CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 15/04/2020 Scarica PDF
La crisi d'impresa e la continuità aziendale ai tempi del Coronavirus
Maurizio Irrera ed Elena Fregonara, Maurizio Irrera, Professore Ordinario di diritto commerciale presso l'Università degli Studi di Torino. Elena Fregonara, Professore Associato di diritto commerciale presso l'Università del Piemonte OrientaSommario: 1. Premessa. – 2. I provvedimenti in materia concorsuale. 2.1. Il rinvio dell’entrata in vigore del Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza. 2.2. Concordati e accordi di ristrutturazione. 2.3. Improcedibilità dei ricorsi per la dichiarazione di fallimento e di liquidazione coatta amministrativa e per l’accertamento dello stato di insolvenza nell’amministrazione straordinaria. – 3. Le misure poste a tutela della continuità delle imprese. 3.1. La sospensione delle norme in materia di riduzione del capitale sociale per perdite e di conseguente scioglimento della società. 3.2. I bilanci e il principio di continuità aziendale “congelato”. 3.3. L’incentivazione dei finanziamenti soci.
1. Premessa.
In un quadro macroeconomico molto delicato, il Consiglio dei Ministri del 6 aprile 2020 ha approvato un decreto legge, c.d. Decreto Liquidità n. 23 dell’8 aprile 2020 recante “Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali” che introduce – oltre agli attesi interventi in tema di liquidità - una serie di misure temporanee per le imprese che incidono sia sulla disciplina fallimentare, sia su quella societaria.
Si tratta di un primo intervento tampone resosi necessario dalla progressiva ed inevitabile crisi di liquidità quale conseguenza del c.d. lockdown di numerosissime attività imprenditoriali. Misure, dunque, indispensabili, ma, altresì, contingenti: occorre attrezzarsi adeguatamente per un arco temporale più lungo, giacché è gioco-forza che le ripercussioni economiche e finanziarie di questo eccezionale evento si protrarranno per lungo tempo. In altre parole, il set normativo allestito risulta solo di… primo soccorso e non sufficiente per fronteggiare in modo efficace la “fase due”, nella quale occorrerà adeguare in modo più performante gli istituti esistenti, rafforzando la patrimonializzazione delle imprese[1].
Il focus del provvedimento ruota intorno ad un obiettivo: salvaguardare la continuità delle imprese in questo inaspettato e drammatico frangente economico.
Gli strumenti apprestati consistono in meccanismi sospensivi operanti rispetto a diversi livelli e profili del diritto concorsuale e societario: i.e. rinvio dell’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza; sospensione e/o proroga dei termini nelle procedure concorsuali minori già in corso; blocco delle istanze di fallimento fino al 30 giugno 2020; predisposizione di misure finalizzate ad assicurare la continuità delle imprese; temporanea inapplicabilità di alcune disposizioni del codice civile in materia di riduzione del capitale sociale e di finanziamenti dei soci.
L’obiettivo, soprattutto per le misure in ambito societario, è quello di “congelare” l’inevitabile situazione di illiquidità o scarsa liquidità, garantendo la salvaguardia delle imprese che prima dell’emergenza sanitaria erano in normale esercizio.
Le misure introdotte sono rivolte a tutte le imprese che si trovano in stato di difficoltà dando, talvolta, per presunto il fatto che tale situazione derivi dall’emergenza Covid-19: l’individuazione della genesi della crisi rappresenta un profilo, come si vedrà, che sembra dato per presupposto nel Decreto Liquidità.
2. I provvedimenti in materia concorsuale
2.1. Il rinvio dell’entrata in vigore del Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza
Nell’ambito del pacchetto di norme che concernono il diritto concorsuale emerge, in primo luogo, l’art. 5 del Decreto Liquidità che dispone l’integrale rinvio dell’entrata in vigore del d. lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d’ora in poi, per brevità, “Codice della Crisi”), dal 15 agosto 2020 al 1° settembre 2021.
La proroga appare opportuna ed anche necessaria, per più ragioni, nel difficile momento socio-economico che stiamo attraversando.
In questa prospettiva, occorre prendere le mosse dagli obiettivi della riforma: come è noto, la ratio del Codice della Crisi (o, almeno, della parte più innovativa del provvedimento) risiede nell’introduzione dell’obbligo di una diagnosi anticipata della crisi quale strumento per curare in modo più efficace l’impresa prima che la malattia renda “incurabile” il paziente. In particolare, la novità più significativa è rappresentata dal sistema delle c.d. misure di allerta: un articolato impianto normativo volto ad avviare un percorso virtuoso di risanamento, ma concepito avendo a mente un quadro economico “regolare” e nel quale la gestione della crisi concerne un numero di imprese ridotto rispetto al tessuto produttivo ed economico nel suo complesso.
Viceversa, laddove la crisi sia generalizzata, gli indicatori previsti dal Codice delle Crisi, che risultano legati a squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività svolta e rilevabili attraverso appositi indici[2], non possono svolgere alcun concreto ruolo selettivo, venendo in radice meno il loro scopo[3].
La nozione di “crisi”, formulata dal legislatore della recente riforma, viene definita quale stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore [4] e «per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate» [5]: pare evidente che oggi la fisiologica carenza di liquidità determinata dal lockdown del sistema produttivo si rifletta nell’inadeguatezza dei flussi di cassa, rendendo comune a decine di migliaia di imprese ciò che nel disegno del legislatore avrebbe dovuto essere un sintomo relativo ad un limitato numero di esse.
D’altro canto, anche alla luce delle esigenze di certezza del diritto, il rinvio consente di evitare le difficoltà interpretative e procedurali che, con un altissimo grado di probabilità, si sarebbero manifestate durante la fase di implementazione dei nuovi istituti. In questo modo, atteso il prevedibile pesante impatto sulla solvibilità delle imprese, si consente al mondo imprenditoriale di continuare ad utilizzare meccanismi concorsuali noti e consolidati nella prassi. Si scongiura, altresì, un ulteriore inutile shock – difficilmente gestibile – che finirebbe per travolgere anche gli uffici giudiziari e gli operatoti del settore già impegnati sul fronte dell’emergenza.
Ulteriore effetto positivo dello slittamento è connesso al recepimento – e quindi al coordinamento con il Codice della Crisi - della Direttiva UE 1023/2019 sui quadri di ristrutturazione preventiva (preventive restructuring frameworks) , il cui termine per il recepimento è previsto per il luglio 2021.
Tale Direttiva intende rafforzare in Europa la cultura del recupero dell’impresa in crisi e quindi la “prevenzione”, agevolando la ristrutturazione delle imprese in difficoltà finanziaria e introduce l’obbligo per gli Stati membri di assicurare un regime diretto a facilitare la ristrutturazione preventiva dell’impresa ove vi sia probabilità d’insolvenza (insolvency likelihood). Il legislatore italiano aveva mostrato la volontà di adeguarsi alle linee indicate dal legislatore europeo: la legge delega n. 155/2017 dava mandato al legislatore delegato di tener conto della normativa dell’Unione Europea ed in particolare della Raccomandazione 135/2014/UE del 12 marzo 2014 che era diretta ad assicurare l’introduzione da parte degli Stati membri di una disciplina uniforme in materia di insolvenza. Tuttavia, era già stato osservato che seppure «la prima impressione [fosse] che il legislatore [avesse] tenuto conto dei vincoli europei, (…), ad un esame più attento emerg[evano] aporie e difetti di coordinamento», a tal fine si auspicava un intervento riparatore nel decreto correttivo onde evitare di dover nuovamente porre mano alla disciplina di legge prima di giungere alla scadenza del 17 luglio 2021[6].
Pare opportuno, poi, segnalare che il precedente Decreto-Legge n. 9 del 2 marzo 2020, “Misure urgenti per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19” aveva previsto che i soli obblighi di segnalazione di cui agli articoli 14, secondo comma, e 15 del Codice della Crisi avrebbero operato a decorrere dal 15 febbraio 2021[7]: chiaramente, in sede di conversione in legge, tali previsioni andranno necessariamente coordinate col generale e più ampio rinvio dell’intero Codice della Crisi.
In questo scenario, si registra – inoltre - la necessità di un “naturale adeguamento” alla situazione emergenziale degli obblighi organizzativi introdotti con la prima tranche della riforma concorsuale, obblighi già in vigore dal marzo 2019. Come è noto, tutti gli imprenditori, che operano in forma societaria o collettiva, hanno il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa[8], anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della perdita di continuità aziendale, ma hanno pure l’onere di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della medesima continuità aziendale: la situazione di difficoltà generalizzata, insieme al rinvio del Codice della Crisi (che porta con sé una posticipazione nell’attuazione dei sistema di allerta), pare, in qualche maniera, riflettersi anche su questi obblighi attenuandone la portata[9] o, meglio, comportando la necessità di una loro diversa lettura. In ogni caso, non è possibile rinunciare ad incentivare la cultura “organizzativa” delle imprese: in una situazione di profonda difficoltà economica adeguati assetti contabili appaiono ancora più necessari ed urgenti. L’art. 2086, secondo comma, c.c., che nelle intenzioni del legislatore della riforma era strettamente connesso al nuovo pacchetto normativo sulla crisi e sulla relativa prevenzione, va comunque interpretato alla luce della temporanea “disattivazione”, disposta dalla normativa emergenziale per tutto l’esercizio 2020[10], dell’obbligo di accertare il persistente stato di continuità aziendale.
Merita, infine, osservare che per gli imprenditori individuali l’adozione di misure idonee per rilevare tempestivamente lo stato di crisi e l’obbligo di assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte (ex art. 3 Codice della Crisi) seguono la sorte dell’intero Codice e, quindi, risultano momentaneamente rinviati: è corretta questa accentuazione delle distanze tra imprenditori individuali e società “minime”, in un momento di grande difficoltà soprattutto per queste ultime realtà?
2.2. Concordati e accordi di ristrutturazione
La situazione di straordinaria emergenza in cui ci troviamo rischia di pregiudicare la positiva conclusione delle procedure per la soluzione della crisi di impresa alternative al fallimento già avviate e di quelle omologate in corso di esecuzione. Come sottolinea la Relazione illustrativa al Decreto Liquidità: procedure di concordato preventivo o accordi di ristrutturazione aventi concrete possibilità di successo prima dello scoppio della crisi epidemica potrebbero risultare irrimediabilmente compromesse, con evidenti ricadute sulla conservazione di complessi imprenditoriali anche di rilevanti dimensioni.
Al fine di salvaguardare le procedure in parola vengono introdotte soluzioni differenti in relazione alla fase in cui si trova il relativo procedimento.
In particolare, i concordati preventivi (o accordi di ristrutturazione) omologati vengono “sostenuti” attraverso una proroga di sei mesi dei termini di adempimento aventi scadenza tra il 23 febbraio 2020 e il 31 dicembre 2021 (così dispone l’art.9, primo comma, del Decreto Liquidità) [11]. Si tratta di un meccanismo agevolativo ex lege che mira ad evitare la risoluzione delle procedure già attivate; occorre, peraltro, capire se lo slittamento di sei mesi riguardi soltanto gli adempimenti aventi scadenza nel periodo indicato[12] oppure se si possa ritenere uno slittamento generalizzato di sei mesi. La seconda lettura parrebbe preferibile sul piano sistematico, anche se pare scontrarsi col dato letterale, ma la prima porta con sé un rischio: qualora – nei concordati omologati - il pagamento dei creditori chirografari sia collocato nei primi mesi del 2022, mentre quello dei creditori privilegiati nell’ultimo scorcio del 2021 si potrebbe ipotizzare il rischio di un pagamento prioritario dei chirografari rispetto ai privilegiati; la prima lettura, inoltre, porterà nei primi mesi del 2022 ad una sorte di imbuto, dovendosi dar corso contemporaneamente agli adempimenti dell’ultimo semestre del 2021 e del primo semestre del 2022; se la seconda lettura non dovesse trovare consenso, apparirebbe opportuno un intervento del legislatore in sede di conversione.
Nei concordati preventivi (o negli accordi di ristrutturazione), pendenti alla data del 23 febbraio 2020, il debitore – in forza dell’art. 9, secondo comma, del Decreto Liquidità) - può ottenere dal tribunale un nuovo termine, non superiore a novanta giorni che decorre dalla data del provvedimento che lo concede, per depositare un nuovo piano e una nuova proposta di concordato o un nuovo accordo di ristrutturazione. Viene riconosciuta, dunque, la possibilità di presentare una proposta ex novo al fine di offrire al debitore di tenere conto dei fattori economici sopravvenuti per effetto della crisi, qualora fosse venuto meno il requisito della fattibilità, soprattutto, economica dell’originario piano.
L’interrogativo più rilevante della norma in esame è stabilire se la stessa, rispetto ai concordati, si applichi soltanto ai concordati già votati favorevolmente come sembrerebbe doversi ritenere in forza dell’incipit della norma (“Nei procedimenti per l’omologazione…”) oppure come sembra preferibile anche per i concordati preventivi ammessi, ma non ancora votati[13]. La prima soluzione appare più coerente col dato testuale, ma di scarsa utilità: perché mai il debitore dovrebbe, avendo ottenuto il voto favorevole dei creditori, modificare il piano e sottoporlo di nuovo al voto, quando, in forza del successivo terzo comma dell’art. 9 del Decreto Liquiditàpotrebbe più agevolmente modificare i termini di adempimento del concordato, senza sottoporsi ad un nuovo scrutinio dei creditori?
L’ultimo paragrafo dell’art. 9, secondo comma, del Decreto Liquidità stabilisce che tale strada non è percorribile nel caso in cui l’istanza del debitore venga avanzata nell’ambito di un procedimento di concordato preventivo in cui si sia già tenuta l’adunanza dei creditori, ma non siano state raggiunte le maggioranze ex art. 177 l. fall. Qualora il concordato, viceversa, non abbia ottenute le maggioranze di legge il debitore potrebbe ancora presentare un nuovo piano alla luce dell’orientamento della Suprema Corte[14] a condizione che non sia stata ancora pronunciata la sentenza di fallimento (scenario, peraltro, temporaneamente precluso in forza dell’art. 10 Decreto Liquidità[15]).
In forza dell’art. 9, terzo comma, del Decreto Liquidità, il debitore – fino all’udienza fissata per l’omologa - può depositare una memoria contenente la modifica unilaterale dei termini di adempimento originari del concordato preventivo o degli accordi di ristrutturazione, con un allungamento massimo di sei mesi, allegando la documentazione che comprova la necessità di procedere in tal senso: si osserva che non viene richiesta una motivazione specifica connessa all’emergenza in atto.In presenza di tale modifica unilaterale il Tribunale può sempre procedere all’omologa (acquisendo nei concordati preventivi il parere del commissario giudiziale) dando atto delle nuove scadenze e nel rispetto comunque della permanenza dei presupposti previsti dall’art. 180 e 182 bis l. fall. La norma sembra doversi applicare ai concordati preventivi già favorevolmente votati dai creditori.
Una riflessione aggiuntiva si rende necessaria per gli accordi ristrutturazione nei quali – come è noto – non vi è un voto dei creditori; in tale quadro il secondo comma dell’art. 9 del Decreto Liquidità sembra doversi applicare al caso in cui sia ancora pendente il termine di trenta giorni per l’opposizione dei creditori di cui al quarto comma dell’art. 182 bis l. fall., mentre il terzo comma dell’art. 9 appare applicabile al caso in cui il detto termine sia decorso, ma il Tribunale non abbia ancora disposto l’omologazione.
L’art. 9, quarto comma, del Decreto Liquidità si occupa dei concordati in bianco e stabilisce che il debitore può presentare istanza per la concessione di un ulteriore rinvio (sino a novanta giorni) laddove i termini siano già stati prorogati e prima che gli stessi siano scaduti, indicando gli elementi che rendono necessaria la concessione con specifico riferimento ai fatti sopravvenuti per effetto dell’emergenza epidemiologica Covid-19. La norma precisa che l’ulteriore rinvio può essere ottenuto anche laddove sia stata depositata istanza di fallimento, se ciò è accaduto prima della scadenza del termine (già prorogato) ex art. 161, comma sesto, l. fall., giacché l’obiettivo prioritario resta quello di consentire, nella situazione in cui il Paese si trova, il perseguimento di una soluzione concordata della crisi. La proroga è concessa, acquisito il parere del commissario giudiziale se nominato, qualora la stessa si fondi “su concreti e giustificati motivi” e comunque nel rispetto della disciplina prevista per dal settimo e dall’ottavo comma dell’art. 161 l. fall., espressamente richiamata.
In generale, attraverso il sistema dell’allungamento dei termini si offre al debitore una ciambella di salvataggio per riallineare i piani di concordato – in fase di redazione - alla nuova situazione economica causata da circostanze esogene.
Resta da stabilire cosa accada nei casi in cui il primo termine previsto dall’art. 161, sesto comma, l. fall. non sia ancora trascorso alla data dell’8 aprile 2020; o si consente che la proroga ordinaria -motivata anche da ragioni connesse al Covid-19 - possa estendersi sino a novanta giorni oppure vi è da ritenere che il creditore possa chiedere la proroga ordinaria fino a sessanta giorni e poi avvalersi di quella straordinaria fino a novanta giorni ai sensi del quarto comma in esame.
La proroga sino a novanta giorni - ovvero l’applicazione del quarto comma - è consentita, ai sensi dell’art. 9, quinto comma, del Decreto Liquidità, anche ai soggetti che si stanno avvalendo, ai fini della conclusione delle trattative funzionali ad accordi di ristrutturazione, del termine di sessanta giorni previsto dall’art. 182 bis, settimo comma, l. fall. L’istanza deve basarsi, anche in questo caso, “su concreti e giustificati motivi” e devono continuare a sussistere i presupposti per pervenire all’accordo di ristrutturazione; la proroga fino a novanta giorni non è subordinata allo svolgimento dell’udienza prevista dall’art. 182 bis, settimo comma, primo periodo, l. fall.
Sula proroga fino a novanta giorni disposta dal quarto e dal quinto comma dell’art. 9 resta da stabilire se e come influisca la sospensione dell’attività giudiziaria dal 9 marzo 2020 all’11 maggio 2020, disposte dapprima dall’art. 83, primo e secondo comma, d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (Decreto Cura Italia) e poi nell’art. 36 Decreto Liquidità. Sul tema occorre segnalare che taluni tribunali, non senza contrasti, avevano ritenuto applicabile la sospensione dell’attività giudiziaria anche ai termini concessi dall’art. 161, sesto comma, l. fall. per il deposito della domanda di concordato. Alla luce di quanto disposto dall’art. 9 del Decreto Liquidità parrebbe preferibile evitare di sovrapporre la sospensione derivante dal blocco dell’attività giudiziaria alla proroga fino a novanta giorni, sempre che quest’ultima istanza possa essere depositata.
L’art. 10 introduce una misura eccezionale e temporanea, ma a valenza generale (valida per tutte quelle tipologie di istanze che coinvolgono imprese di dimensioni anche grandi, ma tali da non rientrare nell’ambito di applicazione del decreto legge 23 dicembre 2003, n. 347 c.d. “Decreto Marzano”), alla luce dell’evidente difficoltà, nella situazione attuale, di ricondurre o no lo stato di insolvenza all’emergenza epidemiologica.
È apparso dunque necessario, seppure per un periodo di tempo molto contenuto - dal 9 marzo al 30 giugno 2020 – introdurre il principio dell’improcedibilità dei ricorsi per la dichiarazione di fallimento e di liquidazione coatta amministrativa, nonché per l’accertamento dello stato di insolvenza nell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.
E’ fatta salva, dal secondo comma dell’art. 10 in commento, la richiesta presentata dal pubblico ministero quando nella medesima è fatta domanda di emissione di provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell’impresa oggetto del provvedimento ai sensi dell’art. 15, comma ottavo, l. fall.: in quest’ultimo caso, infatti, la radicale improcedibilità avrebbe avvantaggiato le imprese che stavano mettendo in atto condotte dissipative di rilevanza anche penale con nocumento dei creditori, compromettendo le esigenze di repressione di condotte caratterizzate da particolare gravità[16].
L’ambito della improcedibilità merita di essere approfondito; il richiamato art. 195 l. fall. per le liquidazioni coatte amministrative e l’art. 3 del d. lgs. 8 luglio 1999, n. 270 riguardante l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi indicano come soggetti istanti anche la stessa impresa, mentre l’art. 15 l. fall. sembra riferirsi esclusivamente all’istanza presentata dai creditori o dal pubblico ministero; il fallimento in proprio è disciplinato dall’art. 14 l. fall. Questa distonia sembra superata dalla Relazione illustrativa ove si legge che «il blocco si estende a tutte le ipotesi di ricorso, e quindi anche ai ricorsi presentati dagli imprenditori in proprio, in modo da dare anche a questi ultimi un lasso temporale in cui valutare con maggiore ponderazione la possibilità di ricorrere a strumenti alternativi alla soluzione della crisi di impresa senza essere esposti alle conseguenze civili e penali connesse ad un aggravamento dello stato di insolvenza che in ogni caso sarebbero in gran parte da ricondursi a fattori esogeni».
La scelta, peraltro, non appare condivisibile[17], ammesso che si tratti di quanto la norma stabilisce. Il vecchio brocardo secondo cui ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit potrebbe applicarsi al caso di specie. Come è noto, il fallimento in proprio è disciplinato dall’art. 14 l. fall. e sfocia nella sentenza di cui all’art. 16 l. fall., senza bisogno di transitare dall’udienza ad hoc disciplinata dall’art. 15 l. fall.; dunque potrebbe essere legittimo ritenere che il fallimento in proprio sia sottratto dall’improcedibilità.
La scelta contraria, avvalorata dalla Relazione illustrativa, non convince; non si riesce a capire perché l’imprenditore insolvente non possa porre fine alla sua attività, ma resti obbligato a proseguirla fino al 30 giugno 2020 aggravando il dissesto.
L’esclusione del fallimento in proprio rappresenta una soluzione troppo tranchant, ma soprattutto, per quanto detto, irrazionale: si impone un ingiustificato obbligo di prosecuzione dell’attività “no matter what”[18].
Viceversa e vivaddio le domande di concordato o di omologa di accordi ristrutturazione dei debiti, salvo fare i conti con la sospensione dei termini processuali sino all’11 maggio 2020 ai sensi dell’art. 36 del Decreto Liquidità, potranno essere presentate senza ricadere nella trappola dell’improcedibilità, come pure qualcuno aveva suggerito. Il debitore, dunque, che già versava in condizione di crisi o che, comunque, si ritrova travolto e pericolosamente a rischio insolvenza, consapevole dell’impossibilità di riuscire a recuperare il normale andamento di esercizio e non reputando sufficienti le misure apprestate dal legislatore dell’emergenza, potrà procedere sin da subito con una domanda di concordato o iniziare a negoziare un accordo di ristrutturazione dei debiti con i creditori, avvalendosi dei periodi di automatic stay previsti dagli artt. 161, sesto comma, e 182 bis, sesto comma, l. fall.
Il terzo comma dell’art. 10 del Decreto Liquidità introduce una sorta
di sterilizzazione del periodo di improcedibilità, stabilendo che lo stesso periodo
– quando dopo il 30 giugno 2020 sopraggiunge il fallimento – non viene
computato nei termini di cui agli artt. 10 e 69 bis l. fall.
L’art. 10 l. fall., come è noto, consente la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore cessato solo nell’anno successivo alla cancellazione dal registro delle imprese, mentre l’art. 69 bis l. fall. concerne i termini di decadenza per le azioni revocatorie, nonché la codificazione del principio, di origine giurisprudenziale, di consecuzione delle procedure concorsuali. Più precisamente è sancito che «nel caso in cui alla domanda di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento i termini di cui agli articoli 64, 65 e 67, primo e secondo comma, e 69 decorrono dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese»: in base a questa previsione, se sia stata promossa una procedura di concordato preventivo, il termine per le revocatorie decorre non dalla dichiarazione di fallimento, ma dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel Registro delle Imprese, giacché, in forza del richiamato principio, laddove le procedure, susseguitesi nel tempo, hanno avuto genesi dalla medesima insolvenza, tutti gli effetti collegati alla loro pendenza si fanno risalire all’avvio della prima. Il meccanismo dispiegato nel Decreto Liquidità tutela, quindi le revocatorie maturate nel periodo sospetto computato a ritroso dalla data in cui è stato presentato e pubblicato il ricorso per l’accesso alla procedura di concordato.
Tuttavia, l’art. 69 bis l. fall., i cui termini come si è visto sono sospesi, non riguarda il periodo sospetto rilevante ai fini delle revocatorie: di conseguenza, un fallimento, slittato in avanti di qualche mese a causa del “blocco” dei ricorsi, trascina con sé il periodo sospetto, ciò rischia di far perdere la possibilità di revocare atti e pagamenti posti in essere nel semestre anteriore[19].
Il terzo comma dell’art. 10 del Decreto Liquidità si presta a qualche ulteriore riflessione; la norma parla di consecutio tra improcedibilità e successiva dichiarazione di fallimento, ma deve intendersi applicabile anche ai casi di successivo accertamento dello stato di insolvenza ai sensi dell’art. 195 l. fall. e dell’art. 3 del d.lgs. n. 270/1999. Più delicato è capire quando si verifica la consecutio: a stretto rigore parrebbe necessario che il creditore avanzi oggi istanza che verrà dichiarata improcedibile e la ripresenti a far data dal 1^ luglio 2020; in assenza di ciò ci si domanda se non sia opportuno introdurre in sede di conversione un termine di deposito dell’istanza successivo al 30 giugno 2020 che valga come presunzione di consecutio.
3. Le misure poste a tutela della continuità delle imprese
Sotto il profilo societario, viene disposta un’ulteriore sospensione, per l’esercizio 2020, relativa agli obblighi - e alle relative conseguenze - connessi con le perdite che comportano una riduzione significativa del capitale sociale: l’obiettivo è quello di “inertizzare” i doveri di ricapitalizzazione a fronte di uno scenario di crisi generalizzata, in cui l’applicazione rigida della disciplina del capitale sociale potrebbe condurre migliaia di imprese all’obbligo di accertare una causa di scioglimento.
In particolare, l’art. 6 del Decreto Liquidità prevede che «adecorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 31 dicembre 2020 per le fattispecie verificatesi nel corso degli esercizi chiusi entro la predetta data non si applicano gli articoli 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482 bis, commi quarto, quinto e sesto, e 2482 ter del codice civile. Per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, n. 4, e 2545 duodecies del codice civile».
Si tratta di uno strumento già presente nell’armamentario della legge fallimentare (e pure importato nel Codice della Crisi)[20]: l’art. 182 sexies, primo comma, l. fall., perfettamente coincidente quanto all’oggetto, prevede, infatti, la temporanea inapplicabilità delle medesime norme disciplinanti la riduzione del capitale sociale per perdite ed il conseguente verificarsi di una causa di scioglimento, a partire dalla data di presentazione dell’istanza di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (oppure della proposta di accordo) ovvero della domanda di concordato preventivo, anche “in bianco”, e sino alla relativa omologazione.
L’ambito di applicazione della nuova norma è molto più ampio giacché la misura – seppur temporaneamente - si applica indipendentemente dal contestuale ricorso al concordato preventivo o all’accordo di ristrutturazione dei debiti, e quindi in assenza di qualsiasi forma di “controllo giudiziario”.
Lo strumento è efficace: neutralizza soprattutto i doveri di ricapitalizzazione[21]. Restano fermi, è opportuno sottolinearlo, gli obblighi previsti dagli artt. 2446, primo comma, 2482 bis, primo, secondo e terzo comma, c.c. In altri termini, gli amministratori al verificarsi di una perdita rilevante sono tenuti a predisporre un bilancio straordinario e a sottoporlo all’assemblea dei soci. Sembrerebbe anche di dover ritenere, alla luce della tesi dominante in relazione all’interpretazione dell’art. 182 sexies l. all., che tale obbligo di informare l’assemblea permanga anche nelle ipotesi contemplate dagli artt.li 2447 e 2482 ter c.c. Si osserva, poi, che il collegio sindacale, laddove presente, sarà - a sua volta - chiamato a svolgere le proprie funzioni di vigilanza[22]. I soci hanno, infatti, il diritto di essere informati sulla situazione patrimoniale della società, anche se gli obblighi di ricapitalizzazione sono sospesi.
La norma - come si è visto – si applica a tutti gli esercizi che si chiudono entro il 31 dicembre 2020: la formulazione letterale fa sorgere un profilo non di poco conto. Ipotizzando che l’esercizio – come è comune che accada – coincida con l’anno solare, l’assemblea di approvazione del bilancio dovrà essere convocata nei successivi centoventi giorni e potrà esporre - ai sensi della norma emergenziale in esame - anche un patrimonio netto negativo; l’assemblea dei soci non sarà - a quella data - tenuta alla ricapitalizzazione , ma un tale obbligo con tutta probabilità sussisterà invece a partire dal giorno successivo all'approvazione del bilancio stesso ossia a fine aprile del 2021.La Relazione illustrativa parla di «perdita del capitale, dovuta alla crisi da Covid-19», dando sembrerebbe per presupposto che la norma si applichi solo ove la situazione dipenda dall’emergenza sanitaria: come si fa però a stabilire, con certezza, la genesi della crisi? Si tratta certamente dell’id quod plerumque accidit; in ogni caso, la sospensione degli obblighi non sembra subordinata alla prova di principio di causa-effetto tra pandemia e perdita del capitale.
Risulta strettamente connesso il tema, molto delicato, della responsabilità degli organi sociali, in primis degli amministratori, che, in assenza di queste deroghe, si sarebbero trovati nella difficile condizione di dover scegliere tra l’immediata messa in liquidazione e il rischio di esporsi alla responsabilità per gestione non conservativa ai sensi dell’art. 2486 c.c.
La Relazione tecnica afferma che «nonostante le massicce misure finanziarie in corso di adozione, si palesa una prospettiva di notevole difficoltà nel reperire i mezzi per un adeguato rifinanziamento delle imprese»: il riferimento è di intendersi alla difficoltà di reperire mezzi finanziari propri che impattino sul capitale; viceversa, se si trattasse di mezzi di terzi (i.e. banche), che alleviano la tensione finanziaria, ma non impattano sul capitale, non ci sarebbe alcun beneficio sul piano patrimoniale, anzi.
3.2. I bilanci e il principio di continuità aziendale “congelato”
L’art. 7 del Decreto Liquidità congela il giudizio sulla continuità aziendale[23]. In particolare, la norma prevede che la valutazione delle voci di bilancio nella prospettiva della continuazione dell’attività può essere operata se sussistente nel bilancio dell’esercizio precedente; la regola si applica sia per gli esercizi in corso al 31 dicembre 2020, sia per i bilanci chiusi entro il 23 febbraio 2020[24], laddove non questi ultimi non siano stati ancora approvati.
Come è noto, l’art. 2423 bis, comma 1, n.1, c.c. prevede che, all’atto della redazione del bilancio, la valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuazione dell’attività. D’altro canto il principio contabile Oic 11 integra ed interpreta la norma prevedendo che «la direzione aziendale deve effettuare una valutazione prospettica della capacità dell’azienda di continuare a costituire un complesso economico funzionante destinato alla produzione di reddito per un prevedibile arco temporale futuro relativo ad un periodo di almeno dodici mesi dalla data di riferimento del bilancio»: la valutazione sul going-concern consiste in una stima prospettica, relativa ad un periodo di almeno dodici mesi, in relazione alla capacità dell’azienda di generare reddito al fine di garantire la sua funzionalità e continuazione nel tempo.
Risultano coerenti anche lo IAS 1, secondo cui nella fase di preparazione del bilancio, la direzione aziendale deve effettuare una valutazione della capacità dell'entità di continuare a operare come un'entità in funzionamento, che deve redigere il bilancio nella prospettiva della continuazione dell'attività a meno che la direzione aziendale non intenda liquidare l'entità o interromperne l'attività, o non abbia alternative realistiche a ciò, nonché il principio di revisione n. 570.
In relazione al quadro di pesante incertezza legata al momento attuale pare dunque opportuno sospendere ogni valutazione relativa alla sussistenza del presupposto della continuità aziendale quantomeno per l’esercizio in corso, dovendosi esso presumere sussistente se così era nel momento antecedente lo scoppio della crisi[25].
Sicché, laddove l’emergenza Covid-19, con l’interruzione o la riduzione dell’attività produttiva, abbia messo in dubbio il going concern , costringendo la società a valutare le poste patrimoniali in un’ottica di prevedibile liquidazione anziché di funzionamento, l’art. 7 inertizza il principio di continuità applicando, attraverso una fictio iuris, un giudizio di continuità sui generis, relativo all’anno precedente[26]. Si precisa poi che il criterio deve essere illustrato nella nota integrativa del bilancio interessato “anche mediante il richiamo delle risultanze del bilancio precedente”.
Si legge nella Relazione che «si rende necessario neutralizzare gli effetti devianti dell’attuale crisi economica conservando ai bilanci una concreta e corretta valenza informativa anche nei confronti dei terzi, consentendo alle imprese che prima della crisi presentavano una regolare prospettiva di continuità di conservare tale prospettiva nella redazione dei bilanci degli esercizi in corso nel 2020, ed escludendo, quindi, le imprese che, indipendentemente dalla crisi COVID-19, si trovavano autonomamente in stato di perdita di continuità».
Per i bilanci chiusi al 23 febbraio 2020 ossia per quelli che nella generalità dei casi coincidono con l’anno solare (dunque, i bilanci al 31 dicembre 2019), si osserva che laddove gli stessi siano già “passati” in consiglio di amministrazione, ma non ancora approvati dall’assemblea dei soci, gli amministratori – qualora intendano avvalersi della norma in commento - debbono sospendere la convocazione dell’assemblea e "richiamare” i bilanci al fine di dar conto, ai sensi dell’art. 2427, comma 1, numero 22 quater, c.c., nella nota integrativa dei fatti di rilievo avvenuti dopo la chiusura dell’esercizio», specificando che, a seguito dell’emergenza Covid-19, per la prospettiva di continuità si fa riferimento alla valutazione del bilancio al 31 dicembre 2018[27]. L’assemblea potrà poi essere convocata, nei termini “allungati” concessi dall’art. 106 d.l. 17 marzo 2020, n. 18, per l’approvazione dei rendiconti e bilanci relativi all’esercizio 2019[28].
Resta un interrogativo di fondo; qualora per il bilancio al 31 dicembre 2019 ci si sia avvalsi della prospettiva di continuità esistente al termine dell’esercizio precedente, nel bilancio al 31 dicembre 2020 a quale scrutinio di continuità si dovrà fare riferimento? Certamente a quello dell’esercizio al 31 dicembre 2019 che, peraltro, a sua volta, ha fatto riferimento a quello al 31 dicembre 2018. E’ questa la soluzione corretta ovvero, in concreto, ricorrere ad un giudizio che risale al secondo esercizio precedente? Oppure sarà necessario formulare comunque un nuovo giudizio relativo alla prospettiva di continuità dell’esercizio al 31 dicembre 2019?
3.3. L’incentivazione dei finanziamenti soci
Un’ulteriore misura ancillare alle precedenti e adottata per attenuare gli effetti pandemici sulla situazione patrimoniale dell’impresa concerne la temporanea disattivazione delle regole contenute negli artt.li 2467 e 2497 quinquies c.c. con riguardo ai finanziamenti dei soci, ovvero di chi esercita attività di direzione e coordinamento, se effettuati in una finestra temporale che va dall’entrata in vigore del Decreto Liquidità, 8 aprile 2020, alla fine dell’esercizio sociale in corso, 31 dicembre 2020 (art. 8): tale soluzione può rappresentare un utile strumento preventivo per agevolare il recupero di mezzi finanziari incentivando lo sviluppo di flussi finanziari endogeni idonei ad assicurare un opportuno rifinanziamento delle imprese anche tramite prestiti e favorendo, quindi, il coinvolgimento dei soci nei confronti della società.
Come è noto, l’art. 2467 c.c. prevede che il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società c.d. “anomali” - ovvero quelli in qualsiasi forma effettuati che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento - è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società deve essere restituito[29]; la stessa norma viene richiamata dall’art. 2497 quinquies c.c. con riguardo ai finanziamenti effettuati a favore della società da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti. Meccanismi, dunque, di diritto sostanziale ma destinati ad operare anche nel fallimento laddove dovesse seguire il default dell’impresa.
La ratio delle due disposizioni è quella di sanzionare il diffuso fenomeno della c.d. sottocapitalizzazione nominale, ovvero di quelle situazioni in cui la società dispone di mezzi per l'esercizio dell'impresa, ma questi sono in minima parte imputabili a capitale, poiché risultano per lo più concessi sotto forma di finanziamento: si tratta, chiaramente, di regole disincentivanti rispetto al reperimento di risorse fra i soci e per questo, avendo a mente il focus della salvaguardia dei complessi produttivi, sono state momentaneamente “congelate”.
Come noto, un regime privilegiato per i finanziamenti dei soci laddove erogati in funzione di salvataggio dell’impresa viene già impiegato nell’ambito del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione: per i crediti derivanti da tali operazioni, l’art. 182 quater l. fall., il cui contenuto viene riproposto nell’art. 102 del Codice della Crisi, prevede, in deroga agli artt.li 2467 e 2497 quinquies c.c., il beneficio della prededuzione (fino all’80% del loro ammontare ovvero sino al 100%, qualora il finanziatore abbia acquisito la qualità di socio in esecuzione delle procedure), beneficio che risulta giustificato nell’ottica di agevolare la prosecuzione dell’attività per superare la crisi.
Nell’art. 8 l’obiettivo perseguito pare analogo, lo strumento meno invasivo: viene, infatti, riservato un trattamento di favore ai prestiti dei soci, che si presumono anomali in quanto contratti in una fase di grave crisi economica, mediante la temporanea neutralizzazione del severo regime previsto dal primo comma dell’art. 2467 c.c.
Lo spartiacque per l’operatività della sospensione di queste regole è costituito dalle date individuate dal Decreto: i finanziamenti effettuati in quel periodo non saranno postergati nel rimborso e, laddove seguisse il fallimento nell’anno successivo al rimborso, non dovranno essere restituiti (d’altro canto, se sarà entrato in vigore il Codice della Crisi, si applicherà l’art. 164 del Codice e quindi non potranno essere dichiarati inefficaci).
Stando alla lettera della norma, ai fini dell’applicazione dell’eccezionale e temporanea deroga si fa riferimento al momento genetico, rilevando unicamente la data - che dovrà cadere nell’ambito dell’arco temporale prestabilito - in cui i prestiti siano stati erogati. Il finanziamento, dunque, nasce “agevolato” e non sembra poter diventare “postergato”, laddove al momento del rimborso l’impresa si trovi in situazione di squilibrio.
Si osserva, in ultimo, il fatto che gli effetti della misura si riflettono non solo nel contesto in cui il principio viene disciplinato, i.e. società a responsabilità limitata (art. 2467 c.c.) e gruppi di società (art. 2497 quinquies c.c.), ma anche rispetto alle ulteriori realtà societarie, in particolare società per azioni, a cui, per opinione dottrinale e giurisprudenziale consolidata, tali meccanismi si applicano: la società per azioni chiusa, in primis.
[1] In argomento cfr. Stanghellini e Rinaldi, Trasformazione dei prestiti Covid-19 in strumenti finanziari partecipativi (sfp) un’idea per far ripartire il sistema delle imprese, inwww.ilcaso.it, 3 aprile 2020.
[2] Si tratta di «indici» che danno evidenza della sostenibilità dei debiti per un arco temporale prestabilito, nonché delle prospettive di continuità aziendale per l'esercizio in corso; a tal fine sono considerati «indici» significativi sono quelli che misurano la sostenibilità degli oneri dell'indebitamento con i flussi di cassa che l'impresa è in grado di generare, nonché l'adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli dei terzi; dotati di particolare significatività, ai detti fini, sono i reiterati ritardi nei pagamenti (cfr. art. 13, primo comma, Codice della Crisi).
[3] Così si legge nella Relazione Illustrativa.
[4] La formula «stato di difficoltà» viene sostituita con «stato di squilibrio» nel primo decreto integrativo e correttivo assunto a norma dell’art. 1, comma 1, legge 8 marzo 2019, n. 20 al d.lgs. 14/2019, approvato, in esame preliminare, in occasione della seduta del Consiglio dei Ministri tenutasi in data 13 febbraio 2020 e che pare oggi in corso di approvazione definitiva, v. Relazione illustrativa ove si legge che il Decreto Correttivo si trova attualmente in fase finale di predisposizione; Lamanna, Fallimento, il decreto liquidità fa slittare di un anno il debutto del nuovo Codice della Crisi, in Repubblica, 11 aprile 2020. Ma v. Ferro, Codice della Crisi differito al 1° settembre 2021, fallimenti sospesi fino al 30 giugno 2020 e immediato cordone societario, in www.quotidianogiuridico.it, secondo cui «il decreto correttivo, annunciato a più riprese, non è mai stato pubblicato e dunque il rinvio assume l’inconsistenza del raccordo, tutto da attuare, con le disposizioni dell’articolo unico della legge 8 marzo 2019, n. 20 che riaprono la delega della legge n. 155 del 2017 a disposizioni integrative e correttive “entro due anni dalla data di entrata in vigore dell'ultimo dei decreti legislativi adottati”».
[5] Così art. 2, lett. a), Codice della Crisi.
[6] Così Panzani, Il preventive restructuring framework nella Direttiva 2019/1023 del 20 giugno 2019 ed il codice della crisi. Assonanze e dissonanze., in www.dirittobancario.it, 14 ottobre 2019.
[7] Sul tema Irrera, Le procedure concorsuali al tempo del coronavirus: alcune proposte, in www.dirittobancario.it, 6 aprile 2020.
[8] Cfr. Irrera, La collocazione degli assetti organizzativi e l’intestazione del relativo obbligo (tra Codice della Crisi e bozza di decreto correttivo), in Il Nuovo Diritto delle Società, 2020, in corso di pubblicazione.
[9] Pollastro, Emergenza sanitaria e crisi d’impresa: come contenere il contagio?, in www.ilcaso.it, 2 aprile 2020, ove l’a. suggerisce che detta attenuazione possa essere lasciata all’apprezzamento dei giudici in via applicativa.
[10] V., infra, par. 3.2.
[11] Per una soluzione alternativa volta a consentire al debitore il cambio del piano, attesa la forza maggiore che ha reso impraticabile quello approvato, v. Limitone, Gli effetti del coronavirus sulla continuità aziendale dopo l’omologazione del concordato preventivo, su ilcaso.it, 13 aprile 2020.
[12] Cfr. Giampaolino, Proroga di sei mesi per onorare i concordati, in ilsole24ore, 8 aprile 2020, secondo cui nella proroga di sei mesi dei termini di pagamento dei creditori non slitta l'intero adempimento di tutti gli obblighi, ma solo quelli nel periodo individuato.
[13] Cfr. Giampaolino, op. cit., secondo cui il riferimento al procedimento di omologazione non risulta chiaro.
[14] Cfr., di recente, Cass., 10 ottobre 2019, n. 25479, ove si legge che per evitare la conclusione fallimentare «non può certo dubitarsi sulla possibilità da parte del debitore di presentare ai creditori una nuova proposta concordataria, dopo che la prima non sia stata positivamente apprezzata dai creditori attraverso l’esercizio del diritto di voto», ponendosi come unico limite a tale agire l’eventuale esercizio distorto ed abusivo della detta facoltà da parte del debitore, indirizzato non già alla previsione di una ordinata e condivida soluzione negoziale dell’insolvenza, quanto piuttosto solo a procrastinare nel tempo la dichiarazione di fallimento.
[15] v., infra, par. 2.3.
[16] Così Relazione Illustrativa. Sul punto molto critico Limitone, Breve commento all’art. 11 decreto liquidità (al momento ancora in bozza), in www.ilcaso.it, 8 aprile 2020, secondo cui «i ricorsi oggi improcedibili saranno ripresentati a luglio e la questione si riproporrà urgentissima, meglio quindi sarebbe stato individuare già una soluzione strutturale (il vaccino) e non una soluzione tampone (il tampone). Per accedere alla soluzione strutturale, indicata da chi scrive nell’impossibilità di dichiarare il fallimento quando l’insolvenza sia determinata da forza maggiore (nella specie dovuta alla pandemia da coronavirus e al conseguente lockdown) occorrerebbe un accertamento sul nesso causale, che potrebbe ben essere affidato ad una perizia contabile di parte (per redigere la quale non dovrebbe neppure essere necessario uscire dallo studio professionale di chi la dovrebbe scrivere), da produrre in giudizio in sede difensiva telematica, eventualmente contraddicibile dalle deduzioni tecnico-contabili (o anche da una controperizia) del creditore».
[17] Irrera, Le procedure concorsuali al tempo del coronavirus, cit.
[18] In senso conforme, Galletti, Il diritto della crisi sospeso e la legislazione concorsuale in tempo di guerra, in ilfallimentarista, 14 aprile 2020; Pollastro, op. cit.
[19] In questo senso, v. Limitone, op. cit.
[20] Una strada simile, in un ambito ancora differente, è stata anche prevista in tema di start-up innovative, dall’art. 26, d. lgs. 179/2012, laddove viene prevista una sensibile deroga alle ordinarie procedure già di per sé favorevoli alla prospettiva della continuazione dell’attività anche con capitale ridotto, disponendo l’estensione di dodici mesi del c.d. “rinvio a nuovo” delle perdite e consentendo il differimento nei casi più gravi della ricapitalizzazione alla chiusura dell’esercizio successivo.
[21] Nello stesso senso già prima dell’emissione del Decreto Liquidità si era espressa Pollastro, op. cit.
[22] Sul tema cfr. Di Sarli, Redazione del bilancio e dintorni ai tempi del coronavirus: prime riflessioni, il www.ilcaso.it, 11 aprile 2020.
[23] Diffusamente sul tema Di Sarli, op. cit.
[24] Il 23 febbraio rappresenta il momento in cui sono state assunte le prime misure legate all’emergenza sanitaria, in particolare il decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13.
[25] Così Pollastro, op. cit.
[26] Cfr. sul tema Spiotta, La (presunzione di) continuità aziendale al tempo del COVID-19, in www.ilcaso.it, 11 aprile 2020.
[27] Sul punto v. Galletti, op. cit.
[28] Sul tema v. Irrera, Le assemblee (e gli altri organi collegiali) delle società ai tempi del coronavirus (con una postilla in tema di associazioni e fondazioni), in www.ilcaso.it.
[29] L’art. 383, primo comma, del Codice della Crisi, ha soppresso nell’ambito del primo comma dell’art. 2467 c.c. le parole «e, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito», contestualmente, la regola concorsuale viene trasferita nel Codice della Crisi e precisamente nell’art. 164 Codice della Crisi, sotto la rubrica «Pagamenti di crediti non scaduti e postergati», ove al secondo comma ricompare il tema del rimborso dei finanziamenti e viene sancita l’inefficacia dei rimborsi dei finanziamenti dei soci a favore della società se eseguiti dal debitore dopo il deposito della domanda a cui è seguita l’apertura della procedura concorsuale ovvero nell’anno anteriore. L’art. 2497 quinquies c.c. resta invariato, ma necessita di essere letta insieme al terzo comma dell’art. 164 Codice della Crisi, che dispone l’applicazione della regola dell’inefficacia dei rimborsi, di cui al secondo comma del medesimo articolo, anche con riguardo ai finanziamenti effettuati a favore della società assoggettata alla liquidazione da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti.
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