Tributario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 07/06/2020 Scarica PDF
L'utilizzo della compensazione nel sistema previdenziale
Antonino Sgroi, Avvocato e Professore a contratto di diritto della previdenza e della sicurezza sociale presso l’Università di PisaSommario: 1. Profili generali. – 2. La compensazione quale strumento di adempimento dell’obbligo contributivo. – 3. La compensazione quale strumento di riscossione della contribuzione all’interno del sistema tributario.
1. Il sistema previdenziale conosce l’utilizzo dell’istituto civilistico della compensazione[1] in fattispecie che vedono per lo più coinvolti i datori di lavoro, quale strumento satisfattorio di estinzione dell’obbligazione legislativamente previsto.
Risale al 1983 la regola generale, contenuta nel primo comma dell’art. 2, del d.l. 12.9.1983, n. 463, conv.to con modif.ni dalla l. 21.11.1983, n. 638, che espressamente consente al datore di lavoro, al momento del pagamento della contribuzione previdenziale mensilmente dovuta dallo stesso, il conguaglio fra questa e le somme dallo stesso datore di lavoro anticipate. Somme queste, che sono per lo più collegate al pagamento da parte del datore di lavoro di prestazioni previdenziali dovute dall’ente previdenziale in favore dei proprî lavoratori.
L’ordinamento previdenziale, a far data dal 1997, conosce però l’utilizzo di un altro istituto, anch’esso denominato compensazione, sorto in seno all’ordinamento fiscale e che consente al contribuente, in sede di versamenti unitari delle imposte e dei contributi e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, la compensazione dei crediti dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche (art. 17.1, d. lgs. 9.7.1997, n. 241). Il modello così delineato si ritiene costituisca, diversamente dalla disciplina civilistica, non uno strumento di adempimento dell’obbligo da parte del contribuente, bensì uno strumento di riscossione dei tributi[2].
Si rilevi sin da ora che, nonostante la strutturale differenza evidenziata fra i due cennati istituti, l’esito ai quali essi conducono, ancorché attraverso percorsi differenti ove legittimamente utilizzati, è quello del regolare pagamento della contribuzione previdenziale da parte del soggetto onerato; direttamente nella prima ipotesi e indirettamente per il tramite di altro soggetto pubblico, debitore del contribuente nella seconda ipotesi. In entrambe, uno degli effetti dell’adempimento è costituito dal rilascio, da parte dell’ente previdenziale, del documento unico di regolarità contributiva, cd. durc, attestante la regolarità della posizione[3].
Infine, si constata che, per entrambe le fattispecie, il legislatore ha introdotto una tutela penalistica che si rinviene, rispettivamente, per la prima fattispecie nell’art.316-ter codice penale[4] e, per la seconda fattispecie, nell’art. 10 quater del d. lgs. 10.3.2000, n. 74[5].
2. Il sistema previdenziale conosce, al suo interno, un reticolato di norme disciplinanti singole fattispecie che prevedono l’utilizzo della compensazione per singoli istituti, nonché regole a valenza generale per sottocategorie di benefici previdenziali.
Regola a valenza generale è quella, precedentemente menzionata, che riconosce in capo al datore di lavoro la possibilità di operare il conguaglio fra contributi dovuti e prestazioni anticipate dallo stesso, per conto dell’ente previdenziale.
Ulteriore regola a spettro di applicazione generale la si rinviene in seno alla disciplina di riordino degli incentivi all’occupazione dettata dal d. lgs. 14.9.2015, n. 148. Regola secondo la quale, siffatti benefici sono usualmente riconosciuti mediante conguaglio sul versamento dei contributi previdenziali (art. 30, u.c.).
A fronte di tale normativa a valenza generale, la ricognizione della disciplina previdenziale in tema di prestazioni non pensionistiche, riconosciute ai lavoratori subordinati, evidenzia l’esistenza di un modello così congegnato: a) individuazione del soggetto debitore della prestazione nell’ente previdenziale, b) individuazione del soggetto tenuto al pagamento della prestazione nel datore di lavoro, c) riconoscimento in capo al datore di lavoro, in sede di pagamento della contribuzione mensilmente dovuta, del diritto a decurtare dalle somme da pagare, l’importo delle somme erogate ai propri lavoratori a titolo di prestazioni previdenziali, per conto dell’ente previdenziale.
Tale delineato modello lo si rinviene per il pagamento degli assegni familiari all’art. 37 del d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, ove espressamente si afferma che i predetti sono corrisposti agli aventi diritto dal datore di lavoro alla fine di ogni periodo di pagamento della retribuzione[6]. Una volta effettuato tale pagamento, se l’ammontare dei contributi dovuti è superiore all’ammontare degli assegni corrisposti, il datore si libera dall’obbligazione di pagamento della contribuzione, versando il differenziale (art. 43, d.P.R. cit.).
Uguale meccanismo è replicato per le indennità di malattia e maternità[7] riconosciute in favore dei lavoratori dipendenti. Anche in questo caso sono i datori di lavoro a erogare tali prestazioni previdenziali ai lavoratori, all’atto della corresponsione della retribuzione, per poi porre a conguaglio l’importo di tali somme, con l’importo dei contributi e di tutte le altre somme dovute all’Inps, con espresso richiamo alle disposizioni dettate per gli assegni familiari, in quanto compatibili [8]. A ciò si aggiunga l’ipotesi di denuncia contributiva che, nonostante l’attuazione della compensazione legale, contiene un credito in capo al datore di lavoro, ponendo a carico dell’ente previdenziale l’obbligo di rimborsare tale credito entro novanta giorni dalla presentazione della denuncia.
Il richiamo alla disciplina dettata per le indennità di malattia e di maternità lo si rinviene altresì nel caso di pagamento dell’indennità giornaliera prevista in favore dei lavoratori affetti da tubercolosi (art. 8, l. 4 marzo 1987, n. 88).
Infine, la stessa modalità è espressamente prevista per l’erogazione delle prestazioni di integrazione salariale.
Il legislatore del 2015, replicando un modello esistente nella precedente disciplina, prevede che il pagamento delle integrazioni salariali è effettuato dal datore di lavoro ai propri dipendenti che ne hanno diritto, alla fine di ogni periodo di paga (art. 7.1, d. lgs. 14 settembre 2015, n. 148). Una volta effettuato il pagamento, il datore di lavoro pone a conguaglio le somme anticipate per l’ente previdenziale con le somme allo stesso dovute a titolo di contributi (art. 7.2, l. cit.)[9].
In tutte le fattispecie di legittima fruizione di un beneficio contributivo da parte del datore di lavoro e di legittimo ed effettivo pagamento di una prestazione previdenziale da parte del datore di lavoro, si ha un duplice effetto.
Il primo effetto, immediato e di tipo economico, si sostanzia nell’adempimento dell’obbligazione contributiva posta a carico del datore di lavoro, con il trasferimento all’Inps di una somma di denaro inferiore a quella che si sarebbe dovuta pagare da parte del datore di lavoro, se questi non avesse, antecedentemente allo scadere del termine di pagamento, o goduto del beneficio della riduzione dell’ordinario onere contributivo o pagato una prestazione previdenziale di cui è debitore l’Inps (le due ipotesi nella realtà spesso si cumulano).
Il secondo effetto si sostanzia nella regolarità della posizione previdenziale del datore di lavoro e, conseguentemente, nel suo diritto al rilascio da parte dell’ente previdenziale del documento unico di regolarità contributiva positivo, ovverosia attestante il regolare pagamento della contribuzione nel periodo oggetto dell’attestazione e per il quale si è beneficiato della compensazione (art. 3, d.m. 30.1.2015, n. 84785, si v. nota 3 e nel prosieguo, con riguardo alla compensazione tributaria applicata al pagamento della contribuzione previdenziale).
All’istituto così individuato in seno al sistema previdenziale, si applicano le regole codicistiche in tema di compensazione e con riguardo a tali regole l’unica questione che appare degna di rilievo appare essere quella che attiene all’applicazione dell’istituto della compensazione atecnica[10].
La Corte, con riferimento alla possibile compensazione fra credito per sgravio contributivo vantato dal datore di lavoro nei confronti dell’Inps e debito dello stesso sempre nei confronti dell’ente previdenziale a titolo di contribuzione, ha individuato il discrimine applicativo della compensazione propria e impropria nell’autonomia dei contrapposti rapporti di credito e di debito che non si rinviene allorché i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto ovvero da rapporti accessori, in assenza quindi di autonomia. In questo caso, afferma sempre la Corte, il calcolo delle somme a credito o a debito può essere compiuto dal giudice anche d'ufficio, in sede d'accertamento della fondatezza della domanda. Ne consegue che è configurabile compensazione in senso proprio o tecnico tra il credito per contributi previdenziali e il controcredito per sgravi contributivi, nel caso in cui i contrapposti crediti non abbiano la medesima fonte, in quanto riguardino periodi diversi dello stesso rapporto contributivo (Cass., 16.2.2007, n. 3628).
Sulla scorta di tale criterio, la Corte ha disconosciuto l’applicazione della compensazione impropria o atecnica nella fattispecie di disconoscimento giudiziale di un rapporto di lavoro autonomo qualificato dalle parti come di lavoro a progetto. Si è escluso da parte della Cassazione che il datore di lavoro, ai fini dell’adempimento dell’obbligazione posta a suo carico in conseguenza dell’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro, potesse compensare la contribuzione precedentemente versata alla Gestione separata e limitarsi pertanto a pagare il differenziale contributivo e le somme aggiuntive dovute su questo (Cass. ord., 2.10.2019, n. 24618).
Il giudice della nomofilachia ha ritenuto che la compensazione atecnica non può trovare ingresso perché si è davanti a un rapporto trilaterale tra ente previdenziale, datore di lavoro e lavoratore, con l’ulteriore particolarità della diversità delle gestioni in cui confluisce il versamento dei differenti contributi di lavoro autonomo e dipendente. Con la conseguenza che eventuali eccedenze scaturenti dal versamento contributivo eseguito dal datore di lavoro a diverso titolo in differenti gestioni dell’Inps relativamente agli stessi rapporti di lavoro possono dar vita ad un eventuale indebito suscettibile di ripetizione, in presenza dei presupposti per l’esercizio di tale azione, ma non di certo alla creazione di una posta contabile da regolare con la compensazione impropria.
La soluzione prospettata dalla Corte, ovviamente applicabile anche qualora la compensazione impropria sia invocata per un caso omologo dall’ente previdenziale, non appare soddisfacente per una serie di considerazioni che attengono da un verso all’autonomia del rapporto previdenziale, recte in questo caso contributivo, dal rapporto di lavoro[11] e alla natura pubblicistica di tale rapporto non disponibile dalle parti; da altro verso per le peculiari modalità di versamento della contribuzione, per tutta una serie di lavoratori autonomi assicurati presso la Gestione separata, all’interno della quale si situa anche il lavoratore autonomo a progetto.
Con riguardo al primo aspetto evidenziato, pare che si debba considerare l’autonomia del rapporto contributivo, che lega il datore di lavoro, obbligato al versamento della contribuzione, all’ente previdenziale. Rapporto contributivo di natura pubblicistica non disponibile dalle parti e che non vede quale parte di esso il lavoratore, che non è il titolare del credito contributivo. Tant’è che la tutela di tale tipo di credito è affidata dal legislatore previdenziale agli enti previdenziali e l’eventuale recupero dello stesso, in quanto indebitamente versato, è nella disponibilità esclusiva del datore di lavoro anche per la quota a carico del lavoratore[12].
Con riguardo al secondo aspetto, afferente alle modalità di adempimento dell’obbligo contributivo, si constata che, nonostante si sia davanti a un rapporto di lavoro autonomo la cui tutela previdenziale è apprestata con iscrizione presso la Gestione separata, il pagamento della contribuzione previdenziale è affidato dall’ordinamento al committente e non già al lavoratore. Al committente è affidato il compito del pagamento della contribuzione posta a suo carico, nonché della quota posta a carico del lavoratore autonomo.
La delineata modalità di adempimento dell’obbligo contributivo è comune ad altri tipi di rapporti di lavoro autonomo tutelati anch’essi con iscrizione presso la Gestione separata ed è omologa alla modalità prevista per il versamento della contribuzione da parte dei datori di lavoro, pubblici e privati, rispettivamente presso il Fondo previdenza lavoratori dipendenti (F.P.L.D.) e presso la Gestione dei lavoratori pubblici.
In tale ricostruzione rimangono irrilevanti, invece, le diverse aliquote contributive di ciascuna delle Gestioni previdenziali e la conseguente diversa misura dell’obbligo contributivo da adempiere.
Sulla scorta delle cennate considerazioni pare possa accedersi a una soluzione che consenta ai committenti divenuti datori di lavoro in forza di accertamento amministrativo o giudiziale, la possibilità su domanda degli stessi di ridurre il loro debito contributivo, detraendo da questo le somme versate da costoro alla Gestione separata in forza del medesimo rapporto di lavoro. Il passaggio della contribuzione da una Gestione previdenziale a un’altra gestione (nel caso di specie il Fondo di previdenza dei lavoratori dipendenti, F.P.L.D.), entrambe in seno all’Inps, non è precluso e accedere a tale soluzione comporterebbe evidenti economie di sistema a vantaggio sia del soggetto obbligato, sia dell’ente previdenziale. Infatti, il primo potrebbe immediatamente valorizzare l’importo delle somme dallo stesso versate e ridurre l’importo delle somme aggiuntive, il secondo non avrebbe necessità alcuna di affiancare alla richiesta di pagamento della contribuzione previdenziale nei confronti del datore di lavoro, la domanda il rimborso da parte dello stesso delle somme antecedentemente versate presso la Gestione separata.
Tale componimento di interessi però e con riguardo alla posizione previdenziale del lavoratore lascia inalterata la regola che pone definitivamente a carico del datore di lavoro la contribuzione anche per la parte a carico del lavoratore, conseguendone in capo a quest’ultimo il diritto a vedersi rimborsare le quote di contribuzione poste a suo carico e antecedentemente pagate dal committente alla Gestione separata[13].
Sinora ci si è soffermati sulle modalità fisiologiche di utilizzo della compensazione, altra e diversa questione è l’uso illegittimo della compensazione, che può concretizzarsi o nell’indebita fruizione di benefici contributivi o nel mancato pagamento della prestazione previdenziale da parte del datore di lavoro.
L’accertamento delle due delineate situazioni, che conducono all’illegittimo uso dello strumento civilistico, avviene da parte dell’Inps non al momento di presentazione della denuncia mensile, ove il datore di lavoro ha effettuato la compensazione; ma avviene successivamente, in sede di verifica della corretta fruizione del beneficio o del reale pagamento della contribuzione previdenziale. Ne consegue pertanto che, sino a quando tale verifica non è stata espletata, sussiste una presunzione di regolarità contributiva in capo al datore di lavoro che si potrebbe anche formalizzare nel rilascio di un durc regolare. Ancorché parrebbe con l’annotazione che una parte o l’intero debito contributivo al quale si riferisce l’attestazione è stato pagato con l’utilizzo di un credito vantato dal datore di lavoro nei confronti dell’ente medesimo e quest’ultimo si riserva di verificare il regolare utilizzo di tale strumento, ovverosia l’esistenza e la misura del credito portato in compensazione del debito contributivo.
Con riguardo alla fattispecie di mancata erogazione della prestazione previdenziale e alla posizione, nell’ambito dell’ordinamento, dell’ente previdenziale, del datore di lavoro e del lavoratore beneficiario, la Corte ha costantemente affermato che l’unico soggetto obbligato è l’Inps, mentre il datore di lavoro ha solo il dovere di anticiparne l’importo, salvo conguaglio con i contributi e le altre somme da corrispondere all’ente previdenziale, sempreché la prestazione sia effettivamente dovuta[14].
Ente previdenziale, pertanto, nei confronti del quale il lavoratore ha il diritto ad agire direttamente in caso di inadempienza del datore di lavoro[15]; ente previdenziale che è, da altro verso e in caso di indebita erogazione della prestazione portata in compensazione dal datore di lavoro, l’unico soggetto legittimato al recupero del beneficio previdenziale[16].
Sotto il versante previdenziale, come anticipato precedentemente, il regolare utilizzo dello strumento della compensazione sfocia nel corretto adempimento, da parte del datore di lavoro, degli obblighi contributivi posti a suo carico e, quindi, pone lo stesso in una situazione di regolarità contributiva. Situazione questa che può venir meno successivamente e a seguito di verifica dell’ente previdenziale e che una volta accertata comporta sia l’obbligo in capo al datore di lavoro del pagamento del differenziale della contribuzione previdenziale precedentemente non pagato e delle connesse sanzioni civili, sia il sorgere ora per allora di una situazione di irregolarità contributiva, che travolge la precedente regolarità contributiva, anche se questa fosse stata antecedentemente attestata con il rilascio del durc, contenente l’annotazione del quale si è detto.
Entrambe le conseguenze costituiscono l’esito naturale, come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità[17], del comportamento tenuto dal datore di lavoro, a nulla rilevando altresì la circostanza che, antecedentemente, lo stesso ente previdenziale avesse emesso una certificazione di regolarità positiva; dovendosi ritenere che gli effetti di tale attestazione siano travolti dal successivo accertamento di inesistenza dei presupposti legittimanti il beneficio dello sgravio o di inesistenza del precedente pagamento della prestazione previdenziale.
L’illegittimo utilizzo della compensazione in campo previdenziale è infine presidiato dalla sanzione penalistica per il tramite dell’art. 316-ter codice penale. Articolo questo che disciplina la fattispecie di indebita percezione di erogazione a danno dello Stato e il cui venir in essere pertanto preclude sia l’applicazione del delitto di truffa o di appropriazione indebita, sia di quello di indebita compensazione in sede di riscossione dei tributi previsto dall’art. 10-quater del d. lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
La giurisprudenza penalistica ha ritenuto che tale delitto si concretizzi nella falsa dichiarazione del datore di lavoro di avere corrisposto al lavoratore somme a titolo di prestazione previdenziale e così facendo ottiene dall’Inps il conguaglio di tali somme, mai corrisposte, con quelle da lui dovute a titolo di contribuzione[18].
3. Altro e diverso istituto, ancorché con nome identico, è quello introdotto dal legislatore fiscale ai fini dell’adempimento spontaneo da parte del contribuente, con l’art. 17 del d. lgs. 9 luglio 1997, n. 241[19].
La compensazione disciplinata in tale articolo costituisce, secondo la ricostruzione che si ritiene più condivisibile, una procedura di riscossione coordinata dall’ente/struttura di gestione previsto dal successivo art. 22.1 del medesimo testo legislativo. Tale Ente, per quel che rileva in questa sede, è preposto ad attribuire agli enti destinatari le somme a ciascuno spettanti, tenendo conto delle eventuali compensazioni eseguite dai contribuenti[20].
Tale disciplina legale lascia inalterati i rapporti tra i vari enti impositori e il contribuente, che continuano a essere bilaterali, anche se, successivamente all’utilizzo dell’istituto, si accerti che il credito portato in compensazione sia disconosciuto dall’ente debitore.
Infatti, l’ente riceve in ogni caso quanto allo stesso spettante in forza della compensazione, come se il credito fosse effettivo, e al contribuente, che ha operato illegittimamente la compensazione, sarà richiesto dall’ente, che ha effettuato il pagamento, la restituzione degli importi indebitamente compensati[21].
L’attività di recupero è affidata dal legislatore all’Agenzia delle Entrate, per i crediti illegittimamente compensati dal contribuente e di sua pertinenza. Agenzia che può emettere apposito atto di recupero, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello di utilizzo del credito inesistente (art. 1, comma 421, l. 30 dicembre 2004, n. 311 e art. 27, commi 16, d. l. 29.11.2008, n. 185, conv.to con modif.ni dalla l. 28.1.2009, n. 2).
In questa sede ci si limiterà a considerare l’istituto esclusivamente con riferimento agli effetti dell’utilizzo dello stesso in ambito previdenziale - alla luce altresì degli interventi legislativi che, tempo per tempo, sono intervenuti sul predetto, quanto meno per ridurne l’utilizzo illegittimo -, per l’adempimento dell’obbligazione contributiva. Parimenti, si vaglieranno gli effetti dell’illegittimo utilizzo della compensazione tributaria sempre con riguardo alla posizione fatta dall’ordinamento previdenziale al datore di lavoro[22]; utilizzando dei profili tributari solo quelli strettamente e funzionalmente connessi a tale disamina.
In sede di applicazione dell’art. 17 d. lgs. cit., si è ritenuto che:
a) la compensazione è ammessa, in deroga alle comuni disposizioni civilistiche, soltanto nei casi espressamente previsti, e il legislatore ne ha altresì limitato l’applicazione alle ipotesi di crediti dello stesso, nei confronti dei medesimi soggetti e risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla data della sua entrata in vigore[23];
b) la compensazione comprende sia quella verticale, che riguarda crediti e debiti riferiti allo stesso tributo, sia quella orizzontale, che attiene a crediti e debiti relative a imposte e a prestazioni di natura diversa, quali sono i contributi previdenziali;
c) la compensazione è efficace anche se il credito è insussistente (perché non spettante o inesistente), con la conseguenza che il debito compensato si estingue anche se il credito portato in compensazione non esiste[24] (si v. infra il percorso delineato dal legislatore per abbassare il tasso di rischio di tale eventualità) e, pertanto, il debito contributivo per il quale il contribuente ha fatto uso del predetto istituto, ancorché illegittimamente, è stato regolarmente adempiuto dallo stesso;
d) l’efficacia solutoria della compensazione fatta illegittimamente porta con sé che il contribuente infedele è obbligato a versare al soggetto, che ha saldato il suo debito a fronte di un credito dello stesso inesistente e utilizzato in compensazione, una somma pari alla sorte capitale e alle sanzioni, ragguagliate a questa.
Il legislatore, successivamente all’introduzione di tale istituto e per l’utilizzo del quale ha previsto l’uso esclusivo di strumenti telematici predisposti dall’Agenzia delle entrate (art. 37, comma 49-bis, d.l. 4.7.2006, n. 223, conv.to con modif.ni dalla l. 4 agosto 2006, n. 248), ha individuato moduli organizzativi attraverso i quali ridurre l’eventualità dell’utilizzo di tale strumento senza la reale esistenza del credito detratto dalla somma dovuta ad altro titolo nei confronti dello stesso ente o di altro ente.
Moduli che si sostanziano nella postergazione dell’efficacia della compensazione che superi un dato valore, nella posticipazione sempre dell’efficacia della compensazione che superi un valore soglia predeterminato e nella possibilità di verifica dei crediti utilizzati, nell’affidamento a soggetti terzi di compiti di verifica che sfociano in apposizione del visto di conformità.
Il primo dei delineati modelli lo si rinviene in seno alla disciplina dettata dall’art. 17 d. lgs. cit. e con esso si prevede, per crediti superiori all’importo di euro 5.000 annui, che la compensazione possa essere effettuata solo dal decimo giorno successivo a quello della presentazione della dichiarazione o dell’istanza da cui il credito emerge[25].
Nel secondo modello è l’Agenzia delle entrate che può sospendere, fino a trenta giorni, l’esecuzione delle deleghe di pagamento contenenti compensazioni che presentano profili di rischio, al fine dell’utilizzo del credito[26].
La disposizione pare evidenzi due profili: il primo che la sospensione dell’esecuzione delle deleghe di pagamento deve riguardare solo soggetti con profili a rischio, il secondo che l’Agenzia delle entrate, nonostante l’esistenza di tale profilo di rischio, non ha l’obbligo di sospendere, ma può valutare se sospendere o meno.
In ogni caso, tale sospensione, una volta decorsi trenta giorni dal momento di presentazione della delega, in assenza di decisione di sorta da parte dell’Agenzia delle entrate comunicata al contribuente, resta irrilevante sulla delega di pagamento che è eseguita e le compensazioni e i versamenti in essa contenuti sono considerati effettuati.
Tale soluzione legislativa ovviamente non preclude il successivo accertamento dell’inesistenza del credito portato in compensazione, ma tale successivo accertamento non ha effetto con riguardo alla situazione dell’ente, che ha visto pagare il proprio credito con un credito, rivelatosi poi inesistente. In questo caso opera la regola generale, di cui si è detto, in forza della quale il debito si intende adempiuto e l’ente depauperato della somma di denaro, per la dichiarazione del contribuente di un debito rivelatosi inesistente, provvederà al recupero della stessa.
A fronte di tale situazione pertanto e con riguardo alla posizione previdenziale del soggetto che utilizza la compensazione tributaria, per il pagamento di un suo debito contributivo o in generale previdenziale[27], se ne inferisce che:
a) per i soggetti, che non ricadono nell’applicazione della disposizione in tema di sospensione dell’efficacia della delega di pagamento, gli effetti di questa si producono immediatamente e pertanto la posizione creditoria degli enti previdenziali è saldata con il trasferimento di denaro da parte dell’ente debitore del contribuente, recte da parte della Struttura di gestione;
b) per i soggetti, che ricadono nell’ambito della sospensione, gli effetti della delega si producono, ora per allora, qualora l’Agenzia delle entrate resti silente nel lasso temporale di trenta giorni, e pertanto anche in questo caso la posizione debitoria del contribuente nei confronti degli enti previdenziali è regolarmente onorata attraverso il versamento di somme da parte dell’ente debitore[28];
c) solo per i soggetti, che ricadono nell’ambito dell’istituto della sospensione e per i quali l’Agenzia delle entrate, nel termine di trenta giorni[29], ha comunicato la mancata esecuzione della delega, il credito previdenziale non è onorato e pertanto lo stesso ente previdenziale resta creditore della contribuzione o del premio assicurativo, potendo pertanto procedere al recupero nelle modalità previste per tali tipi di credito. Solo in questo capo, infine, la Struttura di gestione, deputata alla suddivisione delle somme tra gli enti, non contabilizza i versamenti e le compensazioni indicate nella delega di pagamento e non effettua le relative regolazioni contabili.
La situazione delineata comporta, con riguardo alla posizione previdenziale del soggetto che ha utilizzato lo strumento della compensazione tributaria, che nelle prime due ipotesi la posizione è regolare, sorgendo pertanto in capo al soggetto il diritto a una certificazione amministrativa di regolarità. Di contro solo nell’ultima delle delineate ipotesi, allorquando l’Agenzia delle entrate comunica la mancata esecuzione della delega di pagamento, la posizione previdenziale è irregolare, conseguendone, pertanto, l’emissione di un durc negativo.
L’ultimo dei modelli utilizzati dal legislatore lo si rinviene nell’obbligo posto in capo al contribuente, che intende esperire tale compensazione tributaria, di richiedere l’apposizione del visto di conformità sulla dichiarazione o sull’istanza da cui emerge il credito[30].
L’uso della compensazione, senza l’apposizione del predetto visto di conformità o con visto di conformità da parte di soggetti non abilitati, comporta solo il potere di recupero delle somme portate indebitamente in compensazione da parte dell’Agenzia delle entrate[31]. Mentre a monte l’operazione di compensazione si conclude regolarmente con il pagamento del credito per il quale è stata esperita la compensazione tributaria[32]. Pertanto, la posizione debitoria del soggetto che ha utilizzato ancorché illegittimamente la compensazione è da ritenersi saldata, e per quanto riguarda il versante previdenziale, qualora il debito onorato fosse di tal fatta, si può ritenere che il soggetto abbia una posizione previdenziale regolare e abbia altresì diritto a ricevere un durc regolare, a nulla rilevando l’azione di recupero promossa dall’Agenzia delle entrate.
L’ultimo, intervento legislativo, in ordine di tempo, teso a ridurre il rischio di compensazioni tributarie indebite, riguarda l’attività di cooperazione fra enti, nella specie l’Agenzia delle entrate, l’Inps e l’Inail e ha l’obiettivo di definire procedure di cooperazione rafforzata a contrastare il menzionato fenomeno. Tali procedure, a quel che è dato comprendere dalla lettura del testo legislativo (art. 3.4, d.l. 26.10.2019, n. 124, conv.to con modif.ni dalla l. 19.12.1029, n. 157), si concretizzano in segnalazioni qualificate effettuate dagli enti previdenziali all’Agenzia delle entrate, ai fini dell’attività di recupero da parte di questa del credito indebitamente compensato. Le segnalazioni delle quali si parla riguardano le compensazioni che presentano profili di rischio, espressione vaga e necessitante l’individuazione di previ criteri, oggettivi (riguardanti il credito) e soggettivi (riguardanti il soggetto titolare del credito utilizzato per pagare un debito previdenziale), conosciuti dalla platea dei possibili destinatari[33].
Si osservi però che tali procedure di cooperazione fra enti non alterano il quadro, sommariamente delineato, della compensazione tributaria e dei suoi effetti con riguardo all’estinzione del debito del contribuente nei confronti dell’ente di cui è debitore, nonostante il credito dallo stesso utilizzato non sia esistente o non possa essere utilizzato per tale operazione.
Infine, a presidio del legittimo uso della compensazione tributaria, il legislatore ha altresì introdotto una tutela penalistica costituita dal delitto dell’art. 10 quater del d. lgs. 10 marzo 2000. Fattispecie di reato che, secondo la costante giurisprudenza, è applicabile sia ai casi di compensazione orizzontale, sia ai casi di compensazione verticale, in quanto si incrimina l’utilizzo indebito del meccanismo e la fraudolenta indicazione del suo utilizzo nella dichiarazione[34].
Ancora, l’omesso versamento delle somme dovute che costituisce l’esito dell’illegittima compensazione, secondo l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate e l’orientamento della giurisprudenza[35], riguarda qualsiasi debito erariale, sia esso tributario o di altra natura, per il cui versamento è stato utilizzato il modello F24.
[1] Sulla compensazione si v. da ultimo: M. Faccioli, Cessione del credito e compensazione impropria, nota a Cass. 19.2.2019, n. 4825; in NGCC, 2019, 4, 771; C. Cicero, Le sezioni unite chiariscono il concetto di certezza quale requisito della compensazione, nota a Cass. SS.UU., 15.11.2016, n. 23225, in Giur. it., 2017, 6, 1315; G. Gabassi, Compensazione nel processo: nessuna estinzione senza certezza. Lo strano caso della compensazione del credito sub iudice, nota a Cass. SS. UU., 15.11.2016, n. 23225, in NGCC, 2017, 5, 707.
[2] L’istituto costituisce la concretizzazione della legge delega prevista nell’art. 3.134 della l. 23.12.1996, n. 662. Legge che aveva l’obiettivo, fra l’altro, di semplificare gli adempimenti dei contribuenti e di assicurare la gestione unitaria delle posizioni dei singoli contribuenti e ha il suo precedente nella compensazione fra debiti e crediti riguardanti la medesima imposta, cd. compensazione verticale, prevista dall’art. 11.3 del d.P.R. 22.12.1986, n. 917.
E. De Mita tratta la compensazione introdotta dal decreto delegato all’interno del tema del versamento dei tributi, constatandone l’applicabilità sia alla compensazione tra tributi non omogenei (compensazione tra crediti e debiti al momento del versamento unitario di diverse imposte o contributi, c.d. compensazione orizzontale), sia tra crediti e debiti relativi alla stessa imposta (c.d. compensazione verticale) (si v. Principi di diritto tributario, Milano, Giuffré, 2011, 349).
R. Lupi ed S. Covino ritengono che la compensazione del d. lgs. n. 241/97 sia una procedura squisitamente pubblicistica, non riconducibile, né alla compensazione civilistica, né ad altre figure di diritto privato. Secondo costoro si è davanti a una disciplina legale, dettata da ragioni di snellezza e trasparenza nei rapporti con i contribuenti, coordinata da un ente di gestione (v. Riscossione dei tributi, in Il Diritto. Enciclopedia giuridica del Sole 24 ore, diretta da S. Patti, Milano, 2007, 601, in specie 602 – 603).
G. Girelli esclude anch’egli che l’istituto sia assimilabile alla compensazione civilistica, riscontra che il legislatore ha collocato la compensazione nell’ambito della normativa sul versamento diretto dei tributi e, infine, accosta l’istituto al metodo di pagamento che si realizza attraverso le stanze di compensazione, valorizzando a tal fine il ruolo della Struttura di Gestione (si v. La compensazione tributaria, Milano, Giuffré, 2010, in specie 183 – 190).
La Corte costituzionale, nel vagliare la questione di costituzionalità sollevata con riguardo all’art. 10 quater del d. lgs. n. 74/2000, ha fatto riferimento all’art. 17 del d. lgs. n. 241/97 e ha affermato che il legislatore, tramite tale articolo, avesse superato la precedente impostazione restrittiva, che consentiva l’utilizzo dell’istituto civilistico della compensazione per i crediti di natura tributaria limitatamente alla compensazione verticale.
Il legislatore ha così consentito, continua la Corte, al contribuente di effettuare, tramite la compilazione di un apposito modello, denominato modello F24, un versamento unitario di quanto dovuto e in occasione del quale è possibile compensare le somme a debito con quelle a credito; oltre gli stessi limiti dell’istituto civilistico con riferimento all’identità dei soggetti titolari delle reciproche posizioni debitorie e creditorie (Corte cost., 21.2.2018, n. 35, in Giur. cost., 2018, 1, 347, con nota critica di M. Di Siena, La Corte costituzionale e la soglia di punibilità del delitto di indebita compensazione: fra suggestive assimilazioni e rigide differenziazioni. Anamnesi di un delitto imperfetto).
[3] Il durc ha la valenza di una dichiarazione di scienza, da collocarsi tra gli atti di certificazione o di attestazione redatti da un pubblico ufficiale ed aventi carattere meramente dichiarativo di dati in possesso della pubblica amministrazione, assistito da pubblica fede ai sensi dell’art. 2700 c.c., facente prova fino a querela di falso (Cons. St., ad. pl., 4.5.2012, n. 8 e, da ultimo, Tar Lazio, Roma, 30.4.2020, n. 4529; per la dottrina si v. C. D’Aloisio, Il procedimento per il conseguimento della regolarità contributiva non cambia se l’acquisizione della sua certificazione avviene d’ufficio, nota a Cons. St., sez. IV, 11.3.2015, n. 1236, in ADL, 2016, n. 2, II, 344 e ivi ulteriori riferimenti bibliografici).
Il decreto ministeriale che disciplina il predetto documento (D.M. 30.1.2015), riconosce espressamente che esiste la regolarità contributiva anche in caso di crediti in fase amministrativa oggetto di compensazione, per la quale sia stato verificato il credito, nelle forme previste dalla legge o dalle disposizioni emanate dagli enti preposti alla verifica e che sia stata accettata dai medesimi enti (art. 3.2, lett. c).
Appare pertanto evidente che, sino a quando il fisiologico controllo della regolarità contributiva connesso alla bontà della compensazione da parte dell’ente previdenziale non è ancora concluso, si avrà un’emissione di un durc con annotazione specifica in punto riserva verifica regolarità compensazione.
Il Tar Lazio, nella sentenza ult. cit., afferma che il meccanismo della compensazione amministrativa fa riferimento al c.d. durc interno ossia alla procedura che riguarda i rapporti contributivi tra l’impresa e l’Inps, tale istituto e i suoi esiti non sono estensibili alla diversa fattispecie della verifica della posizione contributiva che la stazione appaltante è tenuta ad effettuare d’ufficio nell’ambito della procedura a evidenza pubblica in cui occorre accertare il regolare e continuativo possesso dei requisiti generali di partecipazione. In quest’ambito, la stazione appaltante è tenuta a recepire l’accertamento trasmesso dall’Inps contenuto nel durc, che costituisce una “dichiarazione di scienza” assistita da fede pubblica privilegiata ai sensi dell’art. 2700 c.c., facente piena prova fino a querela di falso, salvo che venga accertata dal giudice amministrativo in via incidentale, ai sensi dell’art. 8 c.p.a., l’irregolarità del durc.
[4] Articolo inserito dall’art. 4.1, l. 29.9.2000, n. 300.
[5] Articolo inserito dall’art. 35.7, d.l. 4.7.2006, n. 223, conv.to con modif.ni dalla l. 4.8.2006, n. 248.
[6] La medesima regola si applica anche per il pagamento ai lavoratori dipendenti dell’assegno per il nucleo familiare, giusto il richiamo fatto al menzionato d.P.R. (T.U. assegni familiari) dall’art. 2.3 del d.l. 13.3.1988, n. 69, conv.to con modif.ni dalla l. 13.5.1988, n. 153.
[7] L’art. 22, secondo comma, del d. lgs. 26.3.2001, n. 151 (T.U. in materia di tutela e sostegno della maternità), nel disciplinare le modalità di erogazione dell’indennità di maternità rinvia espressamente alle modalità dettate antecedentemente dal legislatore per l’indennità di malattia. Lo stesso modello si applica anche per il congedo di paternità (art. 29, T.U. cit.), per il congedo parentale (art. 34, T.U. cit.), per l’indennità corrisposta durante il congedo di cui all’art. 42 T.U. cit. (si v. il comma 5-ter, penultimo e ultimo periodo e l’art. 43).
[8] Si tratta dell’art. 1, commi primo e secondo, del d.l. 30.12.1979, n. 663, conv.to con modif.ni dalla l. 29.2.1980, n. 33. I successivi terzo e quarto comma, con disposizioni che non si rinvengono per gli assegni familiari, pongono a carico del datore di lavoro, qualora risulti che l’indennità di malattia sia stata erogata indebitamente, l’onere di recuperare tale indennità e qualora tale recupero non sia possibile, l’onere di dare comunicazione all’Inps di tale impossibilità.
[9] La compensazione o la domanda di rimborso devono essere effettuate, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla fine del periodo di paga in corso alla scadenza del termine di durata della concessione o dalla data del provvedimento di concessione se successivo (si v. per l’applicazione di tale regola, ancorché con riferimento alla precedente disciplina, Cass. 30.4.2010, n. 10512).
[10] La compensazione impropria o atecnica consente l’estinzione reciproca dei crediti quando essi hanno origine od occasione nel medesimo contratto, oppure quando essi si trovano in rapporto di sinallagmaticità (in questo termini: G. Gabassi, La c.d. compensazione impropria ovvero la compensazione c.d. impropria, in Annali IUSS Ferrara, 2014, vol. 8°, n. 1, http://annali.unife.it/iuss/article/view/1265/1057, consultato il 17.5.2020).
Altro autore sottolinea che tale istituto si risolve in un mero accertamento contabile del saldo finale di contrapposte partite di dare e avere, sottratto all’applicazione della disciplina predisposta dal legislatore per la compensazione vera e propria (M. Faccioli, op. cit., nota 1).
[11] Nel sistema previdenziale, una volta preso atto dell’instaurazione del rapporto di lavoro, subordinato o autonomo, si distingue fra rapporto contributivo intercorrente fra datore di lavoro ed ente previdenziale, avente come contenuto il dovere in capo ai primi del pagamento della contribuzione e dei premi assicurativi; e rapporto giuridico previdenziale intercorrente fra l’ente previdenziale e i soggetti protetti, avente come contenuto il diritto di questi alle prestazioni previdenziali (si v. per la manualistica da ultimo e ancorché con visioni ricostruttive diverse: V. Ferrante – T. Tranquillo, Nozioni di diritto della previdenza sociale, Wolters Kluwer Cedam, 2019, 27; M. Persiani – M. D’Onghia, Fondamenti di diritto della previdenza sociale, Torino, Giappichelli, 2019, capitoli terzo e quarto; M. Cinelli – S. Giubboni, Lineamenti di diritto della previdenza sociale, Padova, Wolters Kluwer Cedam, 2020, capitolo terzo).
La stessa Corte di cassazione costantemente parla, da un verso, di autonomia del rapporto previdenziale dal rapporto di lavoro, si v. da ultimo Cass. ord., 4.2.2020, n. 2529; e, da altro verso, di autonomia del rapporto contributivo dall’obbligazione retributiva, si v. Cass., 12.5.2020, n. 8794 e Cass., 2.9.2016, n. 17531.
[12] Si v. con riguardo all’individuazione del soggetto legittimato al recupero della contribuzione previdenziale indebitamente versata, da ultimo la decisione della Cass. ord., 29.1.2018, n. 2135.
Con riguardo alla necessaria presenza in giudizio dell’ente previdenziale, allorquando il lavoratore chieda la condanna del datore di lavoro al versamento della contribuzione previdenziale in suo favore, Cass. ord., 30.5.2019, n. 14853. Per i riflessi processualistici connessi all’assenza in giudizio dell’ente previdenziale si v. Cass., 14.5.2020, n. 8956, che configura una fattispecie di litisconsorzio necessario.
[13] Si vedano gli artt. 19 e 23 della legge 4 aprile 1952, n. 218. Per la giurisprudenza si v.: Cass. ord., 15.7.2019, n. 18897; Cass., 14.9.2015, n. 18044 e Cass., 21.5.2003, n. 8026.
[14] Cass., 9.3.2020, n. 6642, in fattispecie di indennità corrisposta per il periodo di astensione anticipata dal lavoro per maternità.
[15] Cass., 8.1.2003, n. 99, in fattispecie di indennità di malattia non corrisposta dal datore di lavoro.
[16] Cass. ord., 7.11.2014, n. 23765, in fattispecie di indennità di malattia.
[17] La Cassazione con la sentenza del 21.10.2018, n. 27107 ha affermato che in tema di benefici contributivi, per la cui fruizione è richiesto - ai sensi dell'art. 1, comma 1175, della l. n. 296 del 2006 - il possesso del documento unico di regolarità contributiva (c.d. durc interno), la mancata segnalazione dell'irregolarità ostativa al rilascio del durc, da parte dell'Inps, non determina l'inesigibilità delle differenze contributive rispetto agli sgravi; né, in assenza dello specifico procedimento di cui all'art. 7 del d.m. 24 ottobre 2007, di natura eccezionale, può consentirsi una regolarizzazione "ex post" ed in qualsiasi tempo, in contrasto con la "ratio" della norma, intesa ad assicurare la necessaria e costante regolarità contributiva, quale presupposto dell'applicazione degli sgravi.
[18] Siffatta affermazione la si rinviene, da ultimo, nella sentenza della Cass. pen., sez. 6^, 25.2.2020, n. 7462, in fattispecie di indennità di maternità mai erogata.
Nella stessa decisione, ripetendosi anche per tale aspetto un costante orientamento, si afferma che il reato previsto dall’art. 316-ter c.p. si consuma nel momento in cui il datore di lavoro provvede a versare all’Inps (sulla base dei dati indicati sui modello DM10) i contributi ridotti per effetto del conguaglio cui il datore di lavoro non aveva diritto, venendo così – tramite il mancato pagamento di quanto altrimenti dovuto – a percepire indebitamente l’erogazione dall’ente pubblico.
L’art. 316-ter c.p., sempre secondo la ricostruzione fatta dalla Corte di cassazione, configura un reato di pericolo e non di danno, e si distingue da quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, sia perché la condotta non ha natura fraudolenta, in quanto la presentazione delle dichiarazioni o documenti attestanti cose non vere costituisce “fatto” strutturalmente diverso dagli artifici e raggiri, sia per l’assenza della induzione in errore (da ultimo, Cass. pen. sez. 2^, 19.2.2019, n. 7594).
Per la dottrina si v. da ultimo: A. Morrone, Diritto penale del lavoro, Milano, Giuffré, 2019, 290.
[19] Sulla compensazione introdotta dall’art. 17 d. lgs. n. 241/97, si v. gli autori menzionati alla precedente nota 2), nonché in generale da ultimo si v. M. Mauro, v. Compensazione tributaria, in Digesto delle discipline privatistiche, sez. civile, aggiornamento, Torino, UTET, 2016, 27. Per una visione comparatistica si v.: V. Tamburro, L’istituto della compensazione, in La riscossione in Italia, Germania, Spagna, Francia e Eegno Unito: un’analisi comparata, in www.rivistacorteconti.it, 2015, 6, 55, consultata il 20.5.2020.
[20] Il decreto ministeriale del 22.5.1998, n. 183 a sua volta individua la Struttura di gestione nel Ministero delle finanze, ora dell’economia, dipartimento delle entrate, direzione centrale riscossione.
A tale struttura sono affidati fra l’altro i compiti di: a) suddividere quotidianamente le somme accreditate e disporne il versamento ai singoli enti destinatari, previa regolarizzazione contabile delle compensazioni eseguite dai contribuenti, b) comunicare quotidianamente a ciascun ente destinatario, ivi compreso l’Inps, i dati e le informazioni utili per effettuare le verifiche contabili necessarie a individuare gli importi spettanti a ciascuno, al lordo delle compensazioni operate all’atto del versamento (art. 1, primo comma, lett. d), e).
Sulla posizione fatta dall’ordinamento alla Struttura di gestione si v. G. Girelli, op. cit., nota 2).
[21] In questi termini: R. Lupi – Simone Covino, v. Riscossione dei tributi, op. cit., nota 2).
[22] In considerazione del recente intervento legislativo, rappresentato dall’art. 1, secondo comma, del d.l. 26.10.2019, n. 124, conv.to con modif.ni dalla l. 19.12.2019, n. 157 - che ha fatto proprio l’orientamento espresso dall’Agenzia delle Entrate con la risoluzione del 15.11.2017, n. 140, che ha escluso l’utilizzo in compensazione di crediti dell’accollante, non ci si soffermerà su tale modulo di adempimento dell’obbligazione posta a carico del contribuente.
L’accollo in sede tributaria, previsto dall’art. 8.2, della legge 27.7.2000, n. 212, innestato nella compensazione tributaria, consente al terzo accollante di portare in compensazione con un proprio credito, a sua volta acquistato da soggetti che non potevano realizzarlo, il debito del contribuente accollato, ricevendo da quest’ultimo altresì una percentuale del proprio debito originario.
Quest’ultima modalità, ormai legislativamente preclusa, è stata oggetto di disamina anche da parte della giurisprudenza del lavoro, in conseguenza del disconoscimento da parte dell’ente previdenziale dell’adempimento dell’obbligo contributivo posto a carico del datore di lavoro e dell’emissione di durc non regolari.
I giudici del lavoro, facendo piana applicazione dell’orientamento espresso dall’Agenzia delle Entrate fatto proprio dalla Corte di cassazione (si v. per tutte: Cass. pen., sez. 3^, 14.11.2017, n. 1999, in Cass. pen., 2018, 5, 1737, con nota di E. Fassi, Indebita compensazione ex art. 10-quater d. lgs. n. 74/2000. Ricognizione degli elementi costitutivi della fattispecie ed estensione del concetto di profitto ascrivibile a tale tipologia di reato), hanno escluso che tale strumento potesse comportare l’adempimento dell’obbligo contributivo e che conseguentemente il datore di lavoro potesse asserire di essere in una posizione di regolarità contributiva con l’obbligo, da parte dell’ente previdenziale, di rilascio del durc positivo (si v. Trib. Terni, ord. 16.12.2019, RG 776/19, inedita).
[23] In questi termini, fra le tante, Cass. ord., 30.5.2018, n. 13638; Cass. 5.7.2017, n. 16532, in RGT, 2017, 11, 872, con nota di M. Basilavecchia, Lo stallo della compensazione tributaria.
[24] Si v. la circolare del Ministero delle finanze, 19 maggio 2000, n. 101/E.
[25] Si v. su tale disposizione la risoluzione dell’Agenzia delle entrate del 31.12.2019, n. 110/E.
[26] Si tratta dell’art. 37, comma 49-ter, del d.l. 4.7.2006, n. 223, conv.to con modif.ni dalla l. 4 agosto 2006, n. 248. In attuazione di tale disposizione, l’Agenzia delle entrate, con provvedimento del 28.8.2018, n. 195385, ha definito i criteri e le modalità di attuazione della sospensione, individuando i criteri selettivi.
[27] Si ricordi che l’art. 28 del d. lgs. n. 241/97 estende l’applicazione del sistema dei versamenti unitari e della compensazione tributaria anche all’Inail e, allora, anche all’Enpals e all’Inpdai; enti questi ultimi soppressi e i cui compiti sono stati affidati all’Inps.
[28] La situazione appare del tutto diversa dalla situazione fatta dall’ordinamento all’ente previdenziale con riguardo alla compensazione, della quale si è detto retro.
Nella compensazione tributaria la verifica e il controllo dell’esistenza del credito tributario utilizzato dal contribuente per pagare un suo debito contributivo è nell’esclusiva competenza dell’Agenzia delle entrate, conseguendone pertanto con riguardo alla posizione previdenziale del contribuente che la stessa è da ritenersi regolare, a meno che non sia la predetta Agenzia, secondo le regole legislative date, a disconoscere la compensazione e a precludere qualsivoglia operazione di trasferimento somme da parte della Struttura di gestione.
[29] Nel provvedimento dell’Agenzia delle entrate n. 195385 del 28.8.2018, si delinea un procedimento di tal fatta:
a) comunicazione al soggetto che ha inviato il modello F24 della sospensione della delega di pagamento e indicazione anche della data di fine del periodo di sospensione, periodo che non può essere superiore a trenta giorni rispetto alla data di invio del modello F24;
b) se le verifiche sono positive e il credito risulta correttamente utilizzato, la delega di pagamento si considera effettuata alla data indicata nel file telematico inviato e l’Agenzia delle entrate invia comunicazione di tale circostanza al soggetto che ha trasmesso il file telematico e, se si tratta di modello F24, che presenta saldo positivo, invia la richiesta di addebito sul conto indicato nel file telematico (comunicazione che riguarda solo le compensazioni che rientrano nell’ambito di applicazione del comma 49-ter, dell’art. 37, l. cit.);
c) in assenza di qualsivoglia comunicazione durante il periodo di sospensione, infine, il credito è da ritenere correttamente utilizzato e la delega di pagamento si considera anche in questo caso effettuata nella data indicata nel file telematico inviato.
[30] L’utilizzo del visto di conformità lo si rinviene dapprima per la compensazione del credito IVA e successivamente per la compensazione dei crediti concernenti le imposte sui redditi, le relative addizionali, le ritenute alla fonte di cui al d.P.R. n, 602/73, le imposte sostitutive delle imposte sul reddito e l’imposta regionale sulle attività produttive, qualora gli importi siano superiori ad euro 15.000 annui (si v. la circolare dell’Agenzia delle entrate, 25.9.2014, n. 28/E).
Il visto di conformità, ai sensi dell’art. 2 del d.m. 31.5.1994, n. 164, comporta l’obbligo del riscontro della corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione alle risultanze della relativa documentazione e alle disposizioni che disciplinano gli oneri deducibili e detraibili, le detrazioni e i crediti d’imposta, lo scomputo delle ritenute d’acconto.
[31] Tale soluzione è quella che traspare dalla lettura degli atti dell’Agenzia delle entrate in tema di mancata apposizione del visto di conformità o di apposizione da parte di soggetto non autorizzato o di apposizione del visto di conformità non conforme al disposto legislativo (si v., fra l’altro, la risoluzione 29.11.2019, n. 99/E; la circolare, 24.5.2019, n. 12)
[32] Non pare invece condivisibile la soluzione accolta dal Tribunale di Genova nell’ordinanza emessa in sede di reclamo ai sensi dell’art. 669-terdecies, il 19.5.2020, n. 19 (a quel che consta inedita), in una fattispecie di compensazione dell’anno 2015 del credito IVA; credito utilizzato per il pagamento del debito contributivo, mancante di visto di conformità.
Il collegio ha ritenuto che la mancanza del visto di conformità comportasse il mancato buon fine della compensazione tributaria e quinti autorizzava l’Inps ad emettere un durc negativo, nonostante l’azione di recupero del credito utilizzato dalla società per onorare il proprio debito contributivo fosse stata promossa dall’Agenzia delle entrate.
Orbene se è pacifico, come si evince dalla lettura anche del testo legislativo applicabile ratione temporis, ponendo altresì lo stesso in rapporto con le altre disposizioni in tema di compensazione tributaria, che la mancanza del visto di conformità o la sottoposizione da parte di soggetto non abilitato, autorizza l’Agenzia delle entrate al recupero del credito (si v. anche la risoluzione dell’Agenzia delle entrate 29.11.2019, n. 99/E), ne discende che il credito vantato dall’ente previdenziale è stato, nonostante tale profilo, regolarmente onorato e che la posizione contributiva del datore di lavoro è da ritenere regolare.
Il collegio genovese pare invece che abbia compiuto una giustapposizione di posizioni diverse fra enti, riconoscendo erroneamente all’ente previdenziale, il cui credito era stato soddisfatto e nonostante tale adempimento da parte dell’Agenzia delle entrate, il potere di emettere un durc negativo, sulla scorta di una valutazione, che non è dall’ordinamento istituzionalmente affidata allo stesso, in punto di regolarità o meno della compensazione tributaria. Invece pare si possa ritenere, alla luce del reticolato normativo del quale si è detto, che il debito contributivo è stato regolarmente onorato nonostante l’uso illegittimo della compensazione tributaria. Uso illegittimo che, una volta accertato dall’Agenzia delle entrate, ha effetti esclusivamente in sede tributaria e sulla posizione di quest’ultima chiamata a esperire tutte le attività necessarie per il recupero del credito vantato nei confronti del contribuente infedele.
[33] Sulla previa individuazione di criteri, oggettivi e soggettivi, atti a concretizza il sintagma “profili di rischio” si innesta l’attività di controllo svolta dagli enti previdenziali e le modalità di espletamento della stessa.
Pare che l’individuazione di categorie di soggetti che abbiano profili di rischio o di categorie di crediti che abbiano profili di rischio passi innanzitutto, e sempre che non si sia in grado di individuare un campione statisticamente rilevante dei soggetti e dei crediti, attraverso il vaglio della posizione di tutti coloro che abbiano utilizzato la compensazione per saldare crediti previdenziali e della verifica della regolarità della loro posizione previdenziale tempo per tempo e a prescindere dal pagamento effettuato a mezzo compensazione.
Solo dopo una prima e necessaria verifica di tal fatta, sarà possibile ipotizzare modelli informatici predittivi del comportamento tenuto da ciascuno dei soggetti che hanno una posizione previdenziale debitoria e che abitualmente utilizzano la compensazione, sia essa interna alle poste previdenziali sia essa tributaria, ma sempre previamente rendendo conoscibili i moduli utilizzati e i criteri applicati per la decisione robotizzata (algoritmo) e assicurando l’imputabilità della decisione all’organo titolare del potere, il quale deve poter svolgere la necessaria verifica di logicità e legittimità della scelta e degli esiti affidati all’algoritmo (in questi termini: Cons. St., sez. VI, 13.12.2019, n.8472; ma si v. anche: A. Simoncini, L’algoritmo incostituzionale: intelligenza artificiale e il futuro delle libertà, in BioLaw Journal, 2019, 1, 63, http://rivista.biodiritto.org/ojs/index.php?journal=biolaw&page=article&op=view&path%5B%5D=352, consultato il 23.5.2020; P. Zuddas, Intelligenza artificiale e discriminazioni, in consultaonline, 16 marzo 2020, http://www.giurcost.org/LIBERAMICORUM/zuddas_scrittiCostanzo.pdf, consultato il 23.5.2020).
[34] In questi termini da ultimo: Cass. pen., sez. 3^, 19.5.2020, n. 15290 e in fattispecie di compensazione utilizzata per adempiere all’obbligo contributivo, Cass. pen., sez. 3^, 28.4.2020, n. 13149.
[35] Cass. pen., sez. 3^, 29.5.2014, n. 22191, in Riv. trim. dir. pen. economia, 2014, 3-4, 1008, con nota di G. Salamone, Tributi, reati tributari, omesso versamento al fisco, compensazioni con crediti inesistenti e Cass. pen., sez. 3^, 4.2.2015, n. 5177.
Si rilevi però che a tale opzione ermeneutica se ne contrappongo altre, secondo le quali, la fattispecie di reato riguarda solo gli omessi versamenti riferiti a debiti per imposte dirette sul valore aggiunto (si v. E. Fassi, op. cit., prg. 5, nota 21) o quanto meno non riguarda l’omesso versamento dei contributi previdenziali, in considerazione della disciplina specifica dettata dall’art. 2, comma 1-bis, del d.l. n. 463/83, conv.to con modif.ni dalla l. n. 638/83 (A. Martini, Reati in materia di finanze e tributi, in Trattato di diritto penale, Grosso C.F. – Padovani T. – Pagliaro A. (diretto da), Parte speciale, Milano, Giuffré, 2010, vol. 17, 624).
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