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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 06/04/2020 Scarica PDF
La forma del patto fiduciario immobiliare. A proposito di Cass. S.U. n. 6459/ 2020
Benedetta Bonfanti, .Sommario. 1. Introduzione. – 2. Gli orientamenti della Corte sulla forma del patto di fiducia immobiliare. – 3. Il percorso argomentativo dalle Sezioni Unite. – 4. Il mandato senza rappresentanza immobiliare e la promessa di pagamento. – 5. Il principio riguardante la forma. Alcune criticità. – 6. Un’interpretazione estensiva e sistematica dell’art. 1351 c.c. – 7. (Segue): la soluzione per il patto di fiducia immobiliare.
Cass. civ., sez. U, 6 marzo 2020, n. 6459. Pres. Spirito. Rel. Giusti.
Per il patto fiduciario con oggetto immobiliare che s’innesta su un acquisto effettuato dal fiduciario per conto del fiduciante, non è richiesta la forma scritta ad substantiam; ne consegue che tale accordo, una volta provato in giudizio, è idoneo a giustificare l’accoglimento della domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di ritrasferimento gravante sul fiduciario.
La dichiarazione unilaterale scritta del fiduciario, ricognitiva dell’intestazione fiduciaria dell’immobile e promissiva del suo ritrasferimento al fiduciante, non costituisce autonoma fonte di obbligazione ma, rappresentando una promessa di pagamento, ha soltanto effetto confermativo del preesistente rapporto nascente dal patto fiduciario, realizzando, ai sensi dell’art. 1988 c.c., un’astrazione processuale della causa, con conseguente esonero a favore del fiduciante, destinatario della contra se pronuntiatio, dell’onere della prova del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria.
1.- Introduzione.
Con la sentenza in commento la Suprema Corte nella sua più alta composizione è andata a risolvere il contrasto sorto tra le sezioni semplici in merito alla forma che debba rivestire il pactum fiduciae avente ad oggetto il trasferimento di diritti reali immobiliari. In questo contesto, ha pure preso posizione sul profilo, collaterale a quello appena evocato, della natura di una dichiarazione unilaterale del fiduciario contenente l’impegno a trasferire il bene a richiesta del fiduciante: precisamente, della sua autonoma efficacia quale fonte dell’obbligazione ivi descritta, come pure della sua idoneità a fondare il rimedio di cui all’art. 2932 c.c. Aspetto, questo, su cui si era venuto a concentrare il più recente dei provvedimenti della Suprema Corte anteriori all’ordinanza di rimessione (Cass. Civ., 15 maggio 2014, n. 10633).
Pronunciandosi in merito ad entrambi i profili riferiti, le Sezioni Unite: riguardo al primo hanno affermato la validità del pactum fiduciae stipulato oralmente, così abbracciando la posizione – più recentemente emersa ma – sino ad allora minoritaria presso i giudici di legittimità; quanto al secondo, hanno sussunto l’atto unilaterale del fiduciario nella fattispecie della promessa di pagamento ex art. 1988 c.c., relegandone l’efficacia al piano probatorio.
Prima di approfondire le argomentazioni svolte dalla sentenza in commento e i relativi profili critici, appare opportuno svolgere una ricognizione del panorama giurisprudenziale che l’ha preceduta.
2.- Gli orientamenti della Corte sul patto di fiducia immobiliare.
La questione in oggetto è stata per lungo tempo decisa dalla Suprema Corte in modo omogeneo attraverso un numero nutrito di pronunce[1]: essendo stabilito, in particolare, che il pactum fiduciae contenente l’obbligo del soggetto fiduciario a trasferire o ritrasferire al fiduciante un bene immobile deve rivestire la medesima forma richiesta dalla legge per i negozi di trasferimento immobiliare ex art. 1350 c.c.[2].
Uniforme risulta anche il percorso argomentativo seguito dalle diverse pronunce: il negozio fiduciario è «sostanzialmente assimilabile al preliminare»[3] e, dunque, può trovare applicazione analogica la disposizione di cui all’art. 1351 c.c.[4]
Accanto a questo orientamento, tre soli arresti hanno predicato la validità del patto fiduciario immobiliare concluso oralmente. Per quanto unificati nella soluzione accolta, essi si fondano su percorsi argomentativi differenti.
Quello più risalente – e più succinto in punto di motivazione – si è limitato ad affermare che l’imposizione di un vincolo formale ad validitatem al pactum fiduciae non trova alcun riscontro «nella costruzione dogmatica del negozio fiduciario»[5]. Pertanto, esso è validamente concluso oralmente.
La sentenza Cass. n. 14654 del 2012, invece, ha argomentato la soluzione dell’oralità sulla base del principio di libertà della forma e della conseguente natura eccezionale delle prescrizioni formali. In assenza di una precisa disposizione in tema di forma del negozio fiduciario, questo non è soggetto ad alcun vincolo formale ad substantiam[6].
L’arresto più recente, a sua volta, dopo aver affermato la validità del pactum fiduciae immobiliare «concluso oralmente», ha rilevato che la dichiarazione unilaterale del fiduciario, pur di molti anni successiva all’accordo fiduciario e contenente l’impegno a ritrasferire il bene, costituisce «autonoma fonte dell’obbligazione ivi descritta per il soggetto che la sottoscrive […] ai sensi dell’art. 1174 c.c.» e, pertanto, sia coercibile ex art. 2932 c.c.[7].
Proprio sulla base di quest’ultimo arresto, rilevando «l’esistenza di indirizzi di legittimità non sovrapponibili», l’ordinanza n. 20934 del 2019 ha rimesso alle SS.UU. la soluzione del doppio quesito già riferito: da un lato, se esista o meno un requisito di forma ad validitatem per il negozio fiduciario immobiliare[8]; dall’altro, se la forma scritta necessaria per i trasferimenti immobiliari possa considerarsi integrata dalla dichiarazione unilaterale del fiduciario che contenga l’impegno a ritrasferire il bene.
3.- Il percorso argomentativo delle Sezioni Unite.
Prima di scendere nell’analisi della pronuncia, è necessario tracciare sin da subito il perimetro applicativo entro i quali il Supremo Collegio colloca i principi enunciati. La Corte ha infatti preliminarmente chiarito che gli interrogativi sono stati esaminati «avendo riguardo all’orizzonte di attesa della fattispecie concreta»: cioè, il programma negoziale secondo cui il fiduciario acquista un immobile con una provvista messa a disposizione dal fiduciante, al quale si impegna a trasferire il bene decorso un certo lasso di tempo[9].
Fissate le coordinate, la Corte innanzitutto ha disconosciuto la tradizionale assimilazione del negozio fiduciario alla figura del contratto preliminare che aveva fondato per lungo tempo l’applicazione analogica dell’art. 1351 c.c. Le critiche riguardano la diversità di interessi sottesi ai due schemi negoziali, nonché il diverso modo di atteggiarsi nell’uno e nell’altro degli effetti reale e obbligatorio. Afferma la Corte che «nel contratto preliminare … l’effetto obbligatorio è strumentale all’effetto reale, e lo precede; nel contratto fiduciario l’effetto reale viene prima, e su di esso si innesta l’effetto obbligatorio, la cui funzione non è propiziare un effetto reale già prodotto, ma conformarlo in coerenza con l’interesse altrui». Anche l’atto traslativo – si argomenta – assume nei due negozi una qualificazione differente: nel caso del contratto di vendita esecutivo del preliminare, esso ha una propria causa autonoma a sorreggerlo (per l’appunto, la compravendita come funzione negoziale tipica), mentre nel negozio fiduciario configura un’ipotesi di «pagamento traslativo».
Confutata l’argomentazione tradizionale, la Corte ha evidenziato come lo schema fiduciario sopra descritto debba essere più correttamente accostato alla figura del mandato senza rappresentanza all’acquisto di un bene immobile di cui all’art. 1706, comma secondo, c.c.; a questo essendo necessario riferirsi in punto di disciplina.
In particolare, quanto alla forma, il mandato immobiliare è qualificato come un contratto a «struttura debole». La pronuncia 20051 del 2013, innovando il precedente orientamento, ha stabilito che il mandato senza rappresentanza per l’acquisto di beni immobili non necessiti della forma scritta ad substantiam.
Sostiene la decisione il seguente argomento: il rapporto tra mandante e mandatario produce un effetto meramente obbligatorio, non producendosi invece alcun effetto reale diretto. Di conseguenza, non si pongono «le esigenze di responsabilizzazione del consenso e di certezza dell’atto, sottese all’imposizione della forma scritta quale requisito di validità del contratto traslativo del diritto reale sul bene immobile» (p. 23 del provvedimento). Al contrario sono soggetti alla regola il contratto che il mandatario conclude con il terzo e quello successivo di trasferimento del bene al mandante. Non può soccorrere l’art. 1351 c.c. dal momento che si tratta di una norma eccezionale non suscettibile di analogia né di interpretazione estensiva, data la distanza che corre tra mandato e contratto preliminare.
Da questa ricostruzione discende la soluzione del quesito circa la forma del patto di fiducia immobiliare. Dovendosi procedere secondo il metodo dell’analogia – si argomenta – se la somiglianza corre con un contratto a forma libera è di questa regola che deve farsi applicazione. Pertanto, per il patto di fiducia non può richiedersi la forma scritta ad substantiam, dal momento che anche in questa ipotesi si «dà luogo ad un assetto di interessi che si esplica sul piano obbligatorio». L’osservanza del requisito si impone, invece – a norma dell’art. 1350 c.c. – per gli atti traslativi diretti, costituiti dal contratto di vendita del bene immobile tra fiduciario e terzo e del successivo atto di trasferimento del bene al fiduciante.
Tanto statuito, la Corte passa quindi ad analizzare la seconda questione relativa alla qualificazione dell’atto unilaterale sottoscritto dal fiduciario e contenente l’impegno a trasferire. Questo viene ricondotto alla figura della promessa di pagamento ex art. 1988 c.c. Esso produce dunque l’effetto di dispensare colui che lo produce dall’onere di provare il rapporto fondamentale. In ragione dell’oralità del pactum fiduciae, l’atto unilaterale assume la funzione di agevolare nella prova il fiduciante deluso, dispensandolo dal provare l’intervenuta stipulazione dell’intesa fiduciaria.
4.- Il mandato senza rappresentanza immobiliare e la promessa di pagamento.
La Corte, come appena annotato, ha radicalmente rimeditato lo storico indirizzo precedente, consegnando all’interprete diversi spunti di riflessione. Pur sussistendo alcune ragioni per mostrare perplessità circa la decisione relativa al profilo – invero oggetto principale della remissione – della forma richiesta per il patto fiduciario immobiliare, essa offre però alcuni passaggi, altrettanto innovativi dei precedenti in materia, rispetto ai quali non si può che aderire.
In primo luogo, lo schema fiduciario sottoposto al vaglio della Corte è stato correttamente accostato al tipo negoziale di cui all’art. 1706, comma secondo, c.c. Il contratto attraverso il quale il fiduciante accorda una provvista al fiduciario con la quale quest’ultimo provvedere ad acquistare un immobile per conto del primo e si assume l’obbligo di trasferirglielo, è qualificabile senza troppe incertezze come un caso simile, per non dire identico, a quello del mandato conferito al fine di acquistare un immobile[10].
Come sopra riferito, la giurisprudenza precedente assimilava invece la dinamica fiduciaria tout court al contratto preliminare. In questa prospettiva la Corte ha messo in luce, conformandosi alla più autorevole dottrina[11], come «il negozio fiduciario si presenta non come una fattispecie, ma come una casistica» (p.10 della sentenza). Dunque, si potrebbe aggiungere, i diversi schemi fiduciari, a cui rispondono diversi interessi[12], non sempre si prestano ad essere semplicisticamente e graniticamente ricondotti nell’alveo del contratto preliminare.
Apprezzabile poi è l’ulteriore capo della sentenza che ha risolto la dibattuta questione in merito alla qualificazione della dichiarazione unilaterale del fiduciario.
La Corte ha ritenuto che un simile atto configuri un’ipotesi di promessa di pagamento ex art. 1988 c.c. idoneo ad attuare una mera astrazione processuale. Da quest’angolo visuale, si è già anticipato come un precedente, a cui l’ordinanza di rimessione aveva attribuito estrema enfasi, lo aveva diversamente ricostruito come un atto che, pur inserendosi nel programma fiduciario e costituendone l’attuazione, fosse dotato di una “dignità” tale da assurgere ad “autonoma fonte dell’obbligazione ivi descritta per il soggetto che la sottoscrive…ai sensi dell’art. 1174 c.c.”. Una simile prospettazione ha attirato le molteplici e puntuali critiche della migliore dottrina che analiticamente ne ha mostrato i limiti[13]. In primis di compatibilità con il principio di tipicità delle promesse unilaterali ex art. 1989 c.c., in secondo luogo di coerenza logica circa l’affermazione che un atto possa essere al medesimo tempo fonte dell’obbligo descritto ed effetto di un precedente negozio.
Le Sezioni Unite, dunque, ordinando nella corretta fattispecie, hanno fatto chiarezza in merito ad uno dei nodi più dibattuti della questione in esame.
5.- Il principio riguardante la forma. Alcune criticità.
Venendo al punto centrale della sentenza in commento (i.e., la negazione che il negozio fiduciario immobiliare sia soggetto alla forma scritta ad substantiam), si può rilevare quanto segue.
Come già osservato, la conclusione è stata raggiunta facendo propria la ricostruzione prospettata da un’altra pronuncia in tema di mandato senza rappresentanza ad acquistare un bene immobile[14]. Questi gli snodi essenziali del ragionamento: 1) il negozio fiduciario produce effetti meramente obbligatori tra le parti; 2) l’art. 1350 c.c. disciplina solo i trasferimenti di diritti immobiliari attuati in modo diretto; 3) l’art. 1351 c.c. è una norma eccezionale, non suscettibile di analogia né di interpretazione estensiva data la distanza che corre tra il negozio fiduciario e il contratto preliminare.
Se il primo passaggio è incontestabile, gli altri due lasciano alcune perplessità che – in definitiva – si riducono al significato restrittivo attribuito agli artt. 1350 e 1351 c.c. e alla trascuratezza di alcune coordinate sistematiche. Si ritiene che un’attenta considerazione di questi due profili avrebbe condotto a una soluzione diversa da quella fatta propria dalla Suprema Corte.
6.- Un’interpretazione estensiva e sistematica dell’art. 1351 c.c.
È noto come nel nostro ordinamento «i contratti che trasferiscono beni immobili» devono essere redatti per iscritto sotto pena di nullità ex art. 1350 c.c. Altrettanto noto il rilievo che tale vincolo sia volto a promuovere la consapevolezza e la serietà delle parti nonché a garantire la certezza dei rapporti giuridici in relazione ai negozi elencati nella norma in parola[15].
Segue questa disposizione, nel medesimo capo generale relativo alla forma del contratto, l’art. 1351 c.c. La norma, dettata in materia di contratto preliminare, prevede la comunicazione della forma del contratto definitivo a quella del contratto preliminare. Sottese, sono tradizionalmente individuate due ragioni. La prima è di natura strutturale ed è rinvenuta negli effetti che connotano quest’ultimo: in particolare, in relazione ad un contratto preliminare di compravendita immobiliare, questo effetto si atteggia come un «meccanismo giuridicamente cogente»[16] prodromico alla produzione dell’effetto traslativo del diritto. La seconda è rinvenuta guardando al rimedio esperibile in caso di inadempimento dell’obbligo di trasferimento e, dunque, alla possibile attuazione coattiva ex art. 2932 c.c.[17]
Fissata la ratio, l’ambito di applicazione della norma è tradizionalmente dibattuto[18]. Diverse sono le voci degli interpreti che, in accordo con la sentenza in commento, le attribuiscono natura eccezionale; ciò sulla base del ben noto principio di libertà delle forme[19]. Alcuni autori, tuttavia, mettono in luce un ulteriore significato della norma, nonché alcuni indici del sistema sui quali occorre porre maggiormente l’attenzione.
Seguendo infatti una prospettiva sistematica, tale disposizione può essere ritenuta espressione di un’ulteriore esigenza. È stato notato infatti che la norma impedisce di incorrere nella contraddizione di assoggettare l’autonomia privata a delle regole per poi permetterne l’elusione attraverso «la costituzione di un obbligo, giuridicamente vincolante, […] avente ad oggetto l’introduzione delle stesse regole in un momento futuro»[20]. In altre parole, la ratio sottesa è quella di estendere la portata della regola di cui all’art. 1350 c.c. anche a quei negozi che solo mediatamente hanno ad oggetto un trasferimento immobiliare, producendo l’effetto di vincolare la parti al trasferimento, con la sola differenza che ciò avverrà in un momento futuro.
Il convincimento della bontà di una simile ricostruzione, estensiva dell’art. 1351 c.c. oltre i suoi stretti confini, si può ritrarre dalla considerazione delle altre norme codicistiche disciplinanti analoghi meccanismi simmetrici. Ci si riferisce agli artt. 1392, 1399, 1403, comma 1, c.c. in materia rispettivamente di procura, ratifica, di dichiarazione di nomina e di accettazione della persona nominata. Anche attraverso queste previsioni si attua l’estensione delle formalità che involgono direttamente alcuni atti, a negozi ulteriori che condividono con i primi una somiglianza ovvero un’identità di effetti. Come è stato efficacemente osservato dalla più autorevole dottrina, la lettura combinata delle disposizioni in discorso evita al sistema di apparire come un «colabrodo» permettendo di assoggettare «alla forma tutti i contratti (e gli atti) da cui derivi l’obbligo di operare, o il diritto di pretendere, o il potere di attuare una circolazione di diritti immobiliari»[21].
L’art. 1351 c.c., dunque, permette di ritenere sussistente – se non si vuole abbracciare l’idea di un vero e proprio principio[22] – quantomeno una tensione immanente al sistema giuridico verso un’omogeneità delle regole formali tra atti che condividono una sovrapponibilità effettuale finale.
7.- (Segue): la soluzione per il patto di fiducia immobiliare.
Se la ratio della norma è individuata nei termini che precedono, questa può ben essere estesa all’ipotesi di patto fiduciario avente ad oggetto un trasferimento immobiliare. Secondo la lettura proposta degli artt. 1350 e 1351 c.c., la forma scritta ad substantiam deve involgere non soltanto quei negozi che attuino un trasferimento diretto del bene immobile (segnatamente, l’atto di acquisto tra il fiduciario e il terzo e il successivo atto di trasferimento al fiduciante), ma – anche – il negozio interno tra le parti che fonda l’obbligo di trasferimento del bene. E, si aggiunga, questa conclusione vale non soltanto per lo schema fiduciario su cui si è incentrata la Corte, ma anche per altri programmi attraverso i quali può strutturarsi l’intesa fiduciaria[23]. Ciò sull’assunto che a contare sia l’effetto obbligatorio che coinvolge il bene immobile, elemento connotante la figura del negozio fiduciario[24].
La sentenza in commento, ponendo il pactum fiduciae al di fuori della cornice normativa descritta, sembra aver accettato di correre il rischio di permettere «discontinuità assurde nell’applicazione delle regole»[25].
In conclusione, occorre una piccola notazione finale. La Corte argomenta la propria decisione sostenendosi non solo con gli argomenti giuridici riferiti, ma anche attraverso la ricognizione delle dinamiche fiduciarie riscontrate nella prassi.
Il negozio fiduciario – si argomenta – è per sua natura «un’intesa segreta», spesso corrente tra coniugi, conviventi e familiari, restii a formalizzare il loro accordo per motivi di opportunità, lealtà e fiducia reciproca. Per questo, «condizionare all’osservanza della forma scritta la validità del patto fiduciario significherebbe praticamente escluderne la rilevanza pratica».
Anche in riferimento ad una simile ricostruzione del fenomeno occorre forse allargare la prospettiva e aggiungere qualche dato.
Autorevole dottrina[26], nell’attesa della pronuncia in commento, ha posto in evidenza come – in realtà – gli interessi sottesi ai programmi fiduciari non siano sempre così cristallini, né relegati all’ambito degli affetti. È frequente infatti riscontrare nella pratica come l’interesse del fiduciante sia quello di sottrarre beni ai propri creditori, ovvero attuare degli schemi negoziali tesi ad eludere il divieto di patto commissorio[27]. Se così è, non si ravvisa la sussistenza di interessi così meritevoli da giustificare un allentamento delle regole formali.
Neppure la prassi, dunque, oltre che le norme, sembra legittimare la soluzione adottata.
[1] Tra le tante, Cass. Civ., 11 aprile 2018, n. 9010, in Dir. fall., 2018, 951; Cass. Civ., 25 maggio 2017, n. 13216; Cass. Civ., 26 maggio 2014, n. 11757; Cass. Civ., 9 maggio 2011, in Giur. it., 2012, 1045 ss., con nota Perrotta e Michetti; Cass. Civ., 7 aprile 2011, n. 8001; Cass. Civ., 13 ottobre 2004, n. 20198; Cass. Civ., 13 aprile 2001, n. 5565; Cass. Civ., 19 luglio 2000, n. 9489; Cass. Civ., 18 ottobre 1988, n. 5663, in Foro It., 101 ss.
[2] È noto come nel nostro ordinamento la figura non riceva una tipizzazione legislativa, salvo il tratto disciplinare di cui all’art. 627 c.c. riguardante la fiducia testamentaria. La struttura dell’istituto dunque è stata ricostruita e sviluppata dall’accademia e dalla giurisprudenza. In punto di costruzione del negozio, la dottrina è prevalentemente orientata nel ricondurlo, in via alternativa, alla categoria del negozio indiretto, attraverso il quale le parti utilizzano uno schema contrattuale tipico eccedente rispetto allo scopo perseguito (cfr. Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1954, 160) ovvero ad una ipotesi di collegamento negoziale di tipo funzionale tra due distinti contratti: “l’uno di disposizione consistente nel conferimento di un diritto dotato di rilevanza presso i terzi e l’altro di obbligazione che spiega i suoi effetti esclusivamente nei rapporti interni fra le parti e crea nel nuovo titolare del diritto l’obbligo di esercitarlo soltanto nell’obbligo di esercitarlo soltanto nell’orbita della finalità determinata dal patto di fiducia” (Carresi, Il contratto, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 1987, 319).
[3] Cass. Civ., 25 maggio 2017, n. 13216.
[4] Corollario necessario dell’affermazione è rappresentato dall’operare in giudizio delle preclusioni probatorie in merito all’esistenza del patto; quest’ultimo infatti non può essere provato attraverso l’assunzione di testimoni, le presunzioni semplici, la confessione stragiudiziale e il giuramento ex artt. 2725, 2729, 2735, 2739 c.c., salva ovviamente l’ipotesi in cui si dimostri la perdita incolpevole del documento ex art. 2724, n.3, c.c. La casistica oggetto delle pronunce mostra come dato costante l’assenza dello scritto contente la pattuizione fiduciaria (ex multis Cass. Civ. Ord., 23 settembre 2019, n. 23609) ovvero la presenza della sola dichiarazione ricognitiva sottoscritta dal fiduciario accertante la propria posizione fiduciaria.
[5] Cass. Civ., 30 gennaio 1985, n. 560, in Diritto e Giurisprudenza, 1987, 268, con nota di Miola.
[6] Cass. Civ., 27 agosto 2012, n. 14654.
[7] Cass. Civ., 15 maggio 2014, n. 10633, in Giur. it., 2015, 582, con nota di Stefanelli, in Contratti, 2015, 12 con nota di Patrone.
[8] Cass. Civ., Ord., 5 agosto 2019, n. 20934, in Resp. civ. prev., I, 2015, 141 ss., con nota di Corallo.
[9] La fattispecie analizzata dalla Corte sembra rientrare nello schema della c.d. fiducia statica, comunemente ricostruita in questi termini: “il fiduciario è già titolare del diritto, eventualmente per averlo acquistato da un terzo, in nome proprio, con mezzi somministratigli dal fiduciante e si impegna ad esercitare i relativi diritti e prerogative in ossequio al patto di fiducia” (così Anelli, Simulazione e interposizione, in Trattato del contratto (Effetti), Roppo (a cura di), Milano, 2006, 622. Tradizionalmente, a questa casista, si affianca la variante della c.d. fiducia dinamica “in forza della quale la proprietà di un bene viene trasferita da un soggetto ad un altro con il patto, il cosidetto pactum fiduciae, che il secondo se ne serva per un dato fine, raggiunto il quale deve ritrasferire il bene al primo” (così Galgano, Trattato di diritto civile, II, Padova, 2014, 533).
[10] In attesa della pronuncia in esame Carnevali (Sulla forma del pactum fiduciae con oggetto immobiliare, in Contratti, 2020, I, 59 ss.) aveva proposto tale accostamento, osservando i punti di analogia tra le due figure. Cfr. anche Breccia, Forme e atti collegati, in Trattato del contratto (Formazione), Roppo (a cura di), Milano, 2006, 663.
[11] Gentili, La forma del patto fiduciario immobiliare, in Corriere giuridico, 2019, 12, 1475.
[12] Per i diversi schemi con cui può attuarsi il negozio fiduciario v. nota 9. Quanto ai diversi interessi sottesi alla dinamica negoziale, tradizionalmente si è soliti distinguere tra la fiducia cum amico e quella cum creditore. Nella prima variante il patto è stipulato tra soggetti tra cui corre un rapporto di fiducia e lealtà reciproca; nella seconda il contratto fiduciario intercorre tra debitore e creditore: il primo trasferisce il bene al secondo, con il patto che, all’atto dell’estinzione del debito, il creditore ritrasferirà il bene. Ex multis, sulla distinzione, Galgano, op. cit., 537 ss.
Quanto al profilo più strettamente causale del negozio fiduciario, accanto alla risalente posizione di coloro che negano cittadinanza alla figura in quanto lo scopo fiduciario realizza un’astrazione parziale della causa del contratto tipico utilizzato, inammissibile nel nostro ordinamento (cfr. Santoro-Passarelli, op. cit., 161 e Carresi, op. cit., 320), nei tempi recenti se ne sono contrapposte delle altre. In particolare, abbracciando una prospettiva che dalla causa astratta sembra scendere verso quella concreta, attenta dottrina ha osservato: “piuttosto che domandarsi quali fondamenti concettuali e normativi e con quali effetti possa darsi un trasferimento tout court fiduciario, sembra necessario chiedersi come reagisca sul negozio traslativo utilizzato, e se sia compatibile con i principi generali e con le regole imperative, la finalità (non già di trasferire il dominium, bensì) di garantire un credito oppure avvalersi di un’eterovestizione di un cespite quale strumento per un’attività di gestione alieno nomine” (Anelli, op. cit.,629). Segue questa chiave ricostruttiva anche Roppo, Il contratto2, in Tratt. Iudica-Zatti, Milano, 2011, 639 ss.
[13] Gentili, op. cit., p. 1478.
[14] Cass. Civ., 2 settembre 2013, n. 20051, in Corriere Giuridico, 2013, 12, 1504, con nota di Mariconda. Per una ricognizione critica della travagliata vicenda giudiziale, si rinvia sempre a Mariconda Note in tema di forma del mandato immobiliare, in Studi in onore di Giorgio De Nova, III, Milano, 2015, 1977 ss.
[15] Cfr., tra i tanti, Liserre, Formalismo negoziale e testamento, Milano, 1966, 49; Giorgianni, voce «Forma degli atti (dir. priv.)», in Enc. Giur., XVII, Roma, 1968, 1006.
[16] Breccia, op. cit., 661.
[17] Tra i tanti, ravvisa questa giustificazione, Messineo, voce «Contratto preliminare, contratto preparatorio e contratto di coordinamento», in Enc. Dir., X, Milano, 120.
[18] Per una ricognizione delle articolazioni e declinazioni del dibattito in relazione alle singole figure di atti preparatori, integrativi, modificativi, risolutivi ed estintivi che presentino connessioni con i contratti formali si rinvia a Venosta, La forma dei negozi preparatori e revocatori, Milano, 1997.
Sul versante dell’analisi dell’esperienza giurisprudenziale nota Breccia (op. cit., 658) che «non trovano conferma né l’automatica libertà della forma in tutti i casi in cui sia accertato un nesso tra contratti…né l’automatica “attrazione” del vincolo di forma, per pure esigenze di simmetria, quando i contratti siano, in vario modo, reciprocamente legati».
[19] Ex multis, Gabrielli, Il rapporto giuridico preparatorio, Milano, 1974, 146; Giorgianni, op. cit., 994; Sica , sub art. 1350 c.c., in Comm. Schlesinger, Milano, 2003, 336.
[20] Gabrielli e Franceschelli, voce «Contratto preliminare (Diritto civile)», in Enc. Giur., Roma, 1988, con postilla di aggiornamento, 1997, 7.
[21] Sacco, La forma, in Trattato dei contratti, Gabrielli e Rescigno (a cura di), Milano, 2001, 743.
[22] In questi termini R. Scognamiglio, sub art. 1333 c.c., Comm. c.c. Scialoja Branca, Bologna-Roma, 1970, 148. L’A. ritiene che accanto al principio generale di libertà della forma se ne possa individuare uno “diverso e minore, circa l’osservanza delle formalità per tutti i contratti, che attengono, seppur in linea mediata e per connessione, al trasferimento o costituzione dei diritti reali immobiliari”. Anche Gentili si esprime nei termini dell’esistenza di un “sub-principio di forma scritta degli atti su immobili, diretti e mediati, di cui all’art. 1351 c.c.” (op. cit., 1479).
[23] Per i diversi schemi, v. nota 9. La Corte, limitando la decisione allo schema considerato, sembra prospettare l’esistenza di regole formali diverse a seconda dei diversi programmi strutturati dalle parti.
[24] È utile precisare che l’obbligo di ritrasferimento ovvero di trasferimento del bene al fiduciante (a seconda che la fiducia sia dinamica o statica) costituisce dal punto di vista strutturale l’elemento essenziale del pactum fiduciae, senza il quale scompaiono i contorni della figura. Sul punto cfr. Gentili, op.cit., 1479; Roppo, op. cit., 638.
[25] Sacco, op. cit., 743.
[26] Gentili, op. cit., 1479.
[27] Così Michetti, op. cit., 1048. Un simile intento elusivo appartiene alla c.d. fiducia cum creditore, su cui supra nota n. 12.
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