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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 19/10/2019 Scarica PDF
Onorario del consulente tecnico e patrocinio a spese dello Stato: la provvidenziale metamorfosi in spesa anticipata
Franco Caroleo, Giudice nel Tribunale di Paola(Commento a Corte Cost. 1° ottobre 2019, n. 217)
Il 1° ottobre 2019, a pochi giorni dall’inizio delle celebrazioni dell’ottobrata romana nel vicino rione Monti, la Corte Costituzionale ha pubblicato la sentenza n. 217 con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 131, comma 3, d.P.R. n. 115/2002 «nella parte in cui prevede che gli onorari e le indennità dovuti ai soggetti ivi indicati siano «prenotati a debito, a domanda», «se non è possibile la ripetizione», anziché direttamente anticipati dall’erario».
La pronuncia, facile a prevedersi, regalerà plurimi sussulti di giubilo ai consulenti tecnici di parte e d’ufficio (nonché agli altri ausiliari dei magistrati) che, fino ad oggi, nelle cause coinvolgenti una parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, rischiavano di svolgere il loro incarico senza ottenere alcun effettivo compenso (salvi i rarissimi i casi in cui la prenotazione a debito portava ad esiti fruttuosi).
La sentenza della Corte Costituzionale n. 217/2019 si presenta fortemente innovativa, tenuto peraltro conto che in passato la stessa Consulta aveva negato rilevanza costituzionale alla questione sull’incerta conseguibilità dell’onorario da parte dell’ausiliare del giudice.
La declaratoria di incostituzionalità dell’art. 131, comma 3, d.P.R. n. 115/2002 impone, dunque, di svolgere alcune considerazioni sul recente approdo della Corte Costituzionale e sugli effetti da questo scaturenti.
1. L’onorario del consulente tecnico fino al 1° ottobre 2019: l’insostenibile leggerezza della prenotazione a debito.
Ai sensi del previgente art. 131, comma 3, d.P.R. n. 115/2002, gli onorari dovuti al consulente tecnico di parte e agli ausiliari del magistrato potevano essere prenotati a debito, su domanda dell’interessato, “se non è possibile la ripetizione dalla parte a carico della quale sono poste le spese processuali, o dalla stessa parte ammessa, per vittoria della causa o per revoca dell’ammissione”.
Secondo la relazione al testo unico, gli onorari in questione dovevano essere prenotati a debito e riscossi con le spese solo dopo la “vana escussione del condannato non ammesso, e dell’ammesso in caso di revoca dell’ammissione, cui è equiparata la vittoria della causa”.
Tuttavia, come già rilevato da molti[1], il
comma terzo in commento non richiedeva la necessità di attivare specifiche
procedure esecutive, ma si limitava a subordinare la prenotazione a debito
all’impossibilità della ripetizione (pur non chiarendo cosa dovesse intendersi
in concreto).
Pertanto, considerato che in tutti i casi in cui il legislatore del d.P.R. n. 115/2002 ha voluto condizionare il pagamento all’esperimento di una particolare procedura lo ha espressamente previsto (si veda, ad esempio, l’art. 116 che dispone la liquidazione dell’onorario e delle spese spettanti al difensore di ufficio “quando il difensore dimostra di aver esperito inutilmente le procedure per il recupero dei crediti professionali”), si era portati a riconoscere portata estensiva alla norma, ammettendo la prenotazione a debito anche in presenza di un semplice invito bonario ad adempiere (mediante raccomandata a/r) o dell’esperimento infruttuoso di parte della procedura esecutiva (atto esecutivo e contestuale precetto non seguiti da adempimento), senza dover attendere l’esito negativo del pignoramento.
Questa interpretazione più largheggiante non ha però inciso (nemmeno tangenzialmente) sul vero nodo che avviluppava il sistema della prenotazione a debito per come congegnato dall’art. 131, comma 3.
La liquidazione, infatti, restava meramente eventuale, essendo normativamente condizionata all’effettivo recupero della somma prenotata a debito da parte dell’ufficio giudiziario.
Del resto, l’art. 3, lett. s), d.P.R. n. 115/2002 definisce “prenotazione a debito” l’annotazione “a futura memoria di una voce di spesa, per la quale non vi è pagamento, ai fini dell’eventuale successivo recupero”.
Ciò rendeva decisamente elevato il rischio di sostanziale gratuità della prestazione del professionista, specie nelle ipotesi di condanna alle spese processuali della parte ammessa al patrocinio.
Eppure la Corte Costituzionale, in più occasioni, ha respinto i dubbi di costituzionalità periodicamente serpeggianti tra la giurisprudenza di merito (cfr. sentenza n. 287/2008: «Il rimettente muove dal presupposto interpretativo secondo cui, nei casi di ammissione di una parte al patrocinio a spese dello Stato, la disposizione censurata può comportare, in materia civile, che l’ausiliario del magistrato svolga la sua opera gratuitamente. Al contrario, tale disposizione disciplina il procedimento di liquidazione degli onorari dell’ausiliario medesimo, predisponendo il rimedio residuale della prenotazione a debito, a domanda, proprio al fine di evitare che il diritto alla loro percezione venga pregiudicato dalla impossibile ripetizione dalle parti del giudizio»; posizione successivamente ribadita nelle ord. nn. 408/2008, 195/2009, 203/2010, 12/2013).
Così, però, i giudici costituzionali non hanno fatto altro che ancorarsi al dato formale della prenotazione a debito, trascurando che, nelle frequentissime ipotesi di mancato recupero delle spese ex art. 134 d.P.R. n. 115/2002, il consulente non avrebbe mai conseguito alcun compenso.
Senza contare che nella relazione illustrativa dello schema del testo unico sulle spese di giustizia si era segnalato che, pur essendosi provveduto ad aggiornare le voci di spesa secondo la ricostruzione fatta nel testo unico, “… l’ipotesi della prenotazione a debito successivamente all’infruttuosa escussione da parte del professionista, appare un’ipotesi di scuola piuttosto che una concreta possibilità, ma in tal senso è la norma originaria”.
Quindi, già la relazione illustrativa del d.P.R. n. 115/2002 (che, come noto, mirava esclusivamente a riunire e coordinare le norme sulle spese del procedimento giurisdizionale, senza operare interventi modificativi) aveva evidenziato l’inconcludenza fattuale della regola della prenotazione a debito (ridicolizzata concettualmente a mera “ipotesi di scuola”).
Ciò nonostante, la Corte Costituzionale fino al 2019 ha preferito un’opzione ermeneutica letteralmente ineccepibile ma sostanzialmente impraticabile.
Quanto detto, è bene precisarlo, valeva con riferimento all’onorario del consulente tecnico di parte e dell’ausiliare del magistrato.
Con riferimento alle “spese sostenute per l’adempimento dell’incarico” (le cd. spese vive), invece, l’art. 131, co. 4, lett. c), già prevedeva (e prevede tuttora) l’anticipazione a carico dell’erario. Di tali spese, dunque, il consulente ha sempre potuto ottenere la corresponsione direttamente dallo Stato.
2. La sentenza della Corte Costituzionale n. 217/2019: la luce in fondo al patrocinio (a spese dello Stato).
Con la sentenza n. 217/2019 la Corte Costituzionale compie una notevole virata prospettica (sì, per blandire i francesisti pettinati, parliamo pure di “revirement”).
La pronuncia trae origine da una rimessione operata dal Tribunale ordinario di Roma nell’ambito di un procedimento promosso ai sensi dell’art. 696 bis c.p.c. per l’espletamento di una consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione di una lite, in presenza di una parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato.
Nella specie, era emerso che gli onorari dovuti ai c.t.u. nominati non potevano essere corrisposti perché anche la parte (coniuge dell’ammesso al patrocinio) a carico della quale erano stati posti gli oneri della consulenza non era in grado di ottemperarvi e che, dovendosi applicare l’art. 131, comma 3, d.P.R. n. 115/2002, non si sarebbe garantito agli ausiliari un compenso per la prestazione svolta.
Il caso, a ben vedere, è molto simile a quelli già esaminati dalla Corte Costituzionale e sui quali era freddamente calata la mannaia della manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale.
Questa volta, però, i giudici della Consulta resistono al canto delle sirene del formalismo e sposano un approccio eminentemente pratico.
Mentre in precedenza[2] si sosteneva che il rimedio residuale della prenotazione a debito era stato predisposto proprio al fine di evitare che il diritto alla loro percezione venisse pregiudicato dall’impossibile ripetizione dalle parti, nella decisione in commento si riconosce (finalmente) che il sistema risultante dal comma 3 dell’art. 131 si rivela piuttosto etereo, perché nei fatti impedisce al consulente tecnico di vedersi pagato il proprio onorario (così testualmente: «la suddetta opzione ermeneutica adottata da questa Corte non ha potuto trovare seguito nella prassi, rendendo impossibile – con riguardo a fattispecie come quella in esame – la liquidazione degli onorari e delle altre competenze contemplate nell’art. 131, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 30 maggio 2002»).
Da qui, dice la Corte Costituzionale, emerge un grave vulnus sotto il profilo della ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.
La nuova argomentazione proposta è semplice: se la finalità dell’istituto del patrocinio a spese dello Stato è quella di assicurare la tutela dell’indigente con carico all’erario delle spese inerenti le attività di assistenza (tra cui rientra certamente l’incarico tecnico affidato al consulente d’ufficio e di parte[3]), non si può ammettere una disposizione che, in ultima analisi, comporta la gratuità della prestazione del consulente tecnico.
Con il «tramonto della logica del gratuito patrocinio», non ci possono essere deroghe ispirate a questa superata logica; e le deroghe non possono nemmeno celarsi dietro lo stratagemma di un’annotazione “a futura memoria”.
In tal senso, il meccanismo procedimentale di cui al comma 3 dell’art. 131, che riconnette l’onere della previa intimazione di pagamento all’eventuale successiva prenotazione a debito del relativo importo, «impedisce il rispetto della coerenza interna del nuovo sistema normativo incentrato sulla regola dell’assunzione, a carico dello Stato, degli oneri afferenti al patrocinio del non abbiente»[4].
E, allora, come superare l’irragionevole ostacolo della prenotazione a debito? Per i giudici costituzionali, non si può far altro che trasformare l’onorario del consulente tecnico in una spesa anticipata.
Solo con l’anticipazione del compenso da parte dell’erario, infatti, si ristabilisce l’equilibrio economico voluto dal legislatore e si ripristina la grammatica fondante la disciplina del patrocinio a spese (non ad eventuale recupero) dello Stato.
La Corte Costituzionale, quindi, sancisce la metamorfosi organica della voce di spesa e dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 131, comma 3, d.P.R. n. 115/2002 «nella parte» in cui prevede che gli onorari siano prenotati a debito, previa intimazione di pagamento,«anziché direttamente anticipati dall’erario».
3. La liquidazione dell’onorario dopo la sentenza della Consulta: addio, prenotazione bella.
Da un punto di vista sistematico, la Corte Costituzionale finisce con l’applicare al processo civile[5] la stessa disciplina già prevista per il processo penale all’art. 107, co. 3, lett d) (“Sono spese anticipate dall’erario: […] d) le indennità e le spese di viaggio per trasferte, nonché le spese sostenute per l’adempimento dell'incarico, e l’onorario ad ausiliari del magistrato, a consulenti tecnici di parte e a investigatori privati autorizzati”)[6].
Peraltro, la ricaduta normativa della pronuncia del 2019 è quella di svuotare di contenuto il precetto del comma 3 dell’art. 131, dacché la dichiarata mutazione attrae l’onorario del consulente tecnico di parte e dell’ausiliare del magistrato nella sfera regolamentare del successivo comma 4, dedicato appunto alle spese anticipate dall’erario (quasi una fagocitazione a freddo).
Ma l’effetto pratico più evidente è che, a seguito della sentenza n. 217/2019, i consulenti tecnici di parte e gli ausiliari del magistrato vantano una pretesa anticipatoria direttamente nei confronti dello Stato.
Ciò comporta una rivisitazione del sistema che fino ad ora aveva governato i compensi dei menzionati professionisti (nell’ambito di un processo in cui una o più parti sono ammesse al patrocinio), almeno sotto sei profili che si vanno a tratteggiare qui di seguito.
a) L’intimazione di pagamento
Tra i primi commentatori della sentenza n. 217/2019, qualcuno[7] ha paventato il dubbio che la declaratoria di incostituzionalità non abbia travolto anche l’onere della previa intimazione di pagamento. Sicché, dovrebbe aversi l’anticipazione solo una volta che il professionista abbia esperito infruttuosamente il recupero nei confronti della parte.
A parere di chi scrive, la Corte Costituzionale ha inteso censurare, oltre che la prenotazione a debito, anche il meccanismo della previa intimazione. E tanto sembra potersi ricavare proprio da alcuni passaggi della pronuncia in cui:
- [par. 6 in diritto] si denuncia il vizio di ragionevolezza dell’art. 131, co. 3, «proprio perché, in luogo dell’anticipazione da parte dell’erario, prevede, a carico dei soggetti che hanno prestato l’attività di assistenza, l’onere della previa intimazione di pagamento e l’eventuale successiva prenotazione a debito del relativo importo» (l’onere intimativo è dunque esplicitamente enumerato tra le incongruenze del sistema congegnato dalla norma discussa);
- [par. 6 in diritto] si stigmatizza la lesione costituzionale della norma poiché in essa si dispone che gli onorari e le indennità «siano previamente oggetto di intimazione di pagamento e successivamente eventualmente prenotati a debito» (anche qui la condanna è rivolta non solo alla prenotazione a debito, ma anche alla sua combinazione con l’onere di preventiva intimazione);
- [dispositivo] si decreta l’illegittimità costituzionale della disposizione «nella parte in cui prevede che gli onorari e le indennità dovuti ai soggetti ivi indicati siano «prenotati a debito, a domanda», «se non è possibile la ripetizione», anziché direttamente anticipati dall’erario» (se davvero i giudici costituzionali avessero voluto conservare l’onere di previa intimazione, non avrebbero sanzionato anche il secondo inciso riferito all’impossibilità della ripetizione).
Seguendo questa linea esegetica, deve escludersi che il consulente tecnico di parte e l’ausiliare del magistrato, per ottenere l’anticipazione del proprio onorario a carico dell’erario, debbano prima invitare la parte ad adempiere.
b) La liquidazione dell’onorario del c.t.p.
Nella prassi dei tribunali era raro imbattersi in istanze di liquidazione dell’onorario dei consulenti della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato.
La ragione è intuibile: il previgente meccanismo della prenotazione a debito scoraggiava moltissimi periti ad intraprendere la farraginosa via indicata dal comma 3 dell’art. 131 che, come si è detto, conduceva quasi sempre ad esiti infruttuosi.
Ora che le cose cambiano, è ragionevole attendersi un incremento di queste istanze di liquidazione.
A tal riguardo, è opportuno segnalare che, laddove il consulente dell’ammesso al beneficio si limitasse a redigere la perizia di parte e, nel corso del giudizio, non fosse disposta c.t.u. o, se disposta, non venisse nominato c.t.p., lo stesso ben potrebbe pretendere la liquidazione del proprio onorario fin dall’introduzione del giudizio.
Come è noto, infatti, ai sensi dell’art. 83, co. 2, d.P.R. n. 115/2002, la liquidazione delle spese del consulente tecnico di parte è effettuata dal giudice “al termine di ciascuna fase o grado del processo e, comunque, all’atto della cessazione dell’incarico”. Tale norma consente quindi al giudice di liquidare fin dall’atto della cessazione dell’incarico[8].
Dunque, poiché l’incarico del consulente titolare della sola perizia di parte (da prodursi in atti) può dirsi cessato all’atto dell’iscrizione a ruolo della causa, già da questo momento sorgerà il suo diritto di esigere la liquidazione dell’onorario.
c) Il termine per la presentazione dell’istanza di liquidazione
La nuova natura di spesa anticipata dell’onorario del consulente tecnico di parte e degli ausiliari del magistrato sollecita una riflessione sul termine di presentazione della domanda di liquidazione.
In realtà, non sembrano porsi particolari questioni con riferimento al consulente tecnico d’ufficio (nonché agli altri ausiliari del magistrato), atteso che l’art. 71, co. 2, d.P.R. n. 115/2002 prevede espressamente il termine decadenziale di cento giorni dall’espletamento dell’incarico.
La norma, come è noto, è collocata nella Parte II del testo unico in materia di spese di giustizia e, perciò, non sembra poter risentire di eventuali modifiche involgenti la disciplina del patrocinio a spese dello Stato (contenuta, invece, nella Parte III del testo unico).
Più complicata si presenta la posizione del consulente tecnico di parte, tenuto conto che per la liquidazione del suo compenso non è contemplata una disposizione simile al descritto art. 71.
Orbene, considerato che le ipotesi di decadenza (specie con riferimento a situazioni giuridiche soggettive connesse a diritti fondamentali) devono essere tipiche ed espresse, deve escludersi che l’istanza di liquidazione del c.t.p. soggiaccia ad un termine decadenziale.
Ci si chiede, però, se debba comunque individuarsi un termine ultimo di presentazione dell’istanza prima dell’emissione del provvedimento che definisce il giudizio di merito. E ciò al pari di quanto avviene in relazione alla liquidazione dell’onorario del consulente tecnico d’ufficio (poiché, chiuso il giudizio e regolato con sentenza l’onere delle spese processuali, il giudice si spoglia della potestas decidendi e non ha più il potere di provvedere alla liquidazione[9]).
Al riguardo, si è propensi a negare validità ad un’applicazione analogica della disciplina concernente l’onorario del consulente tecnico d’ufficio, essendo la figura del consulente tecnico di parte più vicina a quella del difensore, atteso che:
- al c.t.p. è riconosciuto il potere (art. 201 c.p.c.) di intervenire e assistere la parte durante lo svolgimento delle indagini peritali, presentare istanze ed osservazioni al c.t.u., prospettare l’adozione di differenti parametri di giudizio oppure sollecitare l’assunzione di ulteriori elementi di valutazione o accertamenti fattuali e partecipare all’udienza ed alla discussione in camera di consiglio ogni qual volta vi intervenga il c.t.u. ed interloquire, su autorizzazione del presidente, per chiarire e svolgere le sue considerazioni sui risultati delle indagini (art. 197 c.p.c.);
- l’istituto del c.t.p. può quindi essere considerato come strumento essenziale ed indefettibile per la compiuta realizzazione del diritto di difesa (inteso anche come assistenza tecnico-professionale) e per la piena osservanza del principio del contraddittorio;
- la liquidazione del compenso del c.t.u. attiene in ultima analisi alla regolamentazione degli oneri processuali tra le parti in giudizio, le quali devono farsi carico delle spese per gli importi riconosciuti al c.t.u. (“in forza della responsabilità solidale che, in linea di principio, grava su tutte le parti del processo per il pagamento delle spese di CTU e che perdura anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza conclusiva del processo, anche indipendentemente dalla definitiva ripartizione fra le parti dell’onere delle spese”; cfr. Cass. nn. 6199/1996; 22962/2004; 23586/2008; 25179/2013); al contrario, la liquidazione dell’onorario del c.t.p., per come conformata alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 217/2019, non ha alcuna incidenza rispetto al governo delle spese di lite, in quanto l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato determinerebbe l’insorgenza di un rapporto che si instaura direttamente tra il consulente e lo Stato, di tal che le parti rimangono totalmente estranee agli esborsi che dovranno essere corrisposti al perito (sul punto, tornano molto utili le conclusioni rassegnate dalla recente Cass. n. 22448/2019, confermative di un orientamento sorto tra la giurisprudenza di merito con riferimento alla liquidazione del compenso del difensore di una parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato).
Alla luce di tali considerazioni, si ritiene che il c.t.p. (esattamente come il difensore patrocinante) possa presentare l’istanza di liquidazione anche dopo che sia stato pronunciato il provvedimento che definisce la fase giudiziale di riferimento.
d) L’acconto concedibile al c.t.u.
La collocazione dell’onorario del c.t.u. tra le spese anticipate ha certamente un riflesso sul regime del provvedimento (ordinatorio discrezionale e provvisorio) con cui il giudice all’udienza di giuramento del c.t.u. ex art. 193 c.p.c. accorda all’ausiliare un acconto.
Ed invero, fino alla pronuncia della Corte Costituzionale in discussione, anche nei procedimenti con ammissione al patrocinio a spese dello Stato, l’acconto doveva essere comunque posto a carico di una parte (o di entrambe, a seconda dei casi), trattandosi di esborso che, al più, poteva essere successivamente prenotato a debito.
Adesso che invece si è riconosciuta l’anticipazione dell’erario anche con riferimento al compenso del c.t.u., il giudice non dovrà più addebitare l’acconto ad una delle parti, potendosi limitare a dare atto della prevista anticipazione. Quindi, il cancelliere procederà ad annotare il relativo importo nel foglio notizie tra le spese anticipate.
e) Il decreto di liquidazione del compenso del c.t.u.
Alla stregua del provvedimento che concede l’acconto al c.t.u., nel decreto di liquidazione dell’onorario del c.t.u. non dovrà più disporsi alcun addebito (provvisorio) a carico delle parti, essendo il compenso annoverabile come spesa anticipata.
Di base, il provvedimento di liquidazione dell’onorario presenterà i medesimi contenuti di quello per liquidazione delle spese cd. vive (“sostenute per l’adempimento dell’incarico”), per le quali l’art. 131, co. 4, lett. c), già prevede l’anticipazione a carico dell’erario.
Potrebbe però discutersi se debba destinarsi all’anticipazione statale l’intero compenso spettante al c.t.u. (all’esito della dimidiazione ex art. 130 d.P.R. n. 115/2002) o solo la quota astrattamente riferibile alla parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato (seguendo questa seconda prospettazione, ad esempio: in un procedimento tra due parti di cui una sola ammessa al beneficio, il 50% del compenso già dimidiato andrebbe anticipato, mentre il restante 50% rimarrebbe a carico della parte non ammessa).
A sciogliere questa perplessità soccorre proprio la pronuncia della Corte Costituzionale del 2019 nella parte in cui sancisce l’anticipazione dell’onorario globalmente inteso: sono «gli onorari e le indennità dovuti» agli ausiliari del magistrato che devono essere «direttamente anticipati dall’erario», non solo una parte di essi; nessuna scomposizione di sorta sembra ammessa.
f) Il dispositivo della sentenza
L’ingresso dell’onorario del c.t.u. nella categoria delle spese anticipate suggerisce un ripensamento anche in ordine alla formulazione del dispositivo della sentenza.
Eliminata la necessità di individuare in via definitiva il soggetto su cui far gravare le spese di c.t.u. (come già chiarito in relazione all’acconto e al decreto di liquidazione), il dispositivo deve tenerne conto e, peraltro, muta a seconda della situazione della parte risultata soccombente. In tal senso:
- se a soccombere è la parte non ammessa al patrocinio, la regolamentazione degli esborsi processuali potrà esaurirsi nella pedissequa osservanza del disposto dell’art. 133 d.P.R. n. 115/2002, con la condanna al pagamento, in favore dello Stato, di tutte le spese processuali anticipate e prenotate a debito; sicché, potrebbe essere superfluo aggiungere un ulteriore capo di condanna dedicato alle spese di c.t.u., dacché le stesse sono ora ricomprese tra le spese anticipate;
- se a soccombere è la parte ammessa al patrocinio, la stessa, fermo il suo obbligo alla rifusione del compenso del difensore della controparte e di tutti gli esborsi processuali da questa sostenuti (ad esempio, se controparte-attrice: contributo unificato, spese di notifica etc.), non potrà vedersi condannata in sentenza al pagamento delle spese liquidate al c.t.u.; infatti, trattandosi di importi divenuti anticipabili dall’erario (con il c.t.u. che trova così già soddisfatte le sue pretese creditorie), al pari di quelli riconosciuti al difensore patrocinante (ex art. 131, co. 4, lett. a), potranno al più essere successivamente recuperati dallo Stato al ricorrere delle condizioni fissate all’art. 134 d.P.R. n. 115/2002[10]; dunque, come accade per tutte le spese processuali anticipate e prenotate a debito[11], nulla potrà essere giudizialmente imputato alla parte ammessa a titolo di onorari e spese vive del c.t.u.
4. Conclusioni.
L’innovatività della sentenza n. 217/2019 della Corte Costituzionale è indiscutibile.
Partendo dalla necessità di rispettare compiutamente la finalità propria del patrocinio a spese dello Stato, la Corte ha rilevato l’intrinseca incoerenza di un meccanismo, quale quello della prenotazione a debito, che consentiva che le prestazioni rese dai consulenti tecnici di parte e dagli ausiliari del magistrato potessero rimanere gratuite.
La soluzione adottata è stata quella di trasformare l’onorario di questi professionisti in una spesa anticipata dall’erario, elidendo pure l’onere della previa intimazione di pagamento.
Quanto alle ricadute di questa pronuncia di incostituzionalità, se ne sono potute ipotizzare alcune, confidando che la futura prassi potrà meglio far luce sulle implicazioni concrete.
Di certo, già si possono ritenere raggiunti due risultati non da poco.
Per prima cosa, si è superato un serio paradosso (non meno astruso delle zenoniane tartarughe irraggiungibili[12]) della Parte III del d.P.R. n. 115/2002 che, pur essendo rivolta al patrocinio a spese dello Stato, lasciava schiere di consulenti tecnici senza remunerazione alcuna.
Il secondo risultato, meno esplicito ma non meno significativo, è quello di aver ridato centralità alla differenza strutturale tra gratuito patrocinio e patrocinio a spese dello Stato che, proprio con riferimento alla materia dell’onorario del consulente tecnico, la Corte Costituzionale in passato aveva pericolosamente sottovalutato.
Peraltro, la sentenza n. 217, con un garbo tutt’altro che snobistico, sembra ammonire chi ancora oggi si ostina a parlare di gratuito patrocinio anziché di patrocinio a spese dello Stato. Scambiare i nomi dei due istituti non è un capriccio da pigrizia intellettuale, ma è sintomo di sciatta confusione ordinamentale.
[1] Financo dalla Direzione Generale della Giustizia Civile - Dipartimento per gli affari di giustizia del Ministero della Giustizia cfr. nota prot. n. 9539 del 24.1.2006 Rif. n. QUES. 633/04.
[2] Corte Cost. sent. n. 287/2008, ord. nn. 408/2008, 195/2009.
[3] Su questa linea, Corte Cost. n. 149/1983 aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 11 R.D. 30 dicembre 1923, n. 3282, nella parte in cui non prevedeva che il beneficio del gratuito patrocinio si estendesse alla facoltà per le parti di farsi assistere da consulenti tecnici, concretandosi altrimenti «un’evidente limitazione del diritto di difesa del non abbiente, che ne menoma la possibilità di efficacemente contraddire quando nel giudizio si controverta su questioni di natura tecnica».
[4] Questa conclusione stride fragorosamente con quanto precedentemente sostenuto dalla Corte Costituzionale nella sent. n. 287/2008, in cui si evidenziava che, gratuito o meno, l’incarico del consulente doveva considerarsi garantito dall’art. 63 c.p.c. che, comunque, «prevede l’obbligo del consulente scelto tra gli iscritti ad un albo di prestare il suo ufficio».
[5] A dire il vero, prima del recente intervento della Consulta, non tutti i settori del processo civile erano estranei all’anticipazione dell’erario degli onorari dovuti al consulente tecnico e all’ausiliare del magistrato. Infatti, nel processo di interdizione e di inabilitazione promosso dal pubblico ministerol’art. 145 d.P.R. n. 115/2002 prevede che tali onorari siano anticipati in virtù di un’ammissione al beneficio d’ufficio (è la relazione illustrativa al testo unico che si esprime in questi termini, richiamando Corte Cost. n. 112/1967), salvo successiva verifica dei limiti reddituali ai fini del recupero (come avviene nel processo penale minorile).
[6] Vale la pena rammentare che in precedenza, in relazione a questa discrasia legislativa tra processo civile e processo penale, la Corte Costituzionale aveva negato la sussistenza di una disparità di trattamento sulla base della ontologica diversità dei processi, che escludeva la necessità di adozione di modelli unitari per entrambi i giudizi (cfr. Corte Cost. sent. n. 287/2008; ma si vedano anche ord. nn. 350/2005, 201/2006, 270/2012).
[7] Cfr. Caglioti G.W., “CTU e CTP, liquidazione dell’onorario nel patrocinio a carico dello Stato: un approfondimento”, 3.10.2019, su https://www.professionegiustizia.it/documenti/notizia/2019/ctu-ctp-liquidazione-onorario-gratuito-patrocinio-corte-costituzionale.
[8] Difatti, così si procede laddove sia stato revocato il mandato dell’avvocato patrocinante e lo stesso sia stato sostituito (e non si attende la conclusione del giudizio per liquidare distintamente i due difensori che si sono avvicendati). E a nulla pare rilevare il disposto del successivo comma 3-bis (“Il decreto di pagamento è emesso dal giudice contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta”), che atterrebbe solamente alla fattispecie della chiusura della fase, in mancanza di precedente cessazionedell’incarico.
[9] Cfr. Cass. nn. 7633/2006; 28299/2009.
[10] Scarselli G., Il nuovo patrocinio nei processi civili ed amministrativi, Cedam, Padova, 2003, p. 230.
[11] Si veda Cass. n. 10053/2012 che chiarisce come non possano essere addebitate all’ammesso le spese indicate all’art. 131 che lo Stato, sostituendosi alla stessa parte - in considerazione delle sue precarie condizioni economiche e della non manifesta infondatezza delle relative pretese - si impegna ad anticipare (confermata da ultimo da Cass. n. 8388/2017).
[12] Contessa N., “Non finirà”, in Aurora, 42 Records, 2016.
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