CrisiImpresa


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 16/04/2020 Scarica PDF

Il (giusto) differimento, in ragione dell'emergenza, della entrata in vigore del Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza; ma è indispensabile che alcune norme entrino in vigore immediatamente

Fabio Santangeli e Alessandro Fabbi, Fabio Santangeli, Professore di Diritto processuale civile nell'Università di Catania. Alessandro Fabbi, Ricercatore


1. Premessa

Così il D.lgs. n. 14/2019, c.d. Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, non vedrà la luce ancora per un anno almeno[1].

Gli effetti economici della pandemia in atto consigliano di affrontare con ben altre armi le sfide in corso[2], e, nel prossimo futuro, di utilizzare comunque un procedimento conosciuto, quello della legge fallimentare vigente, per fronteggiare in ambito concorsuale gli effetti di questo cataclisma.

La soluzione soddisfa la più parte degli addetti ai lavori, credo si possa affermare con certezza. Bene.

Anche io, del resto, la condivido; certo, con particolare naturalezza, perché ritengo che le nuove disposizioni – a dispetto dei dichiarati intenti – siano per lo più rivolte a facilitare la soluzione delle crisi di impresa tramite la espulsione dal mercato delle aziende in difficoltà, piuttosto che attraverso un tentativo di loro salvezza e recupero. E se così è (se così fosse), non è certo quello attuale il momento per soluzioni così catartiche.

Eppure, non posso negare la mia sorpresa nel notare come oggi non si solleciti quantomeno l’entrata in vigore di alcuni degli articoli del Codice della crisi.

È possibile che si possa attendere l’entrata in vigore di più di trecento articoli già pronti, senza che nessuno di questi, certo con i dovuti temperamenti, sia subito adottato per ottenere dei positivi risultati sin dalle prossime settimane? Davvero non ne esiste neanche uno?

Personalmente sono sicuro di no, e credo che, a fianco al rinvio e delle altre misure previste[3], di là quindi del solo differimento in avanti del “problema”, si debba prevedere l’immediata entrata in vigore di quelle disposizioni che possono decisamente aiutare a gestire efficientemente le crisi di impresa, se necessario acconciate ad un contesto normativo parzialmente differente, attraverso pertanto la nuova introduzione o la modifica di una o più disposizioni nella legge fallimentare o nella legge sul sovraindebitamento; poche modifiche, semplici, che non provochino crisi di rigetto, se tuttavia essenziali.

   

2. Poteri sostitutivi del tribunale fallimentare in luogo della amministrazione finanziaria e degli istituti previdenziali, negli accordi di ristrutturazione e nel concordato preventivo

Nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in particolare nella versione debitamente modificata dal decreto correttivo, l’art. 48 comma 5 introduce una importante novità[4].

Si prende pragmaticamente atto della difficoltà della amministrazione finanziaria e (soprattutto) degli istituti previdenziali nel procedere ad una serena riflessione sulla utilità sociale, e spesso anche in termini di maggior gettito per lo Stato, che si ottiene in alcune ipotesi accogliendo positivamente una proposta di concordato preventivo o aderendo ad un accordo di ristrutturazione in luogo della liquidazione giudiziale; e di come, pertanto, l’obiettivo di salvezza delle imprese, e del gettito che il legislatore si prefissa di raggiungere, venga oggi nei fatti frustrato da un comportamento equivalente ad interpretazione abrogatrice, almeno presso alcuni uffici territoriali degli enti in questione.

Pertanto, ferme le prerogative in prima battuta degli enti creditori, con la nuova norma in discorso si prevede che il tribunale fallimentare possa sostituirsi alle contrarie valutazioni di amministrazione finanziaria ed enti previdenziali, in via subordinata ed in mancanza della loro adesione, così determinando comunque l’omologazione delle procedure concorsuali, laddove si apprezzi la convenienza della proposta per i rispettivi crediti in confronto con quanto si otterrebbe dalla liquidazione giudiziale.

Ora, il prossimo futuro sembra prospettare scenari in cui le disposizioni in oggetto potranno rivestire un ruolo davvero centrale nel tentativo di salvezza delle imprese; ed è quindi davvero essenziale che queste disposizioni siano introdotte immediatamente nel sistema della legge fallimentare, intervenendo opportunamente sull’art. 180 e sull’art. 182 l. fall.

   

3. Revoca della sentenza di fallimento

L’art. 53 c.c.i. è generalmente riconosciuto come un deciso passo in avanti quanto agli effetti della sentenza di revoca della liquidazione giudiziale; se ne apprezza l’immediato passaggio dell’amministrazione dei beni e dell’esercizio dell’impresa al debitore, con la vigilanza del curatore,  con un sicuro progresso rispetto all’attuale disciplina, che prevede invece la permanenza nella funzione del curatore; la nuova disposizione accresce davvero le possibilità di salvezza dell’impresa ingiustamente sottoposta al fallimento, e pertanto è necessario prevedere una modifica dell’art. 18 l. fall. in questa direzione.

   

4. Trasformazione, fusione o scissione nel concordato preventivo

Altra norma dalla cui immediata applicazione potrebbe trovare giovamento la legge fallimentare, stante la sua semplicità e senza che ne discendano particolari esigenze di coordinamento, è l’art. 116 del Codice, laddove si prevede – chiarendo quello che, come noto, sino ad oggi tutt’altro che chiaro risultava – che la validità di operazioni di trasformazione, fusione o scissione realizzate in seno ad un concordato preventivo (e specie, ha ritenuto il c.c.i., se nella sua fase esecutiva) possa essere contestata “solo con l’opposizione all’omologazione”. 

Anche in tal caso l’art. 180 l. fall. potrebbe sin da ora ben accogliere un nuovo comma in questo senso.

   

5. Il sovraindebitamento della famiglia

Venendo alla materia del sovraindebitamento, peraltro sinora non specificatamente presa in esame dai provvedimenti emergenziali adottati[5], l’art. 66 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza rappresenta una innovazione rispetto al sistema previgente, nei limiti in cui consente espressamente ai “membri della stessa famiglia”, nonché agli uniti civilmente o semplicemente conviventi, e tutti se conviventi per l’appunto o quando l’indebitamento abbia una origine comune, di presentare un unico progetto di risoluzione della crisi[6].

Essa risponde, come si sa, ad una duplice esigenza: da un canto sociale, di trattare unitamente ciò che senz’altro merita tale unico trattamento; dall’altro giuridica, laddove la giurisprudenza degli anni passati – in mancanza di apposite indicazioni ricavabili dalla l. n. 3/2012 – si era sovente sforzata di permettere questa soluzione in via interpretativa (come d’altronde in via interpretativa si erano già da tempo ammesse procedure relative a gruppi di imprese[7]) pur se non senza qualche difficoltà e difformità di vedute[8].

L’anticipata applicabilità di questa disposizione – di là, dunque, dell’affidamento in tribunali “illuminati” – costituirebbe un vantaggio per fronteggiare il periodo alle porte, oltre che una semplificazione per la machinery giurisdizionale, in termini di minor numero di procedimenti, e via dicendo.

Per farlo, la l. n. 3/2012 consentirebbe, alternativamente e con pari semplicità, di accogliere: - tanto una modifica delle definizioni di cui all’art. 6 e poi la introduzione di nuovi commi agli artt. 7 ed 8 rispettivamente per inserirvi le norme sulla attribuzione della competenza (che peraltro non susciterebbero, qui, i problemi di coordinamento che invece il c.c.i. limitatamente presenta) e sulla autonomia delle masse, attiva e passiva; - oppure la introduzione di un nuovo art. 7-bis, che riproduca l’art. 66 c.c.i.; in  ambedue i casi coordinando la seconda parte del primo comma dello stesso art. 66 con richiami, come ovvio, alla procedura fondata sull’accordo di cui alla stessa l. n. 3/2012 ed al relativo art. 7 co. 1.

   

6. Poteri sostitutivi del tribunale del sovraindebitamento in luogo della amministrazione finanziaria e degli istituti previdenziali, nel concordato minore

Analogamente a quanto visto per le imprese che hanno accesso ad accordi di ristrutturazione e concordato preventivo, i conditores del D.lgs. n. 14 hanno previsto, anche per il concordato minore (art. 80 co. 3 seconda parte), la possibilità di omologa dietro iniziativa giudiziale facente luogo del relativo consenso (sicché con limitazione ex lege della discrezionalità dell’amministrazione) “anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l’adesione è determinante ai fini del raggiungimento della percentuale di cui all’art. 79, comma 1, e, anche sulla base delle risultanze, sul punto, della specifica relazione dell’OCC, la proposta di soddisfacimento dell’amministrazione è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria”.

In linea con quanto evidenziato più sopra, anche in tale contesto quindi – mutato quel che c’è da mutare ed ovvero riferitisi alla procedura fondata sull’accordo di cui alla l. n. 3/2012 – la introduzione sin d’ora della norma costituirebbe un utile strumento. Idealmente, la previsione potrebbe trovar posto all’interno del secondo comma dell’art. 12 l. n. 3/2012. 

   

7. La esdebitazione del “sovraindebitato incapiente”

Infine, ma probabilmente di davvero primaria importanza ai fini qui perseguiti, si ritiene utile ed indifferibile la “anticipazione” sin da subito della applicabilità della nuova disciplina dell’art. 283 del Codice, sulla c.d. “esdebitazione del sovraindebitato incapiente”, riferita a qualunque debitore persona fisica che per una sola volta nella vita, presentandone i presupposti obiettivi oltre che in punto di meritevolezza, miri ad un discharge persino … esente da concorso (non essendovi alcunché, si presume, da liquidare).

Si crede che i dubbi che potrà suscitare questa dirompente novità, per come regolata dal c.c.i.[9], siano a dir poco direttamente proporzionali ai potenziali vantaggi sociali che ne potrebbero scaturire; ed i tempi “in vista”, purtroppo, lasciano presagire una estesa necessità di farne uso. 

D’altronde, la norma prevede un nuovo modello procedimentale, snello e semplificato per il sol fatto che, come detto, si aspira alla esdebitazione senza passar prima per alcun procedimento liquidatorio né tantomeno di natura concordataria: modello del tutto autonomo e mai previsto fino ad oggi, e con cui dunque la pratica dei tribunali ben potrebbe sin d’ora iniziare a confrontarsi, sia per l’utilità concreta che se ne ricaverebbe, sia perché, culturalmente, la disposizione è tra le più innovative dell’intero Codice, di quelle il cui spirito è bene iniziare ad assorbire il prima possibile. Peraltro, la sua introduzione in un contesto emergenziale e temporalmente ridotto renderebbe abbondantemente giustificata, e quindi costituzionalmente accettabile (nell’ottica di mantenere medio tempore inalterate tutte le altre norme sulla esdebitazione di debitore commerciale e civile), la scelta. 

Un semplice modo per inserirla nella legislazione vigente sarebbe la introduzione di un ulteriore articolo, es. art. 14-quater, nella l. n. 3/2012.

   

8. Conclusioni

Gli spunti rapidamente forniti ai precedenti paragrafi sono ovviamente solo alcuni tra i molti che potrebbero cogliersi, nella auspicata operazione di anticipazione di alcune delle utilità in senso sociale e tecnico-giuridico che il c.c.i. potrebbe offrire[10]. Il contesto emergenziale sconsiglia tuttavia di soffermarsi oltre, limitandosi a misure immediate e di facile realizzabilità. 



[1] Ex art. 5 d.l. n. 23 dell’8 aprile 2020, recante “Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonche' interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali”; differimento che nella Relazione Illustrativa al decreto n. 23 si trova giustificato sulla base di varie motivazioni, perlopù riferite all’attuale contesto emergenziale e della crisi economica che all’esito ne deriverà: tra cui quella di consentire l’applicazione di uno strumento “noto” come la legge fallimentare; quella di evitare allo stato l’applicazione del sistema dell’allerta; quella di allineare il Codice all’atto di recepire la Dir. UE n. 1023/2019; quella, infine, che (e conviene riportarne testualmente le parole): “la filosofia di fondo del Codice e cioè quella di operare nell’ottica di un quanto più ampio possibile salvataggio delle imprese e della loro continuità, adottando lo strumento liquidatorio (quello che ancora oggi è definito fallimento) come extrema ratio, cui ricorrere in assenza di concrete alternative. Risulta tuttavia evidente che in un ambito economico in cui potrebbe maturare una crisi degli investimenti e, in generale, delle risorse necessarie per procedere a ristrutturazioni delle imprese, il Codice finirebbe per mancare incolpevolmente il proprio traguardo”.

[2]E così era invero già anche prima di essa, particolarmente nel meridione di Italia, dove allo stato attuale un ricambio non è semplicemente possibile, per assenza di nuovi soggetti disposti a fare imprenditoria.

[3]Tra le altre “misure urgenti per garantire la continuità delle imprese colpite dall’emergenza Covid-19”, di cui al capo II, il citato d.l. 23/2020 prevede due interventi relativi alla materia fallimentare, ai rispettivi articoli 9 “Disposizioni in materia di concordato preventivo e di accordi di ristrutturazione” (in cui, in sintesi, si prevedono alcune particolari norme procedimentali in argomento, con differimento ex lege o dietro richiesta di termini, inclusi quelli per l’adempimento di piani omologati, per facoltà di instare per modificare le proposte di ristrutturazione, ecc.) e 10 (“Disposizioni temporanee in materia di ricorsi e richieste per la dichiarazione di fallimento e dello stato di insolvenza”) (con il quale si stabilisce, salve eccezioni, il temporaneo esito di improcedibilità delle istanze di fallimento presentate nel periodo intercorrente tra il 9 marzo 2020 ed il 30 giugno 2020, ecc.). Tali misure vanno peraltro ad aggiungersi, seppur senza un completo coordinamento, alla già prevista sospensione di tutti i termini, processuali in questo caso, di cui all’art. 83 commi 1 e 2 del precedente d.l. n. 18/2020, come modificato dall’art. 36 dello stesso d.l. n. 23.

[4]Il comma così modificato dal decreto correttivo (non ancora approvato dal Parlamento) recita: “Il tribunale omologa gli accordi di ristrutturazione o il concordato preventivo anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l’adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all’art. 57 comma 1, 60 comma 1, e 109 comma 1 e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria”.

[5] Le misure riportate alla precedente nota 3, di cui al d.l. n. 23/2020, non riguardano infatti, allo stato, i procedimenti per la composizione delle crisi da sovraindebitamento, che pur beneficiano, della citata sospensione generalizzata dei termini di cui all’art. 83 e s.m.i. del d.l. n. 18/2020. Non è dato comprendere perché disposizioni come ad es. quelle precisamente previste dallo stesso d.l. n. 23 in materia di concordato preventivo, sul differimento ex lege dei termini per l’adempimento dei piani di concordato o di accordi di ristrutturazione omologati, non siano state introdotte anche per piani del consumatore o proposte di accordo già omologati, e via dicendo, dovendosene auspicare una estensione in sede di conversione (e fermo restando però che simili interventi miranti al solo spostamento in avanti del “problema”, come precisato in premessa alle presenti brevi note, si crede debbano essere ben più utilmente affiancati da ulteriori interventi che, quantunque emergenziali, risultino invece sistemici).

[6]Cfr. Art. 66 “Procedure familiari”: “1. I membri della stessa famiglia possono presentare un unico progetto di risoluzione della crisi da sovraindebitamento quando sono conviventi o quando il sovraindebitamento ha un’origine comune. Quando uno dei debitori non è un consumatore, al progetto unitario si applicano le disposizioni della sezione III del presente capo. 2. Ai fini del comma 1, oltre al coniuge, si considerano membri della stessa famiglia i parenti entro il quarto grado e gli affini entro il secondo, nonché le parti dell’unione civile e i conviventi di fatto di cui alla legge 20 maggio 2016, n.76. 3. Le masse attive e passive rimangono distinte. 4. Nel caso in cui siano presentate più richieste di risoluzione della crisi da sovraindebitamento riguardanti membri della stessa famiglia, il giudice adotta i necessari provvedimenti per assicurarne il coordinamento. La competenza appartiene al giudice adito per primo. 5. La liquidazione del compenso dovuto all’organismo di composizione della crisi è ripartita tra i membri della famiglia in misura proporzionale all’entità dei debiti di ciascuno”.

[7]Va da sé che anche la conferma, con gli artt. 284-292 c.c.i., viepiù alla luce delle modifiche del decreto correttivo, della possibilità di utilmente regolare le procedure sulla crisi e l’insolvenza nel contesto dei gruppi di imprese, rappresenta una innovazione rilevante e meritevole nel sistema del Codice, nemmeno essa priva di utilità in un contesto di crisi generalizzata; tuttavia, se inquadrata in senso ampio, trattasi probabilmente di innovazione di maggiore complessità e dunque – in coerenza con le proposte in questa sede formulate – inidonea ad essere semplicemente adattata nel sistema vigente della legge fallimentare (salvo immaginare l’inserimento per intero, nel suo impianto, di tutti gli artt. 284-292 c.c.i.).

[8]V. esemplificativamente, in senso positivo, sebbene con dei distinguo, Trib. Bergamo, 26 settembre 2018; Trib. Napoli Nord, 18 maggio 2018; Trib. Mantova, 8 aprile 2018; Trib. Milano, 6 dicembre 2017; Trib. Novara, 25 luglio 2017 (tutte ne www.ilcaso.it); contra, ad es., Trib. Ivrea, decr. 11 maggio 2018 (ined.).

[9]Es.: dovrà trattarsi di un soggetto nullatenente, oppure la proprietà di beni, magari con limite alla “prima casa” non precluderà l’accesso ai benefici? E ancora, quid nel caso in cui il “nucleo” complessivamente considerato presenti maggiori redditi del debitore singolarmente preso?

[10] Sempre a titolo d’esempio, sarebbero previsioni variamente utili sin d’ora e comunque non difficilmente inseribili nella l. fall. e/o nella l. n. 3/2012: - gli artt. 67 ai commi 3 e 5 del Codice (75 co. 3 per il c.d. concordato minore), rispettivamente sulla falcidia e la ristrutturazione dei debiti derivanti da contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio, ecc. e sulla possibilità di prevedere nel piano il rimborso alla scadenza di rate di mutuo; - la previsione della assenza di limiti alla moratoria ultrannuale anche nelle procedure di sovraindebitamento (artt. 67 e 75 del c.c.i.); - la valorizzazione con misure concrete e pur tenue sanzioni processuali del “credito responsabile”, di cui al combinato disposto degli artt. 68/69 co. 2 per la ristrutturazione dei debiti del consumatore, e 76/80 co. 4 per il concordato minore; - quella sulla elevazione dello stato soggettivo del consumatore affinché sia ritenuto immeritevole (dalla colpa lieve alla colpa grave, ex art. 69 c.c.i.); - come pure la interezza delle modifiche relative alla esdebitazione, tutte in vario modo pro debtor rispetto alla l. fall. ed alla l. n. 3/2012, di cui all’apposito capo del Codice: si pensi, in particolare ed oltre a quanto riferito nel testo, alla previsione della esdebitazione ex lege ed in automatico, ex art. 282 c.c.i., e salve le contestazioni del caso, per debitori che abbiano acceduto alla liquidazione controllata del patrimonio; ecc.


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