CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 03/04/2020 Scarica PDF
Trasformazione dei prestiti Covid-19 in strumenti finanziari partecipativi (SFP). Un'idea per far ripartire il sistema delle imprese
Lorenzo Stanghellini e Paolo Rinaldi, Lorenzo Stanghellini, Professore ordinario di Diritto commerciale all'Università degli Studi di Firenze. Paolo Rinaldi, Dottore Commercialista in Modena1. Le misure adottate o in corso di adozione
In conseguenza dell’emergenza Covid-19 un grandissimo numero di imprese che prima erano in condizioni di normale esercizio ha urgente necessità di liquidità. A questa necessità i vari Stati europei stanno rispondendo con interventi raggruppabili in tre grandi categorie: 1) prestiti d’emergenza direttamente o indirettamente garantiti dallo Stato; 2) sospensione dei meccanismi automatici che impongono agli amministratori di società di arrestare la gestione in presenza di crisi (istanza di fallimento, responsabilità civile, cause di scioglimento); 3) congelamento (in varia misura) dei procedimenti miranti alla dichiarazione di fallimento (comunque denominato) di imprese che siano in crisi solo per effetto dell’emergenza.
L’Italia ha già adottato le misure di cui al tipo 1), prevedendo un congelamento fino al 30 settembre 2020 degli affidamenti goduti dalle imprese e la sospensione dei rimborsi di prestiti e leasing fino alla stessa data, con garanzia pubblica pari al 33 per cento degli importi oggetto delle misure (art. 56 decreto legge “Cura Italia”). Sono allo studio, inoltre, le misure dei tipi 2) e 3).
2. Il problema: al di là della liquidità, la capitalizzazione
Queste misure sono indispensabili e urgenti, ma non possono – da sole – risolvere il problema. La crisi produrrà perdite più o meno gravi alle imprese e dunque, al di là dell’emergenza sulla liquidità, produrrà un bisogno di capitale di rischio (equity) per molte di esse. Infatti, da un lato è improbabile che tutte le imprese che si avvalgono della proroga di cui all’art. 56 del d.l. “Cura Italia”) possano far fronte alle scadenze al 30 settembre (e dunque il problema è allo stato solo rimandato), dall’altro lato è verosimile che per uscire dalla crisi le imprese possano aver bisogno di nuovi finanziamenti in aggiunta a quelli già goduti alla data di entrata in vigore, ai quali potrebbero doversi sommare i rimborsi delle anticipazioni dei crediti insoluti.
Per tali nuovi finanziamenti, che per comodità definiamo “Prestiti Covid”, verosimilmente non sussiste oggi il merito di credito, nemmeno nell’accezione spostata sul lungo termine recentemente adottata dall’EBA in conseguenza della crisi [1]. L’eventuale concessione della prededuzione in caso di successivo fallimento può aiutare le banche a finanziare, ma non è certamente risolutiva per un problema che interessa non singole imprese, ma gran parte delle imprese italiane.
In sostanza, per le imprese si pone: 1) un problema di liquidità a brevissimo termine; 2) un non meno grave problema di capitalizzazione a medio termine. Le banche non possono da sole risolvere né il primo né il secondo problema, se non con concessioni di credito che espongono a rischi indebiti gli amministratori e possono mettere in pericolo la stabilità della banca.
3. Una possibile strada: la conversione dei crediti in SFP e la garanzia pubblica
Essendo impensabile ipotizzare che lo Stato entri nel capitale delle imprese, vieppiù in tempi rapidissimi come quelli che sembrano necessari al fine di evitare l’aggravarsi della crisi, una possibile soluzione potrebbe essere quella di prevedere, in presenza di determinati indici, una conversione dei Prestiti Covid in strumenti finanziari partecipativi (SFP), con possibilità della banca di cederli, a certe condizioni e a un prezzo determinato, a un veicolo pubblico che li gestisca (o a un veicolo di cartolarizzazione con garanzia statale, tipo GACS)[2].
In questo modo:
a) la banca potrebbe far credito anche in presenza di dati andamentali che non lo consentirebbero;
b) l’impresa avrebbe, in caso di necessità, capitale a lungo termine o addirittura irredimibile;
c) lo Stato impegnerebbe, e in modo indiretto, solo una parte del capitale oggi necessario a far ripartire le imprese, senza le complessità e i verosimili ritardi legati a un intervento di finanziamento diretto delle imprese.
Per fare ciò dovrebbero essere previste dalla normativa categorie standardizzate di SFP, in cui il Prestito Covid si converte in presenza di dati oggettivi che ne attestano la necessità. I Prestiti Covid dovrebbero convertirsi in:
- SFP-equity, qualora l’impresa non abbia sufficiente patrimonio[3];
- SFP-debito a lungo termine, qualora essa abbia patrimonio sufficiente e possa sopravvivere mediante un semplice allungamento delle scadenze del debito.
Verificatosi l’evento che fa scattare la conversione del Prestito Covid in SFP, la banca avrebbe il diritto di cedere lo strumento al veicolo (pubblico o privato) al prezzo prefissato, così evitando di appesantire il bilancio con esposizioni deteriorate.
4. Collocazione della misura proposta
La misura proposta si pone come complementare a eventuali forme di garanzie pubbliche ai prestiti alle imprese, di sostegno pubblico agli investimenti, e di sostegno al reddito o alla domanda. Essa ha l’unico scopo di agevolare la riattivazione del ciclo del credito compromesso dalla crisi.
La sua caratteristica distintiva rispetto ad altre possibili forme miranti allo stesso obiettivo pare la possibilità di far affluire liquidità in tempi rapidissimi, utilizzando l’infrastruttura del sistema bancario, al quale lo Stato fornisce da subito una garanzia di exit dall’esposizione deteriorata godendo tuttavia del tempo necessario per predisporre i complessi meccanismi attuativi dell’exit, del quale le banche potranno aver bisogno solo fra alcuni mesi (o anni).
Beneficiarie delle misure sarebbero ovviamente le sole imprese in crisi a causa del Covid-19, cioè quelle che, senza la crisi del Covid-19, sarebbero state in grado di redigere un bilancio “sano” riferito al 31 dicembre 2019, e non quelle che già lo erano prima.
Dato che la garanzia della cessione configura un aiuto di Stato, dovrebbe essere verificata la compatibilità con il Temporary Framework emanato il 19 marzo 2020 dalla Commissione europea[4].
Si precisa infine che viene prevista la conversione in SFP anziché in azioni o quote di capitale delle imprese affinché la misura non intervenga sugli assetti proprietari delle imprese se non in modo eventuale e marginale (sotto forma di diritti amministrativi di controllo). La conversione dei Prestiti Covid in quote di capitale potrebbe infatti far sorgere problemi di responsabilità del finanziatore (e, successivamente, del veicolo acquirente) per la gestione dell’impresa, nonché eventuali problemi legati al possesso di partecipazioni in imprese non finanziarie.
5. I punti problematici e quelli da definire
5.1) Individuazione delle caratteristiche del Prestito Covid. Per beneficiare della garanzia, il Prestito Covid dovrebbe avere determinate caratteristiche oggettive relative sia al tipo di finanziamento (verosimilmente, ma non necessariamente, prestiti a medio-lungo termine), sia all’impresa che ne beneficia, che siano accertabili con rapidità. Occorre individuare, verosimilmente per decreto, quali sono tali caratteristiche. Occorre inoltre evitare che la banca usi il Prestito Covid per “coprire” esposizioni precedenti.
5.2) Tipologie di SFP. Gli SFP dovrebbero avere regolamenti standardizzati, previsti a livello normativo. Dovrebbero essere previsti indicatori oggettivi per individuare in quale tipo di SFP (debito o equity) il Prestito Covid si converte (sufficienza/insufficienza del patrimonio), e forse dovrebbero essere previsti più tipi di SFP-debito, ad esempio in ragione del rapporto fra debito ed EBITDA (rateale o bullet, durata di 10, 15 o 20 anni). Gli strumenti di SFP-debito potrebbero prevedere il pagamento di interessi eventualmente correlato all’andamento dell’impresa.
5.3) Diritti amministrativi attribuiti dagli SFP. Gli SFP-equity dovrebbero essere dotati solo di diritti di controllo, sotto forma di nomina di un componente dell’organo amministrativo e/o di controllo. Dovrebbe essere prevista la possibilità che venga nominata una persona giuridica, in modo da non disperdere competenze e consentire al sottoscrittore di designare sempre le stesse persone della propria struttura in molte “partecipate”. È da valutare la previsione di diritti di controllo anche per gli SFP-debito.
5.4) Evento “trigger” della conversione. L’evento che fa scattare la conversione del Prestito Covid in SFP deve essere oggettivamente giustificato e verificabile. Potrebbe essere costituito dalla classificazione dell’esposizione a “inadempienza probabile” (UTP) o a sofferenza, che, pur avendo una componente valutativa, hanno parametri normativizzati.
5.5) Automaticità o meno della conversione. La conversione del Prestito Covid in SFP dovrebbe essere lasciata all’iniziativa della banca, ma si possono ipotizzare forme di automatismo.
5.6) Prezzo della cessione. Dal punto di vista della banca, l’incentivo massimo alla concessione di Prestiti Covid alle imprese si avrebbe in caso di cessione dello SFP prevista al valore nominale del credito sottostante. È tuttavia da domandarsi se in tal caso non vi sia il rischio di un moral hazard. È dunque da valutare l’opportunità di una compartecipazione della banca al rischio, sotto forma di sconto del prezzo di acquisto da parte dell’entità pubblica acquirente, individuando intal caso il livello di sconto adeguato allo scopo.
5.7) Ruolo dell’impresa al momento della cessione. L’impresa dovrebbe avere la possibilità di riacquistare gli SFP, o di indicare un soggetto disponibile ad acquistarli con prelazione. La questione potrebbe tuttavia essere legata al punto 5.6: se la cessione avviene con uno sconto consistente, potrebbe esservi un rischio di moral hazard da parte dell’impresa e/o dei suoi soci.
(*) La presente nota origina da una discussione fra Lorenzo Stanghellini e Paolo Rinaldi. Essa ha beneficiato di commenti da parte di Massimo Benedettelli, Giuseppe Ferri, Gianvito Giannelli, Fabrizio Guerrera, Giuseppe Guizzi, Marco Lamandini, Michele Perrino, Paolo Piscitello, Daniele Santosuosso, Marco Speranzin.
[1] “EBA provides clarity to banks and consumers on the application of the prudential framework in light of COVID-19 measures”, comunicato reperibile all’indirizzo https://eba.europa.eu/eba-provides-clarity-banks-consumers-application-prudential-framework-light-covid-19-measures.
[2] La possibilità di convertire in SFP dovrebbe essere prevista anche per le imprese costituite in forma di s.r.l. e per le cooperative a r.l.
[3] Secondo i principi contabili internazionali (IAS 32), se è prevista un’obbligazione di pagamento cui la società non può sottrarsi, anche solo per gli interessi, tutto l’apporto (anche il capitale) deve essere classificato come “debito”. Per essere contabilizzati nel patrimonio netto dell’impresa, pertanto, gli SFP non dovrebbero prevedere l’incondizionato pagamento di cedole.
[4] https://ec.europa.eu/competition/state_aid/what_is_new/sa_covid19_temporary-framework.pdf.
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