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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 10/01/2020 Scarica PDF
L'art. 1, comma 138 L. 124/2017 e la sopravvenuta momentanea incertezza del credito per canoni scaduti
Maria Laura Ficola, Avvocato in SpoletoSommario: 1. Cenno introduttivo. – 2. L’attuale contesto normativo con riferimento al contratto di locazione finanziaria: la legge 124 del 4 agosto 2017, art. 1 commi 136-140. – 3. Il contesto giurisprudenziale pre e post legge 124/2017, ‘passando’ per l’art. 72 quater L.F. – 3.1. Il tradizionale orientamento della Cassazione basato sulla distinzione tra ‘leasing di godimento’ e ‘leasing traslativo’. – 3.2. Il mantenimento del tradizionale orientamento della Cassazione (‘leasing di godimento’/’leasing traslativo’), anche dopo l’introduzione dell’art. 72 quater L.F. – 3.3. Le ‘voci’ di dissenso nella giurisprudenza di merito, all’indomani della introduzione dell’art. 72 quater L.F. – 3.4. Il nuovo indirizzo interpretativo inaugurato dalla Cassazione a partire dalla pronuncia n. 8980 del 29 marzo 2019 in ordine alla generale applicabilità della novella 124/2017, e prima di questa dell’art. 72 quater L.F. – 4. La specifica disciplina degli effetti conseguenti alla risoluzione del contratto di locazione finanziaria contenuta nell’art. 1 comma 138 e comma 139 della legge 124/2017. – 5. La verifica dell’impatto delle previsioni contenute nell’art. 1, comma 138 della 124/2017 sulla domanda di pagamento dei canoni scaduti promossa dalla concedente prima della risoluzione e restituzione del bene. Soluzioni prospettabili. – 5.1. Prima IPOTESI TIPO. – 5.2. Seconda IPOTESI TIPO. – 6. Considerazioni conclusive.
1. – Cenno introduttivo.
Le riflessioni oggetto di questo scritto muovono dalla specifica finalità di verificare quale sia l’impatto che le previsioni contenute nell’art. 1 comma 138 della legge 124/2017 – e che dettano la disciplina della risoluzione anticipata del contratto di locazione finanziaria e dei conseguenti effetti nei rapporti anche economici tra le parti – hanno sulla domanda giudiziale di pagamento dei canoni scaduti che il concedente (banca o intermediario finanziario ex art. 106 TUB) ha promosso nei confronti dell’utilizzatore e/o del suo garante prima della intervenuta dichiarazione di risoluzione del contratto ad opera del medesimo concedente e della restituzione del bene o anche in concomitanza a tali fatti.
2. – L’attuale contesto normativo con riferimento al contratto di locazione finanziaria: la legge 124 del 4 agosto 2017, art. 1 commi 136-140.
Come è noto, con l’art. 1 commi 136-140 della legge 124 del 4 agosto 2017 (Legge annuale sul mercato e la concorrenza, entrata in vigore in data 29 agosto 2017) il legislatore è intervenuto per la prima volta per regolamentare il contratto di locazione finanziaria stipulato dal cliente con banche e/o intermediari finanziari iscritti all’albo di cui all’art. 106 del Testo Unico Bancario. Con questo intervento normativo il legislatore:
· ha fornito una definizione unitaria dell’operazione di locazione finanziaria incentrata sulla causa di finanziamento del contratto, e ove il bene oggetto di concessione di utilizzo assume una funzione di garanzia ‘impropria’ della restituzione del finanziamento concesso al cliente da intermediari abilitati, rilevante nella logica sottesa al contratto (comma 136);
· ha disciplinato gli aspetti della risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore al pagamento dei canoni; e ciò sia in termini di presupposti al ricorrere dei quali può essere dichiarata la risoluzione (comma 137), sia in termini di effetti conseguenti a tale fatto, in uno con la restituzione del bene, nei rapporti anche economici tra le parti (comma 138, e su cui v. infra § 4.);
· ha regolamentato la procedura di ricollocazione sul mercato del bene oggetto del contratto risolto da parte del concedente sulla base dei valori risultanti da pubbliche rilevazioni di mercato ovvero previa stima del valore del bene da effettuarsi nel contraddittorio tra le parti da parte di perito indipendente e ai valori di mercato (comma 139);
· ha coordinato infine la disciplina generale contenuta in queste previsioni normative con altri interventi settoriali attuati in precedenza in relazione a particolari ipotesi (art. 72 quater L.F. in ambito fallimentare e art. 1, commi 76-81 della Legge 208/2015 in ambito di leasing immobiliare abitativo) e di cui vengono fatte salve le relative disposizioni di legge (comma 140).
3. – Il contesto giurisprudenziale pre e post legge 124/2017, ‘passando’ per l’art. 72 quater L.F.
Va dato conto che sino all’emanazione dell’art. 1 commi 136-140 della legge 124/2017 nel nostro ordinamento non esisteva una disciplina specifica del contratto di locazione finanziaria (o leasing finanziario), benché lo stesso fosse oggetto di alcune disposizioni legislative settoriali; tra cui, in particolare, vanno ricordate le disposizioni inserite, in ambito fallimentare, all’art. 72 quater L.F.[1] (come introdotte con il D.lgs 5/2006) e le disposizioni contenute nell’art. 1, commi 76-81 della legge 208/2015[2] afferenti la disciplina della peculiare ipotesi del leasing immobiliare abitativo[3].
Sino all’emanazione della novella dell’agosto del 2017 il contratto di locazione finanziaria veniva pertanto ancora comunemente qualificato come un contratto atipico o innominato, ancorché molto diffuso nella prassi (tanto da essere da alcuni definito anche come un ‘contratto socialmente tipico’).
3.1. – Il tradizionale orientamento della Cassazione basato sulla distinzione tra ‘leasing di godimento’ e ‘leasing traslativo’.
La giurisprudenza chiamata a pronunciarsi sulla disciplina applicabile a questa peculiare fattispecie negoziale, e in particolare sulla disciplina afferente la risoluzione anticipata del contratto e i conseguenti effetti nei rapporti tra le parti, aveva risolto la questione muovendo, in assenza di una specifica normativa ‘civilistica’ di riferimento, dalla distinzione – rinveniente nelle note pronunce della Cassazione risalenti al 1989[4], come confermate dalle S.U. n. 65 del 7/01/1993 – tra ‘leasing di godimento’ e ‘leasing traslativo’, da ricavarsi in funzione della causa concreta perseguita dalle parti[5].
Secondo questa impostazione, assolutamente prevalente in giurisprudenza (in particolare della Cassazione[6]), mentre per il ‘leasing di godimento’ trova applicazione, in via analogica, la disciplina generale della locazione e per l’ipotesi di risoluzione anticipata del contratto quella prevista dall’art. 1458 c.c., invece per il ‘leasing traslativo’ il paradigma normativo di riferimento è da ricondursi, sempre in via analogica, alla disciplina della vendita con riserva di proprietà, con applicabilità in ipotesi di risoluzione anticipata del contratto e regolamentazione degli effetti conseguenti a tale fatto nei rapporti tra le parti della disposizione dell’art. 1526 c.c. (e a mente della quale, come noto, in caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore-compratore, il concedente-proprietario deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto a un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del maggior danno).
Sotto questa ottica per la giurisprudenza consolidata l’art. 1526 c.c. è norma inderogabile, trattandosi di disposizione imperativa, che ha valore di principio generale di tutela di interessi omogenei e di strumento di controllo dell’autonomia negoziale delle parti, da ritenersi prevalente e non sussidiaria rispetto alla volontà delle parti[7]; tanto da comportare la sua applicazione una declaratoria di nullità ovvero, secondo altri, una disapplicazione ad opera del giudice di tutte quelle pattuizioni predisposte dai concedenti nei modelli di contratto di leasing qualificati come traslativi e ‘congegnate’ in modo da eludere e/o aggirare – in quanto finalizzate, più o meno velatamente (come è stato nella maggioranza dei casi) ad ingenerare indebiti vantaggi per il concedente in danno all’utilizzatore – il principio generale di ordine pubblico di indebito arricchimento sotteso all’art. 1526 c.c.[8].
L’orientamento espresso dalla giurisprudenza muove dal presupposto della peculiare natura del contratto di locazione finanziaria (avente natura traslativa) ove il bene (rectius: il valore economico del bene) assume una rilevanza centrale nella logica sottesa alla operazione di finanziamento oggetto di contratto, tanto da doverlo considerare in una ottica di necessario riequilibrio sinallagmatico delle prestazioni delle parti una volta che il bene, su cui è costruita l’operazione, venga restituito al concedente in conseguenza della risoluzione anticipata del contratto, e dal concedente, pertanto, definitivamente riacquisito nel proprio patrimonio con tutte le utilità presenti e future, perdendo, per contro, l’utilizzatore ogni forma di controllo oltre che di utilizzo del bene medesimo.
3.2. – Il mantenimento del tradizionale orientamento della Cassazione (‘leasing di godimento’/’leasing traslativo’), anche dopo l’introduzione dell’art. 72 quater L.F.
Il tradizionale orientamento della Cassazione (incentrato sulla distinzione tra ‘leasing di godimento’ e ‘leasing traslativo’, con le conseguenti differenti discipline) ha continuato a persistere, in ambito fallimentare, anche a seguito della introduzione con il D.lgs 5/2006 dell’art. 72 quater L.F.
Secondo la Cassazione, come evidenziano le pronunce rese dopo il 2006[9], l’art. 72 quater L.F. è norma eccezionale dettata espressamente per disciplinare la sola ipotesi di scioglimento del contratto di locazione finanziaria ‘pendente’ al momento del fallimento dell’utilizzatore (tanto da essere inserita nella parte afferente la regolazione dei ‘rapporti pendenti’ di cui all’art. 72 L.F., come richiamato nella prima parte della disposizione), e in conseguenza di una scelta operata dal curatore di non subentrare nel rapporto; non estensibile neppure in via analogica ad altre ipotesi strutturalmente diverse, quale è la risoluzione per inadempimento del contratto prima della dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore. Pertanto, nel caso in cui il contratto sia stato risolto per inadempimento dell’utilizzatore al pagamento dei canoni prima dell’apertura della procedura di fallimento (e ove per definizione il curatore non ha alcuna scelta di subentrare o meno nel rapporto, dato che si trova di fronte ad un contratto già cessato), la distinzione tra ‘leasing di godimento’ e ‘leasing traslativo’ conserva la sua validità anche in ambito fallimentare secondo il tradizionale orientamento espresso in giurisprudenza e il concedente può far valere nei confronti della curatela la domanda di risoluzione del contratto ex art. 1458 c.c. (in ipotesi di ‘leasing di godimento’) o ex art. 1526 c.c. (in ipotesi di ‘leasing traslativo’), con le relative conseguenze; resta per contro esclusa la possibilità di un ricorso in via analogica all’art. 72 quater L.F., dato che la disciplina ivi contenuta non ha natura sistematica e valenza extra-fallimentare.
Per questo orientamento dalla introduzione dell’art. 72 quater L.F. non si può ricavare, data la specialità dell’intervento normativo, l’intento del legislatore di accogliere al di fuori della fattispecie ivi espressamente regolata una nozione ‘generalmente’ unitaria del contratto di locazione finanziaria, che resta difatti confinata alla sola particolare ipotesi di scioglimento del contratto in conseguenza del fallimento dell’utilizzatore e per volontà espressa dal curatore. Da qui, peraltro, la necessità di continuare a regolare gli effetti (considerati di natura ‘risarcitoria’) conseguenti al fatto generatore della risoluzione del contratto avvenuta prima dell’apertura della procedura fallimentare dell’utilizzatore, facendo ricorso in caso di ‘leasing traslativo’ all’applicazione in via analogica della norma generale di cui all’art. 1526 c.c. nella determinazione dei rapporti di dare/avere tra concedente e curatore, oltre che per le modalità di insinuazione al passivo dei relativi crediti; per converso gli effetti (considerati invece di natura ‘restitutoria’) conseguenti allo scioglimento del contratto per l’intervenuto fallimento dell’utilizzatore e successiva scelta del curatore di non proseguire il rapporto sono regolati secondo la particolare procedura prevista dall’art. 72 quater L.F., valevole sia per il ‘leasing di godimento’ che per il ‘leasing traslativo’[10].
3.3. – Le ‘voci’ di dissenso nella giurisprudenza di merito all’indomani della introduzione dell’art. 72 quater L.F.
Deve tuttavia darsi conto del diverso orientamento espresso all’indomani della introduzione dell’art. 72 quater L.F. da una parte della giurisprudenza di merito[11], in controtendenza rispetto a quello assunto dalla giurisprudenza di legittimità, e per cui, a dispetto della collocazione sistematica della norma (nell’ambito dei ‘rapporti pendenti’ di cui all’art. 72 L.F.), con l’art. 72 quater L.F. il legislatore avrebbe inteso in realtà disciplinare gli effetti della risoluzione del contratto di locazione finanziaria per l’inadempimento dell’utilizzatore anche in bonis, dal momento che le regole ivi espresse trarrebbero fondamento dal profilo tipologico, ormai unitario, del contratto piuttosto che dalla circostanza esteriore ed eventuale del fallimento, non risultando per converso ammissibile un diverso trattamento delle relative ipotesi (sostanzialmente equivalenti, dato che si tratta, in entrambi i casi, di situazioni patologiche del contratto) che si fondi solo su un criterio di distinzione ‘temporale’ (cessazione del contratto pre o post fallimento). Con questa disposizione (e a prescindere dalle ulteriori nuove problematiche sorte, anche sotto un profilo applicativo, in ragione della ‘vaghezza’ della formulazione della norma di legge[12]), il legislatore avrebbe pertanto manifestato la volontà di superare la tradizionale distinzione di creazione giurisprudenziale tra ‘leasing di godimento’ e ‘leasing traslativo’ (con abbandono in quest’ultimo caso del ricorso in via analogica alla norma civilistica di cui all’art. 1526 c.c.) per accogliere una definizione unitaria del contratto, incentrata sulla causa di finanziamento e non di scambio; da qui l’impossibilità di continuare a sostenere una distinzione di disciplina in ordine agli effetti conseguenti alla cessazione patologica del rapporto, a seconda che sia avvenuta prima del fallimento dell’utilizzatore o in conseguenza del fallimento, e che vanno paritariamente regolati, in particolare in ambito fallimentare, sempre in applicazione dei criteri espressi (in ipotesi di risoluzione del contratto prima del fallimento in via analogica) dall’art. 72 quater L.F., quale norma considerata di carattere (anche) extra-fallimentare.
L’orientamento fatto proprio da parte dei giudici di merito a seguito della introduzione dell’art. 72 quater L.F. nel senso sopra espresso ha trovato maggior conforto, oltre che a seguito dell’emanazione delle disposizioni della legge 208/2015 in ambito di leasing immobiliare abitativo, anche dopo l’introduzione della legge 124/2017, art. 1 commi 136-140. La novella è stata infatti considerata quale ultima espressione di un percorso normativo già da tempo avviato dal legislatore (e anticipato dall’introduzione in ambito fallimentare dell’art. 72 quater L.F., oltre che dalle norme della legge 208/2015) teso a fornire, sul presupposto di una nozione unitaria del contratto di locazione finanziaria incentrata sulla causa di finanziamento, una specifica disciplina della risoluzione anticipata di questa fattispecie negoziale, ormai definitivamente tipizzata, e degli effetti che ne conseguono nei rapporti economici tra le parti, svincolata dalla distinzione di creazione giurisprudenziale incentrata sulla natura del contratto in funzione della causa concreta perseguita dalle parti e del valore residuo del bene concesso in utilizzo; con ciò, pertanto, non risultando più giustificato il ricorso in via analogica alle disposizioni del codice civile per la regolazione degli effetti della risoluzione secondo la tradizionale dicotomia ‘leasing di godimento’/ ‘leasing traslativo’, data anche la specifica disciplina dettata, in linea generale, dalla legge 124/2017.
3.4. – Il nuovo indirizzo interpretativo inaugurato dalla Cassazione a partire dalla pronuncia n. 8980 del 29 marzo 2019 in ordine alla generale applicabilità della novella 124/2017 e prima di questa dell’art. 72 quater L.F.
In questo contesto anche la Cassazione, a partire dal marzo del 2019, sembrerebbe da ultimo aver inaugurato, in adesione alle voci già espresse da parte della giurisprudenza di merito oltre che della dottrina, un nuovo indirizzo interpretativo teso a valorizzare vuoi, in primo luogo, la generale applicabilità anche ai rapporti ‘pregressi’ della disciplina portata nella novella 124/2017, con particolare riferimento alla risoluzione del contratto e alla regolazione dei rapporti economici tra le parti; vuoi, l’applicabilità, in ambito fallimentare, della disposizione di cui all’art. 72 quater L.F., non solo alle ipotesi di scioglimento del contratto in conseguenza del fallimento dell’utilizzatore e della scelta del curatore di non proseguire il rapporto, ma anche alle ipotesi di risoluzione contrattuale per inadempimento dell’utilizzatore intervenuta prima dell’apertura della procedura fallimentare e in epoca antecedente alla emanazione della legge 124/2017.
Più in particolare, con la sentenza n. 8980 del 29/03/2019, come confermata dalle successive pronunce n. 12552 del 10/05/2019, n. 18543 del 10/07/2019, n. 27545 del 28/10/2019, e ancora anche dalla pronuncia n. 22731 del 12/09/2019[13], la Cassazione, dopo aver ripercorso il proprio tradizionale orientamento, afferma, sotto un profilo generale, che un’interpretazione storico-evolutiva della disciplina contenuta nella legge 124/2017 – tanto con riferimento alla nozione unitaria di contratto di locazione finanziaria, incentrata sulla causa di finanziamento e non di scambio, quanto con riferimento alla sua risoluzione e conseguenti effetti nei rapporti tra le parti – è tale da comportare, alla luce delle precise indicazioni fornite dal legislatore anche in interventi settoriali resi in precedenza (art. 72 quater L.F. e art. 1, commi 76-81 della legge 208/2015), la necessità di ritenere superata nell’ordinamento vigente, oltre che la nota distinzione di creazione giurisprudenziale tra ‘leasing di godimento’ e ‘leasing traslativo’ (e che il legislatore non ha considerato, preferendo difatti adottare una definizione unitaria del contratto di locazione finanziaria, v. art. 1 comma 136 legge 124/2017), anche l’applicazione in via analogica della disposizione contenuta nell’art. 1526 c.c. per regolamentare la risoluzione del contratto e gli effetti conseguenti a tale fatto generatore nei rapporti tra le parti. E ciò anche in relazione ai rapporti di locazione finanziaria ‘pregressi’, ovverosia stipulati o risolti prima della entrata in vigore della novella, a patto, in quest’ultimo caso, che i relativi aspetti non siano ‘esauriti’, in quanto già definitivi con sentenza passata in giudicato.
Spiega in questo senso la Cassazione che così operando «non si tratta […] di attribuire carattere retroattivo (in assenza di norme di diritto transitorio) alla nuova disciplina portata dalla legge 124/2017, ma di fare concreta applicazione della c.d. interpretazione storico-evolutiva, secondo cui una determinata fattispecie negoziale, per quegli aspetti che non abbiano esaurito i loro effetti, in quanto non siano stati ancora accertati e definiti con statuizione passata in giudicato, non può che essere valutata sulla base dell’ordinamento vigente, posto che l’attività ermeneutica non può dispiegarsi “ora per allora”, ma all’attualità. E ciò, a maggior ragione quando, come nel caso di specie, l’ordinamento abbia organicamente disciplinato, dando così luogo ad un nuovo “tipo” negoziale, un contratto che, pur diffuso nella pratica, non poteva qualificarsi come contratto tipico e la cui disciplina veniva dunque desunta, in via analogica, da altri contratti tipici (nel nostro caso locazione o vendita con riserva di proprietà), in virtù di una scelta ermeneutica che pur riconducibile ad un consolidato indirizzo di questa Corte, non può che operare su un piano meramente interpretativo, quale è proprio quello del formante giurisprudenziale» (cfr. Cass., 8980/2019 e Cass., 27545/2019).
Dunque, secondo questo nuovo indirizzo interpretativo la legge 124/2017, con l’art. 1 comma 138, detta una compiuta disciplina (avente valore imperativo tale da prevalere su eventuali disposizioni difformi contenute nei contratti) della risoluzione del contratto di locazione finanziaria, che risulta ormai ‘tipizzato’, indipendentemente dalla natura della operazione di finanziamento ad esso sottesa e del valore, in particolare, da attribuire al bene concesso in utilizzo, regolamentando gli effetti che ne conseguono automaticamente nei rapporti tra le parti e la stessa è da ritenersi applicabile alla generalità dei rapporti di locazione finanziaria pre o post novella 124/2017; con ciò risultando legittimata la conclusione di un ‘abbandono’ del tradizionale orientamento creato dalla giurisprudenza in assenza di una normativa civilistica di riferimento e incentrato sulla applicazione in via analogica della disposizione dell’art. 1526 c.c. [14].
Per altro verso, in ambito fallimentare, nell’ipotesi in cui la risoluzione del contratto di locazione finanziaria per inadempimento dell’utilizzatore sia avvenuta prima della dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore e in epoca antecedente all’emanazione della legge 124/2017, gli effetti che ne conseguono nei rapporti di dare e avere tra concedente e curatore sono regolati dalla disciplina dell’art. 72 quater L.F., applicabile in via analogica anche al di fuori dell’ipotesi di scioglimento del contratto a seguito del fallimento; con ciò risultando superato anche l’orientamento espresso dalla Cassazione dopo l’emanazione dell’art. 72 quater L.F. fondato sull’impossibilità di fare ricorso in via analogica a questa disposizione di legge per le ulteriori ipotesi di cessazione patologica del rapporto prima della dichiarazione di fallimento[15].
Precisa in questo senso la Cassazione che la novella portata dalla legge 124/2017 si pone in linea di diretta continuità rispetto alle previsioni introdotte con l’art. 72 quater L.F. e con la particolare disciplina dello scioglimento del contratto, dato che al pari del primo intervento legislativo, seppure settoriale, il legislatore della legge 124/2017 ha optato per una tipizzazione del contratto di locazione finanziaria quale fattispecie autonoma, distinta dalla vendita con riserva di proprietà, delineando la regolazione degli effetti della risoluzione secondo un paradigma unitario. Per la Cassazione la norma di cui all’art. 72 quater L.F. pertanto, seppur dettata in relazione all’ipotesi in cui lo scioglimento del contratto di leasing derivi da una scelta del curatore e non dall’inadempimento dell’utilizzatore, «è del tutto coerente con la fisionomia di tale tipo negoziale e con la particolare disciplina della risoluzione dettata dalla nuova normativa, dovendo [anche in ambito fallimentare] ritenersi definitivamente superato il ricorso in via analogica della disciplina recata dall’art. 1526 cod. civ.» (Cass., 8980/2019, poi ripresa dalle successive pronunce).
4. – La specifica disciplina degli effetti conseguenti alla risoluzione del contratto di locazione finanziaria contenuta nell’art. 1 comma 138 e comma 139 della legge 124/2017.
All’art. 1 comma 138 della legge 124/2017 il legislatore, dopo aver indicato i presupposti al ricorrere dei quali il contratto di locazione finanziaria può essere dichiarato risolto per inadempimento dell’utilizzatore al pagamento dei relativi canoni, disciplina gli effetti che conseguono automaticamente a tale fatto nei rapporti anche economici tra le parti. La norma testualmente afferma, in lineare e conseguenziale successione, che:
· a seguito della dichiarazione di risoluzione del contratto, il concedente ha diritto, con corrispondente obbligo dell’utilizzatore, alla restituzione del bene concesso in locazione finanziaria (si tratta di una conseguenza automatica derivante dalla cessazione anticipata del contratto con i relativi effetti restitutori);
· il concedente è tenuto conseguentemente a corrispondere all’utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o da altra ricollocazione del bene, effettuata ai valori di mercato, dedotte le somme pari all’ammontare dei canoni scaduti e non pagati sino alla risoluzione (comprensivi di quota capitale e quota interessi), dei canoni a scadere solo in linea capitale (non attualizzati), e del prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto, nonché le spese anticipate per il recupero del bene, la stima e la sua conservazione per il tempo necessario alla vendita;
· quando il valore realizzato dalla vendita o da altra collocazione del bene è inferiore all’ammontare dell’importo dovuto dall’utilizzatore secondo le indicazioni fornite dal legislatore (canoni scaduti + canoni a scadere in sola linea capitale + prezzo di opzione + spese stima e recupero del bene), resta fermo nella misura «residua» il diritto di credito del concedente verso l’utilizzatore.
Al successivo comma 139 dell’art. 1 della legge 124/2017 vengono inoltre dettati i criteri per l’attivazione ad opera del concedente della procedura di ricollocazione sul mercato del bene secondo i valori di mercato da ricavarsi dalle pubbliche rilevazioni e anche per la sua stima, nella misura in cui non sia possibile avvalersi di tali rilevazioni, ad opera di perito indipendente e da effettuarsi in ogni caso nel contraddittorio tra le parti, concludendo detta norma che in tale percorso delineato dal legislatore il concedente deve attenersi a criteri di «celerità, trasparenza e pubblicità» adottando modalità tali da consentire l’individuazione del migliore offerente possibile, oltre che ad un obbligo di informazione nei confronti dell’utilizzatore.
4.1. – La lettura delle disposizioni di legge induce a ritenere che in conseguenza del fatto della risoluzione del contratto di locazione finanziaria, qualsiasi esso sia, e della conseguente restituzione al concedente del bene da parte dell’utilizzatore l’accertamento contabile delle poste di dare/avere tra le parti del rapporto negoziale per come indicate dal legislatore, e anche a titolo di «canoni scaduti e non pagati sino alla risoluzione», è ‘condizionata’ di per sé sospensivamente al momento della vendita o altra ricollocazione del bene ai valori di mercato e della riscossione del ricavato dalla vendita. La misura del valore realizzato dalla vendita o altra collocazione del bene (ma sul punto v. infra, §. 4.4.) costituisce difatti un presupposto legale al verificarsi del quale resta subordinata per espressa volontà del legislatore la determinazione del reale saldo finale del rapporto di finanziamento oggetto di contratto, sia esso a credito e/o a debito dell’una o dell’altra parte, da ricavarsi in funzione delle rispettive poste di dare e avere come predeterminate dallo stesso legislatore.
4.2. – Dal risultato della ‘formula matematica’ dettata dalla legge [(canoni scaduti + canoni a scadere in sola linea capitale + prezzo di opzione + spese] – (valore del ricavato della vendita)=saldo], incentrata evidentemente sul valore economico del bene (messo a garanzia della restituzione del finanziamento) e da stabilirsi al momento della risoluzione del contratto, inoltre non è affatto scontato che si arrivi all’affermazione della ‘sopravvivenza’ di un diritto di credito del concedente verso l’utilizzatore, anche a titolo di «canoni scaduti e non pagati sino alla risoluzione». Difatti detta (eventuale) circostanza dipende sempre dalla misura del ricavato della vendita o di altra ricollocazione del bene (ma sul punto v. infra, §. 4.4.) in rapporto a quanto pagato sino a quel momento dall’utilizzatore rispetto al solo ancora dovuto al concedente a titolo di restituzione del finanziamento stipulato tra le parti, secondo gli adeguamenti fissati espressamente dalla disposizione legislativa.
L’evenienza (sopravvenuta inesistenza di un diritto di credito del concedente, a seguito dei dovuti conteggi finali ingenerati dalla risoluzione del contratto e restituzione del bene) è presupposta dalla legge. Infatti, la parte finale della disposizione contenuta nell’art. 1 comma 138 della legge 124/2017 fa espresso riferimento ad una ‘salvezza’ del diritto di credito del concedente (solo) «nella misura residua» in funzione delle poste di dare/avere tra le parti per come predeterminate nella parte iniziale della stessa norma. Da ciò la logica considerazione per cui, per il legislatore, restano evidentemente salve (e presupposte) le opposte (e per vero neppure inusuali) ipotesi:
i) vuoi di una possibile inesistenza, a seguito della rideterminazione delle poste di dare/avere tra le parti e del conseguente accertamento del saldo finale del rapporto, di un diritto di credito del concedente verso l’utilizzatore, anche a titolo di «canoni scaduti e non pagati sino alla risoluzione» (in quanto, in questa ipotesi, di fatto eliso dalla maggiore misura del valore ricavato dalla vendita del bene rispetto a quanto residua del finanziamento da restituire al concedente, secondo il piano di rimborso delineato dal legislatore, e tenuto conto dell’ammortamento già avvenuto nel corso del rapporto);
ii) vuoi di una possibile ‘emersione’, sempre all’esito dei dovuti conteggi e in base ai criteri dettati dalla legge, di un diritto di credito dell’utilizzatore verso il concedente e, dunque, di un suo corrispondente debito verso l’utilizzatore (si tratta in questo caso della maturazione della c.d. eccedenza ovvero del c.d. supero di valore rispetto al credito garantito, per riprendere dei termini in uso in questo ambito, a favore dell’utilizzatore; in realtà, a ben vedere, la parte iniziale della disposizione del comma 138 dell’art. 1 apre proprio con la previsione dell’obbligo del concedente, conseguente alla risoluzione del contratto e restituzione del bene, di restituire all’utilizzatore l’eccedenza ricavata dalla vendita del bene ai valori di mercato, al netto delle decurtazioni indicate dalla legge).
4.3. – Quindi, e per quanto qui rileva evidenziare, dal tenore letterale dell’art. 1 comma 138 della legge 124/2017 emerge che per effetto dell’intervenuta risoluzione del contratto di locazione finanziaria e della restituzione del bene al concedente (avvenuta spontaneamente da parte dell’utilizzatore, in conseguenza della dichiarazione di risoluzione e/o a seguito di una domanda giudiziale promossa dal concedente) occorre procedere ad una conseguente (e automatica) rideterminazione del dare e avere tra le parti, anche a titolo di «canoni scaduti e non pagati sino alla risoluzione» (e che costituisce infatti, in questo senso, solo una posta di dare dell’utilizzatore verso il concedente, da porsi sullo stesso piano delle altre poste dello stesso segno); e per fare ciò occorre attendere, in base a quanto recita il tenore letterale della norma, il momento della vendita o di altra ricollocazione del bene, dato che il valore del ricavato della liquidazione o ricollocazione del bene costituisce un elemento necessario e imprescindibile del conteggio finale, tale da condurre dopo il suo verificarsi all’accertamento di un reale saldo a credito e/o a debito dell’una parte verso l’altra e/o viceversa secondo la regolazione dei rapporti fissata dalla legge.
Sino al momento della vendita o ricollocazione del bene (ma sul punto v. infra, § 4.4.), e che la legge impone di effettuare ai valori di mercato e con stima da effettuarsi al momento della risoluzione del contratto secondo le indicazioni ivi previste, il diritto di credito del concedente, anche «a titolo di canoni scaduti e non pagati sino alla risoluzione», non è pertanto reale ma solo eventuale, e lo stesso in conseguenza del meccanismo previsto dalla stessa legge a seguito del fatto della risoluzione del contratto, tenuto conto della particolare natura di questo rapporto di finanziamento e del valore del bene messo a garanzia della restituzione delle somme finanziate, perde in definitiva oltre che i presupposti di certezza e liquidità anche quello di esigibilità; tutti difatti rimessi al verificarsi della conditio iuris (vendita o ricollocazione del bene) contemplata dalla norma (si potrebbe dire che si verifica un’ipotesi di sopravvenuta momentanea incertezza, illiquidità e inesigibilità del credito).
Peraltro, che questa sia la corretta interpretazione della legge deriva dal fatto che nella logica assunta dal legislatore dopo la risoluzione del contratto di locazione finanziaria con conseguente restituzione del bene al concedente-proprietario, secondo il paradigma normativo ivi assunto, non maturano a carico dell’utilizzatore gli interessi di mora a fronte di qualsiasi partita di dare verso il concedente, e neppure a titolo di canoni scaduti e non pagati sino alla risoluzione di questo contratto di finanziamento, dato che non ne sussistono, a ben vedere, i relativi presupposti (si è in questo senso di fronte ad un’ipotesi di c.d. “purgazione della mora”, con automatica sospensione, dato lo ‘stallo’ presupposto dalla legge in conseguenza della risoluzione del contratto e della restituzione del bene, degli effetti che conseguirebbero, anche in termini di maturazione degli interessi, sulle reciproche obbligazioni pecuniarie poste a carico delle parti, collocantisi tuttavia in questo caso su di uno stesso piano).
4.4. –Ciò posto, resta peraltro da chiedersi se la determinazione del dare e dell’avere tra le parti, e dunque la definizione dei relativi rapporti economici in conseguenza della risoluzione del contratto e della restituzione del bene al concedente, secondo la ‘formula matematica’ indicata dalla legge, debba necessariamente attendere la liquidazione del bene ad opera del concedente medesimo (e dunque la riscossione del ricavato della vendita o di altra ricollocazione del bene) ovvero possa essere effettuato anche solo sulla base della stima del bene rientrato nella piena disponibilità del concedente. E ciò a prescindere, pertanto, dal tenore letterale delle norme inserite all’art. 1 comma 138 della legge 124/2017 e che fanno riferimento, al pari della disposizione di cui all’art. 72 quater L.F., sempre al «ricavato» ovvero al «realizzato» della vendita o di altra ricollocazione.
In primo luogo, va detto che ciò che non sembra particolarmente disponibile è il dies della valutazione del bene messo a garanzia del credito e che va effettuata ponendosi al momento immediatamente successivo alla risoluzione del contratto di locazione finanziaria. Questo momento e che si riconnette al verificarsi dell’inadempimento dell’utilizzatore segna difatti – come acutamente osservato a fronte, per vero, di qualsiasi ipotesi in cui il bene funge da garanzia della restituzione del credito, cui si affianca la previsione di una (necessaria) tutela marciana (e nella quale, in sostanza, sembrano potersi inquadrare anche le disposizioni della legge 124/2017) – segna, si diceva, il definitivo ‘consolidamento’ in capo al concedente dell’effetto traslativo del bene in garanzia (nel caso di specie si consolida l’acquisto della proprietà in capo al concedente, risolutivamente condizionato all’inadempimento), con conseguente passaggio del rischio a suo carico, l’estinzione dell’obbligazione garantita (in tutto o in parte) e la correlata maturazione dell’obbligo del concedente di versare l’eventuale eccedenza o supero di valore all’utilizzatore[16].
Ma allora se questo è, e posto che la struttura caratteristica della cautela marciana (prevista a fronte di ipotesi di alienazione in garanzia) non richiede di per sé che il bene in garanzia sia effettivamente venduto a terzi[17] (anzi questa evenienza potrebbe in realtà comportare l’insorgere di problematiche riconnesse a facili abusi del concedente e alle sue determinazioni cui resta soggetto sine die l’utilizzatore), nulla esclude in astratto che l’accertamento contabile del saldo finale del rapporto possa avvenire, secondo i criteri dettati dalla legge, anche in relazione al valore stimato del bene e non solo del ricavato della vendita a terzi.
In altri termini, non sembra che il tenore letterale delle disposizioni di cui all’art. 1 comma 138 della legge 124/2017 possa anche in questo caso essere d’ostacolo, al pari di quanto già sostenuto[18] con riferimento all’art. 72 quater L.F. (e che sul punto adotta una sostanziale equipollente formulazione), alla percorribilità di una soluzione che consenta di definire, anche con maggiore certezza, i rapporti di dare e avere tra utilizzatore e concedente, dopo il fatto della risoluzione e della restituzione del bene, prendendo come base della ‘formula matematica’ prevista dalla legge il valore di stima del bene (al momento della risoluzione del contratto) e non solo necessariamente quello del ricavato della (futura) liquidazione ad opera del concedente. Del resto, anche le previsioni contenute nell’art. 1 comma 138 della legge 124/2017 fanno sempre riferimento, al pari di quanto previsto dall’art. 72 quater L.F., per effetto del decreto correttivo del 2007, ai «valori di mercato», ribadendo l’essenzialità della stima del valore del bene da compiersi al momento successivo della risoluzione, con ciò lasciando anche in questo caso aperta la strada ad una valutazione del valore del bene che possa prescindere, ad onta del tenore letterale della disposizione di legge, anche dall’effettiva monetizzazione del bene.
In questo senso d’altronde, in adesione alle interpretazioni fornite da alcuni autori già con riferimento alla disposizione di cui all’art. 72 quater L.F. (e che si ripete ha un tenore letterale sostanzialmente equivalente rispetto a quello dell’art. 1 comma 138 legge 124/2017), sembra che si sia già orientata la Cassazione con le pronunce rese a partire dal marzo del 2019 sopra citate (Cass., 8980/2019; Cass., 12552/2019; Cass., 18543/2019; Cass., 27545/2019) nel tracciare il percorso che il concedente deve seguire per l’insinuazione dei crediti al passivo del fallimento dell’utilizzatore (in conseguenza anche della risoluzione del contratto prima del fallimento e in epoca antecedente alla novella 124/2017), difatti rimessa al valore del periziato sulla base della stima condotta sotto la guida del giudice e non anche del ricavato della ricollocazione[19].
Infine, va osservato che ammettere che la determinazione del saldo finale del rapporto possa avvenire, dopo la stima del bene al momento della risoluzione e con una sorta di effetto retroattivo della valutazione[20], in funzione del valore del periziato senza attendere la vendita a terzi del bene – e che resta affare esclusivo del concedente-proprietario rientrato nel possesso del bene (così definitivamente acquisito al suo patrimonio) – consentirebbe anche di evitare l’insorgere di una serie di ulteriori problematiche riconnesse alla vaghezza della formulazione dell’art. 1 comma 139 dell’art. 1 della legge 124/2017; e ove infatti, al di là dell’enunciazione del criterio di massima della «celerità», cui dovrebbe attenersi il concedente nella procedura di vendita e ricollocazione del bene, per vero non è previsto né un termine iniziale e né un termine finale della ricollocazione del bene da parte del concedente. La soluzione proposta consentirebbe infine anche di evitare di addossare sull’utilizzatore, una volta risolto il contratto di locazione finanziaria e restituito il bene in garanzia del credito al concedente, le conseguenze di una inerzia del concedente medesimo nella riallocazione del bene, sottraendolo alle sue unilaterali scelte e su cui questo non ha di fatto più alcun controllo.
5. – La verifica dell’impatto delle previsioni contenute nell’art. 1, comma 138 della 124/2017 sulla domanda di pagamento dei canoni scaduti promossa dalla concedente prima della risoluzione e restituzione del bene. Soluzioni prospettabili.
Cosa accade alla domanda giudiziale di pagamento dei canoni scaduti promossa dal concedente verso l’utilizzatore e/o anche il suo garante a seguito del verificarsi della risoluzione del contratto di locazione finanziaria e della restituzione del bene per effetto delle previsioni contenute nell’art. 1, comma 138 della legge 124/2017. Quali sono le possibili eccezioni formulabili dall’opponente, alla luce del tenore letterale di queste disposizioni di legge e che risulterebbero applicabili, secondo il nuovo orientamento espresso dalla Cassazione a partire dal marzo del 2019, anche ai rapporti di locazione finanziaria stipulati e risolti prima della emanazione della novella 124/2017.
I casi – IPOTESI TIPO - prospettabili sono principalmente due, partendo dal presupposto che nella prassi la domanda giudiziale di pagamento dei canoni scaduti e non pagati sino alla risoluzione viene azionata dal concedente – banca o intermediario finanziario ex art. 106 TUB – verso l’utilizzatore e/o il suo garante con lo strumento del ricorso monitorio.
5.1. – Prima IPOTESI TIPO. La risoluzione del contratto di locazione finanziaria e la restituzione del bene avvengono a seguito dell’ottenimento da parte del concedente di un decreto ingiuntivo per il pagamento dei canoni scaduti verso l’utilizzatore e/o il suo garante e in pendenza di opposizione a decreto ingiuntivo già promossa dagli ingiunti sulla base di altre eccezioni.
In questo caso l’intervenuta risoluzione del contratto con conseguente restituzione del bene al concedente si configura come fatto sopravvenuto tale da incidere sul diritto di credito azionato dal medesimo concedente verso l’utilizzatore e/o il suo garante a titolo di canoni della locazione finanziaria scaduti e non pagati, minandone in radice i relativi presupposti sia di certezza, sia di liquidità che di esigibilità, secondo le definizioni comunemente assunte di questi requisiti.
Il diritto di credito azionato dal concedente anche «a titolo di canoni scaduti e non pagati sino alla risoluzione» è infatti rimesso per ogni suo presupposto al verificarsi di un evento – la ricollocazione sul mercato del bene con il conseguente maturarsi dell’importo di cui al ricavato della ricollocazione ovvero, alternativamente, e ove ritenuta ipotesi percorribile, al valore periziato del bene a seguito della stima compiuta al momento della risoluzione – considerato dalla legge come condizione sospensiva al momento e in funzione della quale va accertato il saldo finale del rapporto tra le parti del contratto risolto, alla luce delle rispettive poste di dare/avere tra le parti per come predeterminate sempre dalla legge. Ciò accade in particolare per effetto della scelta assunta dal concedente di richiedere, dopo il pagamento dei canoni scaduti, e dunque dopo l’adempimento del contratto, la risoluzione del rapporto e la riconsegna del bene. In questo senso, la domanda di risoluzione del contratto con restituzione del bene e la sua soddisfazione rendono, in attesa del verificarsi dell’evento contemplato dall’art. 1 comma 138 della legge 124/2017, la domanda di pagamento azionata dal concedente inammissibile e/o improcedibile ovvero infondata, dato il venir meno dei relativi necessari presupposti di certezza, liquidità ed esigibilità.
L’utilizzatore, parte opponente del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dal concedente per il pagamento dei canoni scaduti prima del verificarsi del fatto dell’intervenuta risoluzione e restituzione del bene – ma anche il suo garante – potrà dunque eccepire e dimostrare il fatto sopravvenuto tale da incidere, elidendone i relativi presupposti, sul diritto di credito azionato dal concedente in via monitoria a tale titolo e ottenere in questo modo una declaratoria di inammissibilità e/o improcedibilità della domanda di pagamento ovvero un rigetto per assenza dei suoi requisiti legittimanti, alla luce delle previsioni contenute nell’art. 1, comma 138 della legge 124/2017, con conseguente revoca del decreto ingiuntivo. E ciò nella misura in cui la decisione sull’opposizione pervenisse prima del verificarsi dell’evento contemplato dalla legge, vale a dire prima della ricollocazione del bene sul mercato e dell’emersione dell’importo ricavato da tale ricollocazione (ovvero, in alternativa, in funzione del valore periziato, se si accoglie la soluzione prospettata al § 4.4). Se la ricollocazione dovesse pervenire prima della decisione della causa di opposizione, la conseguenza sarebbe pur sempre quella di una revoca del decreto ingiuntivo opposto ed eventualmente di una condanna dell’utilizzatore al pagamento a favore del concedente del credito residuo come determinato per effetto della ‘formula matematica’ prevista dall’art. 1 comma 138 della legge 124/2017 ovvero di un suo rigetto se quel credito non dovesse essere più esistente per effetto del fatto che lo stesso viene eliso (rectius: ‘azzerato’) dall’importo del ricavato della ricollocazione del bene sul mercato ovvero dal valore del periziato (il tutto fermo, in quest’ultima ipotesi, il diritto dell’utilizzatore di ottenere la restituzione anche della eventuale eccedenza risultante dai conteggi finali tra le parti). Quest’ultima evenienza dovrebbe tuttavia partire dal presupposto, da un lato, che non vi sia disaccordo tra le parti in ordine al valore indicato a fronte del ricavato della vendita del bene e, dall’altro lato, che non siano maturate a carico delle parti le preclusioni processuali per procedere ai relativi accertamenti, dovendo in caso contrario la regolamentazione del rapporto di dare/avere tra le parti alla luce di quanto disposto dall’art. 1 commi 138 e 139 della legge 124/2017 in conseguenza del fatto della risoluzione del contratto e restituzione del bene essere oggetto di un altro giudizio.
La soluzione proposta alla luce delle disposizioni di cui all’art. 1 comma 138 della legge 124/2017 (inammissibilità e/o infondatezza della domanda di pagamento dei canoni scaduti a seguito della risoluzione del contratto ed effetti conseguenti) trova conforto, sotto un profilo processuale, nei principi espressi dalla consolidata giurisprudenza della Cassazione in tema di giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e suo oggetto. Rammenta in questo senso, tra le altre, la Cassazione con la pronuncia 11660/2007 che è noto che l’oggetto del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non è limitato alla verifica delle condizioni di ammissibilità e di validità del decreto, ma si estende all’accertamento dei fatti costitutivi, modificativi ed estintivi del diritto in contestazione con riferimento alla situazione esistente al momento della sentenza; sicché anche quando risulti fondata un’eccezione di un fatto che, nella specie, è tale da elidere la sussistenza dei requisiti del credito azionato in via monitoria, si deve comunque revocare in toto il decreto opposto, senza che rilevi in contrario l’eventuale posteriorità del fatto oppositivo, modificativo e/o estintivo rispetto al momento dell’emissione del provvedimento opposto. Si tratta di una soluzione che deriva dalla necessità di evitare il formarsi di un titolo esecutivo per la realizzazione di un diritto di credito che non è attuale, non è certo, né risulta liquido o esigibile (costituendo lo stesso nella specie solo una partita di dare nel contesto dell’accertamento contabile del saldo finale del rapporto dopo il fatto generatore della risoluzione) e che sarebbe peraltro titolo neppure azionabile in via esecutiva, dato appunto il sopraggiungere di fatti che ne elidono i requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità e che devono sempre contraddistinguere il titolo anche in base all’art. 474 c.p.c.
D’altro canto, la soluzione proposta parte anche dal presupposto che nel nostro ordinamento a rigore, salvi i casi tassativamente previsti dalla legge, non sarebbe possibile neppure configurare una condanna in futuro, e nella specie, anche di un eventuale credito della concedente verso l’utilizzatore e/o il garante (dato che il credito, si ripete, potrebbe anche non esservi in alcuna misura residua) ovvero, secondo l’opinione prevalente, di una condanna condizionata al verificarsi di un evento (il che presuppone che l’evento non si è verificato al momento della decisione sull’opposizione), atteso che in questo modo si verrebbe a minare anche la stessa portata della decisione, oltre a profilarsi una violazione dell’art. 100 c.p.c., stante infatti l’assenza al momento della pronuncia di un interesse ad agire attuale.
Quanto sopra consentirebbe inoltre di evitare il prodursi – sin dall’origine – di titoli privi dei relativi requisiti sostanziali rispetto al diritto di credito che formalmente incorporano, evitando il prodursi di ulteriori azioni esecutive da parte del concedente verso l’utilizzatore e/o il suo garante destinate in tutto o in parte ad essere travolte per effetto del verificarsi della condizione posta dalla legge 124/2017, e così dunque di opposizioni del debitore esecutato con inutile dispendio di tempo, costi di giustizia ecc.
Infine, si evidenzia che (ancorché indirettamente) le considerazioni in ordine agli effetti conseguenti dall’art. 1 comma 138 legge 124/2017 sulla domanda di pagamento dei canoni scaduti dopo la risoluzione del contratto e la restituzione del bene sembrerebbero aver già trovato conforto nei principi espressi dalla Cassazione con la pronuncia n. 22731 del 12/09/2019 citata, e ove, difatti, il riferimento al ‘meccanismo’ predisposto dalla legge, di per sé idoneo a ‘bloccare’, e purché sia intervenuta da parte dell’utilizzatore la restituzione del bene al concedente, le richieste di pagamento del concedente, anche a titolo di canoni scaduti e non pagati sino alla risoluzione, in attesa della ricollocazione sul mercato del bene[21].
5.2. – Seconda IPOTESI TIPO. La risoluzione del contratto di locazione finanziaria e la restituzione del bene sono avvenute prima del deposito da parte della concedente del ricorso ex art. 633 c.p.c. per il pagamento dei canoni scaduti e non si è ancora verificata la ricollocazione sul mercato del bene.
In questo caso soccorrerebbe la disposizione di cui all’art. 633 c.p.c. a mente della quale per ottenere il decreto ingiuntivo il credito azionato dal ricorrente deve essere certo liquido ed esigibile, e anche in particolare l’ultimo comma dell’art. 633 c.p.c. per cui se il diritto di credito azionato è soggetto a condizione del suo verificarsi il ricorrente deve darne evidenza al giudice, a pena di inammissibilità del ricorso monitorio e del decreto eventualmente emesso in assenza di questo riscontro.
In sede di opposizione, a fronte di un decreto ingiuntivo emesso per un diritto di credito che non è certo, liquido ed esigibile in ragione degli effetti che l’art. 1 comma 138 della legge 124/2017 fa automaticamente conseguire alla risoluzione del contratto di locazione finanziaria e alla restituzione del bene, l’opponente potrebbe eccepire l’invalidità del decreto ingiuntivo, in quanto emesso in carenza dei requisiti di cui all’art. 633 c.p.c., sulla scorta delle riflessioni sopra formulate e ottenere per questa via l’annullamento o la revoca del decreto opposto.
Nella misura in cui medio tempore (ma prima dell’opposizione a decreto ingiuntivo) fosse avvenuta la ricollocazione del bene sul mercato, con o senza accordo con l’utilizzatore, questi potrebbe porre a base della propria opposizione le conseguenze derivanti dall’applicazione dell’art. 1 comma 138 della legge 124/2017 e ottenere dunque in questa sede l’accertamento, previa determinazione nel contraddittorio delle parti di tutti gli elementi che compongono la ‘formula matematica’ prevista dalla norma citata, del saldo finale del rapporto, in funzione delle rispettive partite di dare/avere tra le parti. Alternativamente, l’utilizzatore potrebbe prospettare la definizione dei rapporti di dare/avere, conformemente a quanto stabilito dalla Cassazione a partire dal marzo del 2019 in ambito fallimentare alla luce della disciplina di cui all’art. 72 quater L.F. (considerata norma cui l’art. 1, comma 138 si pone «in linea di diretta continuità», v. Cass., 8980/2019 cit.), chiedendo di effettuare i relativi accertamenti sul valore del periziato e non del ricavato, sulla scorta delle considerazioni sopra effettuate (v. § 4.4.).
6. – Considerazioni conclusive.
La soluzione proposta – sopravvenuta inammissibilità e/o infondatezza della domanda di pagamento dei canoni scaduti dopo la risoluzione del contratto e restituzione del bene per effetto di quanto previsto dall’art. 1, comma 138 della legge 124/2017 – e che parte dal dato testuale della norma di legge si pone in linea con quanto affermato dalla Cassazione a partire dalla pronuncia 8980 del 29/03/2019 (e in particolare anche da Cass., 22731/2019 cit.) e la stessa costituisce, a nostro parere, un’obbligata e logica conclusione del percorso interpretativo avviato dalla giurisprudenza in questo ambito da rapportare anche allo specifico caso ivi esaminato.
La soluzione proposta consente inoltre di leggere e interpretare la novella portata dalla legge 124/2017 anche in conformità alle esigenze espresse dalla giurisprudenza della Cassazione, sulla scorta del tradizionale orientamento basato sulla distinzione del ‘leasing di godimento’ e ‘leasing traslativo’ – e di applicazione in questo ultimo caso della disposizione di cui all’art. 1526 c.c. per regolamentare gli effetti derivanti nei rapporti tra le parti in conseguenza del fatto generatore della risoluzione anticipata di questo peculiare contratto di finanziamento – in chiave di necessario riequilibrio sinallagmatico delle prestazioni delle parti (dopo la risoluzione e restituzione del bene), tenuto conto della perdurante rilevanza del valore economico del bene (messo in garanzia e) riacquisito definitivamente nel patrimonio del concedente, evitando il prodursi di indebiti vantaggi per il concedente in danno all’utilizzatore.
In questo senso, la prassi insegna che nella pressoché totalità dei casi gli utilizzatori che hanno restituito i beni oggetto dei contratti di locazione finanziaria a seguito della risoluzione anticipata del rapporto restano assoggettati sine die alle determinazioni unilaterali dei concedenti, tanto in termini di momento in cui dovrebbe avvenire la ricollocazione dei beni sul mercato, quanto in termini di giusto valore (che la legge 124/2017 dice che deve essere rapportato ai valori di mercato) da attribuire al bene da ricollocare a terzi; così tuttavia comportando oltre che la produzione di provvedimenti giudiziari con evidenza di crediti dei concedenti verso gli utilizzatori (sia nell’an che nel quantum) solo formali e non sostanziali – e non più giustificati per effetto delle previsioni della legge 124/2017 – anche e in particolare, in non pochi casi, l’occultamento (per non dire altro), previe talvolta sofisticate operazioni finanziarie sovente infra-gruppo, di consistenti utilità economiche che vanno tuttavia retrocesse agli utilizzatori; e ciò in quanto di per sé non dovute ai concedenti, poiché di fatto eccedenti il corrispettivo solo a questi spettante a fronte dell’operazione di finanziamento di cui si tratta da parte degli utilizzatori.
[1] Con il D.lgs 5/2006 è stata introdotta una nuova norma in ambito fallimentare volta a regolamentare l’ipotesi di scioglimento del contratto di locazione finanziaria per fallimento dell’utilizzatore ovvero del concedente con i conseguenti effetti tra le parti e ad introdurre una ipotesi di esenzione dalla revocatoria dei pagamenti effettuati dall’utilizzatore prima della dichiarazione di fallimento ex art. 67, terzo comma lettera a) L.F. L’art. 72 quater L.F., rubricato “locazione finanziaria”, così dispone attualmente, anche a seguito delle precisazioni intervenute con il D.lgs 169/2007: «Al contratto di locazione finanziaria si applica, in caso di fallimento dell'utilizzatore, l'articolo 72. Se è disposto l'esercizio provvisorio dell'impresa il contratto continua ad avere esecuzione salvo che il curatore dichiari di volersi sciogliere dal contratto.
In caso di scioglimento del contratto, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a versare alla curatela l'eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene stesso avvenute a valori di mercato rispetto al credito residuo in linea capitale; per le somme già riscosse si applica l'articolo 67, terzo comma, lettera a).
Il concedente ha diritto ad insinuarsi nello stato passivo per la differenza fra il credito vantato alla data del fallimento e quanto ricavato dalla nuova allocazione del bene.
In caso di fallimento delle società autorizzate alla concessione di finanziamenti sotto forma di locazione finanziaria, il contratto prosegue; l'utilizzatore conserva la facoltà di acquistare, alla scadenza del contratto, la proprietà del bene, previo pagamento dei canoni e del prezzo pattuito».
[2] Con questo intervento normativo il legislatore ha disciplinato la particolare figura di locazione finanziaria di immobile da adibire ad abitazione principale, dettando specifiche disposizioni. In particolare, al comma 76 dell’art. 1 della legge 208/2015 è stata fornita una definizione del contratto di locazione finanziaria di cui si tratta («Con il contratto di locazione finanziaria di immobile da adibire ad abitazione principale, la banca o l'intermediario finanziario iscritto nell'albo di cui all'articolo 106 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385, si obbliga ad acquistare o a far costruire l'immobile su scelta e secondo le indicazioni dell'utilizzatore, che se ne assume tutti i rischi, anche di perimento, e lo mette a disposizione per un dato tempo verso un determinato corrispettivo che tenga conto del prezzo di acquisto o di costruzione e della durata del contratto. Alla scadenza del contratto l'utilizzatore ha la facoltà di acquistare la proprietà del bene a un prezzo prestabilito»). Con il successivo comma 78 dell’art. 1 della legge 208/2015 è stata inoltre disciplinata l’ipotesi di risoluzione del contratto e relativi effetti tra le parti prevedendo che «In caso di risoluzione del contratto di locazione finanziaria per inadempimento dell'utilizzatore, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a corrispondere all'utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene avvenute a valori di mercato, dedotta la somma dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere attualizzati e del prezzo pattuito per l'esercizio dell'opzione finale di acquisto. L'eventuale differenza negativa è corrisposta dall'utilizzatore al concedente. Nelle attività di vendita e ricollocazione del bene, di cui al periodo precedente, la banca o l'intermediario finanziario deve attenersi a criteri di trasparenza e pubblicità nei confronti dell'utilizzatore».
[3] In realtà uno dei primi interventi sul contratto di locazione finanziaria va fatto risalire (quanto in particolare alla sua definizione) all’art. 17 della legge 183/1976 (recante la disciplina dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno per il quinquennio 1976-1980), secondo cui per locazione finanziaria si intendono «le operazioni di locazione di beni mobili e immobili, acquistati o fatti costruire dal locatore, su scelta e indicazione del conduttore, che ne assume tutti i rischi, e con facoltà per quest’ultimo di divenire proprietario dei beni locati al termine della locazione, dietro versamento di un prezzo prestabilito».
[4] Cfr. Cass., nn. 5569, 5570, 5571, 5572, 5573, 5574 del 13/12/1989.
[5] La distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo riguarda la causa concreta del contratto e la stessa viene ricavata in funzione dello scopo che ha il pagamento del canone in relazione al valore residuo del bene al termine della locazione finanziaria: nel leasing di godimento, si prevede che il bene esaurisca la sua utilità economica entro un determinato periodo di tempo, che coincide di regola con la durata del rapporto; nel leasing traslativo, si intende, viceversa, realizzare un preminente e coessenziale effetto traslativo, dato che il bene è destinato a conservare, alla scadenza del rapporto, un valore residuo particolarmente apprezzabile per l’utilizzatore, in quanto notevolmente superiore al prezzo di riscatto, di talché il riscatto non costituisce un’eventualità marginale e accessoria, ma rientra nella funzione assegnata dalle parti al contratto.
[6] Cfr. ex multis Cass., 15202/2018; Cass., 31994/2017; Cass., 19272/2014; Cass., 73/2010; Cass., 13418/2008; Cass., 11893/2008; Cass., 18195/2007; Cass., 24214/2006; Cass., 12823/2003; Cass., 9161/2002; Cass., 4855/2000; Cass., 2069/2000; Cass., 6034/1997; Cass., 2909/1996; Cass., 2743/1994; Cass., 2083/1992. Per la giurisprudenza di merito cfr., tra le altre, e anche di recente: Appello Torino 29/11/2016; Appello Napoli 16/022012; Tribunale Brescia 2/08/2016; Tribunale Novara 14/07/2016; Tribunale Milano 26/01/2016.
[7] Cfr. ancora ex multis Cass., 19732/2011; Cass., 27935/2018.
[8] Il riferimento va in particolare a quelle clausole presenti nella pressoché totalità dei modelli di contratto di locazione finanziaria predisposti dai concedenti e per cui in caso di risoluzione anticipata del rapporto al concedente spetta il diritto di avere oltre che la restituzione del bene (e quindi il valore della proprietà del bene), tutto ciò che è stato pagato dall’utilizzatore a qualsiasi titolo nel corso del rapporto (le rate restano acquisite al concedente), oltre che quanto ancora resterebbe da pagare dopo la risoluzione del contratto a titolo di canoni a scadere (sia in quota capitale che in quota interessi), attualizzati al momento della risoluzione con un coefficiente indicato in contratto. Sul punto va richiamata la pronuncia della Cassazione 888/2014 che, partendo dal contesto giurisprudenziale sopra richiamato, ha risolto la problematica affermando la necessità di adeguare le previsioni delle clausole pattizie, considerate come penali manifestamente eccessive, in applicazione di una interpretazione basata sui principi ispiratori dell’art. 1526 c.c., con conseguente adeguamento da parte del giudice, previa disapplicazione delle previsioni pattizie, in modo tale da non consentire al concedente di avere più di quello che lo stesso avrebbe avuto diritto di ottenere dal finanziamento in ipotesi di sua esecuzione fisiologica.
[9] Cfr. Cass., 18195/2007; Cass., 1748/2011; Cass, 23324/2011; 11293/2011; Cass., 9488/2013; Cass., 2491/2015; Cass., 8687/2015; Cass. 2538/2016; Cass., 15975/2018; Cass., 10733/2019. Di questo avviso anche una parte della giurisprudenza di merito e tra cui si richiamano: Tribunale Mantova 6/02/2008; Tribunale Napoli 9/06/2010; Tribunale Milano 12/12/2012; Tribunale Mantova 26/09/2013; Appello Brescia 4/05/2015; Tribunale Novara 14/07/2016; Tribunale Brescia 2/08/2016; Appello Torino 29/11/2016 cit.
[10] Cfr. in questo senso Cass. 4862/2010. Peraltro in questa pronuncia la Cassazione, chiamata a confrontarsi con le modalità di insinuazione del concedente al passivo della procedura fallimentare dell’utilizzatore, afferma che il concedente, in caso di fallimento dell’utilizzatore e di opzione del curatore per lo scioglimento del vincolo contrattuale ex art. 72 quater L.F., non può richiedere subito, mediante l’insinuazione al passivo ex art. 93 legge fallimentare, anche il pagamento dei canoni residui che l’utilizzatore avrebbe dovuto corrispondere nell’ipotesi di normale svolgimento del rapporto di locazione finanziaria, in quanto con la cessazione dell’utilizzazione del bene viene meno la esigibilità di tale credito, ma ha esclusivamente diritto alla restituzione immediata del bene e un diritto di credito eventuale, da esercitarsi mediante successiva insinuazione al passivo, nei limiti in cui, venduto o altrimenti allocato ai valori di mercato il bene oggetto di contratto di leasing, dovesse verificarsi una differenza tra il credito vantato alla data del fallimento e la minore somma ricavata dalla allocazione del bene cui è tenuto il concedente stesso, secondo la nuova regolazione degli interessi fra le parti direttamente fissata dalla legge. Per la Cassazione in questione resta tuttavia ammissibile la possibilità del concedente di insinuarsi per il credito a titolo di rate già scadute al momento della dichiarazione di fallimento. Sull’argomento si veda tuttavia anche la pronuncia della Cassazione 15701/2011 che sembra prendere le distanze dal precedente costituito dalla Cassazione 4862/2010, affermando che in tema di effetti del fallimento su preesistente rapporto di leasing, ai sensi dell'art. 72-quater L.F. il concedente, in caso di fallimento dell'utilizzatore e di opzione del curatore per lo scioglimento del vincolo contrattuale, può soddisfarsi sul bene oggetto del contratto di locazione finanziaria al di fuori del concorso, previa ammissione del credito al passivo fallimentare essendo egli destinato ad essere soddisfatto al di fuori del riparto dell’attivo, mediante vendita del bene (analogamente al creditore pignoratizio e a quello garantito da privilegio speciale ex art. 53 L.F.), con esenzione dal concorso sostanziale, ma non dal concorso formale. Da ultimo, si veda ancora la soluzione adottata dalla pronuncia della Cassazione n. 21213/2017 e per cui, dato che non sarebbe possibile considerare il contratto in modo unitario e quindi non distinguere i canoni scaduti e impagati prima della dichiarazione di fallimento da quelli a scadere successivi alla dichiarazione stessa, mentre per i primi (che sono canoni che l’utilizzatore avrebbe dovuto corrispondere) appare legittimo procedere con l’insinuazione al passivo, per i secondi (e che si riferiscono a canoni che non sono formalmente scaduti non essendo continuato il contratto) vale il meccanismo previsto dall’art. 72 quater L.F. ovvero la soddisfazione per il mancato incasso dei canoni futuri con la vendita o ricollocazione del bene. In ordine alle problematiche riconnesse alla «vischiosità dell’art. 72 quater L.F.» e da cui originano le soluzioni ‘particolari’ adottate in giurisprudenza, si rinvia per tutti a G. Bonfante, nota a sentenza (Cass., civ. Sez. I Ordinanza 13 settembre 2017, n. 21213), in Giur. It., 2018, 1, p. 113.
[11] Cfr. in questo senso: Tribunale Treviso 6/05/2011; Tribunale Udine 10/02/2012; Tribunale Torino 23/04/2012; Tribunale Perugia 5/06/2012; Tribunale Padova 14/03/2014; Tribunale Busto Arsizio 7/04/2014; Tribunale Milano 6/05/2014; Tribunale Pordenone 19/06/2014; Tribunale Bergamo 3/05/2016.
[12] Concernenti tra l’altro le nozioni di «credito residuo in linea capitale» e di «credito vantato alla data del fallimento» e il diverso contenuto del diritto della società in relazione al primo e al secondo; il significato da attribuire all’indicazione della collocazione del bene ai «valori di mercato», anche in ordine alle modalità di tempo in cui la stessa deve avvenire; il contenuto e la modalità che il concedente deve osservare per esercitare il diritto di credito eventuale, qualora sussista una differenza tra il credito vantato alla data del fallimento e la minore somma ricavata dalla ricollocazione del bene cui è tenuto il concedente; i presupposti dell’esenzione della revocatoria per le somme già riscosse dal concedente.
[13] Quest’ultima, peraltro, resa in ambito ‘non fallimentare’. Sul punto v. in ogni caso § 5.1.
[14] Per questo nuovo indirizzo il ‘vecchio’ orientamento giurisprudenziale, ancorché consolidatosi da tempo e giustificato dall’assenza di una disciplina civilistica del contratto di leasing finanziario, non può che «cedere il passo ad una precisa presa di posizione del legislatore che, in quanto introduce una disciplina che integra una obiettiva (ed evidentemente consapevole) soluzione di continuità rispetto ad esso, non può che riverberarsi sulla valutazione ed interpretazioni pregresse non ancora definite» (Cass., 27545/2019).
[15] Sotto un profilo operativo la Cassazione delinea poi un percorso da intraprendere nella procedura di verifica dei crediti. Secondo questo iter tracciato dalla Cassazione il concedente dovrà: insinuarsi al passivo della procedura per poter riallocare il bene e trattenere in tutto o in parte i canoni già incassati; vendere il bene sulla scorta di una perizia di stima disposta dal Giudice Delegato in seno al procedimento di verifica del passivo; in ipotesi di mancata ricollocazione del bene, il credito del concedente sarà determinato (e quindi anche ammesso al passivo) sulla base della perizia disposta dal Giudice Delegato che determina il valore di mercato del bene e quantificato come differenza tra il valore del bene e il suo credito residuo, dato dai canoni a scadere e non pagati sino alla dichiarazione di fallimento, dai canoni a scadere, solo in linea capitale, oltre al prezzo dell’opzione. All’esito della vendita o ricollocazione, le eventuali differenze dovranno essere fatte valere in sede di riparto. Si tratta di un percorso incentrato sul valore periziato del bene, in base alla stima demandata al Giudice Delegato, che secondo la Cassazione si pone in linea e sarebbe supportata anche dalla nuova disciplina del Codice della Impresa e della Insolvenza che all’art. 177, ancorché riferito alla ipotesi di scioglimento del contratto pendente al momento della apertura della procedura di fallimento, detta una disciplina coerente con l’art. 72 quater L.F., stabilendo che «il concedente ha diritto di insinuarsi nello stato passivo per la differenza fra il credito vantato alla data di apertura della liquidazione giudiziale e quanto ricavabile dalla nuova allocazione del bene secondo la stima disposta dal Giudice Delegato» e ponendo dunque la stima del bene disposta dal giudice «quale necessario presidio per determinare il valore di mercato del bene».
[16] Cfr. in questo senso espressamente A. A. Dolmetta, La ricerca del «marciano utile», in Riv. Dir. Civ., 4/2017, p. 825. Le osservazioni formulate dall’Autore nello scritto citato risultano particolarmente attinenti anche all’ipotesi del contratto di locazione finanziaria alla luce delle previsioni inserite con la legge 124/2017, dato che in sostanza sembrerebbe che con queste disposizioni il legislatore abbia inteso codificare una sorta di tutela marciana (a corredo della disciplina della risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore-debitore e conseguenti effetti), in ragione della natura tipizzata del contratto come un contratto di finanziamento in seno al quale il bene concesso in utilizzo assume sostanzialmente la valenza di una garanzia ‘impropria’ della restituzione del credito; tanto, dunque, da poter essere annoverato nel più ampio genus delle alienazioni in garanzia (nella specie risolutivamente condizionato all’inadempimento del debitore). Sul punto si veda anche A. Luminoso, Patto Marciano e sottotipi, in Riv. Dir, Civ, 6/2017, p. 1420.
[17] Cfr. sul punto sempre A. A. Dolmetta, op. cit., p. 825.
[18] Cfr. in questo senso: V. Zanichelli, nota a sentenza (Cass. civ. Sez. I, 15 luglio 2011, n. 15701), in Fallimento, 2012, 1, p. 68 nonché anche autori ivi citati, e tra cui: S. Bonfatti-P.F. Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2011, p. 349; C. Cecchella, Il diritto fallimentare riformato, Milano, 2007, 257; A. Maccarrone, Locazione, Il contratto di leasing finanziario e la nuova riforma fallimentare, in Contratti, 2009, p. 95; L. Quagliotti, Scioglimento endofallimentare del contratto di leasing: credito regolabile fuori concorso e crediti insinuabili, in Fallimento, 2010. Ritenevano invece che il bene debba essere necessariamente ricollocato, anche con riferimento alla disposizione di cui all’art. 72 quater L.F., M. Fabiani, Diritto fallimentare, Bologna, 2011, p. 370; M.R. La Torre, Il leasing finanziario nel fallimento ed il nuovo art. 72 quater l.fall., in Fallimento, 2008, p. 292; Serra, Il contratto di leasing, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Dei singoli contratti, (*****), a cura di D. Valentino, Torino, 2011, p. 577; A. Patti, Disciplina concorsuale della locazione finanziaria nella nuova normativa, in Fallimento, 2007, p. 137.
[19] Cfr. nota 15.
[20] Cfr. sempre in questo senso A. A. Dolmetta, op. cit, p. 825.
[21] Nella pronuncia n. 22731/2019 la Cassazione, dopo aver ribadito, conformemente a quanto affermato a partire dalla sentenza n. 8980/2019, che la disciplina tipica del contratto di leasing introdotta dalla legge n. 124 del 2017 deve ritenersi applicabile anche ai contratti risolti prima della sua entrata in vigore e purché i relativi effetti non siano ancora ‘esauriti’, essendo sufficiente che la nuova disciplina interferisca con questioni ancora dibattute tra le parti, precisa che «L’articolo 1, comma 138, L. n. 124/2017 afferma il diritto dell’utilizzatore sul ricavato della vendita del bene oggetto del contratto di leasing e stabilisce che il concedente debba corrispondere in favore del primo tale ricavato dedotte le somme pari all’ammontare dei canoni scaduti, del capitale a scadere, del prezzo pattuito per l’esercizio finale e degli ulteriori crediti maturati sino alla vendita; viene così implicitamente stabilita una postergazione del diritto di credito della concedente all’avvenuta collocazione sul mercato del bene». Prosegue poi correttamente la Corte evidenziando che «tale meccanismo, però, funziona e ha un senso solo se l’utilizzatore restituisce il bene. Evidenti ragioni di logica e un’interpretazione della nuova disciplina ispirata ai principi di buona fede e correttezza impediscono un’applicazione della normativa che consenta all’utilizzatore di beneficiare dei propri inadempimenti per bloccare il tutto e impedire alla concedente l’incasso dei canoni scaduti, di quelli a scadere e delle restanti somme che le spettano. La restituzione del bene è invece il presupposto per l’esercizio dei diritti da parte dell’utilizzatore; ove questa non sia avvenuta, non si può in alcun modo ostacolare il diritto della concedente al pagamento della penale contrattuale». Ora, e seppur la pronuncia va contestualizzata rispetto allo specifico caso esaminato dalla Corte, dai principi ivi affermati sembra trarsi una seppur timida iniziale conferma dell’impatto ingenerato dalle previsioni dell’art. 1 comma 138 della legge 124/2017 (giustamente rimesse al fatto anche della restituzione del bene e in base ad una lettura conforme della legge ai principi di buona fede, ma per vero espressamente prevista dalla stessa legge), sulla domanda di pagamento promossa dal concedente, anche a titolo di canoni scaduti e non pagati sino alla risoluzione; e ciò in ragione in sostanza della sopravvenuta inesigibilità del diritto di credito del concedente a seguito della risoluzione del contratto e della restituzione del bene, oltre che, si ribadisce (e ancorché la Corte non vi si confronti direttamente), della sopravvenuta incertezza e illiquidità del credito in questione. La Corte parla espressamente di un ‘meccanismo’ previsto dalla legge 124/2017 idoneo a ‘bloccare’ le richieste di pagamento del concedente a fronte del contratto risolto, in relazione alle diverse poste di dare indicate dall’art. 1, comma 138 legge 124/2017, e tra cui anche quelle a titolo di canoni scaduti e non pagati sino alla risoluzione, postergato al momento della ricollocazione sul mercato del bene. Il tutto purché le relative eccezioni vengano sollevate dall’utilizzatore in buona fede, ipotesi che si configura quando l’utilizzatore ha restituito il bene al concedente-proprietario, così dunque consentendo allo stesso di rientrare nella piena disponibilità del bene.
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