CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 21/05/2020 Scarica PDF
Alcune considerazioni sulla responsabilità degli amministratori ex art. 2486 c.c. e sulla determinazione del danno risarcibile
Danilo Capone ed Enrico Vianello, Dottori Commercialisti in VeneziaSommario: 1. La novella normativa. – 2. La fonte di responsabilità degli amministratori ex art. 2486 c.c. – 3. Il Patrimonio Netto. – 4. Il danno quale “differenza dei netti patrimoniali rettificati”. – 4.1. Gli apporti e le riduzioni di patrimonio. – 4.2. I (maggiori) valori di liquidazione. – 5. L’avvicendamento di amministratori e/o dell’organo di controllo. – 6. riflessioni conclusive
Il Codice della Crisi di impresa e dell’insolvenza nel modificare l’art. 2486 c.c.[1], e nell’introdurre i parametri presuntivi di misurazione del danno cagionato dagli amministratori per atti o omissioni compiuti successivamente al verificarsi di una causa di scioglimento della società, ha recepito i criteri di quantificazione del danno elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza ed ha indicato le condizioni entro le quali tali criteri possono legittimamente operare.
Tale norma, così novellata, ora prevede che
“Al verificarsi di una causa di scioglimento e fino al momento della consegna di cui all'articolo 2487 bis, gli amministratori conservano il potere di gestire la società, ai soli fini della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale.
Gli amministratori sono personalmente e solidalmente responsabili dei danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociali ed ai terzi, per atti od omissioni compiuti in violazione del precedente comma.
Quando è accertata la responsabilità degli amministratori a norma del presente articolo, e salva la prova di un diverso ammontare, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l'amministratore è cessato dalla carica o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento di cui all'articolo 2484, detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione. Se è stata aperta una procedura concorsuale e mancano le scritture contabili o se a causa dell'irregolarità delle stesse o per altre ragioni i netti patrimoniali non possono essere determinati, il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura.”
Ne consegue che l’elemento portante per la quantificazione del danno risarcibile - una volta verificatasi la causa di scioglimento della società ed accertata la responsabilità degli amministratori per una (successiva) gestione non deputata alla sola conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale - è il detrimento che la condotta degli amministratori ha cagionato al patrimonio netto della società.
Detrimento che, salva la prova di un diverso ammontare, va misurato con il metodo della c.d. “differenza dei netti patrimoniali rettificati”.
2. La fonte della responsabilità degli amministratori ex art. 2486 c.c.
La responsabilità degli amministratori ai sensi dell’art. 2486 c.c. si integra, al verificarsi di una causa di scioglimento della società (2484 c.c.), nella violazione del potere di gestire la società (fino alla nomina dei liquidatori) ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale.
Gli amministratori, infatti, anche se non ancora chiamati a determinare le linee programmatiche del futuro procedimento di liquidazione (che spettano all’assemblea e, poi, ai liquidatori) devono adottare, medio tempore, soltanto scelte gestionali coerenti e funzionali all’espletamento della successiva attività liquidatoria.
In altre parole, non hanno più il potere di determinare gli obiettivi aziendali in un’ottica di prosecuzione della (rischiosa) attività di impresa ma mantengono esclusivamente quello, finalizzato alla successiva fase liquidatoria, di gestire la società, ai soli fini della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale.
Agli amministratori, pertanto, è fatto divieto di proseguire nella normale gestione aziendale e se lo fanno si assumono la responsabilità di tale “indebita prosecuzione” esponendosi all’eventualità di essere chiamati a risarcire il danno.
Si pensi all’ipotesi di scioglimento della società per la causa prevista dall’art. 2484 n. 4, la c.d. “perdita del capitale”: - nel mentre è pacifico che la prosecuzione della “ordinaria” gestione aziendale secondo le tipiche direttrici rischio/profitto contravviene al dettato dell’art. 2486 c.c. non sempre da tale condotta consegue un danno e per l’effetto l’obbligo di risarcimento.
Tale ultimo aspetto, infatti, viene ad evidenza solo quando l’indebita prosecuzione dell’attività (a capitale perso) abbia cagionato un detrimento alle consistenze patrimoniali della società e nei limiti della misura quantificabile, in via presuntiva (…salva la prova di un diverso ammontare) pari alla riduzione (“differenza”) del patrimonio netto (“...detratti i costi...”).
L’aver preso a riferimento, in via principale, la differenza delle consistenze del PN alle date di rilievo rende contezza del fatto che, anche per il legislatore (come per la dottrina aziendalistica) il risultato della gestione aziendale, e gli effetti patrimoniali che ne conseguono, non vanno misurati prendendo a riferimento i singoli atti gestori bensì il loro complesso e correlato sistema d’insieme[2].
Cardine, quindi, per la misurazione del danno ex art. 2486 c.c. (salvo particolari casi con prova di un diverso ammontare) non è l’effetto patrimoniale prodotto dai singoli atti gestori ma quello derivante dalla inscindibile (correlata) sequenza di atti che hanno originato l’indebita prosecuzione della rischiosa attività d’impresa.
Prima di addentrarci nella disamina del metodo di quantificazione del danno c.d. della differenza dei netti patrimoniali rettificati è opportuno tratteggiare, limitatamente agli aspetti che qui rilevano, il concetto di Patrimonio Netto.
Il “Patrimonio Netto” (d’ora in poi PN), è definito dal principio contabile OIC n. 28 quale “differenza tra le attività e le passività di bilancio”[3]
PN = Attività - Passività
e, quindi, rappresenta una “grandezza differenziale” che non può essere determinata in via diretta ma solo attraverso il confronto tra attività e passività.
Ne consegue che la corretta determinazione del PN non può prescindere da una, altrettanto, corretta contabilizzazione delle attività e delle passività nel rispetto dei principi contabili OIC e, per l’effetto, del metodo c.d. della “partita doppia”[4].
Pur ferma l’unitarietà concettuale della “grandezza differenziale”, il PN viene suddiviso, per finalità pratiche e giuridiche, in “quote ideali” che il legislatore ha elencato all’art. 2424 c.c.[5].
Detto ciò, le variazioni che possono interessare le consistenze del PN (e le singole quote ideali) trovano origine e causa in eventi di natura
(i) economica quale conseguenza del risultato dell’esercizio (utile o perdita);
(ii) patrimoniale quale conseguenza di movimenti (apporti o riduzioni) effettuati sulle parti ideali del patrimonio netto.
Con riferimento alle variazioni di natura economica va ricordato che il risultato della gestione degli amministratori trova rappresentazione nel conto economico ove, la contrapposizione tra costi e ricavi, determina, appunto, il risultato dell’esercizio.
Il riflesso patrimoniale del risultato d’esercizio trova rappresentazione nello stato patrimoniale e precisamente nella voce del PN “IX Utile (perdita) dell’esercizio”.
In via estremamente semplificata, si può dire che un risultato economico positivo (utile) crea valore che si traduce nell’incremento del patrimonio netto (PN) mentre un risultato economico negativo (perdita) distrugge valore che si traduce in decremento del patrimonio netto (PN).
Di aiuto alcune rappresentazioni.
Si ipotizzi, che all’1.1. dell’esercizio “n” la società abbia le seguenti consistenze patrimoniali
stato patrimoniale all’1.1.n (schema art. 2424 c.c.) |
|
A)Patrimonio Netto |
|
I) Capitale sociale |
100 |
VI) Altre riserve (da esercizi precedenti) |
30 |
totale PN |
130 |
e che, volutamente semplificando[6], il conto economico dell’esercizio chiuso al 31.12.n esponga un utile di 20 (quale somma algebrica di costi per 80 e ricavi per 100)
conto economico al 31.12.n (schema art. 2425 c.c.) |
||
A) Ricavi di vendita |
|
100 |
B) Costi |
|
80 |
Differenza (A - B) |
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20 |
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21) Utile dell'esercizio |
|
20 |
Sempre al 31.12.n, il risultato economico positivo (utile) trova rappresentazione nello stato patrimoniale alla voce “IX Utile (perdita) dell’esercizio”
stato patrimoniale 31.12.n (schema art. 2424 c.c.) |
|
A)Patrimonio Netto |
|
I) Capitale sociale |
100 |
VI) Altre riserve (da esercizi precedenti) |
30 |
IV) Utile dell’esercizio |
20 |
totale PN |
150 |
All’1.1 dell’esercizio “n” il patrimonio era di 130 (capitale sociale + altre riserve) ed al 31.12.n detto patrimonio si è incrementato per effetto dell’utile di 20 a 150.
Il risultato economico positivo della gestione operata dagli amministratori, utile dell’esercizio, ha determinato un incremento del PN.
Si ipotizzi, per converso, che il conto economico chiuso al 31.12. dell’esercizio “n” esponga una perdita di 20 (quale somma algebrica di costi per 120 e di ricavi per 100)
conto economico al 31.12.n (schema art. 2425 c.c.) |
||
A) Ricavi di vendita |
|
100 |
B) Costi |
|
120 |
Differenza (A - B) |
|
(20) |
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21) Perdita dell'esercizio |
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(20) |
Tale risultato economico negativo (perdita) trova rappresentazione nello stato patrimoniale al 31.12.n alla voce “IX Utile (perdita) dell’esercizio”
stato patrimoniale 31.12.n (schema art. 2424 c.c.) |
|
A)Patrimonio Netto |
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I) Capitale sociale |
100 |
VI) Altre riserve (da esercizi precedenti) |
30 |
IV) Perdita dell’esercizio |
(20) |
totale PN |
110 |
All’1.1 dell’esercizio “n” il patrimonio era di 130 (capitale sociale + altre riserve) ed al 31.12.n detto patrimonio si è decrementato per effetto della perdita di 20 a 110.
Il risultato economico negativo della gestione operata dagli amministratori, perdita dell’esercizio, ha determinato un decremento del PN.
Si è detto, però, che le variazioni del PN, possono essere ricondotte anche cause di natura patrimoniale quali conseguenze di movimenti (apporti o riduzioni) effettuati sulle parti ideali del PN.
Particolarmente interessante, per il prosieguo della presente trattazione, la formulazione di un’ipotesi nella quale l’esercizio al 31.12.n chiuda con la medesima perdita di 20 sopra illustrata e che nel corso dell’esercizio la società riceva uno, o più, apporti di patrimonio per versamenti in conto capitale di 20[7].
Sia il risultato economico negativo (perdita) che l’apporto di patrimonio trovano rappresentazione nello stato patrimoniale al 31.12.n rispettivamente alla voce Perdita dell’esercizio e Altre riserve versam. c/capitale.
stato patrimoniale 31.12.n (schema art. 2424 c.c.) |
|
A) Patrimonio Netto |
|
I) Capitale sociale |
100 |
VI) Altre riserve (da esercizi precedenti) |
30 |
VI) Altre riserve versam. c/capitale |
20 |
IV) Perdita dell’esercizio |
(20) |
totale PN |
130 |
All’1.1. dell’esercizio “n” il patrimonio era di 130 (capitale sociale + altre riserve) ed al 31.12.n detto patrimonio è rimasto immutato in ragione dell’effetto algebrico della perdita dell’esercizio (decremento di PN) e dell’apporto di patrimonio (incremento di PN).
La gestione operata dagli amministratori è risultata - e resta - generatrice di una perdita di 20 ma il decremento di patrimonio viene controbilanciato dall’incremento conseguente ai versamenti in conto capitale 20.
4. Il danno quale “differenza dei netti patrimoniali rettificati”.
Come già visto, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra:
Ø il Patrimonio Netto alla data in cui l’amministratore è cessato dalla carica o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura.
Patrimonio, per brevità PN2, determinato a valori di liquidazione [8];
ed il
Ø il Patrimonio Netto alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento di cui all’articolo 2484 c.c.
Patrimonio, per brevità PN1, anch’esso determinato a valori di liquidazione (garantendo così i profili di omogeneità nel confronto con PN2).
Da tale differenza vanno, poi, detratti:
Ø i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione (per brevità costi di liquidazione). In altri termini vanno detratti - a riduzione del danno - quei costi che gli amministratori avrebbero, in ogni caso, fatto sopportare al patrimonio aziendale anche se (verificatasi la causa di scioglimento) avessero proceduto, tempestivamente, all’avvio della fase di liquidazione della società[9].
Tale metodo di quantificazione del danno può essere così sintetizzato:
danno = differenza tra PN2 e PN1 - costi di liquidazione
Si può parlare, pertanto, di danno solamente quando PN2 risulta minore di PN1 e tale differenza non viene sterilizzata dalla detrazione dei costi sopra indicati.
Da un punto di vista tecnico-operativo, generalmente, lo sviluppo del metodo della “differenza dei netti patrimoniali rettificati” prende le mosse dall’individuazione di PN1 alla quale si procede verificando:
(i) se, e quali, bilanci anteriori il fallimento (caso più ricorrente) fossero non corretti e non veritieri in quanto redatti in difformità rispetto alle prescrizioni dei principi contabili OIC di funzionamento (“going concern”);
(ii) se all’esito di tale verifica (e delle eventuali, conseguenti, rettifiche di valore) il capitale della società risultasse perso anteriormente rispetto a quanto emerge, per tabulas, dai bilanci redatti dagli amministratori[10].
Una volta individuato il momento dell’effettiva perdita del capitale (che potrebbe essere avvenuta in corso d’anno[11]) si procede alla trasformazione dei relativi (corretti) valori contabili da “going concern” a “valori di liquidazione” (OIC5) così da determinare le effettive consistenze patrimoniali costituenti il PN1[12].
PN1 che, in ogni caso, deve essere individuato nel momento in cui la perdita del capitale era evento conosciuto ovvero conoscibile dagli amministratori e/o dall’organo di controllo secondola diligenza richiesta dalla natura dell'incarico.
Esemplificando
valore |
PN1 |
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31.12.n |
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200 |
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effetto OIC (funzionamento) |
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0 |
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-100 |
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tempo |
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effetto OIC 5 (liquidazione) |
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-300 |
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Nella prosecuzione dello sviluppo tecnico-operativo del metodo si procede poi applicando l’OIC5 (effettuando le necessarie rettifiche e se del caso riportando quelle precedentemente operate) ad ogni successiva epoca di interesse intermedia - bilancio al 31.12. ovvero momento di avvicendamento degli amministratori e/o dell’organo di controllo[13] - sino a giungere all’epoca di determinazione, di PN2.
Per ogni periodo intermedio compreso tra PN1 e PN2 l’indebita gestione degli amministratori avrà determinato dei risultati economici (contrapposizione di costi e ricavi) i cui effetti troveranno rappresentazione nel patrimonio netto che, in caso di risultati negativi, sarà progressivamente ridotto.
Focalizzando l’attenzione su PN1 e PN2 si ipotizzi un risultato economico negativo (per semplicità espositiva considerato già al netto dei costi di liquidazione) dell’indebita prosecuzione della gestione di 700 che si traduce in un pari depauperamento patrimoniale misurato dalla differenza tra PN2 di -1.000 e PN1 di -300:
valore |
PN1 |
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PN2 |
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31.12.n |
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31.12.n+1 |
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31.12.n+2 |
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20.9.n+3 |
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200 |
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0 |
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-100 |
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tempo |
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-200 |
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PN1: -300 |
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-500 |
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-600 |
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-700 |
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indebita prosecuzione attività |
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PN2: -1.000 |
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La differenza tra PN2 e PN1 (pari a 700) quale detrimento patrimoniale corrisponde al negativo risultato economico (perdita intesa quale somma algebrica dei ricavi e costi) generato dall’indebita prosecuzione della gestione successiva al manifestarsi della causa di scioglimento e costituisce la c.d. “perdita incrementale”.
In tale ipotesi il danno determinabile ai sensi dell’art. 2486 c.c. è il medesimo sia che lo si misuri dal punto di vista economico (contrapposizione di costi e ricavi) quali perdite di gestione maturate tra PN1 e PN2 sia che lo si misuri dal punto di vista patrimoniale quale differenza tra PN2 e PN1.
Non sempre, però, il metodo della “differenza dei netti patrimoniali rettificati” sembra essere idoneo a cogliere l’effettivo disvalore economico generato dalla condotta degli amministratori.
4.1 Gli apporti e le riduzioni di patrimonio.
Alcune riflessioni possono adesso esser fatte partendo dal concetto contabile, già visto nel § 2, che le variazioni del PN (e quindi la differenza tra PN2 e PN1) conseguono tanto ai risultati di esercizio quanto agli apporti (e riduzioni) di patrimonio.
L’apporto di patrimonio (ad esempio il versamento in c/capitale) determina un incremento del PN di talché la differenza fra PN2 e PN1 risulta non rappresentativa della perdita incrementale intesa quale somma algebrica dei ricavi e costi generati dall’indebita prosecuzione della gestione.
Il danno ascrivibile agli amministratori, in tale ipotesi, non potrebbe essere semplicemente misurato dalla differenza dei patrimoni netti PN2 e PN1 posto che l’apporto di patrimonio potrebbe addirittura portare, pur in presenza di negativi risultati dell’indebita prosecuzione della gestione, ad un PN2 maggiore di PN1.
In tale ipotesi agli amministratori, nonostante la generazione di risultati economici negativi per l’indebita prosecuzione della gestione, non potrebbe essere addebitato alcun danno.
Tralasciando la possibile responsabilità cui possano incorrere gli amministratori (ex artt. 2395 azione individuale del socio c.c.) per aver in qualche modo richiesto o sollecitato ai soci l’apporto di patrimonio occultando la reale situazione della società, la determinazione del danno (ex art. 2393 azione sociale ed ex art. 2394 azione dei creditori sociali) per l’indebita prosecuzione dell’attività sociale (differenza tra PN2 e PN1) dovrebbe essere incrementata dell’apporto di patrimonio così da adeguare la dimensione del risarcimento alle risorse sociali (patrimonio) effettivamente “bruciate”[14] dalla antieconomica gestione.
Risorse la cui entità è, invece, catturata dalla somma algebrica dei ricavi e costi generati dalla indebita prosecuzione della gestione.
Si veda, al tal proposito, il seguente esempio.
Si supponga, riprendendo l’ultima esemplificazione grafica, una situazione nella quale la differenza tra PN2 e PN1 (pari a 700) rappresenta il negativo risultato economico conseguito dagli amministratori con l’indebita prosecuzione dell’attività.
valore |
PN1 |
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PN2 |
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31.12.n |
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31.12.n+1 |
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31.12.n+2 |
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20.9.n+3 |
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200 |
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0 |
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-100 |
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tempo |
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-200 |
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PN1: -300 |
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-500 |
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-600 |
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-700 |
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indebita prosecuzione attività |
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PN3:-1.000 |
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Si supponga, ora, che nel periodo compreso tra l’epoca di determinazione di PN1 e PN2 la società benefici di un apporto di patrimonio per 300 che gli amministratori non destinano alla ristrutturazione del ciclo economico del business (ma, semplicemente, a riduzione di talune passività) con la conseguenza che l’indebita prosecuzione dell’attività continua con la medesima antieconomicità[15].
valore |
PN1 |
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PN2 |
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||||
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31.12.n |
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31.12.n+1 |
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31.12.n+2 |
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20.9.n+3 |
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||||
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200 |
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0 |
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-100 |
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tempo |
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-200 |
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PN1: -300 |
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apporto di patrimonio 300 |
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|||
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-500 |
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-600 |
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PN2: -700 |
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indebita prosecuz. attività |
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-1.000 |
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In tale situazione il metodo della “differenza dei netti patrimoniali rettificati” coglie una differenza tra PN2 e PN1 di 400 (700-300) ma ciò non corrisponde al negativo risultato economico dell’indebita prosecuzione dell’attività compiuta dagli amministratori.
Risultato economico che, dalla differenza tra ricavi e costi esposti a conto economico, resta, invece, invariato e negativo per 700.
La dannosità della condotta merita, quindi, alcune considerazioni
Il danno risarcibile è pari al negativo risultato di periodo generato dall’indebita prosecuzione della gestione ossia 700 e la relativa azione è proponibile dai creditori sociali (ex art 2394 c.c.): il PN1 dava evidenza di un deficit patrimoniale di 300 e se l’indebita prosecuzione della gestione non avesse bruciato gli apporti di patrimonio questi sarebbero stati interamente destinati ai creditori insoddisfatti.
Fuorviante, quindi, l’apporto di patrimonio (di 300) che - contabilmente non transitando per il conto economico - induce a ritenere che l’illecita condotta degli amministratori sia stata economicamente meno dannosa (la differenza tra PN2 e PN1 è di 400 anziché 700).
Proseguendo nel ragionamento è possibile formulare altra e diversa ipotesi ossia che l’apporto di patrimonio sia di 550 (ossia in misura tale da non determinare la ricostituzione del capitale al minimo di legge) ferme le altre variabili.
valore |
PN1 |
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PN2 |
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||||
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31.12.n |
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31.12.n+1 |
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31.12.n+2 |
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20.9.n+3 |
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||||
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200 |
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0 |
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-100 |
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tempo |
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-200 |
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PN1: -300 |
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apporto di patrimonio 550 |
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PN2: -450 |
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-600 |
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-700 |
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indebita prosecuz. attività |
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-1.000 |
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Anche in tale ipotesi il danno risarcibile dovrebbe essere pari al negativo risultato di periodo generato dall’indebita prosecuzione della gestione ossia 700 cui si dovrebbe giungere, con il criterio dei netti rettificati, sommando alla differenza tra PN2 e PN1 pari a 150 (450-300) l’apporto di patrimonio di 550.
In tale ipotesi il danno risarcibile ai creditori sociali risulterebbe di 650 mentre quello risarcibile alla società risulterebbe di 50[16].
Proseguendo nel ragionamento è possibile formulare un’ulteriore e diversa ipotesi con la sola variante rispetto alla precedente di un apporto di patrimonio più ingente pari a 650.
Apporto effettuato senza il rispetto delle formalità codicistiche sulla riduzione del capitale ed il suo aumento ad una cifra non inferiore al minimo legale ma semplicemente mediante la contabilizzazione di versamenti in c/capitale.
Si veda il seguente grafico
valore |
PN1 |
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PN2 |
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||||
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31.12.n |
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31.12.n+1 |
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31.12.n+2 |
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20.9.n+3 |
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||||
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200 |
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100 |
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0 |
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-100 |
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tempo |
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-200 |
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apporto di patrimonio 650 |
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|||
PN1: -300 |
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PN2: -350 |
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-500 |
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-600 |
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-700 |
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indebita prosecuz. attività |
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-1.000 |
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In tale ipotesi il metodo della “differenza dei netti patrimoniali rettificati” coglie una differenza tra PN2 e PN2 di 50 (350-300) che non corrisponde al negativo risultato economico generato dall’indebita prosecuzione dell’attività, differenza tra ricavi e costi, che resta, invece, di 700.
Qui, diversamente dalla precedente ipotesi, al 31.12.n+1 le consistenze patrimoniali della società danno evidenza dell’avvenuta ricostituzione “di fatto” del capitale sociale al di sopra del minimo di legge e ciò potrebbe indurre a ritenere che l’epoca di determinazione del PN1 debba essere spostata dal 31.12.n ad un’epoca successiva (quella del perdita del capitale ricostituito di fatto) con evidenti riflessi, facilmente evincibili dall’esame del grafico, sia in ordine all’epoca della perdita del capitale (e quindi della determinazione di PN1) sia in ordine alla quantificazione del danno come differenza tra PN2 e PN1[17].
Parte della dottrina tuttavia ritiene che la mancata adozione dei rimedi di legge (artt. 2447 e 2482 ter c.c.) determini, già alla data del 31.12.n., l’irrimediabile perdita del capitale.
Proseguendo ulteriormente nel ragionamento è possibile formulare una ulteriore diversa ipotesi che prevede in luogo di un apporto di patrimonio una sua riduzione causata, ad esempio, da specifico atto di mala gestio (distrazione di parte dell’attivo).
Atto che, in quanto tale, è estraneo a risultati dell’indebita prosecuzione della gestione.
valore |
PN1 |
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PN2 |
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31.12.n |
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31.12.n+1 |
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31.12.n+2 |
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20.9.n+3 |
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200 |
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0 |
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-100 |
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tempo |
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-200 |
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PN1: -300 |
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-500 |
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-600 |
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-700 |
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riduz. PN. |
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-800 |
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mala gestio 300 |
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||||||
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indebita prosecuz. attività |
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||||||
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PN2: -1.300 |
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In tale ipotesi il metodo della differenza dei patrimoni netti rettificati determina un danno risarcibile, quale differenza tra PN2 e PN1, di 1.000 (1.300-300).
Danno non riconducibile alla sola indebita prosecuzione della gestione (700) ma comprensivo degli effetti patrimoniali dell’atto di mala gestio (300).
Ne consegue che il metodo della differenza dei netti patrimoniali determina un danno (1.000) che, invero, per una parte (700) trova origine nella responsabilità assunta dagli amministratori per aver indebitamente proseguito la gestione non ai soli fini conservativi, di cui all’art. 2486 c.c., per altra parte (300) è estranea a tale fattispecie essendo riferita a specifico atto di mala gestio.
Anche in tale ipotesi, emerge che il danno da indebita prosecuzione della gestione (2486 c.c.) discende solamente dal negativo risultato economico generato dalla stessa e non anche dalle variazioni patrimoniali, detrimento, originato da altre e diverse cause (atti di mala gestio) che andranno addebitate in ragione dello specifico illecito.
* * *
Riepilogando le considerazioni sinora sviluppate pare possibile sostenere che ai fini della corretta determinazione del danno per indebita prosecuzione della gestione (presupposto di cui al 2486 c.c.) il metodo della differenza dei netti patrimoniali rettificati necessita di essere affrancato dagli effetti distorsivi generati dagli apporti e dalle riduzioni di patrimonio e ciò perché nel primo caso (gli apporti) sottostimano la determinazione del danno in misura pari alle risorse apportate e nel secondo (le riduzioni) caso lo sovrastimano in misura pari alle riduzioni di patrimonio effettuate (per altro e diverso titolo rispetto alle gestione).
Il danno risarcibile ai sensi dell’art. 2486 c.c. (indebita prosecuzione, non conservativa della gestione da parte degli amministratori successiva al verificarsi di una causa di scioglimento della società) è pari all’erosione di patrimonio causata dal negativo risultato economico che non sempre corrisponde, come visto, alla riduzione del patrimonio.
Solo scorporando dalla differenza tra PN2 e PN1 il risultato economico della gestione risulta possibile individuare la progressione dei negativi risultati (dell’indebita gestione) che hanno determinato il detrimento del PN della società.
Se la gestione non è in grado di coprire i costi da essa generati - determinando così un margine economico negativo quale eccedenza dei costi sui ricavi – è del tutto ragionevole ritenere che la sua prosecuzione sia foriera di un aggravio patrimoniale almeno pari al margine stesso.
La riprova della necessità di affrancamento della differenza tra PN2 e PN1 da tali atti distorsivi emerge, con chiarezza nell’ipotesi in cui oltre all’indebita prosecuzione della gestione vi siano specifici atti di mala gestio.
Come già visto (nell’ultima ipotesi) il danno misurato sulla base del metodo dei netti patrimoniali rettificati corrisponde alla somma del negativo risultato generato dall’indebita prosecuzione[18] e del pregiudizio specificamente causato dall’atto di mala gestio, ossia:
PN2-PN1 = risultato indebita prosecuzione della gestione + mala gestio
Se appare, quindi, erroneo ritenere che il danno risarcibile ai sensi dell’art. 2486 c.c. sia pari all’intera differenza tra PN2 e PN1 (e di ciò se ne dovrà tener conto nell’individuare le specifiche, e diverse, fonti di responsabilità degli amministratori) è vero che una siffatta determinazione del danno “omnicomprensiva” potrebbe essere ricompresa quale possibile configurazione del “diverso ammontare” del danno così come menzionato dal novellato art. 2486 c.c.[19].
4.2 I (maggiori) valori di liquidazione.
Un ultimo spunto di riflessione merita anche l’ipotesi, del tutto particolare, nella quale in sede di determinazione del PN1:
Ø per effetto delle rettifiche apportate alle attività/passività per riallinearne il (non corretto) valore a quello indicato dai principi contabili di funzionamento (going concern) si accerti la perdita del capitale;
e che
Ø per l’effetto dell’applicazione del principio contabile sulla liquidazione (OIC5, con valutazione delle attività al valore “corrente”) si determini, in ragione di alcuni plusvalori latenti[20] una consistenza positiva del patrimonio netto di liquidazione.
Si veda il seguente grafico
valore |
PN1 |
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PN2 |
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||||
|
31.12.n |
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31.12.n+1 |
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31.12.n+2 |
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20.9.n+3 |
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||||
|
|
|
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|
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|
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|
300 |
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200 |
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PN1: 100 |
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0 |
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-100 |
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tempo |
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-200 |
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|||
-300 |
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-400 |
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|||
-500 |
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PN2: -600 |
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-700 |
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-800 |
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indebita prosecuz. attività |
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|||||
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-1.000 |
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In tale ipotesi alcune considerazioni vanno fatte per l’epoca di determinazione di PN1 e per la sua valorizzazione.
Per quanto riguarda l’individuazione dell’epoca in cui si integra la causa di scioglimento, la perdita del capitale va determinata applicando i criteri propri del bilancio d’esercizio (going concern) e non quelli di liquidazione (OIC5) a nulla rilevando, a tal fine, la presenza di plusvalori latenti in grado di determinare un patrimonio netto di liquidazione positivo.
L’epoca di perdita del capitale, quindi, non può che essere quella in cui tale evento si verifica sulla base dei principi contabili di funzionamento (going concern).
Per quanto riguarda, invece, la valorizzazione di PN1 non paiono esservi dubbi su fatto che debba essere effettuata (per criteri di omogeneità con PN2) a “valori di liquidazione” e che la presenza di un patrimonio netto di liquidazione positivo assume(rà) rilievo ai fini dei criteri di svolgimento della liquidazione di cui all’art. 2487 c.c. e non certo ai fini della determinazione del danno.
Il fatto che il PN1 sia positivo potrebbe far supporre, tuttavia, una maggior quantificazione del danno addebitabile agli amministratori.
Invero, la differenza dei netti, poggiando sul presupposto della determinazione di PN1 e PN2 con criteri omogenei (di liquidazione), rende irrilevante ai fini della quantificazione del danno, la presenza di un patrimonio netto di liquidazione positivo a fronte di un deficit patrimoniale determinato con i principi contabili di funzionamento (going concern).
Il danno per l’indebita prosecuzione della gestione resta quindi, in ogni caso, pari al negativo risultato della stessa (contrapposizione costi e ricavi) e come tale indifferente rispetto al fatto che PN1 sia o meno positivo.
L’eventualità che PN1 sia positivo assume rilievo, invece, con riferimento alle azioni risarcitorie che poteranno essere cumulativamente intraprese tanto dalla società quanto dai creditori sociali.
5. L’avvicendamento di amministratori e/o dell’organo di controllo.
Sovente accade che l’indebita gestione venga proseguita da diversi amministratori (ed organo di controllo) succedutisi nel tempo intercorrente tra le epoche di determinazione di PN1 e PN2[21].
In tal caso, la quantificazione assume connotati operativi più articolati perché si rende necessario “segmentare” gli effetti economici dell’indebita prosecuzione della gestione con riferimento, quantomeno, ai vari periodi di carica[22] e collocare, all’interno di essi, tanto gli apporti/riduzioni di patrimonio quanto gli eventuali atti di mala gestio.
Operativamente, dovrebbero essere determinati tanti PNintermedi quante sono le variazioni nelle cariche sociali così da poter individuare tanti “sotto periodi” di detrimento patrimoniale da ricondurre ai rispettivi amministratori (e organo di controllo) al tempo in carica
Operazione, questa, che presenta ulteriori profili di complicanza posto che, come generalmente accade, gli avvicendamenti nelle cariche sociali non avvengono alle data di riferimento del bilancio, ma in corso d’esercizio cosicché per la corretta ““segmentazione” degli effetti dannosi occorrerebbe predisporre tanti bilanci straordinari quante sono le variazioni degli organi sociali.
Appare chiaro che, nel caso di avvenuta dichiarazione di Fallimento, la redazione di bilanci infrannuali, ad opera del Curatore, risulta, quasi sempre, sostanzialmente impossibile rendendo necessario ricercare parametri di ragionevole approssimazione dell’andamento patrimoniale infrannuale[23].
Ipotizzando, per semplicità, la variazione dell’amministratore unico in epoca contigua al 31.12.n+1 (così da ritenere ragionevole l’approssimazione rispetto ai dati ed alle informazioni di bilancio) la segmentazione degli effetti dell’indebita prosecuzione dell’attività può essere costi rappresentata
valore |
PN1 |
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PNintermedio |
|
|
PN2 |
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||||||
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31.12.n |
|
31.12.n+1 |
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31.12.n+2 |
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20.9.n+3 |
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200 |
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|
0 |
|
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|
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|
|
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|
|
|
-100 |
|
|
|
|
|
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|
tempo |
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-200 |
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|
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|
|
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PN1: -300 |
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|||
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PNint:-500 |
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|
-600 |
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|
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|
|
|
-700 |
|
|
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|
indebita prosecuz. attività |
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||||||
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PN2:-1.000 |
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Agli amministratori in carica in ciascuno dei due periodi (da PN1 a PNintermedio e da quest’ultimo a PN2)potrà essere addebitato il solo detrimento patrimoniale cagionato dai negativi effetti della prosecuzione della gestione ivi effettuata oltre agli eventuali pregiudizi causati da specifici atti di mala gestio.
Il tutto considerando, se del caso e nella misura possibile, che alcune scelte gestionali compiute dai primi amministratori nel primo periodo (tra PN1 e PNintermedio) potrebbero riverberare anche nei risultati della gestione del secondo periodo (tra PNintermedio e PN2).
Conclusivamente pare potersi ritenere che al fine dell’individuazione (i) dei profili di responsabilità degli amministratori, (ii) della loro corretta riconducibilità alle violazioni compiute (così da evitare possibili eccezioni in corso di giudizio) e (iii) della successiva quantificazione del danno risarcibile, risulta necessario discernere quanto loro addebitabile per effetto dei negativi effetti economici dell’indebita prosecuzione della gestione (ai sensi all’art. 2486 c.c.) e quanto, invece, per effetto dei pregiudizi arrecati dal compimento di specifici atti di mala gestio.
Il metodo della differenza dei netti patrimoniali determina correttamente il danno causato dall’indebita prosecuzione della gestione (2486 c.c.) quando nel corso della stessa non si siano verificati apporti di patrimonio o specifici atti di mala gestio.
Nel caso in cui vi siano stati specifici atti di mala gestio (2393 e 2394 c.c.) il metodo della differenza dei netti patrimoniali ne coglie gli effetti cumulandoli, ancorché sia diversa l’attività illecita sottesa, a quelli dell’indebita prosecuzione della gestione.
Nel caso in cui vi siano stati apporti di patrimonio il metodo della differenza dei netti patrimoniali non ne coglie compiutamente gli effetti rendendo così necessario un processo integrativo che aggiunga alla differenza tra PN2 e PN1 l’apporto di patrimonio effettuato così da allinearla ai (reali) negativi effetti economici che l’indebita prosecuzione della gestione ha causato.
[1] Modifica introdotta dall’art. 378 del Codice della Crisi di impresa e dell’insolvenza.
[2] Il risultato della gestione non è enucleabile quale mera sommatoria dei risultati dei singoli atti di gestione come se questi ultimo fossero “ermetici” l’uno rispetto agli altri.
[3] L’OIC (Organismo Italiano di Contabilità) ha tra le sue funzioni, quella di emanare i principi contabili nazionali, ispirati alla migliore prassi operativa, da adottare per la redazione dei bilanci secondo le disposizioni del codice civile.
Nella versione del 2014 l’OIC 28 aggiungeva che, in altri termini, il PN esprime “la capacità della società di soddisfare i creditori e le obbligazioni “in via residuale” attraverso le attività ed individua il “capitale di pieno rischio”, la cui remunerazione e il cui rimborso sono subordinati al prioritario soddisfacimento delle aspettative di remunerazione e rimborso del capitale”.
[4] Il metodo della “partita doppia” prevede che la contabilizzazione di ogni fatto di gestione dia sempre luogo, contemporaneamente, ad annotazioni da effettuare in sezioni opposte - dare o avere - di due o più conti contabili (rilevazioni antitetiche) e per importi registrati in dare eguali a quelli registrati in avere (operazioni bilanciate).
Il “conto contabile” (chiamato anche mastrino o scheda contabile) accoglie l’elenco dei fatti di gestione riguardanti un dato oggetto ed ha lo scopo di metterne in evidenza la grandezza iniziale e le successive variazioni
[5] La norma indica le seguenti voci del Patrimonio netto: - Capitale, - Riserva da soprapprezzo delle azioni, - Riserve di rivalutazione, - Riserva legale, - Riserve statutarie, Altre riserve, distintamente indicate, Riserva per operazioni di copertura dei flussi finanziari attesi, - Utili (perdite) portati a nuovo, - Utile (perdita) dell'esercizio, - Riserva negativa per azioni proprie in portafoglio.
[6] Tra le altre non si valorizza l’imposizione fiscale in quanto irrilevante ai fini della presente trattazione.
[7] Versamenti la cui contabilizzazione prevede, a fronte dell’aumento dei depositi bancari, l’iscrizione, nella voce di PN “VI Altre riserve” di quella denominata “Versamenti in conto capitale”. Tale riserva accoglie ilvalore dei nuovi apporti di patrimonio sociale effettuati dai soci pur in assenza dell’intendimento di procedere a futuri aumenti di capitale.
[8] Attività a valore di realizzo e passività a valori di estinzione (come da OIC 5 “Bilanci di liquidazione”)
[9] Da tempo la giurisprudenza e la dottrina hanno chiarito che non è imputabile agli amministratori, né all’organo di controllo, la riduzione che il PN, al verificarsi della causa di scioglimento (nel caso, la perdita del capitale), avrebbe comunque subito se la società fosse stata tempestivamente posta in liquidazione. La fase liquidatoria, infatti, comporta, come indicato dall’OIC5 “la trasformazione sul piano economico del capitale investito nell’impresa: esso non è più uno strumento di produzione del reddito, bensì un semplice coacervo di beni destinato alla conversione in danaro liquido, al pagamento dei creditori ed alla ripartizione ai soci dell’attivo netto residuo” e l’applicazione dei relativi criteri di valutazione delle attività e passività avrebbe, comunque, determinato la necessità (per motivi non addebitabili agli amministratori) di svalutare o eliminare alcune attività e di considerare l’insorgere di talune passività con entità, sovente, correlata alla durata e/o complessità della fase liquidatoria.
[10] La non corretta applicazione dei principi contabili OIC può essere strumentalmente adottata per celare, e quindi rinviare, l’avvenuta perdita del capitale. Si pensi, ad esempio, da lato delle attività alla mancata svalutazione di crediti in tutto o in parte inesigibili o di partecipazioni incise da perdita durevole di valore o ancora all’iscrizione di imposte anticipate senza la sussistenza dei relativi presupposti oppure alla “sopravalutazione” (sia fisica che di valore) delle rimanenze di magazzino.
Dal lato delle passività, invece, si pensi, sempre ad esempio, al mancato stanziamento di fondi per rischi/oneri relativi a contenziosi giudiziali civili/fiscali, al mancato stanziamento di sanzioni e interessi su debiti tributari già accertati o, ancora, alla mancata rilevazione del costo del lavoro dipendente per ferie e permessi non goduti.
[11] Nel qual caso si renderebbe necessario predisporre (come avrebbero dovuto fare gli amministratori) un bilancio straordinario infrannuale.
[12] Consistenze patrimoniali, generalmente rettificate in pejus in conseguenza della determinazione degli elementi dell’attivo a valore di realizzo e delle passività a valore di estinzione.
[13] Rinviando, sul tema, al par. 5, nuovamente di rilievo la problematica relativa ai bilanci infrannuali.
[14] Metafora già utilizzata dal prof. avv. Danilo Galletti in alcuni suoi scritti sul tema.
[15] Al netto dell’apporto di patrimonio l’andamento dei risultati economici dell’indebita gestione è (come si evince dalla la medesima inclinazione delle rette “con” e “senza” apporto di patrimonio) del tutto uguale.
[16] L’importo di 650 è determinato quale sommatoria della differenza tra PN2-PN1 (150) e la misura dell’apporto sino all’azzeramento del deficit patrimoniale (500).
L’importo di 50 corrisponde alla residua parte dell’apporto di patrimonio che ha consentito un ritorno del PN al valore positivo, appunto di 50.
[17] Ulteriori profili di complicanza atterrebbero all’eventuale necessità di riaccertare la perdita del capitale sulla base dei principi contabili di funzionamento e dalla conseguente individuazione delle azioni esperibili dalla società e/o dai creditori sociali.
[18] Il tema è stato recentemente trattato, con ulteriori approfondimenti circa la configurazione di risultato della gestione da considerare (Ebit o EBitda) da Luca Jeantet e Paola Vallino, nello scritto “La responsabilità degli amministratori: guardare al passato, pensare al futuro e interpretare il presente”, pubblicato su “il Fallimentarista”.
[19] Come considerato da Luca Jeantet e Paola Vallino, cit.
[20] Quali, ad esempio, degli intangibles non valorizzabili contabilmente (avviamento interno, marchio non registrato, ecc.) oppure un accresciuto valore, rispetto a quello contabile, di talune immobilizzazioni (l’immobile sociale) il cui costo storico non è stato oggetto di rivalutazione.
[21] Per avvicendamento nella carica di amministratore unico o per variazioni nella composizione del Cda (e/o dell’organo di controllo).
[22] Se non addirittura con riferimento a particolari funzioni assegnate e/o delegate ai singoli amministratori.
[23] Con tutte le riserve che potrebbero essere sollevate con riferimento ad attività a carattere stagionale o caratterizzate da andamenti infrannuali del business connotati da ciclicità.
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