CrisiImpresa


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 11/05/2020 Scarica PDF

Appello al legislatore

Franco Benassi, Fabio Cesare, Danilo Galletti, Giuseppe Limitone, Paolo Pannella, Franco Benassi, Avvocato in Mantova. Fabio Cesare, Avvocato in Milano. Danilo Galletti, Avvocato in Bologna. Giuseppe Limitone, Giudice delegato nel Tribunale di Vicenza.


Lo scenario

 

Il pericolo maggiore a cui dovremo fare fronte come comunità sociale ed economica, a causa della pandemia, è quello del fallimento sistemico, che si verifica quando viene dichiarato fallito un numero di imprese talmente elevato da infettare l’intero sistema economico, con le ben immaginabili ripercussioni anche a livello sociale e della salute delle persone, imprenditori e non (familiari e altre persone vicine all’imprenditore, ma anche i dipendenti e le loro famiglie, gruppi sociali di riferimento, etc.).

In un contesto diffuso di scarsa liquidità, gli inadempimenti a catena costringeranno molte aziende a porsi in liquidazione, mentre proseguiranno le iniziative giudiziarie nei loro confronti.

Lo scenario che si prospetta è quello di una reale pandemia economica: il fallimento sistemico o addirittura del sistema economico, prospettiva che va capita per tempo e assolutamente scongiurata, nessuno ne sarebbe indenne.

Non si può neppure escludere il rischio che la nuova povertà induca, per bisogno di sostentamento e necessità impellente, comportamenti delittuosi in persone che non ne sarebbero avvezze, ovvero che faciliti l’espansione della criminalità organizzata nel mondo dell’impresa, offrendo gli irrinunciabili aiuti che lo Stato non offrirà.

Senz’altro tutti i governi nazionali dovranno cercare di prendere delle contromisure, ma ciò che conta è azzeccare la misura e adottarla con largo anticipo, cioè subito (è già tardi), e questo vale per tutti i Paesi, più o meno industrializzati.

L’intervento del governo diventa essenziale per tenere il numero dei fallimenti al di sotto della soglia di guardia, oltre la quale essi infettano il sistema, superando il punto di non ritorno e determinando una desertificazione del sistema economico e sociale.

   

Le proposte

 

1) Non dovrebbe essere dichiarato il fallimento per effetto dell’esimente oggettiva della forza maggiore, o per altra ragione giuridica individuata dal Legislatore quanto meno per un determinato periodo di tempo.

 

2) Non dovrebbe farsi questione di lana caprina per distinguere tra imprese sane che sono entrate in crisi esclusivamente per la pandemia (ed il conseguente lockdown) ed imprese che, già in stato di crisi, hanno subito l’ultima spallata a causa della chiusura totale delle attività, senza la quale si sarebbero ben potute rialzare, posto che, di questi tempi, ed è bene che ce ne facciamo tutti una ragione, deve senz’altro prevalere su ogni altra considerazione il favor debitoris.

 

3) Dovrebbe essere nominato dal Tribunale competente per ciascuna impresa che lo richieda, o che comunque aspiri ad ottenere provvidenze economiche, un commissario, un professionista, avvocato o dottore commercialista (una sorta di OCC-Covid-19), con facoltà di nominare, solo nei casi in il Giudice lo ritenga necessario, un collegio. Il professionista, esperto in diritto di crisi di impresa, verificato che la causa o concausa della crisi sia dipesa dall'evento Covid-19, relazionerà al Giudice sulle condizioni dell'impresa, oltre a seguire l’impresa stessa nel controllo della gestione, per almeno un anno, per l'uscita dalla crisi secondo il piano (adeguato) preparato dall'imprenditore.

Il compenso dell’esperto (o degli esperti nel caso di nomina di un collegio)potrebbe anche essere tradotto in un credito di imposta compensabile immediatamente con gli oneri tributari eventualmente dovuti dal professionista.

 

4) Lo strumento dovrebbe poter valere anche per le piccole imprese, destinate anch’esse, come le imprese maggiori, alla positiva soluzione della continuazione dell’attività aziendale o a quella della liquidazione giudiziale.

 

5) La presenza di un professionista ausiliario del Giudice ha un duplice scopo: seguire l’imprenditore, certamente frastornato dal colpo subito, e vigilare sul corretto utilizzo dei fondi statali.

 

6) La gestione “accompagnata” dovrebbe essere vigilata e continuamente monitorata (mediante le relazioni degli esperti) da Giudici esperti, appartenenti a sezioni specializzate,  alle quali bisogna rapidamente rimettere mano (basta fare riferimento ai lavori della Prima Commissione Rordorf, in cui erano già previste e ne era anche prevista la modalità del potenziamento) ed eventualmente sfociare, là ove occorra, e non sia sufficiente la gestione “accompagnata”, in una vera e propria procedura concorsuale, di concordato semplificata, o comunque vocata alla ristrutturazione ed alla prosecuzione dell’attività di impresa.

 

7) Si dovrebbe prevedere anche un sistema di controllo del Tribunale sulla base del monitoraggio della gestione esercitato dal commissario, il quale dovrà riferire al Giudice non solo con relazioni periodiche, ma anche ogniqualvolta l’imprenditore ponga in essere atti di straordinaria amministrazione o anche solo rilevanti sotto il profilo della stabilità economica dell’impresa e delle prospettive future di restituzione del sostegno erogato dalla Stato. Non si ritiene invece opportuno, per non ingessare l’attività dell’impresa, attribuire al Giudice il potere di autorizzare ogni atto di straordinaria amministrazione.

 

8) Ognuno dovrebbe dare il massimo per il bene comune, sapendo che il benessere del gruppo genera benessere individuale.

 

9) Sono da evitare accuratamente soluzioni legislative che favoriscano la circolazione dell’azienda in crisi da lockdown in un momento così delicato, sul presupposto che la stessa possa essere dichiarata fallita e quindi ceduta a terzi, con o senza un propedeutico affitto di azienda, e persino (si è detto) con il finanziamento dello Stato al compratore, invece di aiutare l’incolpevole imprenditore in crisi ad uscirne e a continuare a fare impresa, come è garantito dall’art. 41 della Costituzione: che libertà di impresa sarebbe quella per cui l’incolpevole crisi si traducesse in un esproprio legalizzato dell’azienda, rimandando a casa un buon imprenditore? L’attuale manifesta impossibilità di funzionamento del “mercato delle aziende in crisi” rende evidente la impossibilità di ricorrere all’altrimenti salutare meccanismo della “competitività”. Questa discutibile opzione circolatoria avrebbe inoltre come quasi certa conseguenza il trasferimento di molte aziende alla criminalità organizzata, che è sempre alla ricerca del miglior modo di impiegare i proventi del reato, o anche a fondi di investimento stranieri, o multinazionali danarose, verosimilmente cinesi o tedesche oppure olandesi, favorendo così la forzata colonizzazione delle imprese nazionali, e il fiorire di un triste mercato di consulenza d’affari (di supporto alle cessioni delle aziende improvvidamente dichiarate fallite). Dovrebbe essere piuttosto favorito il processo economico che conduce l’imprenditore ad esercitare l’opzione “call” implicita che ha sull’azienda, ossia occorrerebbe finanziare senza particolari vincoli la società in crisi o l’imprenditore stesso persona fisica anche col ricorso a capitali messi a disposizioni da finanziatori “professionali”, per sostenere la ristrutturazione.

 

10) Occorre favorire il concordato preventivo mediante la reintroduzione del silenzio assenso nel voto dei creditori e la responsabilizzazione del ceto creditorio che dovrà essere dissuaso da espressioni di voto egoistiche o di stile, e ciò deve valere soprattutto per l’Erario e l’INPS che, essendo creditori qualificati nell'interesse della collettività dovranno, in ogni caso di votazione negativa, motivare esaurientemente le ragioni del diniego, avendo il voto il valore un atto amministrativo.

 

11) Occorrerebbe applicare immediatamente le norme sul sovraindebitamento dettate dal Codice della Crisi per evitare le oscillazioni interpretative della giurisprudenza sulla legge 3/2012, che non sono in grado di rispondere al bisogno di ripartenza della società e che rischiano di generare forze centrifughe nel tessuto sociale fino a porre in discussione l’efficacia dell’azione giurisdizionale nella percezione dell’utenza; diversamente, ogni sostegno al reddito rischia di finire asservito al pagamento dei creditori pregressi e si rivela distorsivo perché non serve ad arginare il rischio di povertà. Va comunque temporaneamente eliminata la possibilità del ricorso dei creditori per l’apertura della liquidazione. 



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