CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 21/04/2020 Scarica PDF
La "messa in quarantena" delle norme sulle perdite del capitale e sullo scioglimento delle società. Note sull'art. 6 del "Decreto Liquidità"
Francesco Dimundo, Avvocato in Milano1. La ratio dell’intervento legislativo.
Nell’ambito delle variegate misure che il Governo ha recentemente approntato per arginare il gravissimo impatto che il fenomeno “coronavirus” determina sul tessuto imprenditoriale[1], si collocano alcuni interventi di natura eccezionale che incidono in via diretta sul diritto societario, fra i quali spicca la disposizione che “sterilizza” in via temporanea l’applicazione delle norme del codice civile inerenti alla riduzione o perdita del capitale delle società di capitali, e di quella che, sempre in ambito codicistico, configura quale causa di scioglimento – per tali società – la perdita del capitale sociale.
Il d.l. 8 aprile 2020, n. 23 (c.d. Decreto Liquidità: di seguito, breviter, il “Decreto”, pubblicato in pari data sulla Gazzetta Ufficiale e recante “misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali”) dispone infatti, all’art. 6 (rubricato “disposizioni temporanee in materia di riduzione del capitale”), che “a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 31 dicembre 2020 per le fattispecie verificatesi nel corso degli esercizi chiusi entro la predetta data non si applicano gli articoli 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482-bis, commi quarto, quinto e sesto, e 2482-ter del codice civile. Per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, numero 4), e 2545-duodecies del codice civile”.
La strada cosí intrapresa dal legislatore non è peraltro frutto di una iniziativa “spontanea”, né può considerarsi del tutto inedita nel nostro ambiente giuridico.
Sotto il primo profilo, già nei mesi scorsi, allorquando l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva dichiarato pandemico il fenomeno Covid 19 ed erano già evidenti le devastanti ricadute (attuali e prospettiche) dell’epidemia sull’economia, più voci, infatti, avevano sollecitato con forza al legislatore italiano l’adozione, nel quadro degli strumenti di sostegno alle imprese suggeriti a livello internazionale, di specifiche misure volte ad “ibernare” le imprese che presentassero insufficienti flussi di cassa dovuti al blocco (c.d. lockdown) derivante dalle misure anti Covid [2].
L’idea di fondo che ha condotto il legislatore ad adottare la sospensione delle regole sul capitale è, nelle sue linee essenziali, alquanto semplice, ed è la medesima che, per certi versi, ha animato la scelta iniziale di posticipare al 15 febbraio 2021 l’entrata in vigore dell’istituto dell’allerta, pure compiuta dal nostro Governo [3]. Se il carattere sistemico della crisi in atto – si è ragionato [4] - porta ad estendere alla generalità degli operatori economici una condizione patologica (o comunque anomala) che, statisticamente ed in contesti “ordinari”, dovrebbe essere limitata a pochi soggetti, ne consegue che gli istituti pensati per operare in presenza di quella condizione perdono di reale significatività e valore selettivo. Avrebbe poco senso, in altri termini, esigere l’attivazione dei meccanismi di allerta disegnati dal D. Lgs. 14/2019 e della regola codicistica “trasforma, ricapitalizza o liquida”, in una situazione in cui, verosimilmente, la stragrande maggioranza delle imprese (comprese quelle “incolpevoli”, i.e. sane e performanti prima dell’inizio del periodo di emergenza) a tali meccanismi ed a tale regola sarebbe ineluttabilmente costretta a ricorrere per effetto della pandemia e del conseguente blocco dell’attività.
Tale ratio trova del resto puntuale conferma nella stessa relazione illustrativa al Decreto, laddove – con riferimento alle previsioni del citato art. 6 – si premette infatti che “l’attuale stato di emergenza e crisi economica di dimensioni eccezionali determinato dall’epidemia di COVID-19 sta determinando una situazione anomala che coinvolge anche imprese che, prima dell’epidemia, si trovavano in condizioni economiche anche ottimali, traducendosi in una patologica perdita di capitale che non riflette le effettive capacità e potenzialità delle imprese coinvolte”; e viene affermato che la sterilizzazione delle norme in tema di perdita o riduzione del capitale sociale è finalizzata appunto a evitare che simile situazione, dovuta “alla crisi da COVID-19 e verificatasi nel corso degli esercizi chiusi al 31 dicembre 2020, ponga gli amministratori di un numero elevatissimo di imprese nell’alternativa - palesemente abnorme - tra l’immediata messa in liquidazione, con perdita della prospettiva di continuità per imprese anche performanti, ed il rischio di esporsi alla responsabilità per gestione non conservativa ai sensi dell’articolo 2486 del codice civile”.
2. La sospensione delle regole sul capitale ed i suoi precedenti.
Come anticipato, la sospensione delle regole sulla riduzione del capitale per perdite non è del tutto inedita nel nostro ordinamento.
Nel secolo scorso il nostro legislatore aveva infatti già previsto che fosse “sospesa fino al 14 febbraio 1977 nei confronti degli amministratori delle società e delle aziende del gruppo EGAM l’applicazione dell’art. 2447 del codice civile” (art. 4, d.l. n. 877/1976), ed analogamente aveva disposto sia per la liquidazione del gruppo Efim, in relazione al quale la legge n. 33/1993 aveva sancito la provvisoria disattivazione degli artt. 2446 e 2447 c.c. per le società controllate del gruppo sino all’attuazione del relativo programma di risanamento; sia per il risanamento del Banco di Napoli, con riferimento al quale l’art. 3, comma 5, del d.l. 24 settembre 1996, n. 497, aveva parimenti congelato, fino al 31 dicembre 1996, l’applicazione degli artt. 2447 e 2448 comma 1, n. 4,c.c.
A prescindere da tali episodi di ius singulari, più di recente, l’art. 26 del d.l. 179/2012 (convertito l. 221/2012), in materia di start up innovative, ha inteso agevolare il superamento di difficoltà proprie della fase di avvio dell’attività di tali società, ed in tale prospettiva ha sostanzialmente posticipato di un esercizio sociale l’osservanza degli obblighi previsti dagli artt.2446, 2482-bis, 2447 e 2482-ter in caso di riduzione del capitale di oltre un terzo o sotto il minimo legale [5].
Sempre nel 2012 è stato introdotto nel corpo della legge fallimentare l’art. 182-sexies l. fall. (ad opera dell’art. 33 del d.l. 83/2012: c.d. “Decreto sviluppo”, convertito con modificazioni nella legge 134/2012) [6], che ha dettato alcune regole specifiche inerenti alla “riduzione o perdita del capitale della società in crisi”. Si è previsto in particolare che le società di capitali e le società cooperative, le quali abbiano subito perdite tali da ridurre in misura superiore al terzo il capitale sociale o da determinarne addirittura la perdita, e che abbiano proposto domanda per l’ammissione al concordato preventivo (di qualunque tipo) o per l’omologazione di un accordo di ristrutturazione, oppure che abbiano avanzato proposta di accordo di ristrutturazione, oggetto di trattative in corso, sono esonerate dall’obbligo di ricapitalizzarsi o di trasformarsi in altro tipo ai sensi di quanto previsto dal codice civile [7], valendo tale esonero dalla data del deposito della domanda fino a quella dell’omologazione del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti.
A tale disposizione - dichiaratamente volta ad incentivare il tempestivo ricorso delle imprese in crisi a percorsi alternativi al fallimento, e ad agevolare la conservazione delle relative strutture produttive - si ispira l’art. 6 del Decreto [8], sia pure nel diverso presupposto, dianzi evidenziato, di dare soccorso alle aziende in presenza della situazione generalizzata di crisi indotta dalla pandemia.
La prima regola, enunciata nella prima parte dell’art. 6 in esame, stabilisce che “a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto”, e quindi dal 9 aprile 2020 [9], “e fino alla data del 31 dicembre 2020 per le fattispecie verificatesi nel corso degli esercizi chiusi entro la predetta data non si applicano gli articoli 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482-bis, commi quarto, quinto e sesto, e 2482-ter del codice civile”.
Le società di capitali (s.p.a., s.r.l. e s.a.p.a.) e le società cooperative, le quali abbiano subito perdite tali da ridurre il capitale sociale in misura superiore al terzo o da determinarne la perdita, sono quindi provvisoriamente esonerate dall’obbligo di ricapitalizzarsi o di trasformarsi in altro tipo (ai sensi degli artt. 2446, commi 2 e 3, e 2447 c.c., per le s.p.a., e degli artt. 2482-bis commi 4, 5 e 6, e 2482-ter c.c., per le s.r.l.). L’obbligo in questione subisce, pertanto, una automatica sospensione ex lege, e viene differito a data successiva al 31 dicembre 2020.
La seconda regola è consequenziale alla prima, per l’evidente ragione che l’operatività della disposizione di cui all’art. 2484, primo comma n. 4, c.c., è inscindibilmente legata a quelle degli artt. 2446, 2447, 2482-bis e 2482-ter, c.c.: sospesa l’applicabilità di queste ultime, non poteva non sospendersi anche l’applicazione della prima. Essa è contenuta nella seconda parte dell’art. 6, e stabilisce che, per lo stesso periodo, non opera la causa di scioglimento prevista dall’art. 2484, comma 1 n. 4, c.c., per le società di capitali nel caso di perdita o riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, e dall’art. 2545-duodecies c.c., per le società cooperative nel caso di perdita del capitale sociale.
3. La sospensione dell’applicabilità delle norme del codice civile relative all’obbligo delle società di reintegrare il capitale sociale ridotto per perdite.
Per delimitare l’ambito di applicazione della prima delle due regole sopra indicate, occorre precisare che la sospensione non riguarda tutte le regole sulla tutela dell’integrità del capitale sociale, ma soltanto quelle specificamente indicate dal disposto dell’art. 6, e precisamente, quanto alle società per azioni ed alle società in accomandita per azioni[10]:
(a) la norma del secondo comma dell’art. 2446c.c., a tenore della quale, nell’ipotesi di perdita superiore al terzo del capitale, che non ne abbia intaccato l’importo minimo, che sia stata riportata a nuovo e non si sia ridotta al di sotto del terzo entro l’esercizio successivo, l’assemblea o il consiglio di sorveglianza che approva il bilancio di tale esercizio, deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate, ove intenda evitare che il Tribunale, sentito il p.m., vi provveda in sua sostituzione con decreto da iscriversi nel registro delle imprese, su richiesta degli amministratori e degli organi di controllo;
(b) la norma del terzo comma dello stesso articolo, secondo cui, nell’ipotesi di società con azioni emesse senza valore nominale, la riduzione del capitale prevista nel secondo comma dell’art. 2446 c.c., può essere delegata al consiglio di amministrazione, applicandosi in tal caso l’art. 2436 c.c.;
(c) l’art. 2447 c.c., secondo cui, nell’ipotesi di perdita superiore al terzo del capitale, che lo abbia ridotto al disotto del minimo legale, gli organi di gestione (e, in caso di loro inerzia, gli organi di controllo) devono, senza indugio, convocare l’assemblea per la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al minimo o, in alternativa, la trasformazione della società. In difetto, la società si scioglie ai sensi dell’art. 2884, primo comma n. 4, c.c.
Quanto alle società a responsabilità limitata, la sospensione ha per oggetto:
(d) il quarto ed il quinto comma dell’art. 2482-bis c.c., secondo cui nell’ipotesi di perdita superiore al terzo del capitale, che però non incida sul suo importo minimo, l’assemblea, qualora la perdita non si sia ridotta a meno di un terzo entro l’esercizio successivo, è tenuta a ridurre il capitale in proporzione dell’intera perdita accertata. In difetto, gli amministratori e i sindaci o i soggetti, incaricati per la revisione dei conti, la riduzione del capitale devono chiederla al tribunale, il quale vi provvede anche su istanza di qualsiasi interessato con decreto reclamabile da iscriversi nel registro delle imprese a cura degli amministratori;
(e) il sesto comma dello stesso art. 2482-bis c.c., che, nei limiti della compatibilità, prevede l’applicabilità dell’ultimo comma dell’art. 2446 c.c. alla riduzione del capitale per perdite riguardante le società a responsabilità limitata, ossia il meccanismo di riduzione delegata del capitale, sopra menzionato a proposito dell’analoga situazione delle società per azioni; (f) l’art. 2482-ter c.c., a norma del quale, nell’ipotesi in cui la perdita di oltre un terzo del capitale, che ne riduca l’importo al di sotto del minimo legale, gli amministratori devono senza indugio convocare l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore a detto minimo oppure la trasformazione della società.
L’art. 6 del Decreto non menziona espressamente, fra le norme oggetto di disattivazione, l’art. 2486 c.c., a mente del quale gli amministratori, dal momento in cui si verifica la causa di scioglimento prevista dagli artt. 2484 primo comma, n. 4, o 2545-duodecies, c.c., e fino alla consegna ai liquidatori dei libri sociali e dei documenti indicati nell’art. 2487-bis c.c., “conservano il potere di gestire la società, ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale”, e rispondono personalmente e solidalmente dei danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociale ed ai terzi per atti od omissioni compiuti in violazione del medesimo art. 2486.
Nonostante tale “curiosa dimenticanza” [11], non pare comunque che detta ultima disposizione rimanga estranea alla sospensione voluta dal legislatore, e che gli amministratori debbano quindi continuare a rispondere per l’attività gestoria non conservativa successiva al verificarsi della causa di scioglimento per riduzione del capitale per perdite [12].
A prescindere dalla chiara indicazione in tal senso presente nella relazione illustrativa al Decreto [13], va infatti considerato che la temporanea neutralizzazione degli effetti delle disposizioni conseguenti al verificarsi, in alternativa all’obbligatoria ricostituzione del capitale, di una causa di scioglimento comporta infatti, implicitamente ma in modo necessario, una altrettanto momentanea disattivazione della disciplina dettata, in relazione ai poteri degli amministratori, dall’art. 2486 c.c.: norma che, nel trovare applicazione allorquando si verifica una causa di scioglimento, pone, in capo agli stessi amministratori, il dovere di gestire la società conservando l’integrità ed il valore del patrimonio sociale.
Diversamente da quanto qualcuno ha opinato, ciò non significa peraltro che l’organo amministrativo possa continuare a gestire imperterrito la società secondo le modalità ordinarie [14], dimentico del fatto una perdita rilevante si è comunque verificata. Sebbene “congelata” sul piano effettuale, la causa di scioglimento connessa alla perdita maturata rimane infatti in essere e non può essere “cancellata”, mentre ciò che non trova applicazione è, per contro, la relativa disciplina, come dimostra il fatto che, terminato al 31 dicembre 2020 il “periodo di grazia”, le norme in tema di riduzione del capitale sociale per perdite tornano a trovare piena operatività.
In tale contesto, in cui la perdita è quindi già intervenuta e non è stata mai eliminata (ma solo “congelata” quanto agli effetti), la situazione si presta a poter essere qualificata come indicativa di uno stato di crisi (quanto meno di ordine) patrimoniale, in presenza della quale gli amministratori, secondo una diffusa (per quanto non indiscussa) impostazione[15], devono comunque – ed a fortiori - improntare le proprie scelte gestorie a criteri conservativi del patrimonio sociale: criteri che, pur non implicando la rinuncia a finalità speculative (come impone invece l’art. 2486 c.c.), esigono che l’operato degli amministratori sia orientato a salvaguardare non solo l’interesse primario dei soci alla conservazione dei valori attivi del patrimonio sociale , ma anche l’aspettativa dei creditori sociali a veder integralmente soddisfatte le loro pretese. Tale regola di condotta trova infatti fondamento nell’art. 2394 c.c. (che fa appunto riferimento alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale)e nei principi di corretta gestione evocati dall’art. 2403 c.c. [16], e sussiste già a prescindere dallo stato (di crisi o meno) in cui versa la società, comportando l’obbligo di tenere conto (anche) della posizione dei creditori in misura proporzionalmente crescente all'aggravarsi della condizione sociale, stante la maggiore facilità che, in tal caso, il patrimonio divenga incapiente [17].
4. La sospensione delle norme del codice civile relative alla causa di scioglimento delle società di capitali e cooperative per riduzione del capitale al di sotto del minimo legale.
La seconda parte dell’art. 6 del Decreto prevede poi la non operatività della causa di scioglimento per riduzione del capitale sociale al disotto del minimo legale, di cui all’art. 2484, primo comma n. 4, c.c., e con riferimento alle società cooperative, della causa di scioglimento per perdita del capitale sociale ex art. 2545-duodecies c.c.
La causa di scioglimento delle società di capitali, oggetto della sospensione - secondo l’intenzione del legislatore del 1942 ancora sostanzialmente attuale – “attiene alla misura minima del capitale sociale, si riconnette al nuovo requisito imposto per la costituzione della società per azioni ed eleva conseguentemente a causa di scioglimento di questa la riduzione del capitale al disotto del minimo stesso, se i soci convocati in assemblea non deliberino di riportarlo ad un ammontare non inferiore al minimo”[18].
L’assetto disciplinare dato alla materia nel 1942, infatti, non è mutato nella sostanza. Il legislatore della riforma del diritto societario del 2003, avendo optato per la disciplina unitaria della vicenda dissolutiva di tutte le società di capitali e non avendo mantenuto per le società di capitali di tipo diverso l’originario rinvio alle disposizioni sullo scioglimento e liquidazione del primo comma dell’art. delle società per azioni, doveva necessariamente fare salvo con l’art. 2484 n. 4, non solo quanto disposto dall’art. 2447 c.c., ma anche quanto è disposto dall’art. 2482-ter per le società a responsabilità limitata.
La ratio della norma consiste in ciò che, assolvendo il capitale sociale, oltre che una funzione produttiva, anche una funzione di garanzia per i terzi, l’assolvimento di tali essenziali funzioni, nell’insindacabile valutazione del legislatore, diverrebbe impossibile se la misura del capitale reale scendesse al disotto del minimo ritenuto necessario e per questo prescritto per ciascun tipo di società. Si è ritenuto, quindi, che la compromissione delle due funzioni per effetto di tale eventualità, se non rimediata con l’adozione delle misure previste dalla legge per rimuoverla, sia di tale gravità da giustificare lo scioglimento e la conseguente estinzione della società in perdita.
Secondo l’attuale sistema, presupposto oggettivo di questa causa di scioglimento è che una perdita di esercizio, superiore al terzo, riduca il capitale sociale al disotto del minimo legale, oppure lo azzeri, e che non sia stata adottata una delle misure ‘‘salvifiche’’ previste dalla legge (artt. 2447 e 2482-ter c.c.) e, cioè, la riduzione del capitale in misura pari alla perdita ed il suo contemporaneo aumento ad una cifra non inferiore al minimo stesso con deliberazione a maggioranza dell’assemblea ordinaria[19]; o, in alternativa, la trasformazione della società in altra di tipo diverso, sempre che il capitale residuo sia almeno pari al minimo prescritto per il tipo prescelto; o ancora, benché non espressamente previste dalla legge, altre operazioni che abbiano comunque l’effetto di neutralizzare la perdita (ad es., mediante versamenti di somme a fondo perduto, rinunce dei soci a crediti verso la società, o ancora la tempestiva deliberazione di fusione) [20].
Qualche problema ha dato in passato la determinazione del momento in cui questa causa di scioglimento prende effetto. La riforma del diritto societario, con l’introduzione della norma di cui al terzo comma dell’art. 2484 c.c., la quale ha differito gli effetti dello scioglimento al momento dell’iscrizione nel registro delle imprese della dichiarazione degli amministratori di accertamento della causa di scioglimento, ha tolto ogni interesse al precedente dibattito sul punto, essendo oggi sostanzialmente pacifico che lo scioglimento non prende effetto dal momento in cui si verifica la perdita rilevante del capitale sociale, ma dal momento successivo dell’iscrizione nel registro delle imprese della dichiarazione con cui gli amministratori accertano che l’assemblea non ha adottato alcuna delle indicate delibere ‘‘salvifiche’’ [21].
La seconda causa di scioglimento, della quale l’art. 6 del Decreto dispone la temporanea disattivazione, è quella prevista per le società cooperative dall’art. 2545-duodecies c.c., a mente del quale la società cooperativa si scioglie al verificarsi di una delle stesse cause indicate per le società di capitali dai nn. 1), 2), 3), 5), 6) e 7) dell’art. 2484 c.c., ad eccezione di quella per riduzione del capitale al disotto del minimo legale sub n. 4. In sostituzione di quella cosí eccettuata, è stato espressamente previsto per la società cooperativa lo scioglimento per la perdita del capitale sociale in considerazione delle caratteristiche che distinguono le cooperative a scopo mutualistico dalle società capitalistiche a scopo lucrativo.
La parziale deroga all’art. 2484 è giustificata, secondo la prevalente dottrina, dal fatto che, non essendo previsto per le cooperative, caratterizzate dalla variabilità del capitale, un importo minimo del capitale medesimo, non può essere per loro utilizzabile il meccanismo di ricapitalizzazione apprestato per le società di capitali nel caso di perdite che riducano il capitale al disotto del minimo legale, di cui agli artt. 2446 e 2447 c.c. Tanto è vero - si aggiunge - che il legislatore, in deroga al n. 4 del l’art. 2484 c.c., ha ricollegato lo scioglimento delle cooperative alla sola ipotesi, per esse tipica, di perdite o altri eventi che azzerino il capitale sociale e non a quella di perdite che incidano sullo stesso solo parzialmente [22].
Comunque, la causa di scioglimento per la perdita del capitale può essere rimossa mediante ulteriori versamenti dei soci o di terzi con un procedimento di variazione del capitale tipico delle società cooperative, senza bisogno di una delibera assembleare straordinaria [23].
L’inoperatività delle cause di scioglimento in parola è stata disposta per lo stesso periodo di sospensione delle norme sulla riduzione obbligatoria del capitale sociale per perdite, e cioè dal 9 aprile 2020 fino al 31 dicembre 2020.
Come in precedenza segnalato, la sospensione dell’operatività della causa di scioglimento, tanto delle società di capitali quanto delle cooperative, è infatti riconducibile, in rapporto di effetto a causa, alla sospensione dell’obbligo di ricapitalizzazione delle due categorie di società in misura non inferiore alla cifra del minimo legale. Sospeso, infatti, l’obbligo dell’organo deliberante delle società capitalistiche di ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate, ex art. 2446 e 2482-bis c.c., e di aumentare contemporaneamente il capitale ad una cifra non inferiore al minimo legale nelle ipotesi previste dall’art.2447 e 2482-ter c.c., la non operatività della causa di scioglimento per la riduzione del capitale al disotto del minimo legale non poteva che seguirne di conseguenza, non essendo ipotizzabile uno scioglimento della società per la mancata adozione delle deliberazioni ‘‘salvifiche’’ previste dall’art. 2447c.c., in presenza di una norma di legge che l’obbligo di adottare queste ultime delibere ha disattivato.
5. Soggetti destinatari dell’art. 6 del Decreto.
L’individuazione dei soggetti destinatari delle previsioni dell’art. 6 del Decreto non presenta difficoltà, posto che sia le norme sulla riduzione del capitale per perdite (artt. 2446, 2447 e 2482-bis c.c.), sia quelle sulle cause di scioglimento indicate dall’articolo in esame (artt. 2484, n. 4 e 2545-duodecies c.c.), costituiscono un proprium, rispettivamente, della disciplina delle società di capitali, siccome collegate al capitale minimo previsto dalla legge soltanto per tali società, e delle società cooperative, che, non essendo dotate di un capitale sociale ‘‘determinato in un ammontare prestabilito’’, possono sciogliersi soltanto per la perdita dell’intero capitale, e non anche per perdita parziale di un non previsto minimo legale.
I soggetti destinatari delle disposizioni dell’art. 6 in esame sono, quindi, le società di capitali di tutti i tipi (società per azioni, in accomandita per azioni ed a responsabilità limitata), comprese quelle che per legge devono essere dotate di un capitale sociale superiore a quello prescritto dalle norme di diritto societario comune, e le società cooperative.
Non lo sono, invece, le società di persone di qualunque tipo, posto che per esse lo scioglimento per perdite più o meno rilevanti del capitale non è formalmente prevista come causa autonoma. La perdita del capitale rappresenta soltanto uno degli eventi che ne possono determinare lo scioglimento per sopravvenuta impossibilità di conseguire l’oggetto sociale, ai sensi dell’art. 2272 n. 2, c.c., essendo evidente che, in mancanza di un capitale adeguato, la vitalità stessa dell’impresa viene meno e, di conseguenza, la possibilità di conseguire l’oggetto sociale [24].
6. Sopravvivenza degli adempimenti preliminari alle delibere di riduzione del capitale per perdite.
Il selettivo e specifico riferimento dell’art. 6 in esame agli articoli ed ai commi di articoli che ‘‘non si applicano’’ implica in maniera inequivocabile, seppure per argomento a contrario, che la prevista sospensione delle norme in materia di riduzione del capitale sociale per perdite non si estende alle altre disposizioni non espressamente richiamate. Ne consegue che, ai sensi dell’art. 6 primo periodo, continuano per contro a trovare applicazione il primo comma dell’art. 2446 c.c. per le s.p.a., ed i primi tre commi dell’art. 2482-bis c.c. per le s.r.l.
Resteranno, pertanto, a carico degli amministratori (o del consiglio di gestione) delle s.p.a., e nel caso di loro inerzia, sul collegio sindacale (o sul consiglio di sorveglianza), tutti gli obblighi gravanti su di essi ai sensi del primo comma dell’art. 2446 c.c. (cui corrispondono, per la s.r.l., le analoghe disposizioni dell’art. 2482-bis, commi 1, 2 e 3 c.c.), e cioè l’obbligo:
(a) di rilevare le perdite che riducano il capitale sociale di oltre un terzo;
(b) in tal caso, di convocare, “senza indugio”, l’assemblea per ‘‘gli opportuni provvedimenti’’;
(c) di sottoporre all’assemblea una “relazione sulla situazione patrimoniale della società, con le osservazioni del collegio sindacale o del comitato di controllo sulla gestione”;
(d) di depositare copia della relazione e delle osservazioni nella sede della società e di lasciarvele per gli otto giorni precedenti l’assemblea in modo che i soci possano prenderne visione;
(e) di dare conto in assemblea degli eventi rilevanti avvenuti successivamente alla data della relazione.
Sebbene il dato testuale deponga in senso diverso, deve ritenersi che tali obblighi, che giustamente permangono nonostante la sospensione dell’obbligo di ridurre il capitale, a fortiori debbano (continuare a) trovare applicazione anche nelle più gravi ipotesi di perdite rilevanti ai sensi degli artt. 2447 e 2482-ter c.c., vale a dire in presenza di situazioni in cui, in conseguenza della perdita, il patrimonio netto, oltre ad essersi ridotto al di sotto dei due terzi della cifra statutaria del capitale sociale, è sceso a cifra inferiore al minimo legale, venendo in considerazione in tal caso una ipotesi qualificata di riduzione del capitale per perdite rispetto a quella di cui agli artt. 2446 e 2482-bis c.c. [25].
Le norme sopra richiamate, che sfuggono alla “quarantena” legislativa, pongono tradizionalmente diversi problemi interpretativi ed applicativi, il cui esame completo esula dall’economia di queste note. Limitandosi necessariamente ad una rapida rassegna di quelli che assumono, anche sul piano pratico, maggiore rilevanza, giova ricordare quanto segue.
(A) Al fine di stabilire se le perdite registrate dalla società siano rilevanti ai fini degli artt. 2446 e 2447 c.c., occorre confrontarle in primo luogo con le riserve, che costituiscono “un presidio avanzato” del capitale sociale [26], secondo un ordine che tenga conto del grado di facilità con cui la società potrebbe deliberarne la destinazione ai soci, e quindi le riserve facoltative per prime, poi quelle statutarie, ed infine le riserve legali [27].
Qualora assorbano integralmente tutte le riserve, le perdite andranno quindi ad incidere sul capitale sociale, da intendersi quale capitale effettivamente sottoscritto, non quello meramente deliberato ma non ancora sottoscritto, né quello soltanto autorizzato. Non rileva invece che il capitale sottoscritto sia invece anche versato, potendo la società validamente costituirsi ed operare anche in tale evenienza [28].
Rimane per contro discusso se le perdite debbano o meno essere conteggiate anche su eventuali utili di periodo manifestatisi nella frazione di esercizio successiva all’ultimo bilancio, anche se la soluzione positiva tende a prevalere, ove tali utili risultino da un bilancio straordinario redatto con i criteri del bilancio di esercizio [29].
Sulla base della metodologia descritta, gli artt. 2447 e 2482-ter c.c. troveranno quindi applicazione in tutti i casi in cui le perdite abbiano integralmente assorbito il patrimonio netto contabile (riserve, capitale sociale ed eventuali utili di periodo) ed inoltre il capitale si sia ridotto sotto il minimo legale [30].
Secondo l’opinione prevalente, è parimenti riconducibile alla previsione dell’art. 2447 c.c. anche l’ipotesi in cui la perdita di esercizio abbia addirittura determinato la perdita totale del capitale sociale ed i soci siano chiamati, non già ad integrare il capitale minimo parzialmente perduto, bensì a ricostituirlo per intero. Con convincenti argomentazioni si è dimostrato, infatti, non solo che le deliberazioni di ricostituzione del capitale minimo o di trasformazione possano essere adottate anche nell’ipotesi di perdita totale del capitale, ma anche che le deliberazioni possano essere adottate a maggioranza, e non necessariamente all’unanimità, posto che sull’interesse dei soci dissenzienti ad ottenere la quota di liquidazione prevale l’interesse alla conservazione della società mediante la rimozione della causa di scioglimento costituita dalla perdita integrale del capitale sociale [31].
Non compromette invece la sopravvivenza della società la perdita di capitale sociale che sia inferiore ad un terzo del suo ammontare; e neppure la perdita di capitale che sia superiore al terzo, ma non intacchi il capitale minimo, perché in tal caso i soci possono deliberare il “riporto della perdita a nuovo”, salvo l’obbligo di ridurre il capitale in proporzione della perdita accertata se entro l’esercizio successivo questa non sia diminuita a meno di un terzo (art. 2446 c.c.) [32].
La tesi per cui la riduzione del capitale in misura inferiore ad un terzo, ma capace di intaccare il minimo legale, non determina lo scioglimento della società, è quella maggiormente seguita dalla dottrina e dalla giurisprudenza, che per l’applicazione dell’art. 2447 c.c. ritengono, in conformità alla lettera della norma, necessarie e imprescindibili le due condizioni della perdita superiore ad un terzo e della riduzione del capitale al di sotto del minimo [33].
(B) Gli amministratori sono tenuti a rilevare le predette perdite quando le stesse “risultino” (artt. 2446 comma 1; 2482-bis comma 1).
Sotto il profilo temporale, tale circostanza non può, di regola, essere meccanicamente ed invariabilmente collocata alla fine dell’esercizio o alla data di predisposizione del progetto di bilancio che ha evidenziato la situazione di deficit [34], dovendosi piuttosto avere riguardo alle specifiche circostanze del caso concreto, ed al fatto che gli amministratori – in ragione del livello di diligenza minimo cui sono tenuti, del principio di corretta amministrazione, dell’obbligo sancito dall’art. 2381 c.c. di curare la predisposizione di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile, ora finalizzato dal novellato art. 2086 c.c. alla rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale [35] – devono in realtà costantemente monitorare la consistenza del patrimonio sociale e delle condizioni dell’impresa anche durante l’esercizio [36]. Così, la considerazione delle dimensioni e delle caratteristiche della società (a ristretta base sociale, e nel cui ambito gli amministratori operano in prima persona), ovvero il verificarsi di specifici eventi occorsi nell’esercizio (e tale è la situazione indotta dall’epidemia Covid), sono elementi che ben possono autorizzare a ritenere che la riduzione del capitale al di sotto del limite legale sia nota – o avrebbe dovuto essere nota – sin dal momento in cui ebbe a verificarsi [37].
Al di fuori dei casi indicati, in cui l’esistenza della perdita deve considerarsi conosciuta o conoscibile in tempo “reale”, ovvero nelle ipotesi in cui il suo accertamento esiga comunque di effettuare approfondimenti, pare comunque ragionevole riconoscere agli amministratori il necessario spatium deliberandi, la cui entità deve essere “tarata” in concreto avuto riguardo ai tempi entro i quali un assetto organizzativo adeguato alle caratteristiche della società dovrebbe consentire, nelle medesime circostanze, di sciogliere ogni dubbio al riguardo [38].
(C) In tale ipotesi, e cioè quando si è verificato una perdita rilevante ai sensi degli artt. 2446, 2447 o 2482-ter, conosciuta o conoscibile da parte degli amministratori, gli stessi - ai sensi dell’art. 2446 comma 1 c.c. - devono convocare l’assemblea dei soci per l’assunzione degli opportuni provvedimenti.
Tale convocazione deve avvenire “senza indugio”, vale a dire “per una data ragionevolmente prossima, tenuto conto delle circostanze del caso concreto” [39]. Un parametro di riferimento per riempire di contenuto tale formula è stato da taluni individuato nel termine di 30 giorni previsto dall’art. 2436 c.c., entro il quale il notaio deve iscrivere la delibera di scioglimento, o in quelli – parimenti di 30 giorni - dall’art. 2196 c.c. ai fini dell’iscrizione delle modifiche relative alla cessazione dell’impresa [40], o ancora dall’art. 2631 c.c. , a mente del quale , se la legge o lo statuto non prevedono espressamente un termine per la convocazione, “questa si considera omessa allorché siano trascorsi trenta giorni dal momento in cui amministratori e sindaci sono venuti a conoscenza del presupposto che obbliga alla convocazione dell’assemblea dei soci” [41].
(D) In vista della convocazione dell’assemblea gli amministratori devono predisporre una situazione patrimoniale aggiornata, corredata dalle osservazioni del collegio sindacale, strutturalmente assimilabile ad un bilancio straordinario (e quindi comprensiva di stato patrimoniale e conto economico) [42], redatto nell’osservanza degli stessi criteri contabili stabiliti per il bilancio di esercizio dagli artt. 2423 ss. c.c.[43], e destinata a restare depositata in copia – unitamente a tali osservazioni – presso la sede della società durante gli otto giorni che precedono l’assemblea.
In assenza di esplicite indicazioni normative sul punto, è questione discussa quale debba essere il “grado di aggiornamento” di tale situazione patrimoniale, vale a dire di quanto la stessa possa essere risalente rispetto alla data dell’assemblea chiamata a deliberare.
È rilievo diffuso e condiviso, in linea generale, che la situazione patrimoniale in questione debba essere “quanto più possibile aggiornata” [44], “così da esporre la situazione patrimoniale attuale della società (e non una situazione in via di superamento)” [45], al fine di evitare che il capitale sociale venga ridotto sulla base di dati divenuti non più attuali in conseguenza di una ripresa della società o, all’opposto, di un aggravamento della sua crisi. A ritenere diversamente, nel primo caso si realizzerebbe infatti una “espropriazione” dei soci di minoranza, privati del valore delle azioni corrispondenti al capitale residuo, nonché – nell’ipotesi in cui detti soci non concorrano alla reintegrazione del capitale perso – in una esclusione degli stessi dalla società, nonostante il loro diritto quali possessori di azioni a continuare a partecipare alla stessa; nel secondo caso la ricostituzione del capitale non sarebbe effettiva, ma solo apparente, con conseguente pregiudizio per i terzi (ed in particolare per i creditori).
L'esigenza di garantire che l'assemblea, in una materia che attiene alla vita stessa della società, sia dettagliatamente ed adeguatamente informata sulla reale situazione patrimoniale della società medesima [46], impone quindi che la relazione in esame tenga conto dell'esistenza di eventuali fatti sopravvenuti all'ultimo bilancio approvato, idonei a far fondatamente supporre che la situazione patrimoniale, rispetto alla data di riferimento della relazione, sia nel frattempo mutata in modo significativo [47].
La convergenza di opinioni viene tuttavia meno allorché si tratta di precisare quando una situazione patrimoniale possa considerarsi sufficientemente vicina alla data della decisione assembleare, e quindi “aggiornata” ai sensi e per gli effetti dell’art. 2446 c.c.[48] L’orientamento preferibile, autorevolmente fatto proprio anche dalla Cassazione, valuta il sufficiente grado di aggiornamento della situazione patrimoniale avendo riguardo alle circostanze del caso concreto, senza considerare vincolante un parametro temporale rigido e normativamente previsto. Nei suoi più recenti interventi la giurisprudenza di legittimità, in ciò seguita da una pronuncia del Tribunale di Milano, dopo aver ricordato che “il legislatore non ha inteso fissare uno specifico termine a tal riguardo”, ha infatti statuito che “il grado di aggiornamento richiesto” per la situazione patrimoniale ex art. 2446 c.c. “sarà (…) di volta in volta da valutare in relazione a ciascun caso concreto, tenendo conto almeno di due possibili varianti: la dimensione della società e la conseguente complessità dei rilevamenti contabili che la riguardano, in primo luogo, ed, in secondo luogo, l’esistenza di eventuali fatti sopravvenuti idonei a far fondatamente supporre che la situazione patrimoniale, rispetto alla data di riferimento della relazione degli amministratori, possa essere mutata nel frattempo in modo significativo” [49].
Nella medesima direzione è orientata anche parte della dottrina [50] e la prassi interpretativa dei consigli notarili [51], ed in particolare le più recenti massime del Consiglio Notarile di Milano, le quali – pur ritenendo in linea di principio applicabile analogicamente il termine di quattro mesi di cui all’art. 2501-ter c.c. – hanno tuttavia precisato che “l’esigenza di tenere in considerazione, caso per caso, eventi verificatisi dopo la data di riferimento del bilancio o della situazione patrimoniale, giustamente messa in luce da dottrina e giurisprudenza, implica una valutazione di merito, cui sono tenuti gli organi di amministrazione e di controllo, non sindacabile sul piano della verifica delle condizioni di legittimità della deliberazione”.
Pertanto, detta situazione patrimoniale può, eventualmente, essere anche surrogata dall’ultimo bilancio d’esercizio, purché questo sia riferibile ad una data recente nel senso sopra precisato rispetto a quella di convocazione dell’assemblea, sempre che medio tempore non siano sopravvenuti fatti significativi [52].
(E) L’assemblea convocata “senza indugio” dagli amministratori sarebbe tenuta ad adottare gli “opportuni provvedimenti” [53], fra i quali rientra – secondo l’interpretazione prevalente - ogni misura finalizzata (se non ad eliminare – quanto meno) ad evitare il peggioramento della situazione [54], e quindi oscillante tra le delibere in materia gestoria e la cessazione dell’attività di impresa [55], ovvero l’avvio di operazioni straordinarie [56].
Considerata l’eccezionale disapplicazione delle norme disposta dall’art. 6 del Decreto, i soci non saranno peraltro tenuti ad adottare alcun provvedimento sul capitale, potendo limitarsi a prendere atto della maturazione della perdita, e discutere l’approntamento di un programma di risanamento o di nuovi piani di politica industriale e finanziaria.
Giova ricordare che durante il periodo di moratoria disposto dall’art. 6 rimane pienamente operante anche il divieto di distribuzione di utili ai soci fin quando le perdite non siano state eliminate, posto dagli artt. 2433 comma 2 e 2478-bis comma 5, c.c. Correttamente il legislatore non ha inserito tali disposizioni nel set di quelle sospese, trattandosi di norme volte a tutelare i creditori sociali, posto che la sopravvenuta possibilità di riattivare la distribuzione, laddove ai soci fosse consentito di procedere alla riduzione del capitale — pure se a condizione della definitiva sopportazione delle perdite verificatesi, sotto forma di ridotto valore della propria partecipazione — potrebbe aggravare la situazione finanziaria della società [57].
7. Le “fattispecie” interessate dalla sospensione.
L’art. 6 del Decreto dispone che la sospensione delle norme ivi indicate opera “a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 31 dicembre 2020 per le fattispecie verificatesi nel corso degli esercizi chiusi entro la predetta data”, cioè chiusi entro il 31 dicembre 2020.
Per come è formulata, la norma genera perplessità sia per quanto riguarda l’individuazione delle “fattispecie” cui il legislatore ha cosí inteso riferirsi, sia per quanto attiene alla delimitazione del lasso temporale entro il quale dette “fattispecie” devono intervenire per poter godere della sospensione.
Sotto questo secondo profilo, il periodo di “grazia” rilevante pare dover essere collocato fra il 9 aprile 2020 ed il 31 dicembre 2020, senza possibilità di anticiparne la decorrenza al 1 gennaio 2020 [58]. Depone in tal senso, in primo luogo la circostanza che la norma in esame non considera separatamente ed in modo distinto il periodo in cui sono disattivate le norme societarie e l’ambito temporale in cui devono intervenire le fattispecie che vogliano aspirare a tale disattivazione, assegnando ad entrambi il medesimo dies a quo del 9 aprile 2020, data di entrata in vigore del Decreto [59].
Ma a sostegno della soluzione qui proposta milita anche, e soprattutto, un argomento di carattere sostanziale, che valorizza la ratio dell’intervento legislativo. Se l’eccezionale sterilizzazione delle norme sul capitale è stata voluta dal legislatore per “congelare” le perdite che siano effetto della pandemia, e se il blocco delle attività che ne è conseguito ha preso avvio nella prima metà del marzo di quest’anno, pare allora coerente che le situazioni rilevanti, e “meritevoli” del trattamento di favore, siano soltanto quelle prodottesi dopo l’entrata in vigore del Decreto, e non anche quelle anteriori, che sono verosimilmente prive di qualsiasi nesso causale con la crisi da Covid 19.
Quanto all’identificazione delle “fattispecie” cui fa riferimento la norma in esame, i dubbi al riguardo nascono dalla circostanza che il meccanismo dissolutivo previsto dagli artt. 2447 e 2482-ter c.c. può essere qualificato come fattispecie a formazione progressiva [60] in cui è dato scorgere tre distinti elementi costitutivi, di cui il primo è dato dalla perdita qualificata del capitale sociale; il secondo dalla valutazione positiva o negativa che della sussistenza di tale situazione facciano gli amministratori; il terzo dalla convocazione “senza indugio” dell’assemblea, affinché adotti gli “opportuni provvedimenti” di cui all’art. 2446 comma 1 c.c., ovvero le deliberazioni previste dagli artt. 2447 e 2482-ter c.c. in funzione dell’eliminazione della causa di scioglimento oppure decida di non adottarle e di dare il via alla fase liquidatoria della società.
Pare ragionevole che la sospensione delle norme in materia di capitale sociale disposta dal legislatore riguardi le perdite non solo verificatesi, ma anche positivamente accertate dall’organo amministrativo nel periodo di riferimento (9 aprile/31 dicembre 2020): accertamento che è giuridicamente qualificabile come atto di ricognizione e scienza, con cui gli amministratori dichiarano di avere analizzato la situazione complessiva della società e di avervi ravvisato l’esistenza di una perdita rilevante, documentata dalla situazione patrimoniale più prossima alla data in cui l’assemblea deve deliberare.
Si dovrà trattare inoltre di perdita prodottasi in conseguenza della crisi Covid, ad essa riconducibile in rapporto di causa ad effetto, non essendo ragionevole pensare che possano godere dell’esenzione in parola, accanto alle imprese realmente colpite dalla pandemia, anche imprese che evidenzino deficit patrimoniali causalmente riconducibili a fattori differenti[61]. Deprecabilmente, e coerentemente con l’elevata approssimazione tecnica che connota l’intero Decreto, l’art. 6 nulla dice in proposito, ma una indicazione in tal senso può comunque trarsi dalla relazione illustrativa e dalla relazione tecnica al Decreto, laddove si fa riferimento alla necessità di fronteggiare la “perdita dovuta alla crisi Covid 19”.
Altra grave lacuna che la norma in esame sotto questo profilo evidenzia, e che è stata subito segnalata [62], riguarda poi la circostanza che la disattivazione delle norme sul capitale opera ex lege ed in modo automatico, senza che sia prevista alcuna forma di controllo al riguardo, come ad es. l'attestazione da parte di un professionista indipendente, in possesso dei requisiti previsti di cui all'articolo 28, lett. a) e b) l. fall. ed iscritto all'albo dei revisori[63]. E’ facile quindi prevedere che l’accesso abusivo alla sospensione degli obblighi sulla ricapitalizzazione sia un rischio più che concreto, specie se mancherà o sarà insufficiente l’attività di vigilanza del collegio sindacale.
8. Il “dopo sospensione”.
L’art. 6 qui considerato non prevede espressamente cosa accada dopo il 31 dicembre 2020, al termine del periodo di “quarantena” delle disposizioni codicistiche relative all’onere di riduzione del capitale sociale per perdite. Ma non esistono ragionevoli dubbi sul fatto che, dal 1 gennaio 2021, esse riacquistino tutto il loro vigore, sia pure con riferimento alla situazione patrimoniale economica e finanziaria della società venutasi medio tempore a creare. In altri termini, ove a tale ultima data dovessero persistere perdite qualificate, risorge immediatamente [64] – e senza possibilità di deroghe – l’obbligo della società di ridurle e di ripristinare il capitale secondo quanto ordinariamente previsto, salva la possibilità di protrarre ulteriormente la sospensione ove la società si sia determinata a presentare, successivamente al 1 gennaio 2021, un ricorso ex art. 161 o ex art. 182-bis l. fall., con conseguente applicazione automatica dell’art. 182-sexiesl.fall. [65].
9. Alcune riflessioni conclusive.
Già numerose, ed anche autorevoli, sono state le voci che hanno formulato critiche - più che giustificate – sull’impianto complessivo del Decreto Liquidità e, segnatamente, sulla reale (scarsa o nulla) efficienza delle varie misure approntate dal nostro legislatore per (tentare di) arginare le conseguenze della pandemia sul tessuto imprenditoriale [66], e che – in chiave costruttiva – hanno avanzato proposte concrete per l’utilizzo di strumenti nuovi [67], davvero in grado – nel quadro di un novello “diritto concorsuale dell’emergenza” [68] - di far fronte al concretizzarsi del rischio di un “fallimento sistemico”, cioè esteso ad un numero cosí ampio di imprese da ripercuotersi sul sistema economico nel suo complesso [69].
Circoscrivendo il discorso alla sterilizzazione delle norme in materia di capitale, sin qui esaminata, si può brevemente osservare che se certamente meritevole è lo scopo di sostenere le imprese nella drammatica situazione attuale, è anche vero che lo strumento della sterilizzazione qui esaminato:
- non sembra “apprezzabile come strumento a sostegno dell’impresa” [70], quanto meno nella parte in cui si riferisce agli artt. 2446, comma 2, e 2482-bis, commi 4, 5, 6: tali disposizioni non fanno infatti scattare la regola “ricapitalizza o liquida”, ma impongono soltanto l'adeguamento della cifra nominale del capitale sociale a quella effettiva, senza che i soci siano pertanto tenuti ad immettere nuove risorse;
- nel suo complesso pecca per eccesso, perché “silenzia” una disciplina - quella in precedenza esaminata relativa allo scioglimento della società in presenza di perdite rilevanti - che, entro l’ambito dei fenomeni di crisi patrimoniale, assolve invece ad una funzione preventiva di questa tipologia di crisi, posto che gli adempimenti cui sono tenuti gli amministratori in tali frangenti sono sostanzialmente orientati a richiamare l’attenzione sullo stato di salute della società, evitando (o quanto meno contrastando)la traslazione sui creditori sociali del rischio d’impresa [71]. Il congegno del netto – si è autorevolmente osservato –, “imponendo l’arresto dell’attività quando il cuscinetto di sicurezza costituito dal capitale si assottiglia fino a livelli inferiori al limite di legge dovrebbe per definizione far sì che le perdite cessino prima di intaccare la copertura dei debiti” [72];
- per altro verso, assume scarsa significatività in relazione alle s.r.l. a capitale ridotto o simbolico [73], essendo evidente che per queste società il problema non è la ricapitalizzazione, ma la sola disponibilità di flussi finanziari sufficienti a garantire la continuità aziendale;
- si presta ad utilizzi abusivi, laddove gli amministratori – complice l’ignavia dell’organo di controllo – riconducano artificiosamente la genesi di perdite pregresse alla pandemia Covid, o indugino nell’accertarne la presenza, al fine di farle rientrare “ad arte” nel periodo di moratoria previsto dal legislatore;
- ove tali abusi si siano verificati, è foriero di notevoli complicazioni sul piano della determinazione del danno imputabile agli amministratori. Come già osservato da taluno, ove infatti emerga che la perdita era in tutto o in parte estranea alla situazione emergenziale, i giudici saranno chiamati a cimentarsi nel non agevole compito di stabile se non tenere conto della porzione di danno prodottasi durante il “periodo di grazia” o – come sembra più corretto - se considerarlo come la conseguenza di un inadempimento ai doveri conservativi, che avrebbero già dovuto portare alla liquidazione [74].
In definitiva, anche la temporanea disapplicazione delle regole sul capitale pare un rimedio che – al pari di diverse altre misure varate dal legislatore – risponde alla esclusiva (e riduttiva) logica di rimandare semplicemente il problema [75], e che, in quanto tale, in verità nulla o poco rimedia, ed anzi danneggia i creditori sociali, senza che nemmeno trovi giustificazione nella finalità – a base invece della sospensione sancita dall’art. 182-sexies l. fall. – di favorire l’accesso a soluzioni concordate della crisi e di agevolare l’afflusso di mezzi finanziari.
L’auspicio è pertanto che il legislatore dell’emergenza ponga mente a tali vistosi limiti e, soprattutto, dia corso ad interventi strutturali, considerando seriamente il dato fondamentale, già autorevolmente messo in luce, che “i veri rimedi per favorire il superamento delle attuali difficoltà del nostro mondo produttivo, fatto soprattutto di piccole e medie imprese che la pandemia potrebbe distruggere, bisogna cercarli altrove: sul terreno dell’intervento finanziario dello Stato” [76].
[1] Per le proiezioni economiche degli effetti indotti in Italia dal lockdown v. le previsioni del World Economic Outlook dell’Fmi, ed il rapporto previsionale di Prometeia del marzo 2020, e la relativa sintesi – rispettivamente - di Di Donfrancesco, Recessione drammatica. In Italia il Pil cadrà del 9%, in Il Sole 24 Ore, 15 aprile 2020, 11, e di Della Santina, Le discipline dell’insolvenza e della crisi d’impresa ai tempi della pandemia da Covid–19. Impressioni e spunti di riflessione, in www.ilcaso.it, 2020, 2 ss.
[2] Cfr. fra gli altri Panzani, Corno, I prevedibili effetti del coronavirus sulla disciplina delle procedure concorsuali, in www.ilcaso.it, 2020, 5; Fabiani, Il Codice della crisi al tempo dell’emergenza Coronavirus, in www.quotidianogiuridico.it, 27 marzo 2020; Pollastro, Emergenza sanitaria e crisi d’impresa. Come contenere il contagio?, in www.ilcaso.it, 2020, 6-7. In ambito aziendalistico non sono peraltro mancate proposte dirette ad affrontare diversamente il problema della gestione delle perdite determinate dall’epidemia Covid, e segnatamente mediante la capitalizzazione, in deroga al principio di competenza, di alcuni dei costi sostenuti nel periodo di lockdown: v. in argomento Di Sarli, Redazione del bilancio e dintorni ai tempi del coronavirus: prime riflessioni, in www.ilcaso.it, 2020, 11 ss.
[3] Cfr. l’art. 11 del d.l. 2 marzo 2020, n. 9 (c.d. Decreto Cura Italia).
[4] Abriani, Palomba, Strumenti e procedure di allerta: una sfida culturale (con una postilla sul Codice della crisi dopo la pandemia da Coronavirus), in www.osservatorio-oci.org, 2020, 12 ss.
[5] In argomento v. per tutti Cagnasso, Note in tema di start up innovative, riduzione del capitale e stato di crisi (Dalla “nuova” alla “nuovissima” s.r.l.), in www.orizzontideldirittocommerciale.it, 2014, 1 ss.
[6] Il Codice della Crisi d’Impresa per un verso ha riprodotto invariato, negli artt. 64 e 89, il testo dell’art. 182-sexies l. fall.; per altro verso, ha esteso l’ambito applicativo della sospensione ivi prevista anche al procedimento di composizione assistita della crisi di cui all'art. 19 (art. 20 co. 4).
[7] Per l’analisi dell’istituto v. fra gli altri Nigro, Riduzione o perdita del capitale della società in crisi, in www.ilcaso.it, 2014, 1 ss.; Miola, Riduzione e perdita del capitale di società in crisi: l’art. 182 sexies l. fall. Parte prima. La sospensione delle regole sulla riduzione del capitale sociale, in Riv. dir. civ., 2014, 180 ss., ove i necessari riferimenti, cui adde, si vis, Dimundo, La sospensione dell’obbligo di ridurre il capitale sociale per perdite rilevanti nelle procedure alternative al fallimento, in Fall., 2013, 1158 ss.
[8] Cfr. Brogi, Diritto emergenziale della crisi d’impresa all’epoca del Covid 19, in www.osservatorio-oci.org, 2020, 13, per la quale l’art. 6 del d.l. 23/2020 ha proiettato “in una dimensione extraconcorsuale” la sospensione dei precetti già prevista dall’art. 182-sexiesl.f.; analogamente Galletti, Il diritto della crisi sospeso e la legislazione concorsuale in tempo di guerra, in www.ilfallimentarista.it, 2020, 3, per il quale l’art. 6 “sembrerebbe ‘mimare’ l'art. 182 sexies l.f.”.
[9] L’art. 44 del Decreto Liquidità prevede infatti che lo stesso entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, avvenuta l’8 aprile 2020.
[10] Soggette queste ultime alle stesse regole relative alle prime nei limiti della compatibilità con quelle loro proprie, ex artt. 2454 e 2460 c.c.
[11] Cosí Galletti, Il diritto della crisi sospeso, cit., 5.
[12] Per la sospensione temporanea della responsabilità degli amministratori ex art. 2486 c.c. v. anche Giampaolino, Congelato l’obbligo di assemblea per perdite di rilevante entità, in Sole 24 Ore. Focus Norme e tributi, 16 aprile 2020, 10, e Benvenuto, Effetti sulla materia concorsuale del d. l. 8 aprile 2020 n. 23, in www.ilcaso.it, 2020, 7.
[13] Ove si legge che la misura disposta dal legislatore mira a sottrarre gli amministratori all’alternativa “tra l’immediata messa in liquidazione, con perdita della prospettiva di continuità per imprese anche performanti, ed il rischio di esporsi alla responsabilità per gestione non conservativa ai sensi dell’articolo 2486 del codice civile”.
[14] In questo senso v. invece De Angelis, Vertici societari irresponsabili, in Italia Oggi, 10 aprile 2020, 27, e Benvenuto, Effetti sulla materia concorsuale, cit., 8, secondo il quale la perdita del capitale non obbligherebbe più l’amministratore ad orientare l’operato della società verso condotte conservative nel rispetto prioritario dei creditori, e la società potrebbe quindi “continuare legittimamente a correre senza patrimonio nell’auspicio di risollevarsi a danno dei creditori”.
[15] Il dibattito sulla individuazione delle regole gestorie nelle situazioni di crisi e degli interessi dei terzi (e segnatamente quelli dei creditori) che, in aggiunta all’interesse dei soci o in sua vece, gli stessi dovrebbero perseguire, è ampiamente noto e può qui solo essere accennato: fra i numerosi contributi sull’argomento, e senza pretese di completezza, v. Mazzoni, La responsabilità gestoria per scorretto esercizio dell’impresa priva della prospettiva di continuità aziendale, in Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber amicorum Antonio Piras, Torino, 2010, 822 ss.; Montalenti, Doveri degli amministratori, degli organi di controllo e della società di revisione nella fase di emersione della crisi, in Diritto societario e crisi d’impresa, a cura di Tombari, Torino, 2014, 41 ss.; Sacchi, La responsabilità gestionale nella crisi dell'impresa societaria, in Giur. comm., 2014, I, 314 ss.; Nigro, Vattermoli, Disciplina delle crisi dell’impresa societaria, doveri degli amministratori e strumenti di pianificazione: l’esperienza italiana, in www.ilcaso.it, 2018, 7 ss.; Brizzi, Procedure di allerta e doveri degli organi di gestione e controllo: tra nuovo diritto della crisi e diritto societario, in Orizzonti del dir. commerciale, 2019, 372 ss.
[16] V. fra gli altri Rossi, La gestione dell’impresa nella crisi “atipica”, in www.ilcaso.it, 2015, 7 ss.
[17] Luciano, La gestione della s.r.l. nella crisi pre-concorsuale, in Riv. soc., 2017, 410.
[18] Relazione del Ministro Guardasigilli al libro “Del lavoro”, cap. XIV, § 10, n. 188.
[19] In caso di azzeramento del capitale per perdite e di contestuale aumento, le perdite sia di esercizio che di periodo devono essere interamente ripianate: così Trib. Roma, 17.2.2000, in Foro it., 2001, I, 748. A coprire le perdite non basta la semplice previsione, in sede di delibera approvativa del bilancio, che i soci avrebbero provveduto ad effettuare versamenti futuri, posto che l’approvazione del bilancio non vale ad integrare un obbligo siffatto a carico dei soci: Trib. Padova, 24.6.2009, in Fall., 2010, 729.
Nell’ipotesi di riduzione del capitale al di sotto del limite legale, la sola delibera assembleare che ne preveda la ricostituzione è inidonea a elidere la causa di scioglimento, essendo tale effetto subordinato alla sottoscrizione ed al versamento, almeno nella misura minima di legge, degli importi necessari: così Trib. Milano, 3.2.2010, in Giur. it., 2010, 2352. Cfr. anche Cass., 8.6.2007, n. 13503, in Società, 2007, 1349.
[20] Sia consentito rinviare, sul punto, a Dimundo, Le azioni di responsabilità nelle procedure concorsuali, Milano, 2019, 229 ss.
[21] Si tratta di opinione sostanzialmente pacifica: v. per tutti Fabiani, Il diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2017, 395, e, in giurisprudenza, App. Genova, 23.5.2013 (C. c. Fall. Il Girasole s.r.l., inedita),
[22] Bonfante, Delle imprese cooperative, in Comm. Scialoja-Branca, a cura di Galgano, Bologna-Roma, 1999, 381. Al riguardo non manca, però, chi non condivide il giudizio di incompatibilità degli artt. 2446-2447, c.c., con l’art. 2545-duodecies c.c., fondato sul rilievo della mancanza nelle cooperative di un capitale minimo legale. E ciò sia perché un capitale minimo esisterebbe anche nelle cooperative (ricavabile dal valore minimo delle quote e dal numero minimo dei soci), sia perché talune categorie di cooperative devono avere per legge un capitale minimo equiparabile a quello delle società capitalistiche, sia perché, comunque, mancano chiare ragioni della ritenuta incompatibilità: cfr. ancora Bonfante, Delle imprese cooperative, cit., 383 ss.
[23] Tatarano, L’impresa cooperativa, in Trattato di dir. commerciale, dir. da Cicu-Messineo, cont. da Mengoni, XXX, t. 3, Milano, 2002, 508; Pupo, Sub art. 2545-duodecies, in Il nuovo diritto delle società, a cura di Maffei Alberti, IV, Padova, 2005, 2914; Giorgi, Sub art. 2545-duodecies, in Società cooperative, a cura di Presti, in Commentario alla riforma delle società, dir. da Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari, Milano, 2006, 505.
[24] Cfr. in giurisprudenza Trib. Milano, 25.3.2014, in www.giurisprudenzadelleimprese.it, secondo il quale per le società di persone potrebbe forse ipotizzarsi un richiamo alle distinte previsioni di cui agli artt. 2274 e 2278 c.c., fermo restando, peraltro, che il presupposto di applicazione dell’art. 2486 c.c. (relativo alla responsabilità degli amministratori per indebita prosecuzione dell’attività dopo la perdita del capitale sociale) è pur sempre l’esistenza di una causa di scioglimento propria delle società di persone, quali individuate dall’art. 2272 c.c., fra le quali non compare la perdita di (già astrattamente inesistenti) requisiti di capitale.
[25] Espressamente in questo senso, fra gli altri, Irrera, Fregonara, La crisi d’impresa e la continuità aziendale ai tempi del corona virus, in www.ilcaso.it, 2020, 16; Stanghellini, Sub artt. 2446-2447, in Le società per azioni, dir. da Abbadessa e Portale, II, Milano, 2016, 2733; Nobili, Spolidoro, La riduzione del capitale per perdite, in Trattato delle s.p.a., dir. da Colombo e Portale, 6, Torino, 1993, 376; Ventoruzzo, Sandrelli, Riduzione del capitale sociale, in Codice civile. Commentario fond. da Schlesinger e dir. da Busnelli, Milano, 2013, 10; Della Tommasina, S.r.l. con capitale simbolico e “opportuni provvedimenti” per la gestione dell’impresa in perdita, in Riv. soc., 2017, 393; in giurisprudenza Trib. Pinerolo, 4.2.1999, in Giur. comm., 1999, II, 401; per l’operatività del primo comma dell’art. 2446 anche nelle ipotesi di perdite rilevanti ex art. 2447 c.c. v. anche Cass., 13.1.2006, n. 543, in Giur. comm., 2008, II, 963; App. Milano, 19.9.2000, in Giur. it., 2001, 1202; Trib. Udine, 8.2.1996, in Dir. fall., 1996, II, 761 (che ha ritenuto illegittima la deliberazione assembleare con la quale si dispone il ripianamento del capitale interamente perduto, se gli amministratori non hanno predisposto la necessaria relazione prevista dall'art. 2446 c.c.).
[26] Così Cass. 17.11.2005, n. 23269; in senso conf. Cass. 6.11.1999, n. 12347, e Cass., 2.4.2007, n. 8221.
[27] V. in giurisprudenza Trib. Napoli, 11.1.2011, in Società, 2011, 510; Trib. Milano, 5.4.2016, in www.giurisprudenzadelleimprese.it.
[28] Ventoruzzo, Sandrelli, Riduzione del capitale, cit., 33; Signorelli, Riduzione del capitale sociale per perdite, in www.ilsocietario.it, 2016, 1.
[29] V. per tutte Cass., 23.3.2004, n. 5740, e App. Milano, 19.9.2000, in Giur. it., 2001, I, 1202.
[30] Il capitale minimo è, attualmente, quello di 50.000,00 Euro previsto dall’art. 2327 c.c. per le s.p.a., e di 10.000,00 Euro previsto dall’art. 2463, comma 2, n. 4, c.c. per le s.r.l. Se la legge stabilisce per determinate società capitali minimi diversi da quelli prescritti dal codice civile, sarà con riguardo a tali diversi “minimi” che occorrerà applicare le norme sulla causa di scioglimento in questione: così Niccolini, Scioglimento, cit., 306. Contra Stanghellini, Sub artt. 2446-2447, cit., 2733, secondo il quale in queste ipotesi la riduzione del capitale sociale può produrre, secondo le regole di settore, la perdita dell’autorizzazione ad operare, e con essa il possibile scioglimento della società per impossibilità di conseguire l’oggetto sociale ex art. 2484, comma 1, n. 2 c.c.
[31] Niccolini, Scioglimento, liquidazione ed estinzione della società per azioni, in Trattato delle s.p.a., dir. da Colombo e Portale, 7, t. 3, Torino, 2000, 311 ss., e dottrina e giurisprudenza ivi citate.
[32] Niccolini, Scioglimento, cit., 301; Rordorf, La responsabilità degli amministratori di s.p.a. per operazioni successive alla perdita del capitale, in Società, 2009,278. Anche la giurisprudenza ritiene che solo la riduzione oltre il terzo del capitale sociale sia causa di scioglimento (cfr. Trib. Rovigo, 17.2.2010, in Pluris On line), mentre la perdita inferiore o pari a 1/3 del capitale, che ne riduca la copertura al di sotto del limite legale, non impone agli amministratori di convocare “senza indugio” l’assemblea, né costituisce causa di scioglimento della società: in questo senso Trib. Bologna, 21.12.2017 (Fall. Studio Eureka s.r.l. c. F.), il quale argomenta sia dalla lettura coordinata degli artt. 2446 e 2447 c.c., sia dalla disciplina comunitaria, ed in particolare dall’art. 17.1 della seconda direttiva 77/91/CEE, che prevede che l’assemblea debba essere convocata nel termine previsto dalla legislazione degli Stati membri per esaminare se sia necessario sciogliere la società o prendere altri provvedimenti soltanto “in caso di perdita grave del capitale sottoscritto”.
[33] Niccolini, Scioglimento, cit., 297 ss., cui si rinvia, oltre che per i riferimenti, anche per l’esaustiva e serrata critica dell’opposto orientamento.
[34] Così, invece, Marcello, La ricapitalizzazione a copertura delle perdite, in Il fisco, 2011, 1831, per il quale gli amministratori dovrebbero attendere la conclusione dell’esercizio onde dichiarare incontrovertibile una situazione di fatto, ad es. nelle imprese la cui attività è a carattere stagionale. Nel senso del testo v. invece App. Genova, 16.2.2017, in www.giurisprudenzadelleimprese.it: “per individuare il momento da cui far decorrere la responsabilità dell’amministratore non è rilevante la data del bilancio che ha evidenziato la situazione di deficit ma rileva, invece, l’epoca in cui l’amministratore sia divenuto consapevole (o non avrebbe potuto non esserlo) della situazione di insolvenza in cui versa l’ente ed abbia omesso di convocare l’assemblea così consentendo una dannosa prosecuzione dell’attività d’impresa, causando l’aggravamento della situazione debitoria”.
[35] Cfr. Jorio, La determinazione del danno risarcibile nelle azioni di responsabilità, in Giur. comm., 2011, I, 152, per il quale l’obbligo dell’amministratore privo di deleghe di accertare periodicamente la presenza in società di assetti contabili adeguati impone di verificare con cadenza più breve di quella annuale la condizione patrimoniale, economica e finanziaria della società, e dunque il suo stato di salute. In giurisprudenza v. Trib. Torino, 20.11.2018 (Fall. Pasquettaz s.p.a. c. P. e altro), e Trib. Catania, 12.10.2017, in www.giurisprudenzadelleimprese.it: “costituisce obbligo specifico dell’amministratore quello di predisporre un impianto organizzativo e contabile della società tale da consentirgli di avere sempre il controllo in ordine alla situazione patrimoniale economico e finanziaria della società dallo stesso amministrata”.
[36] Cfr. di recente Trib. Roma, 30.4.2018 (Fall. Euro Installazioni s.r.l. c. B. e altro), Trib. Roma, 22.3.2018 (Fall. Core Connection s.r.l. in liquid. c. M. e altro), e Trib. Roma, 5.2.2018 (U. c. B. e altri), per i quali le condizioni di cui all’art. 2482-bis c.c. “possono verificarsi, e normalmente si verificano, non al termine dell’esercizio, ma nel corso di esso. Gli amministratori sono perciò obbligati a monitorare la consistenza del patrimonio sociale anche durante l’esercizio, in ragione del livello di diligenza minimo cui sono tenuti. Naturalmente, quando il patrimonio netto sta per raggiungere i minimi di legge, le regole dell’ordinaria diligenza imporranno agli amministratori di effettuare controlli più frequenti ed accurati”. Nella medesima direzione v. anche Trib. Trieste, 23.2.2018, in Società, 2018, 658, per il quale l’amministratore di società deve reputarsi «ben in grado, in base a principi di buona amministrazione, di apprezzare l’andamento della gestione nel corso dell’esercizio, essendo tenuto a calibrare le proprie concrete scelte operative volta per volta, secondo i risultati di gestione conseguiti medio tempore, dovendosi quindi escludere, in mancanza di elementi che inducano a ritenere il contrario, che l’effettiva situazione economico-patrimoniale della società possa essere apprezzata solo al momento della redazione della bozza di bilancio. Un tale obbligo di prudente e costante verifica, nel corso dell’esercizio, degli esiti della gestione sociale, a maggior ragione si impone nei casi in cui siano note agli amministratori circostanze sintomatiche del possibile insorgere di uno stato di crisi o quantomeno di difficoltà a operare proficuamente sul mercato»; Trib. Rovigo, 17.2.2010, cit.: “l'organo amministrativo è chiamato a una vigilanza costante sulla possibile verificazione di una causa di scioglimento”.
In dottrina v. per tutti Rordorf, La responsabilità degli amministratori, cit., 280, il quale ha osservato che, “se certamente non può pretendersi che neppure gli amministratori esecutivi (ed, ovviamente, ancor meno gli altri componenti del consiglio di amministrazione) siano sempre in grado di percepire istantaneamente il verificarsi di una perdita di capitale e di misurarne altrettanto immediatamente l’entità, è certamente loro dovere curare che l’assetto amministrativo e contabile della società – cui oggi espressamente alludono le disposizioni dell’art. 2381 c.c., in tema di attribuzioni dell’organo amministrativo, e dell’art. 2403 c.c., in tema di compiti di vigilanza dell’organo di controllo – sia tale da far emergere eventi così gravi nel minor tempo possibile. Si tratta di una valutazione inevitabilmente relativa, che deve tener conto della natura dell’impresa e della complessità della sua struttura, all’esito della quale occorre stabilire non solo in quale momento la perdita del capitale nell’indicata misura (e, con essa, la causa di scioglimento della società) si è verificata, ma anche a partire da quando è ragionevolmente esigibile che gli amministratori (e gli organi di controllo) ne abbiano potuto avere contezza”.
[37] Cfr. in questo senso Trib. Milano, 10.2.2017, in www.giurisprudenzadelleimprese.it. Alle medesime conclusioni perviene anche Trib. Milano, 28.11.2017, in Società, 2018, 703, ma sulla scorta del diverso principio – già enunciato da Cass., 7.5.2015, n. 9193 – che “gli amministratori, disponendo di tutti gli elementi necessari per la formazione della contabilità e la predisposizione dei bilanci, sono perfettamente in grado di rendersi conto di eventuali irregolarità, anche ascrivibili alla precedente amministrazione”; Trib. Napoli, 11.1.2011, in Società, 2011, 510, per il quale “le perdite dovranno essere rilevate dagli amministratori quanto meno al momento della redazione del progetto di bilancio di esercizio, a meno che (…) non si siano verificati già nel corso dell’esercizio eventi di tipo particolare dai quali derivino perdite in misura tale da assumere rilievo ex art. 2446 e 2447 c.c.: gli amministratori, che hanno l’obbligo di organizzare i servizi della società in modo che le perdite, quando si verifichino, siano prontamente rilevate, non possono evidentemente ignorare tali situazioni ed hanno, per l’effetto, l’obbligo di attivarsi immediatamente, senza necessariamente aspettare la chiusura dell’esercizio o l’accertamento formale delle perdite nel bilancio”. In dottrina v. Patti, Il danno e la sua quantificazione nell’azione di responsabilità contro gli amministratori, in Giur. comm., 1997, I, 88, ad avviso del quale il momento di giuridica rilevanza non è quello dell’effettivo accadimento, quanto quello della sua manifestazione, da intendere come sua doverosa percezione secondo diligenza, da parte dell’organo amministrativo, normalmente coincidente con quello di redazione del bilancio di esercizio (o di altra situazione patrimoniale infrannuale), salvo i casi di perdite particolarmente ingenti, immediatamente riferibili a specifiche circostanze in corso di esercizio.
[38] Cfr. sul punto Stanghellini, Sub artt. 2446-2447 c.c., cit., 2720, il quale osserva che, dovendo la perdita assumere carattere di sufficiente certezza, deve escludersi che gli amministratori ne possano avere contezza in tempo reale, dovendo costoro procedere alla convocazione dell’assemblea qualora la perdita emerga da una situazione contabile, anche informale. Per Rondinone, Illecita prosecuzione dell’attività d’impresa ex art. 2486 c.c. e quantificazione del danno in assenza di scritture contabili, in La riforma del diritto societario nella “giurisprudenza delle imprese”, a cura di Cera, Mondini, Presti, Milano, 2017, 108-109, in considerazione dell’obbligo di monitorare con continuità l’evoluzione della situazione patrimoniale-economica della società, i gestori dovrebbero essere in condizione di venire a conoscenza della perdita del capitale sociale “con un delay ristretto (tendenzialmente non superiore al trimestre)”.
[39] Così Trib. Roma, 30.4.2018, cit., Trib. Roma, 22.3.2018, cit., e Trib. Roma, 5.2.2018, cit.
[40] Bavetta, Le cause di scioglimento delle società di capitali, in Trattato di dir. priv., dir. da Rescigno, 16, t. 5, Torino, 2012, 236.
[41] Per tale ultima soluzione Stanghellini, Sub artt. 2446-2447 c.c., cit., 2721, e Marcello, La ricapitalizzazione, cit., 1831.
[42] V. fra gli altri Zanarone, Della società a responsabilità limitata, in Codice civile. Commentario, fond. da Schlesinger e cont. da Busnelli, Milano, 2010, II, 16, 1680; Racugno, Le modificazioni del capitale sociale nella nuova s.r.l., in Riv. soc., 2003, 839; Mucciarelli, La riduzione del capitale per perdite, in S.r.l. Commentario dedicato a G.B. Portale, Milano, 2011, 9. Per Cass., 4.5.1994, n. 4326, non sarebbe necessaria la redazione anche di un conto economico, ove la relazione fornisca sufficiente informazione in merito alle modalità con le quali la perdita si è formata.
[43] Cass., 17.11.2005, n. 23269; Cass., 23.3.2004, n. 5740, in Giur. it., 2005, 296; Cass., 5.5.1995, n. 4923.Fra i giudici di merito v. Trib. Roma, 9.2.2018, in www.giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. S. Maria Capua Vetere, 10.10.2006, in Dir. fall., 2007, II, 507.
[44] In questi termini Cass., 2.4.2007, n. 8221, in Notariato, 2007, 378; Cass., 2.4.2007, n. 8222, in Società, 2008, 462; Cass., 17.11.2005, n. 23269, cit.; Cass., 7.3.1992, n. 2764, in Giur. comm., 1994, II, 588. Nello stesso senso Trib. Udine, 10.1.1995, in Società, 1995, 676; Trib. Rovigo, 14.4.1995, in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, 992; Trib. Torino, 5.10.1988, in Società, 1988, 1289.
[45] Cass., 4.5.1994, n. 4326, in Società, 1994, 1355. V. anche Cass., 13.1.2006, n. 543, per la quale l’esigenza di adeguatezza impone che l’intervallo temporale fra la situazione patrimoniale de qua e la delibera di riduzione del capitale “non sia eccessivamente dilatato”.
[46] Cass., 17.11.2005, n. 23269, cit.
[47] Cass., 8.6.2007, n. 13503, in Società, 2007, 1349. In particolare, le eventuali maggiori perdite emergenti da detta situazione patrimoniale concorrono a determinare l’entità complessiva della perdita sulla quale l’assemblea è chiamata a provvedere, sicché, dovendo l’eventuale riduzione del capitale essere proporzionale alle perdite effettivamente accertate, essa deve tener conto del risultato infrannuale negativo, sommandolo a quello dell’ultimo bilancio: così Macrì, Il comportamento degli amministratori in caso di riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, in Società, 2016, 1410.
[48] Per una sintesi delle varie posizioni sia consentito rinviare a Dimundo, Le azioni di responsabilità, cit., 213 ss.
[49] Così Cass., 17.11.2005, n. 23269, cit., e Cass., 2.4.2007, n. 8221, cit. Nello stesso senso v. Trib. Milano, 17.1.2007, n. 570, inedita, cit. da Istituto di ricerca dei dott. comm. ed esperti contabili. Documento n. 11, La procedura di liquidazione: aspetti controversi e spunti per la semplificazione, giugno 2011, 20.
[50] Nobili, Spolidoro, La riduzione del capitale, cit., 330, nota 101. Secondo Stanghellini, Sub artt. 2446-2447, cit., 2722, la maggior distanza di tempo della data di riferimento della relazione potrebbe essere colmata dall’informazione orale fornita dagli amministratori in assemblea.
[51] V. la massima del 27.5.2011 del Comitato Notarile della Regione Campania, secondo la quale la situazione patrimoniale in esame “dev’essere aggiornata in rapporto a ciascun caso concreto e tenendosi conto dei tempi necessari per la rilevazione delle perdite a cagione della dimensione della società, dei tempi occorrenti per convocare l’assemblea, nonché dell’assenza di fatti (da attestarsi dagli amministratori ex artt. 2446 co. 1 ultima parte e 2482-bis co. 3 c.c.) produttivi di mutamenti significativi della situazione economico patrimoniale della società dalla data della stessa a quella della riunione». La medesima massima precisa che «non può in ogni caso ritenersi aggiornata (salve deroghe previste da normative speciali) una relazione sulla situazione patrimoniale che risalga ad oltre quattro mesi prima della data fissata per la riunione assembleare”.
[52] Cass., 13.1.2006, n. 543, in Impresa, 2007, 264; Cass., 23.3.2004, n. 5740, in Giur. it., 2005, 296; Cass., 4.5.1994, n. 4326, in Foro it., 1995, I, 1290.
[53] “Tali ‘opportuni provvedimenti’ possono consistere anche nella constatazione di circostanze sopravvenute alla convocazione e al superamento delle ragioni che l'hanno disposta, ma non possono mancare”: Cons. Stato, 19.6.2006, n. 3559.
[54] Cfr. Cass. pen., 14.3.2000, n. 5596, in Riv. trim. dir. pen. economia, 2000, 1111: “è indubbio che deve trattarsi di decisioni idonee se non ad eliminare, quanto meno a ridurre la diminuzione del capitale a meno di un terzo”.
[55] Miola, Riduzione e perdita del capitale, cit., 186. In particolare i soci, informati dell’esistenza di una perdita, potrebbero deliberare di licenziare dipendenti o di chiudere stabilimenti produttivi, di recedere da contratti in corso o di rinegoziare i termini di un finanziamento: cosí Della Tommasina, S.r.l. con capitale simbolico, cit., 369.
[56] Come ad es. la fusione: Trib. Milano, 28.9.1995, in Giur. it., 1996, I,2, 78.
[57] In questi termini, con riferimento all’analoga disciplina introdotta dall’art. 182-sexies l. fall., Miola, Riduzione e perdita del capitale, cit., 186.
[58] In questo senso v. invece Brogi, Diritto emergenziale della crisi, cit., 13, per la quale “probabilmente, nel riferirsi alle fattispecie verificatesi nel corso degli esercizi chiusi entro la predetta data il legislatore ha inteso il periodo 1° gennaio-31 dicembre 2020”.
[59] Una lettura che volesse identificare nel 1 gennaio 2020 il momento a partire dal quale devono verificarsi le “fattispecie” cui fa riferimento l’art. 6, sarebbe maggiormente giustificata in presenza di una diversa formulazione della norma, che recitasse: “a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 31 dicembre 2020, per le fattispecie verificatesi nel corso degli esercizi chiusi entro la predetta data, non si applicano (…)”.
[60] V. fra gli altri Munari, Impresa e capitale sociale nel diritto della crisi, Torino, 2013, 155; Pasquariello, Commento agli artt. 2484-2485, 2492-2496, in Il nuovo dir. delle società, a cura di Maffei Alberti, III, Padova, 2005, 2148; Vaira, Commento agli artt. 2484-2496 c.c., in Il nuovo dir. societario. Commentario dir. da Cottino, Bonfante, Cagnasso, Montalenti, III, Bologna, 2004, 2047; Niccolini, Scioglimento e liquidazione delle società di capitali, in Società di capitali, a cura di Niccolini e Stagno d’Alcontres, III, Napoli, 2004, 1717, il quale osserva che la norma sembra porre l’accento sulla prontezza della convocazione dell’assemblea piuttosto che sulla tempestività della deliberazione assembleare, domandandosi se da essa si possa argomentare in ordine alla tempistica della rimozione della causa di scioglimento.
[61] Nella medesima direzione v. anche Brogi, Diritto emergenziale della crisi, cit., 14; Pollastro, Emergenza sanitaria, cit., 13; v. anche il documento CNDEC, Le novità dei decreti sull’emergenza da Covid-19 (d.l. “cura Italia” n. 18/2020 e d.l. “liquidità” n. 23/2020), 15 aprile 2020, 121: “logicamente, per poter fruire delle summenzionate facilitazioni, che consentono di derogare alle ordinarie regole previste nel codice civile, deve riscontrarsi l’esistenza di un nesso causale tra le perdite registrate e lo stato di emergenza, per come dichiarato dal legislatore”. Diversamente, sembrerebbe, Irrera, Fregonara, La crisi d’impresa, cit., 17, per i quali “in ogni caso, la sospensione degli obblighi non sembra subordinata alla prova di principio di causa-effetto tra pandemia e perdita del capitale”, e Giampaolino, Congelato l’obbligo di assemblea, cit., 10, il quale – muovendo dall’assenza, nella lettera della norma, di una relazione causa-effetto tra crisi da Covid-19 e perdite da non rilevare - conclude che “della sospensione (…) si dovrebbero poter giovare anche le società per le quali le fattispecie in questione si siano verificate prima – cioè anche qualora gli amministratori non abbiano ancora assolto l’obbligo di convocazione dell’assemblea affinché prenda i necessari provvedimenti”.
[62] Cfr. Galletti, Il diritto della crisi, cit., 4-5, il quale condivisibilmente rimarca che l'esenzione in parola prescinde da ogni “controllo pubblicistico”, essendo concessa a prescindere dall'applicazione di qualsiasi disciplina che presupponga l'assegnazione di “poteri” a soggetti terzi in grado di effettuare verifiche sulla gestione.
[63] Greggio, Il diritto della crisi d'impresa ai tempi del COVID-19: alcune riflessioni (seconda parte), in Il Sole 24 Ore, 3 aprile 2020.
[64] In considerazione dell’obbligo degli amministratori di monitorare in via continuativa l’effettiva situazione economico-patrimoniale della società, e di rilevare tempestivamente la sussistenza di perdite rilevanti, non pare corretto affermare che la ricapitalizzazione possa attendere fino all’assemblea di bilancio relativo all’esercizio 2021: cosí invece Busani, Nessun dovere di riduzione del capitale o di ricapitalizzazione, in Il Sole 24 Ore, 15 aprile 2020, 26, secondo il quale l’art. 6 in commento lascerebbe intendere che vi sarà “un anno ‘di grazia’ per qualsiasi situazione di perdita (‘oltre il terzo’) che si trascini in avanti dal 2020”, e vi sarebbe quindi “tempo fino all'assemblea di bilancio dell'esercizio che chiuderà 31 dicembre 2020 per sistemare le cose, senza dover adottare provvedimenti nel corso del 2021”.
[65] V. Brogi, Diritto emergenziale della crisi, cit., 14.
[66] V. fra gli altri – altre al già menzionato saggio di Brogi, Diritto emergenziale della crisi, cit. -, con particolare riferimento al rinvio degli obblighi di segnalazione all’OCRI degli indizi della crisi ed al differimento in blocco dell’intero Codice della Crisi, Rordorf, Il codice della crisi e dell’insolvenza in tempi di pandemia, in www.giustiziainsieme.it, 8 aprile 2020; e Galletti, Il diritto della crisi sospeso, cit., 1, il quale esordisce osservando che “il DL n. 23/2020 invece si segnala, oltre che per la spesso scarsa qualità della tecnica legislativa, anche per la sua natura asistematica, e per la inconcludenza delle opzioni adottate, tutte proiettate verso il mero disegno di “differire” nel tempo le conseguenze della crisi in atto, senza curarsi minimamente degli effetti non già soltanto a lungo, ma neanche di quelli a medio termine”.
Con riguardo alla presunzione di permanenza del going concern, introdotta dall’art. 7 del Decreto Liquidità, v. i rilievi di Abriani, Cavalluzzo, Tocca al manager verificare la continuità aziendale, in Il Sole 24 Ore, 17 aprile 2020, 25, Spiotta, La (presunzione di) continuità aziendale al tempo del COVID-19, in www.ilcaso.it, 2020, 1 ss., e Di Sarli, Redazione del bilancio e dintorni, cit., 1 ss. Per quanto attiene alle modifiche introdotte dal Decreto Liquidità in tema di fallimento, concordato preventivo e accordi di ristrutturazione v. Limitone, Breve commento all’art. 11 decreto liquidità [al momento ancora in bozza], in www.ilcaso.it, 2020, 1 ss., Lamanna, Le misure temporanee previste dal Decreto Liquidità per i concordati preventivi e gli accordi di ristrutturazione, in www.ilfallimentarista.it, 2020, 1 ss., Id., Il “blocco” dei procedimenti prefallimentari imposto dal Decreto Liquidità, ibidem, 2020, 1 ss., e Morri, Il Decreto liquidità e le modifiche alla disciplina fallimentare. Una prima analisi, alcuni spunti critici e delle proposte, ibidem, 2020, 1 ss. Sul tema degli interventi di sostegno finanziario alle imprese cfr. Garesio, Alla ricerca della liquidità perduta. Prime considerazioni sulle misure di sostegno alle imprese, in www.ilcaso.it, 2020, 1 ss.
[67] Come ad es. la proposta di introduzione temporanea di una nuova procedura concorsuale, semplificata, simile alla vecchia amministrazione controllata, caratterizzata dalla impossibilità di aprire il fallimento e dal blocco delle azioni esecutive dei creditori, ed impostata come “contenitore di sicurezza” per l'impresa entrata in crisi a causa dei provvedimenti emanati per contrastare il virus: in questo senso Galletti, Il diritto della crisi sospeso, cit.; o i suggerimenti in tema di amministrazione della giustizia formulati da Irrera, Le procedure concorsuali al tempo del coronavirus: alcune proposte, in www.dirittobancario.it, 2020.
[68] Per questa terminologia v. Fabiani, Il Codice della crisi, cit.
[69] Cosí Limitone, L’accompagnamento fuori della crisi con l’aiuto dell’OCC-Covid-19, in www.ilcaso.it, 2020, 1, ove l’ulteriore proposta di utilizzare in via anticipata l’Organismo di Composizione della Crisi in sede di contrasto al Covid-19, quale strumento di accompagnamento dell’imprenditore attraverso la crisi generata dalla pandemia.
[70] Benvenuto, Effetti sulla materia concorsuale, cit., 7.
[71] V. per tutti Spolidoro, Capitale sociale, in Enc. dir. Aggiornamento, IV, Milano, 2000, 220 ss., e Nigro, Vattermoli, Disciplina delle crisi dell’impresa societaria, cit., 7.
[72] D’Alessandro, “L’inutil precauzione?” (ovvero: dell’insolvenza come esternalità e della funzione profilattica del capitale), in Impresa e mercato. Studi dedicati a M. Libertini, Milano, 2015, 1333. In senso conf. v. anche Olivieri, Quel che resta del capitale nelle s.p.a. chiuse, in Riv. soc., 2016, 167.
[73] Secondo l’orientamento prevalente, la disciplina della riduzione del capitale per perdite è applicabile anche in presenza di s.r.l. con capitale inferiore a 10.000 euro: v. sul punto Della Tommasina, S.r.l. con capitale simbolico, cit., 370, ove ulteriori riferimenti.
[74] Cosí Giampaolino, Congelato l’obbligo di assemblea, cit., 10.
[75] Sul punto v. Galletti, Il diritto della crisi sospeso, cit., 1.
[76] Rordorf, Il codice della crisi, cit.
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