CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 23/04/2020 Scarica PDF
La nuova dimensione del giudizio di risoluzione del concordato a seguito della legislazione di emergenza introdotta per la pandemia da coronavirus
Alberto Pazzi, Consigliere nella Prima sezione della Corte di Cassazione1. La specifica legislazione di emergenza in materia di esecuzione di procedure concorsuali già omologate.
La preoccupazione che il fermo imposto dalle ragioni sanitarie segni, in termini esiziali, gli esiti della procedura concorsuale, pregiudicando tanto le speranze di ripartenza dell’imprenditore in crisi quanto le aspettative di soddisfazione, seppur ridotta, dei creditori, ha indotto il legislatore a prevedere, all’art. 9, comma 1, d.l. 8 aprile 2020 n. 23, che “i termini di adempimento dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione omologati aventi scadenza nel periodo fra il 23 febbraio 2020 e il 3 dicembre 2021 sono prorogati di sei mesi”[1].
La norma, posta in esordio a un articolo scritto “a scendere” che interviene in materia concorsuale partendo dalle procedure in corso di esecuzione per arrivare a quelle appena avviate, in una “logica-manifesto di rassicurazione generale” [2] prevede una neutralizzazione degli effetti della pandemia da realizzarsi, rispetto alle procedure già omologate, tramite il differimento dei termini per l’adempimento.
Il tenore della norma, che di per sé dispone una semplice proroga semestrale dei termini di adempimento stabiliti, lascia aperti una serie di interrogativi in merito alla reale portata degli interventi normativi messi in campo in questo ambito per far fronte alla pandemia, ai possibili rimedi esperibili in sede di risoluzione del concordato con riferimento a questa inaspettata situazione di emergenza e al ruolo che ciascuno dei protagonisti delle vicende concorsuali sarà chiamato a svolgere.
2. La persistente possibilità per i creditori di domandare la risoluzione del concordato.
2.1 I primi commentatori hanno ritenuto che la norma in discorso costituisca un sostegno ai concordati preventivi o agli accordi di ristrutturazione omologati attraverso un meccanismo agevolativo ex lege che, rimodulando i termini di adempimento, mira a evitare la risoluzione delle procedure già attivate [3].
A dispetto dell’intento tranquillizzante che la norma sembra perseguire tramite il congelamento della situazione esistente agli inizi dell’emergenza (come a dire andrà tutto bene, ne riparliamo fra sei mesi) e degli “evidenti riflessi che” secondo la relazione illustrativa la disposizione avrà “sul meccanismo di risoluzione dei concordati ex art. 186 l. fall.”, mi viene qualche dubbio sul fatto che il semplice spostamento dei termini fissati - di sei mesi, rispetto a tutti i creditori e per ogni tipo di concordato, liquidatorio o in continuità che sia – valga a impedire, in assoluto ed insuperabilmente, la constatazione dell’inadempimento e a porre del tutto al riparo dagli effetti della pandemia l’imprenditore in concordato tenuto all’adempimento della proposta omologata.
Il legislatore non ha ritenuto di prevedere, come ha fatto invece per le istanze di fallimento, che i ricorsi per la risoluzione del concordato ex art. 186 l. fall. siano improcedibili.
Il creditore quindi potrà sollecitare fin dal termine del periodo di sospensione previsto dagli artt. 83, comma 1, e d.l. 18/2020 e 36, comma 1, d.l. 23/2020 la risoluzione del concordato per inadempimento della proposta, pur dovendosi accontentare di tanto, dato che gli è preclusa, dall’art. 10, comma 1, d.l. 23/2020, la richiesta di fallimento fino al 30 giugno 2020.
Una volta accertato che il creditore non incontrerà limiti processuali, alla ripresa dell’attività giudiziaria, nel domandare la risoluzione del concordato, occorrerà poi considerare, rispetto al merito di tale richiesta, come sia ben vero che per esservi inadempimento agli impegni assunti nella proposta è necessario che la prestazione promessa ai creditori sia esigibile; sicché, di regola, nulla quaestio ove la proposta preveda una stima temporale rispetto al soddisfacimento dei creditori concordatari[4].
Mi pare però che si debba anche tenere in conto che secondo la giurisprudenza, di legittimità [5] e di merito [6], i creditori concordatari hanno comunque il diritto di agire per la risoluzione nel caso in cui sia emersa con certezza l'impossibilità di soddisfarli nella misura proposta ed omologata, a prescindere dalla scadenza dei termini finali di adempimento delle obbligazioni concordatarie.
La norma in discorso quindi, dato che non prevede un’improcedibilità dei ricorsi per la risoluzione del concordato come fa invece il successivo art. 10, non risolve in maniera inoppugnabile il problema, a meno che non si voglia sostenere che l’anticipazione della richiesta di risoluzione rispetto alla scadenza prorogata impedisca sempre di valutare con certezza che la proposta non potrà avere esecuzione; spiegazione, questa, che mi sembra tuttavia più un artificio retorico che un effettivo rimedio, ove si pensi all’imprenditore in concordato la cui attività, già fragile in precedenza, sia stata pesantemente compromessa nelle sue capacità produttive dalla pandemia [7].
Se dunque la proroga dei termini mette al riparo chi, a causa della pandemia, abbia subito un impasse di una macchina organizzativa che aveva ricominciato a funzionare dopo l’omologa e lasci confidare in una pronta ripartenza, chi invece già stentava nella ripresa produttiva all’esito dell’omologazione della proposta e si trovava agli inizi dell’emergenza al limite dell’inadempimento ovvero chi abbia visto completamente stravolti gli assetti del proprio mercato di riferimento da questa situazione improvvisa (e proprio per questo motivo possa a fatica sottrarsi a un giudizio prognostico di impossibilità di soddisfazione delle obbligazioni assunte nella misura proposta ed omologata) temo non possa trovare tutela adeguata e, soprattutto, certa nella norma fino ad ora approntata.
2.2 La persistente possibilità di richiedere la risoluzione del concordato non mi pare l’unico punto debole della specifica norma dedicata all’esecuzione delle procedure concorsuali già omologate.
Mi domando se basterà un time out imposto ex lege a risolvere tutti i problemi che l’epidemia sta creando e creerà all’esecuzione di queste procedure.
Intendo dire che dubito che la proroga di sei mesi dei termini per l’adempimento costituisca, di per sé, la panacea per tutti i problemi che questa situazione di emergenza sta creando, anche nei casi in cui il fermo forzato non abbia provocato scostamenti rispetto al piano talmente eclatanti da rendere certo ed evidente fin da subito che la proposta o l’accordo non potranno oramai avere più esecuzione.
Temo in particolare che la stasi imposta alla prosecuzione dell’attività (e/o alla liquidazione), soprattutto se si dovesse protrarre a lungo, difficilmente potrà essere risolta soltanto con un rinvio dei termini di adempimento, perché le difficoltà della ripartenza, forse, richiederanno un margine di tempo più ampio per riportare l’impresa nelle condizioni economiche esistenti prima del blocco.
Chi dopo sei mesi si troverà a dover rendere conto del proprio inadempimento ai creditori che intendano invocare la risoluzione avrà perciò necessità di ben altre tutele per non vedere affossati i propri sforzi e le sorti della sua impresa dalle conseguenze, che in alcuni casi potranno essere oltremodo severe, della pandemia.
3. La possibilità per il debitore di mutare, in termini cronologici e quantitativi, la domanda.
Non penso che chi si trovi nelle condizioni appena rappresentate possa trovare idoneo rimedio all’interno della generale disciplina del concordato preventivo o degli accordi di ristrutturazione, che non prevede alcuna possibilità, una volta intervenuta l’omologa, di mutamenti del piano e della proposta o degli accordi [8].
Questa impossibilità trova giustificazione nel consolidamento (in termini di giudicato, quanto alla misura del credito da soddisfare) dell’accordo fra debitore e creditori all’esito dell’approvazione della proposta da parte del ceto creditorio e del controllo esercitato in sede di omologa dal Tribunale, accordo che segna il limite della falcidia subita dai creditori e il tenore della nuova obbligazione assunta nei loro confronti dal debitore.
La mancanza, nell’ambito concorsuale regolato dalla legge fallimentare, di una norma che consenta di rivisitare la proposta “quando l’esecuzione diviene impossibile …. per ragioni non imputabili al debitore”, come prevede invece l’art. 13, comma 4-ter, l. 27 gennaio 2012 n. 3 rispetto alla composizione della crisi da sovraindebitamento, non lascia dubbi sul fatto che nell’intento del legislatore questa cristallizzazione sia, a seguito dell’omologa, irreversibile.
Non è dunque un caso che la disciplina afferente all’esecuzione del concordato, a differenza di quanto stabilisce invece l’art. 172, comma 2, legge fall. rispetto allo svolgimento del procedimento concordatario, non preveda alcuna possibilità di modifica della proposta, ma al contrario contempli, all’art. 185, comma 1, l. fall., il dovere del commissario giudiziale, dopo l’omologazione del concordato, di sorvegliarne l’adempimento e, al comma successivo, un espresso obbligo per il debitore di compiere ogni atto necessario a dare esecuzione alla proposta di concordato presentata da uno o più creditori qualora sia stata approvata e omologata.
A legislazione invariata - ove non si ritenga di estendere la disciplina di emergenza fino al punto di consentire in via straordinaria la modifica dei termini dell’accordo ormai raggiunto con i creditori ed omologato dal Tribunale non solo a chi abbia già visto approvato il concordato dal voto dei creditori e sia in attesa di omologa, come stabilito dall’art. 9, comma 2, d.l. 23/2020, ma anche a chi abbia già conseguito l’omologa della proposta - il debitore rimane tenuto all’adempimento della proposta (o degli accordi di ristrutturazione, nel caso di cui all’art. 182-bis l. fall.) omologata dal Tribunale.
4. Una ulteriore forma di tutela dalle conseguenze della pandemia.
4.1 Ritengo che l’art. 9 d.l. 23/2020 non sia l’unica norma di tutela dell’imprenditore chiamato a dare esecuzione alla proposta di concordato o agli accordi di ristrutturazione omologati, ma faccia parte di un più generale corredo che comprende anche la norma sostanziale dettata dal legislatore dell’emergenza rispetto al contesto logico-sistematico della disciplina generale dell’obbligazione e con riflessi sul piano contrattuale.
Mi riferisco all’art. 3, comma 6-bis, d.l. 23 febbraio 2020 n. 6[9], secondo cui “il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutat[o] ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.
La norma, secondo una recente opinione [10], si pone in un rapporto di prossimità e non di appartenenza con la disciplina dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione, a cui può essere accostata ma dalla quale va distinta.
Infatti, mentre la disciplina dell’impossibilità della prestazione prevede in termini rigidi che all’impossibilità definitiva consegua la non responsabilità e la relativa liberazione del debitore e l’impossibilità temporanea comporti il differimento della prestazione, la disciplina emergenziale non si caratterizzerebbe per la medesima rigidità, andrebbe intesa “nel senso di fare riferimento al sistema della responsabilità da inadempimento in quanto tale” e, quale norma “a ventaglio aperto”, affiderebbe “al giudice il compito di individuare la struttura disciplinare più opportuna a seconda della fattispecie concreta” [11].
La tesi mi pare che meriti di essere condivisa, non solo perché trova conforto in un testo normativo che utilizza il verbo “valutare” al fine di imporre, “sempre” [12], una mediazione contestualizzata tra il rispetto di misure di contenimento della pandemia e l’esclusione della responsabilità, nel senso di individuare gli effetti che la causa pandemica ha avuto caso per caso e di graduare gli stessi sulla base della fattispecie concreta, ma anche perché coglie quella che mi sembra la ratio ispiratrice della norma, che intende ridimensionare la responsabilità se e nella misura in cui la stessa possa essere determinata dal rispetto delle misure di contenimento contro la diffusione del virus.
4.2 Una simile interpretazione giova a superare le perplessità che potrebbero sorgere circa l’applicabilità della disciplina in discorso alla risoluzione del concordato.
Recentemente la Corte di legittimità [13] ha inteso sottolineare che la non imputabilità al debitore dell'inadempimento non rileva ai fini della risoluzione del concordato, poiché l'art. 186 l. fall. intende valorizzare il mancato avveramento del piano, ove non di scarsa importanza, secondo una logica ben diversa da quella dell'art. 1218 c.c..
Rileva dunque il mancato raggiungimento del risultato satisfattivo a cui la procedura concorsuale era mirata, a prescindere dal perché un simile insuccesso si sia verificato, di modo che il concordato preventivo deve essere risolto qualora emerga che esso sia venuto meno alla sua funzione di soddisfare i creditori nella misura promessa, a meno che l'inadempimento non abbia scarsa importanza, a prescindere da eventuali profili di colpa imputabili al debitore.
Parole che potrebbero suonare sinistre in tempi di coronavirus, in quanto se l’art. 1218 c.c. è norma estranea alle logiche proprie della risoluzione del concordato, il rinvio fatto dall’art. 3, comma 6-bis, d.l. 23 febbraio 2020 n. 6 proprio a questo articolo parrebbe mettere fuori gioco chi intenda fare riferimento alla disciplina emergenziale per dare supporto normativo alle proprie giustificazioni circa un eventuale inadempimento della proposta omologata.
Se però il senso del richiamo alle due norme espressamente evocate non è quello di limitare alle stesse l’applicazione della disciplina in discorso, ma di evocare più in generale il sistema della responsabilità da inadempimento attraverso il richiamo degli articoli di maggior significato, allora sarà ben possibile verificare in sede di risoluzione – ambito in cui rimangono applicabili, in coerenza con l'accentuata natura privatistica del concordato preventivo, i principi generali in materia di inadempimento contrattuale, pur da modulare secondo le caratteristiche peculiari dell’istituto - se, al di là di profili di colpa ed avendo riguardo invece all’esigibilità della prestazione, il rispetto delle misure di contenimento sanitarie abbia influito sull’inadempimento della proposta o dell’accordo omologati in un frangente di stato di necessità determinato dall’epidemia.
5. Il complesso corredo normativo a disposizione del debitore al fine di far rilevare il fattore pandemico.
5.1 Il corredo normativo a disposizione dell’imprenditore obbligato all’esecuzione del piano si compone perciò da una norma rigida (di facile e immediata applicabilità, che trova giustificazione nel pregiudizio che il legislatore presume comunque subito da qualsiasi debitore in conseguenza dell'oggettiva esistenza della situazione emergenziale verificatasi) a cui si associa una norma elastica, volta a modulare gli effetti dell’inesigibilità temporanea della prestazione rispetto al caso concreto, nella misura in cui la prestazione sia divenuta “significativamente” [14] più difficile.
L’applicazione dell’art. 3, comma 6-bis, d.l. 23 febbraio 2020 n. 6 anche all’ambito concorsuale assicurerà al debitore chiamato all’esecuzione del piano per adempiere alla proposta omologata spazi di manovra assai più ampi della mera dilatazione dei termini di adempimento.
Il giudice sollecitato alla declaratoria di risoluzione, nel valutare il rispetto delle misure di contenimento ai fini dell’esclusione della responsabilità, sarà infatti chiamato, per dirla alla maniera della dottrina già richiamata, a “individuare il rimedio più acconcio alla fattispecie concreta” e a “fissare – con intervento conformativo sulle modalità di esecuzione dell’obbligazione – il nuovo momento di scadenza dell’obbligazione”, dando applicazione a una norma che “dissocia il tema della responsabilità da quello della liberazione del creditore” [15].
Il che significa, nel concreto e in una prospettiva cronologica, apprezzare se e come la situazione emergenziale abbia influito sulle sorti dell’impresa producendo un blocco dell’attività di dimensioni maggiori della misura standard di rinvio fissata ex lege, individuando un nuovo termine entro cui il ceto creditorio possa ragionevolmente pretendere l’adempimento.
O ancora, sotto un profilo sostanziale, adattare il criterio della scarsa importanza al contesto pandemico in cui l’adempimento inesatto si è verificato.
5.2 La norma elastica – è bene sottolinearlo – non rende automaticamente irrilevante l’inadempimento nella misura in cui lo stesso sia dovuto al fatto pandemico, ma impone di valutare quest’ultimo ai fini dell’esclusione della responsabilità del debitore.
Il legislatore, come rende evidente la lettera della norma, non ha fatto una scelta di campo, preferendo il debitore al creditore e addossando a quest’ultimo tutti gli effetti perniciosi della pandemia, ma ha rappresentato la necessità di tenere presente e dare rilievo alle vicende avvenute (con uno spettro che va dalla totale alla nessuna importanza) e, nel contempo, ha indicato un metodo di equilibrio nel considerare gli interessi delle parti (nell’ambito del rapporto complesso costituito dalla proposta approvata dai creditori e omologata dal Tribunale), chiamando il giudice a trovare una nuova ed equa composizione dei contrapposti interessi stravolti dalla situazione sanitaria venutasi a creare.
In questo modo la norma rifugge da interventi indulgenti con il debitore che non tengano in considerazione le necessità, altrettanto impellenti in questa situazione emergenziale, dei creditori e fa concreta applicazione del principio costituzionale di solidarietà, affidando al giudice la sua declinazione nel caso concreto.
Questi, chiamato “sempre” a “valutare”, in sede di risoluzione del concordato, “il rispetto delle misure di contenimento” “ai fini dell’esclusione della responsabilità del debitore”, non dovrà quindi limitarsi a sommare a un effetto matematico, legato alla proroga dei termini ex lege e omnibus, un effetto variabile, ma sarà invece tenuto a leggere la situazione venutasi a creare per effetto della pandemia, facendo sì che l’impatto dell’emergenza sulle sorti dell’accordo concorsuale, ove esistente, riverberi nelle sue reali dimensioni su tutte le parti interessate in maniera solidaristica, con proporzionale riparto delle conseguenze negative - in termini cronologici e/o quantitativi - per chi (il debitore) anela a ripartire e chi (il ceto creditorio) intende non cadere a sua volta.
6. L’inserimento del fattore pandemico nella valutazione di non scarsa importanza
6.1 Tramite la norma in discorso il fattore pandemico confluisce nel contesto del procedimento di risoluzione del concordato e ne muta il contenuto, concorrendo a dare corpo al giudizio di importanza dell’inadempimento che gli è proprio.
Un primo profilo di inadempimento che potrà venire in rilievo sarà quello cronologico, nel caso in cui la dilazione semestrale dei termini disposta dal legislatore non sia stata sufficiente a neutralizzare gli effetti provocati dalla pandemia sull’esecuzione del concordato (per i più svariati fattori, quali la durata del blocco forzato dell’attività di impresa, le caratteristiche del mercato di riferimento, le difficoltà di ripresa dell’attività dovuta a tali caratteristiche, ecc.).
Il criterio solidaristico a cui la norma si ispira non consente di ritenere che il debitore, ove tali maggiori effetti realmente si siano verificati, rimanga del tutto privo della possibilità di vedersi riconosciuto un ulteriore lasso temporale per provvedere all’adempimento.
Si tratterà, quindi, di apprezzare con attenzione gli effetti provocati dall’emergenza sanitaria, prevedere i tempi di un possibile ritorno a regime dell’impresa impegnata nel percorso di risanamento e stabilire come le scadenze previste dalla proposta possano essere rimodulate tenendo conto degli interessi, concorrenti e confliggenti, di debitore e creditori.
6.2 Il secondo profilo di rilievo riguarderà l’aspetto quantitativo, vale a dire l’entità della riduzione della soddisfazione offerta rispetto alla misura ab origine prevista che possa ritenersi imputabile alla pandemia.
La valutazione di importanza dell’inadempimento ex art. 1455 c.c. (a cui l’art. 186 l. fall. fa indiretto rinvio tramite l’utilizzo di una terminologia coincidente) deve tener conto tanto di un criterio oggettivo, avuto riguardo all'interesse del creditore all'adempimento della prestazione attraverso la verifica che l'inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell'economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità, e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all'altro contraente), sì da dar luogo a uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale, quanto di eventuali elementi di carattere soggettivo, consistenti nel comportamento di entrambe le parti (come una tempestiva riparazione dell’obbligato o una protratta tolleranza del creditore), che possano, in relazione alla particolarità del caso, attenuarne l'intensità (si vedano in questo senso Cass. 22/10/2014 n. 22346, Cass. 27/5/2015 n. 10995).
E’ all’interno di questi profili di carattere oggettivo e soggettivo che viene ad assumere rilievo il fattore pandemico che stia eventualmente alla base dell’inesatto adempimento quantitativo, poiché nell’apprezzare questi elementi il giudice sarà chiamato a “valutare” se il risultato inferiore alla misura prevista trovi giustificazione nella contingenza del momento e rappresenti lo sforzo che in un simile frangente poteva essere chiesto al debitore.
L’esito di questa valutazione si tradurrà in una rimodulazione al ribasso del limite di scarsa importanza che, stanti gli effetti della pandemia, dovrà essere tenuto a parametro nell’apprezzamento dell’inadempimento.
6.3 Il profilo cronologico e quello quantitativo costituiscono i differenti aspetti di un’indagine riguardante l’intero comportamento del debitore che deve avvenire in maniera unitaria.
Essi dunque convergeranno in un’unica valutazione d’insieme, nel senso che da un lato contribuiranno ciascuno alla valutazione anche dell’altro fattore (di modo che se l’uno sarà infimo se non inesistente, l’altro potrà spingersi fino a dimensioni più ampie), dall’altro concorreranno congiunta-mente all’apprezzamento dell’importanza dell’inadempimento nella sua globalità.
In questa duplice e concorrente dimensione il fattore pandemico contribuirà a colorare l’inadempimento ai fini della valutazione della sua importanza, attribuendo al giudizio di risoluzione celebrato durante o a seguito di questa situazione di emergenza tratti di inconsueta peculiarità.
[1] La relazione illustrativa in particolare spiega che “l’attuale situazione di crisi genera concreti rischi anche in relazione alla sopravvivenza dei tentativi di soluzione della crisi di impresa alternativa al fallimento promossi in epoca anteriore al palesarsi dell’emergenza epidemiologica determinata dal diffondersi del COVID-19. In questo caso, procedure di concordato preventivo o accordi di ristrutturazione aventi concrete possibilità di successo prima dello scoppio della crisi epidemica potrebbero risultare irrimediabilmente compromesse, con ricadute evidenti sulla conservazione di complessi imprenditoriale anche di rilevanti dimensioni”.
[2] M. Ferro, Riapertura dei concordati e degli accordi di ristrutturazione: le proroghe eccezionali del DL 23/2020, in Il Quotidiano Giuridico, 14 aprile 2020.
[3] M. Irrera - E. Fregonara “La crisi d’impresa e la continuità aziendale ai tempi del coronavirus”, in Il Caso.it, 15 aprile 2020.
[4] In questi termini G. Nardecchia, La risoluzione del concordato preventivo, in Il Fallimento, 2012, 3, pag. 254.
[5] Nella giurisprudenza di legittimità formatasi prima della riforma e con riferimento al concordato con cessione di beni era pacifico che la risoluzione per inadempimento potesse essere dichiarata anche se la liquidazione non era stata ancora conclusa, ma fosse già certa l’impossibilità di soddisfare le condizioni minime del concordato (Cass. 20/6/2011 n. 13446, Cass. 31/3/2010 n. 7942). La compatibilità di tale principio con la nuova formulazione dell’art. 186 l. fall. e con la complessità e variabilità del contenuto del nuovo concordato pare poi riconosciuta da Cass. 29/5/2019 n. 14601.
[6] “Anteriormente alla scadenza del termine finale di esecuzione della proposta di concordato preventivo può aversi inadempimento non irrilevante, tale da giustificare la risoluzione ai sensi dell’art. 186 legge fall., solo qualora risulti certo, in ragione di significativi scostamenti rispetto al piano, che la proposta non potrà avere esecuzione; a tal fine non può attribuirsi rilievo al mancato rispetto dei tempi di pagamento intermedi eventualmente indicati nella proposta omologata, dovendosi fare riferimento al solo termine finale di esecuzione della stessa” Tribunale Modena 20 aprile 2016, in Il Fallimento, 2016, 8/9, pag. 1010.
[7] Penso, ad esempio, alle condizioni di chi, trovandosi già in difficoltà nell’adempiere puntualmente con i proventi della continuazione della propria attività le obbligazioni del piano omologato, abbia subito il blocco dell’attività produttiva e con essa, magari, la perdita di clienti esteri rivoltisi a soggetti rimasti attivi; oppure a chi abbia prospettive di riavvio in termini oltremodo dilatati, come ad esempio gli operatori del settore turistico o alberghiero.
[8] Non è di questa idea G. Limitone, Gli effetti del coronavirus sulla continuità aziendale dopo l’omologazione del concordato preventivo, in Il Caso.it 13 aprile 2020.
[9] Introdotto dall’art. 91 d.l. 17 marzo 2020 n. 18 e sopravvissuto all’abrogazione dell’originario d.l. 6/2020 per effetto dell’art. 5 del d.l. 25 marzo 2020 n. 19.
[10] A. A. Dolmetta, “Rispetto delle misure di contenimento” della pandemia e disciplina dell’obbligazione, in Il Caso.it, 11 aprile 2020.
[11] Così A. A. Dolmetta, cit., pagg. 4 e 5.
[12] E dunque anche rispetto alle obbligazioni di cose di genere (A. A. Dolmetta, cit., pag. 9).
[13] Cfr. Cass. 13/7/2018 n. 18738.
[14] A. A. Dolmetta, cit., pag. 8.
[15] A. A. Dolmetta, cit., pag. 5.
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