CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 17/04/2020 Scarica PDF
L'esecuzione del concordato preventivo ai tempi del Coronavirus
Davide De Filippis, Avvocato in Bari e assegnista di ricerca in diritto commercialeSommario: 1. Premessa. - 2. La “modifica” del concordato preventivo omologato alla luce del quadro normativo vigente. - 3. La “rinegoziabilità” del concordato omologato: limiti. - 4. L’alternativa della risoluzione. - 5. L’inadempimento “incolpevole” dovuto agli effetti del coronavirus. - 6. La “proroga” ex lege dell’esecuzione del concordato preventivo. - 7. Breve sintesi dei risultati raggiunti.
1. La dottrina di settore non è finora rimasta insensibile alle conseguenze generatedall’attuale epidemia sanitaria sulle procedure concorsuali attualmente pendenti[1]. Invero, anche il legislatore pare aver avvertito quest’esigenza tant’è che, con l’art. 11 del d.l. n. 9/2020, è stata posticipata al 15 febbraio 2021 l’entrata in vigore degli obblighi di segnalazione previsti dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza agli artt. 14, co. 2 (obbligo di segnalazione dell’organo di controllo) e 15 (obbligo di segnalazione dei creditori pubblici qualificati)[2].
Il clamore suscitato dal differimento dei termini di entrata in vigore della parte del codice relativa alla procedura di allerta (ma non del procedimento di composizione assistita della crisi) ha condotto alcuni studiosi[3] ad ipotizzare, coerentemente, uno slittamento dell’entrata in vigore delle (altre) parti del codice che, invece, dovrebbero trovare applicazione a partire dal 15 agosto 2020. In effetti, quest’auspicio è stato accolto dal legislatore dell’emergenza, che ha disposto il rinvio del momento a partire dal quale cominceremo ad applicare (tutte) le nuove regole al 1° settembre 2021[4].
Tralasciando questo profilo, la dottrina ha cominciato ad interrogarsi sulle conseguenze giuridiche del c.d. lockdown sulle procedure concorsuali pendenti.
Va da sé che la riflessione risente dello stadio al quale la procedura si trova[5]. L’iter del concordato preventivo potrebbe collocarsi nella fase in cui: (a) pendono i termini assegnati a seguito di domanda di concordato preventivo c.d. in bianco; (b) il tribunale non si è ancora pronunciato sull’ammissibilità della proposta; (c) c’è stata la votazione favorevole dell’adunanza dei creditori e si è incardinato il giudizio di omologazione; (d) si deve dare esecuzione al piano e alla proposta di concordato preventivo.
La fase d’interesse ai nostri fini risulta quest’ultima: una volta omologato, occorre dare esecuzione a quanto previsto nel piano e adempimento a quanto previsto nella proposta. Tuttavia, a causa della emergenza sanitaria in corso e della conseguente chiusura della maggior parte delle attività imprenditoriali, i tempi e le modalità dell’adempimento e dell’esecuzione potrebbero risultare alterati.
In altri termini, è lecito domandarsi – ed è lo scopo delle presenti (brevi) note – quali alternative abbia il debitore, che si trovi ad eseguire il piano di concordato preventivo, al cospetto del (nuovo e diverso) stato di crisi (generalizzato) che è stato determinato dal diffondersi dell’epidemia da CoVid-19.
Effettivamente, dai limiti di questa trattazione esulano situazioni diverse, rappresentate, per esempio, dall’esecuzione dal piano assunta da un terzo (con conseguente liberazione del debitore), non essendo in questo caso neppure applicabile il rimedio della risoluzione e dell’annullamento del concordato (art. 186, co. 3, l. fall.).
Delimitato il perimetro della ricerca, si deve vagliare la praticabilità della prima delle opzioni, ovvero la possibilità di “rinegoziare” la proposta e il piano di concordato preventivo già omologati.
2. L’obiettivo consiste innanzitutto nel verificare se il debitore abbia la possibilità – una volta che la proposta sia stata approvata dai creditori, omologata dal tribunale e ne sia iniziata l’esecuzione – di usufruire, per utilizzare un’immagine calcistica, di “tempi supplementari”, proponendo ai creditori la modifica della proposta e del piano sui quali questi ultimi si sono pronunciati.
Il terreno è, per la verità, praticamente inesplorato. A quanto consta, vi è solo un contributo dottrinale apparso qualche tempo fa ove viene affrontato l’interrogativo della “rinegoziazione” del concordato post-omologazione[6]. Si muove da una (ineccepibile) constatazione: la legge fallimentare – nella parte dedicata al concordato preventivo – non contempla alcun momento ulteriore (tempo supplementare, per l’appunto) utile a consentire al debitore di modificare le condizioni dell’adempimento, come stabilite nella proposta e nel piano.
A tal proposito, si rammenta che il sistema è composto da poche (ma chiare) disposizioni: l’art. 172, co. 2, l. fall. stabilisce che le proposte di concordato preventivo possono essere modificate solo fino a quindici giorni prima dell’adunanza dei creditori; l’art. 175 l. fall. secondo cui, in sede di adunanza dei creditori, il commissario giudiziale illustra la sua relazione e le proposte definitive del debitore e quelle eventualmente presentate dai creditori ai sensi dell’art. 163, co. 4, l. fall.; ancora, l’art. 179, co. 2, l. fall. prevede che il commissario giudiziale – dopo l’approvazione del concordato – comunichi ai creditori che sono mutate le condizioni di fattibilità del piano affinché i creditori medesimi possano mutare, eventualmente, il voto in precedenza espresso.
L’impermeabilità del sistema rispetto a tentativi di superare il quadro normativo ora succintamente riassunto verrebbe anche “certificata”, sempre secondo la ricostruzione dottrinale cui si accennava, da una pronuncia della Corte di legittimità[7] la quale – a proposito dell’art. 179 l. fall. – ha chiarito che il legislatore ha limitato l’ambito temporale di esercizio della facoltà di modifica della proposta alla fase anteriore alle operazioni di voto e che nessuna rilevanza avrebbe potuto assumere il fatto che le modifiche riguardassero, nel caso di specie, il piano e non la proposta «non potendo (il piano) essere disgiunto dalla proposta, della quale costituisce lo strumento di realizzazione, con la conseguenza che la prognosi favorevole in ordine all’esito del concordato è inevitabilmente connessa, dal punto di vista causale, alla buona riuscita del piano». La Suprema Corte ha sottolineato, inoltre, che l’art. 179, co. 2, l. fall. è una norma «che presuppone il verificarsi di eventi, estranei alla volontà del debitore e sopravvenuti all’approvazione del concordato, idonei ad impedirne il corretto adempimento», ma non può essere adoperata per porre rimedio a carenze originarie della proposta.
E nel senso appena enucleato deve essere altresì interpretato il silenzio serbato dal legislatore del Codice della crisi quanto alla fattispecie che stiamo considerando (“rinegoziazione” del concordato preventivo omologato). Nel d.lgs. n. 14/2019 (e nella bozza di c.d. correttivo) sembrano mancare grimaldelli interpretativi utili per consentire al debitore di “modificare” la proposta e il piano di concordato preventivo omologati (e dei quali sia cominciata l’esecuzione).
Si potrebbe allora concludere nel senso che nessuna disposizione – neppure in una prospettiva de iure condendo – autorizzi il debitore a variare il contenuto della proposta e del piano concordatari già oggetto di omologa.
3. Nondimeno, una breccia nel quadro “monolitico” del diritto vigente (e di quello che è di là da venire) viene aperta dalla stessa dottrina che (solitaria) si è occupata della questione. Si ammette, infatti, che ad una rinegoziazione delle condizioni dell’impegno concordatario possa addivenirsi per il tramite di un accordo con i creditori. Non si esclude, in particolare, che le parti interessate, esercitando l’autonomia privata di cui godono, decidano di trovare un accordo «su nuove e diverse basi, eventualmente allungando i termini di pagamento o, perché no, riducendo il tasso di interesse inizialmente previsto o falcidiando ancora di più il nominale del credito da soddisfare»[8].
Quest’iniziativa del debitore dovrebbe trovare il consenso di tutti creditori. L’Autore citato ha avvertito un’esigenza: quella di sancire, con l’introduzione di una disposizione ad hoc, la possibilità dell’approvazione della modifica a maggioranza e non all’unanimità. In questo modo si potrebbe vincolare anche la minoranza dissenziente.
Ora, in disparte l’evidente constatazione che, prima ancora che la (magmatica) legislazione dell’emergenza, la sedes materiae più adeguata per ospitare una disciplina organica della fattispecie che stiamo affrontando potrebbe essere proprio il c.d. correttivo che, allo stato, non risulta emanato, l’affermazione fatta poco prima in ordine alla necessità dell’unanimità dei consensi per l’approvazione della “rinegoziazione” del concordato merita qualche (necessaria) precisazione.
Innanzitutto, trattandosi della fase esecutiva della proposta di concordato preventivo, occorre andare ad indentificare la (sotto)fase nella quale l’adempimento della proposta si trova. S’ipotizzi, per esempio, che lo stadio di attuazione della proposta di concordato sia particolarmente avanzato, ovvero restino – in base alla tempistica dettata dal concordato preventivo – da pagare solamente i creditori chirografari.
Sul piano pratico, nel caso appena immaginato non sembrerebbe particolarmente difficoltoso ottenere il consenso dei (soli) creditori chirografari i quali – probabilmente attinti anche loro dalla morsa del virus – potrebbero essere ben predisposti ad accettare un allungamento dei tempi piuttosto che l’alternativa della liquidazione fallimentare o, per usare il nuovo codice linguistico, giudiziale.
Fatto sta quindi che, sul piano del diritto positivo, la modifica del concordato preventivo dopo l’omologa trova ostacoli in termini (è il caso di dire) di fattibilità, mancando una disposizione che autorizzi la “modifica” del piano e della proposta omologati. In concreto l’alternativa alla risoluzione (su cui infra) sarebbe però individuabile scendendo nelle pieghe della situazione concreta: per la natura dell’attività svolta o per le dimensioni dell’impresa, il debitore potrebbe infatti offrire una diversa soddisfazione a tutti i propri creditori, per esempio, sfruttando le agevolazioni previste dalla normativa dell’emergenza[9].
Ancora. Sempre sul piano della concreta fattispecie, si dovrebbe anche considerare il tipo di concordato che si è prescelto: la soluzione della “rinegoziazione” potrebbe trovare maggiori chances di successo se il concordato preventivo è con continuità aziendale, meno se liquidatorio. In quest’ultimo caso, dovendosi procedere alla disgregazione dell’organismo produttivo, i creditori (o anche alcuni di essi) potrebbero trovare più conveniente l’alternativa liquidatoria ed opporre così un diniego al debitore che si troverà, suo malgrado, vittima delle conseguenze (anche) economiche del virus.
Certamente, nell’attività di “rinegoziazione” dei contenuti del piano e della proposta di concordato preventivo, il debitore non potrà mostrarsi indifferente rispetto all’attivazione di quei meccanismi informativi nei confronti del commissario giudiziale che, con il Codice, vengono ancora di più potenziati[10]. Tuttavia, se tale organo della procedura non pare venire ad assumere un ruolo determinante in questa fase, il suo coinvolgimento pare, per certi versi, ineludibile attese le funzioni svolte nell’economia della procedura.
4. L’impossibilità di praticare il rimedio appena proposto non può che determinare la conseguenza di lasciare il debitore di fronte all’alternativa di adempiere nonostante la serrata delle attività economiche dovuta al c.d. lockdown e, ove (con altissima probabilità) non sia capace di rispettare le condizioni del concordato omologato, l’esito non potrà che essere la risoluzione del concordato preventivo. In base all’art. 186 l. fall. l’inadempimento del concordato preventivo determina la risoluzione dello stesso, la quale può essere domandata da ciascuno dei creditori (e oggi anche dal commissario giudiziale[11]).
È pur vero che, nella disciplina della risoluzione, il legislatore individua un temperamento consistente nell’impossibilità di dichiarare la risoluzione del concordato preventivo «se l’inadempimento ha scarsa importanza» (art. 186, co. 2, l. fall.); ma, ad interessare maggiormente in questa sede, è la rilevanza dell’imputabilità della causa che ha dato luogo all’interruzione dell’adempimento del concordato preventivo al debitore.
Nell’interpretazione giurisprudenziale, questa connotazione soggettiva è stata variamente interpretata. In una sentenza[12] si legge che «ai fini della valutazione dei presupposti per la risoluzione del concordato va rilevato che, se pure è vero che con la riforma si è voluto compiere un riferimento esplicito alla categoria del “grave inadempimento” nel senso sotteso all’art. 1455 c.c., è altrettanto vero che il mancato richiamo nell’art. 186 l.f. dell’inciso finale della citata norma codicistica esclude ogni necessità di indagine circa le componenti soggettive dell’inadempimento quali colpa, imputabilità ed interesse soggettivo»; in un’altra pronuncia[13] si trova invece affermato che «in effetti, è discusso se l’imputabilità dell’inadempimento costituisca presupposto della risoluzione del concordato ex art. 186 l.f., ma anche aderendo alla tesi affermativa non può ritenersi dimostrata, nel caso di specie, la suddetta imputabilità».
Il caso di specie preso in considerazione in quest’ultimo arresto è quello dell’infortunio del dipendente che aveva determinato il sequestro di un macchinario essenziale per la prosecuzione dell’attività produttiva (e, quindi, per l’esecuzione del concordato preventivo). Quanto alla possibilità dell’infortunio di determinare l’impossibilità sopravvenuta della prestazione, la corte di merito osserva che «l’applicazione delle regole generali in tema di obbligazioni, porta dunque agevolmente a ricondurre l’indisponibilità di un certo macchinario, essenziale per la continuazione a pieno ritmo dell’attività produttiva, all’area della difficoltà di prestare, essendo possibile acquisire la disponibilità di un macchinario sostitutivo supportandone il maggiore costo. Ma a rendere irrilevante l’allegazione, vi è la considerazione che, ai fini dell’art. 1256 c.c., non basta allegare la circostanza del sequestro probatorio penale del macchinario come factum principis imprevedibile, inevitabile e estraneo alla sfera giuridica del debitore, ma occorre allegare e provare … l’assenza di qualsiasi profilo di responsabilità, in ordine all’infortunio de quo, in capo all’imprenditore e cioè la non imputabilità del fatto sopravvenuto al debitore».
Si tratta di un’apertura verso la rilevanza dello stato soggettivo del debitore, riscontrabile pure nella minoritaria dottrina[14], ma si deve considerare prevalente la posizione di chi ammette che, ai fini della risoluzione del concordato preventivo, l’inadempimento debba connotarsi come dato obiettivo[15].
5. Ad “interrompere” l’oggettività dell’inadempimento interviene la legislazione dell’emergenza. Anche l’esecuzione delle procedure concorsuali dovrebbe difatti tenere in considerazione l’esistenza di un dato normativo che pare avere assunto una portata “generale”.
Il d.l. n. 18/2020 all’art. 91 ha inserito un comma 6-bis all’art. 3 del d.l. n. 6/2020 conv. con mod. in l. n. 13/2020 che così statuisce: «il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardi o omessi adempimenti»[16]. Invero, questa disposizione è dettata solo per i contratti pubblici ma è stata estesa, in via interpretativa, alla maggior parte dei contratti[17]. Per esempio, se ne è desunta la possibilità di “sospendere” a favore del conduttore gli effetti (segnatamente, la corresponsione del canone) del contratto di locazione di immobili destinati ad uso non abitativo[18].
Ora, la disposizione citata è ben lungi dal rappresentare una norma di sistema suscettibile di interpretazione estensiva, essendo frutto di una legislazione emergenziale destinata – è auspicabile quanto prima – ad essere superata. Nondimeno, è stato notato[19] come la norma sia dedicata agli “inadempimenti emergenziali”, ovvero «quegli illeciti contrattuali dovuti non già al dolo o colpa del debitore, ma alla necessità per il debitore di osservare una misura di contenimento che gli impedisce di eseguire la prestazione, dando corso al programma negozialmente concordato». In altri termini, il precetto sarebbe in grado di rendere l’inadempimento che deriva dal rispetto della normativa emergenziale «di natura esclusivamente formale, ma non dà luogo a quegli effetti sostanziali (in punto di responsabilità) che discenderebbero in una situazione di normalità»[20].
Il punto è di capitale importanza anche ai fini della valutazione dell’inadempimento del debitore chiamato ad eseguire il concordato preventivo votato dai creditori.
Sarebbe incongruo escludere una valutazione da parte del giudice, chiamato a decidere sulla risoluzione del concordato preventivo proposta dal creditore (o dai creditori), circa l’imputabilità dell’inadempimento. Più precisamente, l’oggettività dell’inadempimento del debitore che svolga la sua attività d’impresa (specialmente, se il concordato preventivo sia in continuità) in un settore afflitto dalla serrata totale non può essere applicata “asetticamente” senza considerare l’esistenza di un dato normativo che aliunde consente una qualche forma di valutazione del grado di responsabilità nell’inadempimento del debitore. Il che dovrebbe portare i giudici più accorti a negare ingresso ad istanze di risoluzione (proposte, per esempio, da creditori particolarmente “aggressivi”) che abbiano solamente l’effetto di interrompere il processo (virtuoso) di recupero dell’organismo produttivo.
Del resto, a ragionare diversamente si potrebbe pervenire ad un risultato paradossale: si ipotizzi che, per la penuria di dispositivi di protezione individuale (i.e., mascherine o gel igienizzanti), un provvedimento dell’autorità autorizzi (o, addirittura, obblighi) una società in concordato preventivo (che, in ipotesi, produce abbigliamento) alla produzione di detti dispositivi e che, per effetto di questo (temporaneo) mutamento dell’attività, si determinino entrate inferiori rispetto alle proiezioni allegate al piano di concordato preventivo. L’oggettività dell’inadempimento causerebbe anche in tal caso la risoluzione del concordato proposto nonostante l’incolpevole riduzione dei flussi (causata, a voler essere più precisi, per fatto dell’autorità). La necessità di un temperamento della qualificazione in termini obiettivi dell’inadempimento potrebbe quindi giustificarsi alla luce degli esiti, altrimenti irrazionali, che essa genererebbe ove applicata senza attribuire rilievo alcuno all’imputabilità dell’inadempimento.
Ciò non equivale a dire, per altro verso, che il debitore possa pretestuosamente invocare la predetta valutazione in modo “abusivo”[21]; per fare l’ipotesi più semplice, nessuno o scarso esito dovrebbe trovare un’eccezione rispetto all’istanza di risoluzione basata sul predetto comma 6-bis quando l’attività d’impresa venga svolta in settori che hanno continuato ad operare nonostante il c.d. lockdown (su tutte, farmacie e alimentari).
6. Prima di tirare le file delle conclusioni raggiunte, va segnalata l’introduzione di una sorta di “sospensione” ex lege dell’esecuzione del concordato preventivo: si stabilisce, in particolare, che «i termini di adempimento dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione omologati aventi scadenza nel periodo tra il 23 febbraio 2020 ed il 31 dicembre 2021 sono prorogati di sei mesi» (art. 9 del d.l. n. 23/2020). La “proroga” ex lege dei termini di adempimento previsti dal concordato preventivo omologato assume «evidenti riflessi anche sul meccanismo di risoluzione dei concordati ex art. 186 l. fall.» (così la Relazione illustrativa e tecnica al citato decreto).
Allo stato, l’interpretazione che appare più ragionevole consiste nell’attribuire alla «proroga» prevista dalla legge il significato di determinare il differimento a sei mesi (successivi) del termine di scadenza più prossimo; il che implica, per il debitore, la possibilità di beneficiare, per il momento, della proroga semestrale e, una volta decorso questo periodo, lo stesso debitore si troverà ad adempiere alle obbligazioni oggetto di «proroga», insieme a quelle che vengono a scadere dopo il semestre “di grazia”[22].
Il risultato consiste quindi nel consentire di “congelare” per sei mesi l’esecuzione del piano (e l’adempimento della proposta) di concordato preventivo, con il dichiarato fine di favorire la conservazione dei complessi imprenditoriali aventi concrete possibilità di successo prima dello scoppio della crisi epidemica e, al contempo, “neutralizzare” le (possibili) istanze di risoluzione del concordato preventivo proposte dai creditori insoddisfatti. La misura è sicuramente apprezzabile, sebbene essa si estenda in modo automatico e indiscriminato a tutti i tipi di concordato preventivo e a tutti i settori di attività (i.e., anche a quelli che non siano stati attinti dalla crisi)[23].
Ma, la preoccupazione maggiore è certamente un’altra; sorge infatti spontaneo l’interrogativo se, decorso il termine di sei mesi, l’esecuzione possa riprendere il suo corso “naturale” o se invece il debitore si trovi ancora a vivere le difficoltà legate all’esecuzione del concordato preventivo (nella fase post Coronavirus), acuite – verrebbe da dire – dal fatto che le scadenze posticipate di sei mesi si assommeranno a quelle previste dal piano in scadenza nel periodo successivo al 31 dicembre 2021[24].
In generale, l’impressione è che le propaggini dell’emergenza epidemiologica sull’economia si estenderanno ben oltre il termine di “sospensione” previsto dal legislatore dell’emergenza[25]; se così sarà (e l’auspicio procede naturalmente in senso contrario), al debitore non resterà che vagliare quelle soluzioni che con questo breve scritto si è cercato di proporre.
7. È appena il caso allora di provare a condensare le alternative disponibili per assicurare la sopravvivenza delle imprese che abbiano proposto tentativi di soluzione della crisi in epoca anteriore al palesarsi dell’emergenza epidemiologica:
(i) nel diritto della crisi d’impresa mancano disposizioni che autorizzino a modificare la proposta e il piano di concordato preventivo una volta che abbia avuto inizio la fase dell’adempimento e dell’esecuzione;
(ii) l’alternativa che il debitore potrebbe praticare consiste nell’iniziativa consistente in una “rinegoziazione” delle condizioni di adempimento; ciò che implicherebbe necessariamente l’accordo con tutti i creditori non ancora soddisfatti;
(iii) in assenza dell’accordo, il debitore, che non adempia alla proposta per effetto delle conseguenze economiche della c.d. serrata totale, sarebbe esposto all’iniziativa dei creditori i quali potrebbero presentare istanza per richiedere la risoluzione del concordato preventivo.
In ogni caso, l’esito (alquanto necessitato) della risoluzione potrebbe, per quanto si è detto, non essere così ineluttabile; si è, difatti, sollecitata una riflessione quanto alla possibilità di interpretare una norma (il citato comma 6-bis) che, frutto della legislazione emergenziale, potrebbe offrire un appiglio al debitore che, seppur inadempiente, trovi nell’incolpevolezza del suo inadempimento un antidoto al virus.
(*) Le presenti note costituiscono il frutto di una riflessione legata alla particolare contingenza dell’emergenza e della relativa (emergenziale) legislazione per cui ogni soluzione prospettata in questa sede è stata ispirata da siffatto contesto; la tematica affrontata è, invero, più ampia e richiederebbe ben altri spazi per essere compiutamente trattata.
[1] Tra i contributi apparsi sulle Riviste on-line si segnalano i seguenti: Pollastro I., Emergenza sanitaria e crisi d’impresa: come contenere il contagio?, in www.ilcaso.it, articolo del 2 aprile 2020; Limitone G., La forza maggiore nel giudizio sull’insolvenza, in www.ilcaso.it, articolo del 2 aprile 2020; Della Santina R., Le discipline dell’insolvenza e della crisi d’impresa ai tempi della pandemia da COVID-19. Impressioni e spunti di riflessione, in www.ilcaso.it, articolo del 1 aprile 2020; Fimmanò F., Crisi d’impresa e resilienza nell’era del Coronavirus: il tempo dei concordati fallimentari del giorno dopo a garanzia pubblica, in www.giustiziacivile.com, articolo del 26 marzo 2020; Corno G., Panzani L., I prevedibili effetti del coronavirus sulla disciplina delle procedure concorsuali, in www.ilcaso.it, articolo del 25 marzo 2020; Baratta I.A., Lauri O., CoVid-19: impatto economico sulle procedure concorsuali, in www.ilfallimentarista.it, focus del 18 marzo 2020; Lazoppina G., Coronavirus: impossibilità sopravvenuta della prestazione e forza maggiore, in www.ilfallimentarista.it, focus del 13 marzo 2020.
[2] In argomento, v., tra gli altri, Irrera M., Le misure di allerta ai tempi del coronavirus, in www.dirittobancario.it, editoriale del 16 marzo 2020.
[3] Sulla necessità di procrastinare l’entrata in vigore anche di parti del Codice diverse dalle disposizioni citate nel testo si vedano: Fabiani M., Il Codice della crisi al tempo dell’emergenza coronavirus, in Quotidiano giuridico, articolo del 27 marzo 2020, e Abriani N., Palomba G., Strumenti e procedure di allerta: una sfida culturale (con una postilla sul Codice della crisi dopo la pandemia da Coronavirus), in www.osservatorio-oci.org.
[4] Cfr. art. 5 del d.l. 8 aprile 2020, n. 23 recante «Misure urgenti di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali».
[5] Il parametro temporale di riferimento può essere costituito, indicativamente, dal 9 marzo 2020; infatti, tralasciando le misure “restrittive” che hanno dapprima riguardato le c.d. zone rosse istituite inizialmente, quella è la data a partire dalla quale sono state emanate e, pressoché contestualmente, entrate in vigore la maggior parte delle disposizioni che hanno imposto, tra le altre cose, il differimento delle udienze e la sospensione dei termini nei procedimenti civili, penali, tributari e militari (v. d.l. 8 marzo 2020, n. 11).
[6] Il riferimento è, nello specifico, a Vattermoli D., La rinegoziazione del concordato post-omologazione, in www.giustiziacivile.com, editoriale del 22 dicembre 2015.
[7] L’A. cita Cass., sez. I, 28 aprile 2015, n. 8575, in Fall., 2016, 29 ss., con nota di Vacchiano M., Modifica e rinuncia della proposta di concordato preventivo.
[8] Cfr. ancora Vattermoli D., La rinegoziazione del concordato post-omologazione, cit., 5.
[9] In generale, una proposta in questo senso sembra rinvenirsi in Stanghellini L., Rinaldi P., Trasformazione dei prestiti COVID-19 in strumenti finanziari partecipativi (SFP) un’idea per far ripartire il sistema delle imprese, in www.ilcaso.it, articolo del 3 aprile 2020.
[10] Il punto è ben affrontato, in dottrina, da Sciuto M., Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Sezione di aggiornamento, in Cian (a cura di), Diritto commerciale, 2019, 303 ss., spec. 333 ove evidenzia come «al di là dei poteri di reazione dei creditori, l’obbligo di “esecuzione della proposta” (recte, del piano: ché la proposta si adempie, il piano si esegue) è ormai soggetto non solo alla vigilanza (come attualmente prevede la l.fall. nella prospettiva di un’eventuale risoluzione del concordato), ma al diretto potere di intervento del commissario giudiziale».
[11] L’art. 119 del Codice della crisi dispone, al primo comma, che «ciascuno dei creditori e il commissario giudiziale, ove richiesto da un creditore, possono richiedere la risoluzione del concordato per inadempimento»; più precisamente, questa disposizione pare dover essere soggetta ad un restyling in sede di c.d. correttivo: v. art. 18 dello schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri del 13 febbraio 2020 e trasmesso – per acquisirne i pareri definitivi – alle competenti Commissioni della Camera dei deputi, del Senato e al Consiglio di Stato. Il primo comma dovrebbe così recitare: «ciascuno dei creditori e il commissario giudiziale, su istanza di uno o più creditori, possono richiedere la risoluzione del concordato per inadempimento». La precisazione contenuta nell’inciso che trattasi di “istanza” e non di “richiesta” viene spiegata con riferimento alla necessità di sottolineare «il carattere formale dell’atto che il creditore deve indirizzare al commissario giudiziale».
[12] Cfr. Trib. Ravenna, 7 giugno 2012, in www.ilcaso.it.
[13] Cfr. Trib. Varese, 25 maggio 2012, in Dejure.
[14] In dottrina, pone qualche dubbio sull’imputabilità dell’inadempimento Ambrosini S., La risoluzione e l’annullamento del concordato, in Le altre procedure concorsuali, Tratt. Vassalli, Luiso, Gabrielli, vol. IV, Torino, 2014, 422 ss., spec. 424ove testualmente afferma che «sembra lecito dubitare che il profilo dell’imputabilità sia totalmente trascurabile, e ciò sia in virtù della portata generale del principio di cui all’art. 1218 c.c., sia alla luce dell’accentuato carattere privatistico dell’istituto concordatario».
[15] V., tra i contributi più recenti, Usai A., Esecuzione, risoluzione e annullamento del concordato preventivo, in Cagnasso, Panzani (diretto da), Crisi d’impresa e procedure concorsuali, tomo III, Utet ed., 2016, 3729 ss., spec. 3780.
[16]Accanto a questa disposizione di carattere generale se ne ricordano altre due di applicazione a specifiche fattispecie: l’art. 88 del d.l. n. 18/2020 che prevede, su richiesta dell’acquirente, l’emissione di un voucher di pari importo nel caso di acquisto di titoli di accesso a manifestazioni varie, comprese le rappresentazioni cinematografiche e teatrali, nonché l’acquisto di biglietti per l’ingresso a musei e ad altri luoghi di cultura e l’art. 28 del d.l. n. 9/2020 in base al quale ricorre l’impossibilità sopravvenuta per i contratti di trasporto aereo, ferroviario, marittimo e l’acquirente può ricevere il rimborso del corrispettivo o un voucher di pari importo.
[17] Fanno leva sull’estensione dell’ambito applicativo di questa disposizione, tra gli altri, Gigliotti F., Considerazioni in tema di impossibilità sopravvenuta, per emergenza epidemiologica, di prestazioni dello spettacolo e assimilate, in www.giustiziacivile.com, approfondimento del 1 aprile 2020; Verzoni S., Gli effetti, sui contratti in corso, dell’emergenza sanitaria legata al COVID-19, in www.giustiziacivile.com, approfondimento del 25 marzo 2020; Macario F., Per un diritto dei contratti più solidale in epoca di “coronavirus”, in www.giustiziacivile.com, editoriale del 17 marzo 2020.
[18] Così Cuffaro V., Le locazioni commerciali e gli effetti giuridici dell’epidemia, in www.giustiziacivile.com, editoriale del 31 marzo 2020.
[19] Il riferimento è, partitamente, a Benedetti A.M., Il «rapporto» obbligatorio al tempo dell’isolamento: una causa (transitoria) di giustificazione, in www.giustiziacivile.com, editoriale del 3 aprile 2020.
[20] A ciò si aggiunga che «più che il “rispetto” soggettivo delle misure di contenimento, dunque, è l’oggettiva “esistenza” delle stesse a venire nella specie in rilievo: nella misura in cui questa venga ad incidere, naturalmente, sui termini di (possibile) esecuzione della prestazione dovuta. Per essere più precisi: a renderla – sotto il profilo del rapporto di causalità – significativamente più difficile»: così Dolmetta, «Rispetto delle misure di contenimento» della pandemia e disciplina dell’obbligazione, in www.ilcaso.it, articolo dell’11 aprile 2020, 8.
[21] In argomento, il rinvio è, tra gli altri, a Amatore R., L’abuso del diritto nelle procedure concorsuali, Milano, 2015.
[22] In tale senso è anche l’opinione di Autelitano, Decreto Liquidità e disposizioni in materia di concordato preventivo e di accordi di ristrutturazione, in www.dirittobancario.it, articolo del 8 aprile 2020.
[23] Diversamente, il d.l. n. 23/2020 ha previsto un vaglio del Tribunale per il caso in cui il debitore abbia depositato istanza per concessione di un ulteriore proroga del termine assegnato quando si tratti di concordato c.d. in bianco (art. 9, co. 4) oppure per il caso di presentazione di un “nuovo” piano o di una “nuova” proposta (art. 9, co. 2) e di modifica dei termini di adempimento (art. 9, co. 3) prima dell’udienza fissata per l’omologa.
[24] In proposito, Irrera, Fregonara, La crisi d’impresa e la continuità aziendale ai tempi del coronavirus, in www.ilcaso.it, articolo del 15 aprile 2020, 8, utilizzano l’immagine dell’“imbuto”, «dovendosi dar corso contemporaneamente agli adempimenti dell’ultimo semestre del 2021 e del primo semestre del 2022».
[25] Questa sensazione sembra condivisa dal legislatore che, a proposito del differimento del termine di entrata in vigore del Codice della crisi, afferma «vi è larghissima convergenza di vedute in ordine al fatto che anche al cessare dell’epidemia le ripercussioni economiche e finanziarie di tale evento eccezionale non verranno meno a breve termine ma si protrarranno per un periodo temporale piuttosto ampio» (v. Relazione illustrativa con riferimento all’art. 5).
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