gli studiosi della materia, i tribunali fallimentari e le commissioni tributarie.
Anche la natura di questa procedura sollevò infiniti interrogativi in quanto pur rubricata identicamente nei due istituti che la prevedono (transazione fiscale), non poteva possedere i medesimi requisiti avendo gli istituti in questione, accordi e concordati, natura giuridica non omogenea. La mediazione, per nulla risolutiva della questione, fu trovata nel cambiamento della rubrica che ora recita “Trattamento dei crediti tributari e contributivi”, non potendo assimilarsi ad una transazione civilistica l’esito di una proposta al creditore erariale nell’ambito di un concordato preventivo.
Ma la questione di fondo rimane tutt’ora quella inerente l’equità di uno strumento che permette, a certe e determinate condizioni, di stralciare, per importi anche rilevanti, crediti dello Stato, permettendo così all’imprenditore di iniziare una nuova attività, o continuare la precedente, grazie ad un abbattimento del carico tributario, con un potenziale effetto distorsivo della concorrenza che le varie associazioni di categoria non ebbero timore di sollevare, all’epoca dell’introduzione della norma[3].
Appare chiaro che le condizioni per permettere il “cram down” debbono essere stringenti e attentamente controllate: da qui l’innesto di un rilevante controllo giudiziale il quale, pur atteggiandosi diversamente quanto alla specificità di tale sindacato nelle due diverse soluzioni legali, assicura ai creditori pubblici un attento vaglio dell’esistenza delle condizioni legali per la applicabilità dello stralcio.
È essenzialmente questo il motivo dell’attuale mancata inclusione di questo particolare istituto nell’ambito del piano attestato ex art. 67 della legge fallimentare (il futuro art. 56 nel Codice della Crisi) il quale, pur prevedendo la figura dell’esperto attestatore come nelle due procedure giudiziali, non vede la presenza del sindacato giurisdizionale, filtro di valutazione di correttezza della procedura e della documentazione a supporto della domanda e della sussistenza delle condizioni legali per poter procedere ad un pagamento parziale dei crediti dello Stato.
Le complicanze procedimentali appena accennate e il potere di contrastare ad libitum la proposta da parte degli uffici (quantomeno negli accordi di ristrutturazione) non ha contribuito ad un utilizzo estensivo dello strumento ed evidentemente occorrevano altri interventi per poter offrire al mercato un maggiore appeal per il suo utilizzo.
Nella prospettiva, infatti, di affrontare la valanga di crisi e insolvenze che la gravissima pandemia sta causando e che ancora non approda nei tribunali italiani unicamente per effetto dei numerosi interventi normativi di natura emergenziale che stanno “congelando” le passività di migliaia di imprese italiane e che, non appena terminate le moratorie dei mutui e dei leasing, l’applicazione degli ammortizzatori sociali e il divieto dei licenziamenti, immancabilmente si presenteranno sotto forma di procedure di fallimento (di liquidazione giudiziale ai sensi del futuro CCII) e di procedure di ristrutturazione, serviranno ben altri strumenti, più efficaci ed incisivi.
In questo senso va letto il recentissimo intervento del legislatore del 2020 il quale, in parte anticipando le novità che il Codice della Crisi di Impresa, agli artt. 63 e 88, ha già introdotto nel corpus juris di futura introduzione, con un emendamento recentemente approvato al Senato ed ancora, al momento in cui andiamo in stampa, all’esame della Camera, introduce nell’attuale articolo 182ter la possibilità che il giudice possa omologare concordati e accordi di ristrutturazione dei debiti anche in caso di inerzia o di mancata adesione da parte dell’amministrazione finanziaria e di quella previdenziale.
L’omologa degli accordi e dei concordati sarà possibile quando l’adesione dei creditori erariali e previdenziali sia considerata essenziale per il raggiungimento delle maggioranze, di voto nel concordato e delle percentuali minime di legge per gli accordi, e in presenza di un’attestazione che sancisca l’incapienza del debitore e l’assoluto vantaggio per i creditori pubblici del pagamento parziale proposto rispetto all’alternativa fallimentare.
In particolare all’art.all’articolo 180, quarto comma, è aggiunto il seguente periodo: “Il tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di voto da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l’adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze di cui all’articolo 177 e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista di cui all’articolo 161, terzo comma, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto al fallimento.”
Mentre all’articolo 182-bis, quarto comma, viene aggiunto il seguente periodo: “Il tribunale omologa l’accordo anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l’adesione è decisiva ai fini del raggiungimento della percentuale di cui al primo comma e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista di cui al medesimo comma, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto al fallimento.”
Anche il regime privilegiato di cui ha goduto l’INPS in applicazione del DM 4 agosto 2009 verrà meno definitivamente con l’approvazione del nuovo articolo 182ter.: in effetti questo vincolo normativo, di rango inferiore rispetto alla normativa fallimentare ha, di fatto, permesso agli uffici della previdenza di vedere soddisfatti per intero i propri crediti, con una possibilità di dilazione limitata a cinque anni, con un trattamento oltremodo favorevole rispetto ai tributi erariali, i quali possono essere stralciati e dilazionati senza limiti, ponendo oggettive difficoltà alle ristrutturazione delle imprese che tra le passività comprendevano anche debiti contributivi.
L’emendamento approvato la scorsa settimana dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato in sede di conversione del Dl 7 ottobre 2020, n. 125, che introduce il c.d. cram down sia per gli accordi di ristrutturazione sia per i concordati ha purtroppo omesso di inserire il termine concesso alla pubblica amministrazione per esprimersi riguardo la proposta di soddisfacimento delle proprie ragioni creditorie.
Il Codice della Crisi, come recentemente modificato dal Decreto Correttivo (il D.Lgs 26 ottobre 2020 n. 147) aveva previsto un termine di novanta giorni, modificando il relativo art. 63 CCII: tale modifica appare opportuna, e quindi opportuna di conseguenza la correzione dell’emendamento in commento, al fine di non lasciare indefinito il termine entro il quale la p.a. dovrà pronunciarsi sulla proposta di soddisfazione parziale.
Occorreva in definitiva superare alcune resistenze culturali e organizzative degli uffici delle Entrate e dell’INPS che hanno sempre guardato con diffidenza a questo strumento transattivo, nel loro contemporaneo ruolo di riscossori di ultima istanza dei debiti statali e di soggetti passivi di proposte di pagamenti parziali degli stessi, in presenza, in casi purtroppo non sporadici di proposte inaccettabili nelle quali era provato che il debitore aveva utilizzato ogni mezzo al fine di occultare attività e fondi che avrebbero incrementato la soddisfazione di un credito di rango privilegiato e che afferiva all’intera comunità sociale.
Sotto questo profilo il presidio rappresentato dall’esperto attestatore e dal professionista che deve attestare l’incapienza patrimoniale del debitore ex art. 160 secondo comma legge fallimentare, per lo più iscritti all’albo dei dottori commercialisti e dei revisori legali, deve poter rappresentare una garanzia reale di legalità e correttezza delle domande di trattamento dei crediti erariali e contributivi, di modo da permettere agli organi della procedura, giudice e commissario, ove presente, di poter adeguatamente vigilare e, laddove previsto, autorizzare il pagamento parziale, definitivamente certi di aver così permesso un introito nelle casse erariali maggiore di quello realizzabile nel diverso scenario liquidatorio fallimentare.
[1] L’attuale articolo 182ter, rubricato “Trattamento dei crediti tributari e contributivi” è stato novellato dall’art. 1, comma 81, della Legge 11 dicembre 2016, n. 232 (cd. Legge di bilancio del 2017).
[2] Il legislatore ha adeguato il contenuto della norma ai più recenti orientamenti della giurisprudenza sia dell’Unione Europea che nazionale, al fine di agevolare la soluzione negoziale della crisi da parte dei debitori, di preservare i complessi produttivi e salvaguardare i livelli occupazionali. Il principale arresto della giurisprudenza nazionale che ha portato alla necessità di rivedere l’ambito di applicazione dell’Art.182ter della Legge Fallimentare è rappresentato dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 7 aprile 2016, relativa alla causa C-546/14 (Sentenza Degano). Tale intervento ha permesso al debitore di ottenere, a determinate condizioni, anche la falcidia su crediti privilegiati come Iva, ritenute e contributi previdenziali. Con la circolare del 23 luglio 2018, Circolare n.16/E, l’ultima in subiecta materia, l’Agenzia delle Entrate ha fornito i primi chiarimenti sulle modifiche che hanno interessato la disciplina nazionale del Trattamento dei Crediti Tributari e Contributivi, contenuta nel novellato Art.182ter del Regio Decreto del 16 marzo 1942, n.267.
[3] Il trade off nell’accettare o respingere una domanda di stralcio per crediti di questa particolare natura non può comunque basarsi, a mio modo di vedere, su un criterio di meritevolezza del debitore, financo rispetto ad un soggetto che ha palesemente e fraudolentemente occultato o sottratto beni e risorse destinate alla soddisfazione dei creditori ma unicamente sulla capacità del coacervo dei beni residui a lui facenti capo, insieme ad eventuali risorse di terzi intervenienti nel processo di ristrutturazione, di soddisfare, seppur in parte, i crediti dello stato. Diversamente opinando si rischia di non trovare alcuna soddisfazione a tali crediti nell’alternativa fallimentare, trovandosi in questo caso, innanzi ad un danno erariale certo.
I presidi civili e penali, da attivarsi a cura degli organi delle due procedure, faranno eventualmente giustizia delle condotte illecite poste in essere dal debitore, potendo trovare capienza sui beni personali dell’agente nel caso di esito favorevole dei giudizi.
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