CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 01/04/2020 Scarica PDF
L'adeguatezza degli assetti nel codice della crisi dell'impresa
Andrea Lolli e Maria Ginevra Paolucci, Andrea Lolli, Professore Associato di diritto commerciale – Università degli studi di Ferrara. Maria G. Paolucci, Professore a contratto di diritto commerciale – Università degli studi di BolognaSommario: 1. Gli assetti organizzativi societari nell’ottica di prevenzione della crisi: inquadramento del tema e delimitazione dell’indagine. – 2. Adeguato assetto organizzativo nell’attuale disciplina. – 3. Il contenuto degli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili. – 4. Il riparto di competenze tra consiglio di amministrazione e organi delegati in tema di assetti. – 5. L’obbligo di segnalazione ex art. 14 CCII e l’istanza di composizione della crisi ex art. 19 CCII. – 6. La responsabilità organizzativa degli amministratori.
1. Con il d. lgs. 12.1.2019, n. 14 ha visto la luce il Codice della crisi e dell’insolvenza (CCII) [1], che entrerà in vigore a pieno regime, salvo proroghe, il 14.8.2020, con l’eccezione delle disposizioni in tema di modifiche al codice civile (artt. 375–379 CCII) e di garanzie in favore degli acquirenti di immobili che, a partire dal 16.3.2019, sono diritto vivente.
Gli artt. 2086, 2257, 2380 bis, 2409 novies e 2475 c.c., come modificati dal CCII, in tema di assetti organizzativi, impongono un riesame della tematica, avendo importanti ripercussioni sul ruolo degli amministratori, e più specificatamente sul rapporto tra amministratori delegati e deleganti e sulle rispettive responsabilità.
Il punto centrale è racchiuso nell’art. 375 CCII che sostituisce la rubrica dell’art. 2086 c.c., denominandola «gestione dell’impresa»[2], il cui nuovo 2° co. prevede che «l’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale», norma richiamata come un mantra negli artt. 2257, 2380 bis, 2409 novies e 2475 c.c.
Il tema dell’adeguatezza degli assetti non è nuovo, essendo già preso in considerazione nel TUF, nella l. 231/2001, nella normativa di settore, specialmente bancaria e assicurativa, nonché delle società a partecipazione pubblica (d. lgs. 175/2016, come integrato dal d. lgs. 100/2017) ed è stato recepito, con la riforma del 2003, dallo stesso codice civile, agli artt. 2381 e 2403. Il CCII ha, però, aggiunto un tassello in più al tema, innanzitutto in quanto pone l’adeguatezza degli assetti organizzativi in prospettiva finalistica, nel senso che è funzionale alla rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita di continuità aziendale e all’adozione e attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale[3]. Oggi, quindi, assume rilevo la possibilità di intraprendere azioni correttive nella fase pre-crisi (c.d. twilight zone)[4], attraverso un sistema di segnali di allerta.
Il CCII è intervenuto definendo la situazione di crisi (art. 2, co. 1°, lett a) come «lo stato di difficoltà economico finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate»[5], distinguendola dall’insolvenza vera e propria (art. 2, co. 1°, lett. b). Crisi, dunque, non esprime una situazione difficoltà attuale dell’impresa, ma una possibile difficoltà futura, rilevabile in chiave predittiva sulla base dei flussi di cassa in entrata e in uscita. Se già ante CCII, il legislatore imponeva agli amministratori, in occasione della predisposizione del progetto di bilancio, di compiere una valutazione prognostica che presuppone una pianificazione finanziaria (art. 2423 bis, 1°co, n. 1), la novità risiede nel fatto che oggi la verifica dell’adeguatezza non è più ancorata alla disciplina del bilancio, né sotto il profilo soggettivo né sotto quello temporale. Il che comporta, da un lato che sono tenuti ad effettuare tale verifica prospettica non soltanto i soggetti che devono redigere il bilancio di esercizio, ma, sicuramente, tutti gli imprenditori societari e collettivi[6] e, dall’altro lato, che la valutazione prospettica non ha più cadenza annuale, ma costituisce un dovere che incombe stabilmente sugli amministratori.
La nuova disciplina, poi ha inevitabili ripercussioni sulla responsabilità da direzione e coordinamento[7]: essendo il gruppo contraddistinto da aspetti organizzativi comuni, per non dire identici, che rappresentano “l’impronta” della capogruppo, l’inerenza degli aspetti organizzativi delle singole società del gruppo ai profili di responsabilità per attività di direzione e coordinamento non ci pare possa essere esclusa a priori.
Se è indubbio che la necessità di dotarsi di assetti organizzativi adeguati comporterà per la società un aggravio di costi destinati sia allo studio che alla predisposizione di assetti adeguati, è altrettanto sicuro che si tratta di investimenti finalizzati a rafforzare la solidità dell’impresa collettiva, sia o meno in forma societaria e, quindi, di costi organizzativi doverosi.
La nuova disciplina, in linea con quanto stabilito a livello europeo e già previsto in molti Paesi a noi vicini, in primis la Germania[8], tende ad anticipare l’emersione della crisi al fine di intervenire senza, o quantomeno con il minimo, pregiudizio per i creditori (c.d. misure win–win).
2. La necessità che l’impresa in forma di s.p.a.[9] sia dotata di assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati dà origine a una serie di obblighi diversi. Più precisamente, come già messo in luce dalla dottrina prima del CCII, si individuano tre obblighi: 1) la predisposizione degli assetti organizzativi; 2) la valutazione della loro adeguatezza; 3) il controllo. I tasselli aggiuntivi introdotti dal CCII sono, da un lato la necessità di un costante monitoraggio dell’adeguatezza degli assetti e, dall’altro lato la necessità di verificare tempestivamente gli output degli assetti organizzativi rispetto alla prognosi di una possibile crisi, con l’ulteriore conseguente obbligo nell’ipotesi in cui l’output sia di possibile crisi, del dovere di attivarsi tempestivamente per adottare ogni misura idonea al superamento della stessa.
Si rende pertanto necessario verificare come i suddetti obblighi si ripartiscano tra CDA e collegio sindacale, l’incidenza sulle rispettive responsabilità e, soprattutto, se, nel riparto di competenze tra CDA e organi delegati in tema di assetti vi siano competenze non delegabili.
Il punto di partenza è racchiuso negli artt. 2381 e 2403 c.c., che si focalizzano sulla tripartizione: “curare”, “valutare”, “vigilare”.
Dal combinato disposto dei co. 2° e 5° dell’art. 2381 c.c. si desume che la cura degli assetti è compito “normalmente” affidato agli organi delegati, scelta logica dato che, spettando loro la gestione day by day della società, sono i più idonei a percepire le concrete esigenze dell’impresa e conseguentemente a dotarla di assetti consoni[10]. Ciò non vale, però, a qualificare la competenza dei delegati come esclusiva e inderogabile, dato che l’art. 2381, 2° co. afferma che «… il consiglio può delegare proprie attribuzioni…» –e nulla esclude che lo statuto, o una delibera consigliare, riservino la cura degli assetti al plenum dell’organo – e che il successivo 3° co. stabilisce che il consiglio possa sempre impartire direttive ai delegati e avocare a sé operazioni rientranti nella delega, sottolineando il carattere sovraordinato della competenza del plenum rispetto a quella degli organi delegati. Diversamente, la “valutazione” dell’adeguatezza degli assetti deve essere considerata competenza inderogabilmente riservata all’intero consiglio di amministrazione[11], anche in considerazione del dovere generale posto dal 6° co. dell’art. 2381, di “agire informati”.
La generalizzata finalizzazione dell’adeguatezza degli assetti alla rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale determina senza dubbio alcuno una maggior responsabilizzazione del plenum del CDA, imponendogli un obbligo di costante monitoraggio sulla perdurante adeguatezza degli assetti organizzativi e ciò sia a mezzo di un costante flusso informativo tra deleganti e delegati, sia in forza di un’attività direttamente posta in essere dal plenum e/o da ciascun consigliere delegante, nell’ipotesi in cui i flussi informativi appaiano insoddisfacenti.
Infine, la “vigilanza” sull’adeguatezza degli assetti e sul suo concreto funzionamento, incombe, ex art. 2403 c.c., sul collegio sindacale. Il “novum” è che su tale organo incombe anche il dovere di segnalare in primis al consiglio di amministrazione e, laddove questo non intervenga, all’OCRI, le criticità riscontrate, che siano emerse dal corretto funzionamento degli assetti organizzativi (art. 14 CCII).
Salta subito all’occhio che oggi risulta sfumata la distinzione “contenutistica” tra la “valutazione” del CDA e la “vigilanza” del collegio sindacale, dato che entrambe gli organi sono tenuti ad accertare in via continuativa che gli assetti organizzativi siano adeguati, ovvero che la struttura organizzativa funzioni bene e sia in grado di trasmettere tempestivamente all’organo gestorio/di controllo le eventuali anomalie legate alla prospettica situazione di crisi o di perdita della continuità aziendale. Se tale prima fase della valutazione/vigilanza è speculare, resta, invece, diversa la reazione al riscontro di possibili anomalie nel senso che il collegio sindacale sarà tenuto a segnalare tali irregolarità agli amministratori e, se del caso, all’OCRI, mentre il consiglio di amministrazione dovrà attivarsi in prima persona per porvi rimedio.
In materia di adeguatezza degli assetti non può trascurarsi il tema delle possibili interferenze legate a decisioni dell’assemblea, dato che “gli atti relativi all’organizzazione della società non rientrano tra quelli inerenti all’esercizio dell’impresa”[12] e restano quindi di competenza dell’organo assembleare. Il riferimento va, in via esemplificativa, a quelle scelte quali: apertura di sedi secondarie, anche all’estero, fusioni e scissioni, modifiche dell’oggetto sociale, …, che devono/possono essere demandate all’assemblea e che possono interferire sugli assetti organizzativi, rendendone necessaria una modifica o comunque rendendo più complessa l’adeguatezza dell’assetto stesso, incidendo anche sulla sostenibilità economica della scelta necessaria per rendere tale assetto adeguato. La stessa scelta del sistema di amministrazione e controllo da adottare, di competenza dell’assemblea, ha notevoli ripercussioni sull’adeguatezza degli assetti, la cui responsabilità esclusiva è degli amministratori, con la conseguenza che questi ultimi sono tenuti a valutarla, non potendo pedissequamente attenersi al deliberato assembleare. Ci sembra, pertanto, doveroso che gli amministratori comunichino senza indugio all’assemblea l’eventuale inidoneità di scelte statutarie che impediscono la predisposizione di assetti adeguati, anche ai fini dell’emersione dei sintomi di crisi. Il che si traduce inevitabilmente in un nuovo limite ai poteri dell’assemblea.
3. La dottrina qualifica l’adeguatezza degli assetti organizzativi quale clausola generale costituente una specificazione del generale principio di corretta amministrazione[13]. L’unico parametro fissato dall’art. 2381 co. 3 per rendere più concreto il contenuto di tale clausola generale è il riferimento alla “natura e alle dimensioni dell’impresa”. A tale parametro oggi si aggiunge quello previsto dall’art. 2086 co. 2, richiamato dall’art. 2380 bis, ovvero che l’adeguatezza degli assetti deve essere funzionale alla rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale.
Già ante CCII era pacifico che un assetto organizzativo adeguato implica la procedimentalizzazione di ciascun aspetto in cui l’organizzazione aziendale può essere ripartita. In termini generali, gli assetti organizzativi riguardano gli aspetti statico – strutturali dell’organizzazione dell’impresa nel senso di configurazione di funzioni e competenze (funzionigramma), poteri e responsabilità (organigramma); gli assetti amministrativi fanno riferimento a una dimensione dinamico – funzionale dell’organizzazione, intendendosi per tale l’insieme delle procedure e dei processi atte ad assicurare il corretto e ordinato svolgimento dell’attività aziendale e delle sue singole fasi; gli assetti contabili sono, infine, quella parte degli assetti amministrativi volti a una corretta traduzione contabile dei fatti di gestione sia ai fini di programmazione, sia ai fini di consuntivazione[14].
Inevitabilmente per la predisposizione in concreto degli assetti bisogna attingere alle competenze ed alle elaborazioni proprie delle scienze aziendali, all’eventuale normativa secondaria e regolamentare applicabile all’ambito di attività, alle regole, o agli orientamenti risultanti dai codici di autodisciplina o di comportamento eventualmente adottati, nonché alle best practices del settore.
Parte necessaria di un adeguato assetto è costituita dall’organigramma che individua la collocazione del personale all’interno delle varie direzioni in cui è ripartita l’attività di impresa, ovvero, almeno all’interno della direzione generale, che va, poi, a declinarsi in direzione amministrativa, commerciale, di produzione. All’organigramma si accompagna il mansionario, o funzionigramma, che deve indicare analiticamente le operazioni che ciascuna funzione deve svolgere, fissando le relative responsabilità[15]. Ancora, un assetto adeguato non può prescindere da procedure aziendali strutturate che devono necessariamente prevedere un’attività di programmazione (ovvero di previsione a breve termine, in genere un anno) e un’attività di pianificazione (che abbraccia un periodo più lungo, di norma 3–5 anni). Detta attività di pianificazione/programmazione va a sua volta declinata nei vari settori in cui si articola l’attività di impresa, con una particolare attenzione ai profili finanziari, il tutto da realizzarsi in modo compatibile con i piani strategici della società che tengono conto degli indirizzi che l’organo amministrativo intende dare all’evoluzione dell’attività di impresa[16].
Inoltre, fa parte della struttura organizzativa il sistema delle deleghe e, quindi, il riparto dei poteri all’interno dell’organo amministrativo, su cui si tornerà, tema che necessariamente si lega a filo doppio a quello dei flussi informativi.
I flussi informativi sono per legge previsti tra gli organi delegati e gli organi deleganti in senso ascendente (art. 2381, co. 3 e 5, c.c.); affinché la struttura organizzativa possa ritenersi adeguata, occorre, tuttavia, a nostro avviso, che ciascun soggetto cui competono funzioni non solo esecutive, ma anche decisorie, sia nella disponibilità di tutte le informazioni utili a portare a termine il processo decisionale. Un ruolo centrale riveste la qualità delle informazioni, ma, soprattutto, la loro comprensibilità e pertinenza, non potendo richiedersi agli amministratori di essere tutti periti giuridici, contabili, commerciali ecc.
Sempre sotto il profilo dei flussi informativi, un assetto può ritenersi adeguato quando consente la tempestiva segnalazione spontanea di eventuali anomalie da parte dei delegati al consiglio, senza che questi debbano attivarsi per ottenere informazioni ulteriori. Sul consiglio, però, incombe un vero e proprio obbligo di richiedere informazioni più puntuali in presenza di campanelli d’allarme – ravvisabili in fattori interni (per es. ricavabili da omissione, insufficienza o falsità delle relazione e delle informative fornite dai delegati) o esterni (quali notizie di stampa, comunicati o altre iniziative delle autorità di vigilanza, degli azionisti o anche degli stakeholders) –, capaci di segnalare anomalie nella gestione, pena la responsabilità degli stessi deleganti[17]. Si pensi al caso in cui il consiglio sia a conoscenza del fatto che “circolino” notizie su una presenta difficoltà della società: è evidente che la richiesta di un supplemento informativo ai deleganti si impone, dato che l’adeguatezza degli assetti è tale se permette un tempestivo intervento per il superamento di una crisi in nuce.
Sotto il profilo del sistema dei controlli, si è ritenuto che nelle società di maggiori dimensioni sarebbe necessario articolare la funzione di controllo interno, ripartendola in risk management, compliance e internal audit[18].
L’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale in tema di assetti sino ad oggi sembra aver trascurato i riflessi dell’appartenenza ad un gruppo, tema che oggi va necessariamente considerato: da un lato, la complessità del gruppo legata agli aspetti di conflitto di interessi e di operazioni infragruppo e con parti correlate, quali i finanziamenti infragruppo, impongono una procedimentalizzazione di tali aspetti e dinamiche; dall’altro lato, la centralizzazione di alcune funzioni all’interno del gruppo, tipicamente la tesoreria, e la frequente presenza di amministratori in comune tra le varie società del gruppo fanno sì che la valutazione dell’adeguatezza degli assetti coinvolga anche strutture che possono essere esterne alla singola società del gruppo.
Come detto, il CCII pone l’adeguatezza degli assetti organizzativi al centro del sistema di prevenzione della crisi. Sotto il profilo contenutistico, l’unico elemento testuale aggiuntivo è l’indicazione di una serie di “indicatori della crisi”, rinviando però la loro concreta individuazione all’elaborazione da parte del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili (CNDCEC), ex art. 13, co 2° CCII, indici di cui in questi giorni stanno circolando le prime bozze, in fase di approvazione da parte del MISE[19], il cui impatto sugli assetti potrà essere valutato soltanto una volta che gli stessi saranno testati sul campo.
Il tema degli indicatori della crisi con valore predittivo non è del tutto nuovo, come emerge dall’art. 2428 c.c., il legislatore va ad implementare con i nuovi indici di allerta un sistema di valutazione dello stato di salute dell’attività di impresa già ad oggi presente. Tale implementazione restando ai dati “finanziari” dovrà necessariamente comportare l’incremento dei dati previsionali in termini di budget e pianificazione.
Tuttavia, a nostro avviso, la funzionalizzazione degli assetti all’emersione tempestiva della crisi comporta un ripensamento più generale degli assetti organizzativi. Da oggi in avanti l’adeguata valutazione di una pluralità di elementi eterogenei legati alla gestione, quali parte dell’assetto organizzativo, costituisce un vero e proprio obbligo nell’ottica di prevenire una possibile crisi di impresa.
Premesso che l’applicabilità della business judgement rule alle decisioni organizzative degli amministratori è tema noto e dibattuto la costruzione di un adeguato assetto organizzativo deve essere valutata secondo il parametro citato, nel senso che è possibile realizzare una pluralità di assetti organizzativi tutti adeguati, perché tutti idonei a cogliere adeguatamente i segnali di crisi[20].
È più che noto che qualunque crisi nella parte finale conclamata è crisi finanziaria.
Ciò che il legislatore richiede, imponendo che gli assetti organizzativi siano in grado di prevenire quella situazione in cui le risorse finanziarie sono insufficienti, o addirittura esaurite, è che gli stessi permettano di rilevare tempestivamente tali criticità dell’attività. Il che impone che gli amministratori predispongano una serie di protocolli diversi in relazione alle specificità dell’impresa che rendano possibile rilevare ciascuno di questi elementi critici in modo tempestivo. In via esemplificativa, si pensi alle imprese a carattere famigliare, nelle quali la gestione del passaggio generazionale rappresenta sicuramente un elemento di criticità che va rilevato: la presenza o meno di un’adeguata managerializzazione dell’organizzazione aziendale, la presenza di conflitti famigliari, sono tutti elementi che, se trascurati, possono generare la crisi dell’organizzazione e sfociare in una crisi finanziaria.
A nostro avviso non esiste un sistema organizzativo in grado di eliminare il rischio d’impresa, facendo sì che la liquidazione giudiziale dell’attività di impresa diventi una fattispecie solo teorica perché la crisi viene sempre evitata grazie agli assetti organizzativi adeguati, tuttavia il legislatore, al fine di evitare la crisi che ha caratterizzato il decennio 2008-2018, ha imposto agli amministratori l’obbligo di individuare per tempo quei fattori scatenanti che sono conosciuti e prevedibili.
Un assetto organizzativo può ritenersi adeguato quando è anche in grado di percepire i possibili rischi esterni a quell’impresa che possono influire negativamente sulla stessa. Si pensi alla crisi finanziaria globale intervenuta nel 2008 a seguito del crollo di Lehman Brothers: è un elemento che, una volta verificatosi impone alle imprese di comportarsi diversamente al momento antecedente a detto episodio.
La scelta di non specificare il contenuto degli assetti adeguati, arrestandosi alla clausola generale, ci sembra corretta, dato che ogni impresa presenta tipicità proprie, che variano in relazione alla natura e alle dimensioni. In tal modo si offre alla singola impresa la possibilità di cucirsi addosso il sistema organizzativo, amministrativo e contabile a lei meglio confacente. Seppur non testualmente previsto deve, quindi, ritenersi che la discrezionalità degli amministratori nella concreta predisposizione degli assetti adeguati debba essere guidata dal rispetto del principio di proporzionalità[21], inteso come bilanciamento tra il sacrificio dell’interesse di chi esercita l’attività d’impresa e il raggiungimento dello scopo per il quale il vincolo è posto.
4. La riforma del 2003 ha istituzionalizzato, nelle s.p.a., il ricorso alla delega di attribuzioni in seno al consiglio di amministrazione, ed ha previsto (art. 2381, co. 3 e 5) una ripartizione di attribuzioni tra organi delegati che devono “curare” gli assetti organizzativi, amministrativi e contabili, e consiglio cui spetta “valutare” la loro adeguatezza, istituzionalizzando (art. 2381, co. 5 e 6), i flussi informativi tra delegati e deleganti. Questa ripartizione di funzioni ha ripercussioni sotto il profilo delle rispettive responsabilità, specialmente perché, con le modifiche introdotte dal CCII, l’adeguatezza degli assetti è espressamente finalizzata alla “rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale”, potendo sorgere delle responsabilità da deficit organizzativo, diversamente graduate tra amministratori delegati e deleganti.
La competenza dei delegati nella cura degli assetti non è esclusiva, rientrando nella potestà del consiglio valutare l’opportunità di ricorrere alla delega. Resta, tra l’altro, fermo che, anche nel caso in cui il consiglio si avvalga della delega, la stessa non ha valore abdicativo –anche sotto un profilo di responsabilità - in relazione ai danni derivanti alla società dall’adozione da parte dei delegati di assetti inadeguati, conservando il potere di intervenire e sostituirsi ai delegati ex art. 2381, co. 3.
Dato che la delega alla cura degli assetti costituisce un obbligo specifico ulteriore imposto ai delegati, ci sembra necessario che la delibera di delega indichi in modo inequivoco tra i compiti dei delegati la cura degli assetti. Se la delibera di delega è chiara nel senso di attribuire la cura degli assetti ai delegati, infatti, non si pone il problema di determinare il concreto ambito della delega. In tal caso, riteniamo che l’obbligo incomba sui delegati, ciascuno limitatamente al segmento oggetto di delega. Il problema permane, invece, nel caso in cui la delega non attribuisca ai delegati la cura degli assetti. A nostro avviso, in tal caso non può ritenersi che questa sia comunque di competenza dei delegati, ma resti invece in capo al consiglio di amministrazione.
Riteniamo, poi, che sia da escludere che in assenza di delega, se l’assemblea o lo statuto ha nominato un direttore generale ex art. 2396 c.c., la cura degli assetti spetti a quest’ultimo, stante il disposto dell’art. 2380 bis: se la gestione organizzativa è competenza degli amministratori, non può esservi un’ingerenza da parte del direttore generale, che resta un dipendente della società[22].
Come più volte sottolineato, la valutazione dell’adeguatezza degli assetti è competenza riservata inderogabilmente al plenum del consiglio[23], che deve esercitarla in via continuativa, in modo tale da rilevare con tempestività i segnali di crisi[24].
Non sembrano esservi norme che rendano indelegabile la possibilità di attivare le procedure di allerta previste dal CCII[25]. I delegati sono coloro i quali meglio di tutti dovrebbero essere in grado di percepire i sintomi di crisi. Non siamo neppure così convinti, anzi tendiamo ad escludere, che la delega alla segnalazione presupponga la rappresentanza della società, dato che il dovere di segnalazione incombe anche su altri soggetti quali i creditori qualificati di cui all’art. 15 CCII.
5. A questo punto ci si chiede che impatto abbiano le modifiche al c.c. sugli obblighi di segnalazione all’OCRI (art. 14 CCII) e sull’istanza di composizione della crisi (art. 19 CCII). L’art. 14 è inequivoco nello stabilire che la segnalazione deve pervenire dall’organo collegialmente inteso e l’art. 19 nel riferirsi “al debitore” induce a ritenere che i suddetti atti d’impulso debbano avere la forma di una decisione collegiale dell’organo amministrativo.
Come deve comportarsi l’eventuale amministratore dissenziente nell’ipotesi in cui la maggioranza decida di non effettuare la segnalazione/istanza? Sui dissenzienti incombe l’obbligo di far annotare il proprio dissenso ex art. 2392 ult. co., dandone notizia al Presidente del collegio sindacale, fermo restando il dubbio se i suddetti possano/debbano comunque ricorrere all’OCRI individualmente.
Premesso che all’oggi il sistema è ancora “fluido”, dato che gli indici di allerta non sono ancora stati elaborati in via definitiva, dalle bozze che stanno circolando, sembra potersi desumere che tale obbligo sia sicuramente da escludere tutte le volte in cui i segnali di allerta siano opinabili, al punto dal poter essere dei falsi positivi. Più controversa è invece l’ipotesi in cui l’indizio della crisi consista in un dato numerico oggettivo. In tale ipotesi, il tenore degli artt. 14 e 19 e la natura numerica dell’indizio di crisi, paiono imporre la segnalazione/istanza all’OCRI da parte dell’organo. A nostro avviso non sembra possibile ritenere che l’obbligo esistente in capo all’organo possa traslare sul singolo amministratore dissenziente. Considerando che l’art. 2388 co. 4 consente ai dissenzienti (e agli assenti) la possibilità di impugnare la delibera non conforme alla legge, potrebbe affermarsi che i dissenzienti possano impugnare la delibera consiliare, se ritengono che la delibera concreti una violazione di legge. Alla luce della gravità delle conseguenze, -anche penali- che possono prodursi in caso di omessa segnalazione/istanza, l’amministratore dissenziente, potrebbe optare per l’uscita dal CDA, rassegnando le proprie dimissioni.
Poiché l’obbligo di segnalazione all’OCRI è una competenza delegabile, non vi sono ostacoli a che la segnalazione venga effettuata dai delegati. Nella pratica, tuttavia, una decisione così carica di conseguenze non verrà presa senza preventivamente informare l’organo consiliare e senza aver ottenuto una previa delibera di conferma.
Deve infine considerarsi l’ipotesi in cui, la delega preveda che il delegato prima di fare un’eventuale segnalazione all’OCRI ne informi il consiglio. Se il plenum, debitamente informato, non condivide la decisione del delegato, avocherà a sé la decisione. L’amministratore delegato in disaccordo potrà far annotare il proprio dissenso ed impugnare la delibera.
6. La “ricetta” del legislatore per affrontare la crisi consiste quindi nell’imporre più struttura alle imprese e prevedere più controlli da parte dell’autorità giudiziaria a mezzo di professionisti, con inevitabile aggravio in termini di costi per le imprese, per strutturarsi.
Viene da chiedersi se tali obblighi determinano un aggravamento o un alleggerimento della responsabilità degli amministratori[26].
La risposta potrebbe essere: dipende se sono stati creati o meno assetti organizzativi adeguati. Premesso che allo stato gli indici elaborati dal CNDCEC con funzione predittiva sono ancora in fase di approvazione, come risultato della applicazione degli stessi avremmo “l’aggiunta”, a disposizione degli amministratori, di un elemento di controllo e prevenzione del rischio nel valutare la “solvibilità” dell’impresa. E dunque avremmo un certo numero di casi in cui, in forza dei risultati di detti indici, gli amministratori potrebbero mettere in discussione l’opportunità di proseguire nell’attività d’impresa .
In alcuni di questi casi, dunque, si arriverà ad un’emersione anticipata della crisi e ad una fuoriuscita dell’impresa dal tessuto produttivo. In altri, auspicabilmente, ad una risoluzione della crisi con la continuazione dell’attività d’impresa risanata senza aggravi di responsabilità.
Resta da esaminare l’ulteriore ipotesi, in cui, nonostante la presenza di indici negativi, gli amministratori decidano di proseguire nell’attività di impresa, ipotesi che deve essere ulteriormente declinata in una prima casistica in cui la scelta di proseguire l’attività di impresa è motivata dal fatto che gli indici non sarebbero adeguati a quella specifica impresa in ragione delle sue peculiarità; una seconda e diversa casistica, in cui la scelta di disattendere detti indici è del tutto priva di motivazione.
Ad eccezione di quest’ultimo caso, sembra lecito affermare che al manifestarsi della crisi gli amministratori si trovino, in punto di responsabilità, in una condizione migliore, a seguito della riforma rispetto a quella attuale. La scelta di adeguarsi a quanto emerge dagli indici e di rispettare il percorso di allerta dovrebbe, quindi, essere premiata –in mancanza di ulteriori specifici episodi- dal riconoscimento di un’assenza di responsabilità per quanto legato al manifestarsi della crisi tempestivamente rilevata.
Quindi, la posizione dell’amministratore dovrebbe essere alleggerita, seppur, al prezzo di: a) esporre l’impresa alle conseguenze del manifestarsi della crisi, nel senso che l’attivazione della procedura di composizione della crisi denota una situazione di difficolta che viene inevitabilmente percepita dal mercato, che può condurre ad accelerare una crisi non ancora conclamata, anziché prevenirla; b) portare, comunque, alla liquidazione una parte delle imprese che secondo gli indicatori della crisi si appalesino come imprese in difficoltà, e ciò tutte le volte in cui l’OCRI e/o amministratori e sindaci non riescano a trovare delle soluzioni condivise che appaiano risolutive rispetto allo stato di crisi.
Il tema più delicato sotto il profilo della responsabilità concerne la possibilità di coinvolgere gli amministratori nella crisi sostenendo che gli assetti organizzativi erano soltanto in apparenza adeguati, e quindi che la struttura organizzativa presente non ha rilevato la crisi perché inadeguata.
Considerando che l’adeguatezza degli assetti è una clausola generale che per definizione dipende “dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa” il rischio di un giudizio a posteriori negativo sulla reale adeguatezza della struttura organizzativa è tutt’altro che trascurabile[27]. Potrebbe aprirsi così la strada ad un ragionamento di questo tipo: se la struttura organizzativa fosse stata adeguata sarebbe stata in grado di cogliere i segnali della futura crisi, ma dal momento che si è pervenuti ad una situazione di crisi conclamata, ovvero che non si sia riusciti ad evitarla con interventi nella c.d. twilight zone, significa che la struttura organizzativa non era adeguata. A nostro avviso, l’intento del legislatore di anticipare l’emersione della crisi non può essere interpretato nel senso che se le regole vengono rispettate non si arriva mai ad una situazione di insolvenza e che, quindi, la liquidazione dell’impresa in una situazione di deficit patrimoniale sia figlia di un errore gestionale. Così ragionando si perverrebbe all’inconcepibile conclusione che un’impresa ben gestita non possa andare in liquidazione giudiziale. Una tale interpretazione, infatti, si scontra con lo spirito della riforma.
Riteniamo che una visione equilibrata della responsabilità degli amministratori in relazione agli assetti adeguati nell’ottica di prevenzione della crisi, che tenga conto del non eliminabile rischio di impresa, dovrebbe essere termini di alleggerimento della responsabilità in presenza di comportamenti connotati da diligenza e prudenza.
Resta da definire il tema della responsabilità degli amministratori privi di delega rispetto agli amministratori dotati di funzioni esecutive. Se in termini generali la responsabilità degli amministratori “adempienti” si va alleggerendo -interpretando correttamente il testo di legge- in forza dell’esistenza di una struttura organizzativa, la responsabilità del corretto funzionamento della struttura organizzativa fa fatica ad essere ripartita in quote diseguali tra deleganti e delegati.
L’esistenza di un’organizzazione adeguata, la valutazione della sua adeguatezza sono tutti elementi rispetto ai quali nessun amministratore può tirarsi fuori. Rispetto alla situazione ante CCII che ripartiva la responsabilità tra delegati e deleganti sembrerebbe : a) che questo schema non sia applicabile rispetto al tema della valutazione della adeguatezza della struttura organizzativa, che è compito non delegabile; e b) che detto “scarico” di responsabilità sia possibile unicamente nei confronti di detta (adeguata) struttura organizzativa, che una volta presente e monitorata assume il compito di dare le informazioni sulla esistenza o meno dello stato di crisi.
Viene da chiedersi, in quest’ottica, se sia concepibile una responsabilità (o quantomeno un concorso) degli appartenenti a questa struttura organizzativa per negligenza.
In ultimo, viene spontaneo, fare un raffronto tra quanto dovrà essere valutato nelle società di capitali in seguito alla riforma in essere e quanto già operante nelle società bancarie ed assicurative, dove, rispetto al rischio di credito, il legislatore ha previsto l’obbligatorietà di una struttura organizzativa adeguata [28]. Orbene, non vi è stato neanche un caso di banche in dissesto i cui amministratori non sono stati chiamati in responsabilità per negligenza.[29]
Con riferimento agli organi di controllo deputati ad effettuare ispezioni sulle banche e sulle imprese di assicurazione anche e specificamente con riguardo alla loro solidità patrimoniale, preme rilevare che non risultano casi in cui gli ispettori della Banca d’Italia, e/o altri organi di nomina giudiziale siano stati chiamati a rispondere proprio della loro incapacità di porre in essere interventi correttivi nel corso della loro ispezione. Anche sotto tale aspetto, e con riguardo all’aumento del numero dei controllori ci si chiede se sia corretto e sensato aumentare il numero di quelli che sono chiamati ad intervenire sulla crisi senza sopportare alcuna responsabilità per i propri comportamenti e per le proprie decisioni.
Che la presenza di un’organizzazione ben strutturata non sia in grado di mettere al riparo gli amministratori dalla loro chiamata in responsabilità e che, dall’altra parte, i controllori “giudiziali” o espressione dell’autorità di vigilanza non siano mai responsabili del dissesto dei soggetti che erano chiamati a vigilare, è circostanza che merita qualche riflessione in relazione alle nuove regole in materia di adeguatezza della struttura organizzativa in funzione della prevenzione della crisi.
Se dovesse, infatti, replicarsi quanto accade nel settore bancario, dovremmo dire che l’adeguatezza della struttura organizzativa non mette mai al riparo gli amministratori dalla loro responsabilità per la crisi e quindi che, se la crisi si produce, la presenza o meno di una struttura organizzativa adeguata nel periodo pre-crisi diviene un elemento irrilevante per di escludere la responsabilità dell’organo amministrativo, perlomeno in tutti i casi in cui tale struttura non è riuscita ad impedire il suo verificarsi.
Conclusione questa in piena contraddizione con i propositi del legislatore, secondo cui la procedura di liquidazione giudiziale non dovrebbe più spaventare né imprenditori né amministratori a partire dal nome che le si è attribuito.
Se quanto sopra corrisponde al vero, allora si pone agli interpreti il problema di come fare per ottenere un atteggiamento nei confronti dell’organo amministrativo che si sia comportato correttamente più rispettoso della professionalità dimostrata, ovvero per ottenere un atteggiamento degli organi di controllo e gestione della crisi che, da un lato, li faccia astenere da azioni risarcitorie che hanno come presupposto la volontà di recuperare attivo a prescindere dall’esistenza di colpe dei soggetti convenuti e che, dall’altro lato, li possa vedere in relazione ai comportamenti da loro tenuti, come possibili corresponsabili della crisi tutte le volte in cui il loro comportamento ha determinato tale effetto.
* Andrea Lolli, Professore Associato di diritto commerciale – Università degli studi di Ferrara, ha redatto i paragrafi 2, 3 e 6; Maria Ginevra Paolucci, Professore a contratto di diritto commerciale – Università degli studi di Bologna, ha redatto i paragrafi 1, 4 e 5. Lo scritto è pubblicato in Spagna, in versione tradotta, in Revista de Derecho Concorsual, n. 32–2020.
[1] A livello comunitario si segnala la recente Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, (in G.U. UE del 26.6.2019, L 172/18), che modifica la Direttiva (UE) 2017/1132.
[2] V. Spolidoro, Note critiche sulla «gestione dell’impresa» nel nuovo art. 2086 c.c. (con una postilla sul ruolo dei soci), in Riv. soc., 2/2019, pagg. 262 ss.
[3] Mazzoni, Procedure concorsuali e standard internazionali: norme e principi di fonte Uncitral e Banca mondiale, in Giur. Comm., 1/2018, I, pagg. 43 ss.; Hannan, Cross–Border Insolvency. The Enactment and Interpretation of the UNCITRAL Model Act, Singapore, 2017; Mevorach, The Future of Cross–Border Insolvency. Overcoming Biases and Closing Gaps, Oxford, 2018.
[4] Rossi, Dalla crisi tipica ex CCII alla resilienza della twilight zone, in Fall., 3/2019, pagg. 291 ss.; Benazzo, Il Codice della crisi di impresa e l’organizzazione dell’imprenditore ai fini dell’allerta: diritto societario della crisi o crisi del diritto societario? In Riv. soc., 2–3/2019, pagg. 274 ss.
[5] Rocco di Torrepadula, Aspetti della crisi d’impresa, in Dir. fall. e delle procedure concorsuali, 6/2018, I, pag. 1109; Verna, Strumenti per il nuovo assetto organizzativo delle società, in Società, 8–9/2019, pag. 930.
[6] Per i problemi posti dalla nuova disciplina in relazione alla governance delle società di persone e delle s.r.l., Riolfo, Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza e le modifiche al codice civile: il diritto societario tra “rivisitazione” e “restaurazione”, in Contr. impr., 2/2019 pagg. 400 ss.; Fauceglia, Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2019, pagg. 227 ss.; Abriani – Rossi, Nuova disciplina della crisi d’impresa e modificazioni del codice civile: prime letture, in Società, 4/2019, pagg. 399 ss.
[7] Il CCII, per la prima volta, detta una disciplina del gruppo di imprese in ambito concorsuale, v. Scognamiglio, I gruppi di imprese nel CCII: fra unità e pluralità, in Società, 4/2019, pagg. 413 s.
[8] J.J. du Plessis, B. Großfeld, C. Luttermann, I. Saenger, O. Sandrock, M. Casper, German Corporate Governance in International and European Context, Heidelberg, 2012, pag. 82.
[9] Il presente lavoro prende in esame il tema degli assetti organizzativi rispetto alle funzioni esercitate dagli organi amministrativi e di controllo a prescindere dal modello di organizzazione (tradizionale, monistico o dualistico) adottato.
[10] Zanardo, La ripartizione delle competenze in materia di assetti organizzativi in seno al consiglio di amministrazione, in Irrera (diretto da), Assetti adeguati e modelli organizzativi, Bologna, 2016,pag. 255.
[11] V. Montalenti, I principi di corretta amministrazione: una nuova clausola generale, in Irrera (diretto da), Assetti adeguati e modelli organizzativi, cit., pag. 6 e 14.
[12] Calandra Buonaura, L’amministrazione della società per azioni nel sistema tradizionale, Torino, 2019, pag. 65.
[13] Montalenti, Diritto dell’impresa in crisi, diritto societario concorsuale, diritto societario della crisi, in Giur. Comm., 1/2018, I, 75 s.; Cerrato – Peira, Risikogesellschaft e corporate governance: prolegomeni sulla costruzione degli assetti organizzativi per la prevenzione dei rischi. Il caso delle imprese agroalimentari, in Riv. soc., 1/2019, p. 184.
[14] V. Assonime, n. 19/2019 del 2.8.2019 «Le nuove regole societarie sull’emersione anticipata della crisi».
[15] Bianchi, L’organigramma e il mansionario, in Irrera (diritto da), Assetti adeguati e modelli organizzativi, cit., pagg. 159 ss.
[16] Bianchi, Procedure aziendali, in op. ult. cit., pagg. 181 ss.
[17] Cass. 22 marzo 2019, n. 8237, in www.pluris.it; Trib. Catanzaro, sez. spec. Imprese, 16 novembre 2018, in Società, 6/2019, pag. 745; Cass. 26 settembre 2019, n. 24081, in www.pluris.it.
[18] V. Montalenti, Amministrazione e controllo nella società per azioni tra codice civile e ordinamento bancario, in BBTC, 6/2015, pagg. 707 ss.
[19] V. Ranelli, Definiti gli indici della crisi e il percorso di rilevazione dei suoi fondati indizi, in Ilfallimentarista.it.
[20] Sul tema Benedetti, L’applicabilità della business judgement rule alle decisioni organizzative degli amministratori, in Riv. soc., 2–3/2019, pagg. 413 ss. e riferimenti ivi citati.
[21] De Mari, Gli Assetti organizzativi societari, in Irrera (diritto da), Assetti adeguati e modelli organizzativi, cit., pagg. 24 ss.; Jans, Proportionality Revisited, in Legal Issues of Economic Integration 27 (3), 2000, p. 239 ss; Sauter, Proportionality in EU law: a balancing act? TILEC Discussion Paper no. 2013–003, 2013; C. Giust UE, 20.12.2017, C–277–16, Polkomtel sp. Zo.o. c. Prezes Urzedu Komunikacji Elektronicznej, in www.pluris.it.
[22] Contra, Irrera, Profili di corporate governance della società per azioni, tra responsabilità, controlli e bilancio, Milano, 2009, pag. 35 s.
[23] Abriani, Assetti organizzativi delegabili a singoli amministratori, in Sole24ore, 28 settembre 2019, 16.
[24] Nigro, Il “diritto societario della crisi”: nuovi orizzonti?, in Riv. soc., 5–6/2018, pag. 1218 s..
[25] Spolidoro, Procedure d’allerta, poteri individuali degli amministratori non delegati e altre considerazioni sulla composizione anticipata della crisi, in Riv. soc., 1/2018, pagg. 174 ss..
[26] Sul tema, Bonelli, La responsabilità degli amministratori, in Colombo – Portale (diretto da), Trattato delle società per azioni, IV, Torino, 1991, pagg. 398 ss; Calandra Buonaura, op. cit., pagg.329 ss.
[27] Amatucci, Adeguatezza degli assetti, responsabilità degli amministratori e Business Judgment rule, in Giur. comm., 5/2016, I, 643 ss.
[28] Vicari, Amministratori di banche e gestione dei crediti, in Giur. comm., 4/2018, I, pagg. 571 ss.
[29] Nei casi di Tercas, Banca Etruria, Banca delle Marche, Banca Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Carife, Popolare di Chieti e Banca di Romagna è stata esperita azione di responsabilità.
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