CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 15/04/2019 Scarica PDF
Le operazioni sul capitale della società nel Codice della crisi
Niccolò Usai, Avvocato in FirenzeSommario: 1. Introduzione. - 2. Le criticità rilevate a seguito dell’introduzione dell’istituto delle proposte concorrenti: l’efficacia potenzialmente espropriativa dell’istituto. - 3. La riforma della disciplina delle proposte concorrenti. - 4. Il “nuovo” procedimento previsto dal codice della crisi e dell’insolvenza per l’esecuzione “in forma specifica” della proposta omologata - 5. Le “altre” operazioni previste dalla proposta concordataria nella riforma. - 6. La sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione, automatica e su domanda. - 7. L’attribuzione al curatore dei poteri dell’assemblea nell’ambito della liquidazione giudiziale. - 8. L’impatto della emananda Direttiva europea in materia di ristrutturazione sulle operazioni sul capitale.
1. Introduzione
Il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (di seguito, c.c.i.), emanato con d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, prevede la riforma, in alcuni casi radicale, di numerosi e fondamentali istituti del diritto fallimentare[1]. Fra gli interventi del legislatore, non secondari sono quelli relativi alle operazioni sul capitale della società in crisi o sottoposta a procedura e quelli relativi alla conservazione dell’integrità del capitale sociale di quest’ultima.
Con riferimento alle operazioni sul capitale previste dalla proposta di concordato, saranno qui analizzate le novità relative sia ai presupposti per la presentazione delle proposte concorrenti, sia ai nuovi e più incisivi strumenti messi a disposizione degli organi della procedura dall’art. 118 c.c.i. al fine di garantire l’esecuzione delle proposte di concordato omologate. Tali elementi di novità, come sarà chiarito più avanti, dovranno necessariamente trovare un corretto inquadramento anche alla luce della disciplina contenuta nella emananda Direttiva europea in materia di ristrutturazione che, sotto alcuni aspetti, risulta contrasto con la recente riforma.
Per quanto riguarda, invece, la disciplina posta a tutela della conservazione dell’integrità del capitale sociale, saranno oggetto di analisi le disposizioni che consentono una sospensione automatica degli obblighi di ricapitalizzazione - nell’ambito degli accordi di ristrutturazione e delle procedure di concordato preventivo - e una sospensione su domanda, in pendenza del nuovo procedimento di composizione della crisi di cui all’art. 19 c.c.i.
Infine, sarà preso in esame il nuovo art. 264 c.c.i., il quale introduce la possibilità di attribuire al curatore i poteri dell’assemblea dei soci di una società sottoposta a liquidazione giudiziale e, quindi, il nuovo assetto delle competenze nell’esecuzione del programma di liquidazione della società nell’ambito di tale procedura.
Come si avrà modo di chiarire più avanti, l’insieme delle norme di nuova introduzione, tanto con riferimento all’esecuzione della proposta di concordato preventivo, quanto con riferimento all’esecuzione del programma di liquidazione, tende verso un accentramento di poteri e competenze a favore degli organi della procedura. Ne risulta un parziale abbandono del c.d. principio di neutralità dell’apertura della procedura concorsuale sull’assetto organizzativo della società, che richiederà un’analisi degli effetti che ciò avrà sull’attuale sistema: occorrerà valutare se vi sia un corretto bilanciamento tra l’esigenza di garantire la puntuale esecuzione degli obblighi concorsuali e l’esigenza di tutela dei diritti dei soci.
2. Le criticità rilevate a seguito dell’introduzione dell’istituto delle proposte concorrenti: l’efficacia potenzialmente espropriativa dell’istituto
Come già anticipato, le novità introdotte dal decreto legislativo in commento investono la maggior parte degli istituti classici del diritto fallimentare, ma non solo. Infatti, il Codice della crisi e dell’insolvenza ha riformato anche istituti di recente introduzione quali le proposte concorrenti, apparse nel panorama del diritto della crisi italiano ad opera del d.l. n. 83/2015.
L’art. 163, comma 5, l. fall., ha introdotto la possibilità per i creditori (che siano titolari almeno del 10 per cento dei crediti complessivi) di presentare una proposta di concordato concorrente con quella del debitore, nonché di prevedere all’interno di quest’ultima, qualora il debitore sia una s.p.a. o una s.r.l., un aumento di capitale con esclusione o limitazione del diritto d’opzione dei soci.
Gli effetti di tale previsione e l’efficacia potenzialmente espropriativa (a danno dei soci) derivante dall’eventuale approvazione di una proposta “ostile” sono stati oggetto di numerose riflessioni e critiche[2]. Come è stato efficacemente evidenziato, a seguito della facoltà concessa al creditore di - non solo programmare l’acquisizione del patrimonio della società in crisi o insolvente - ma anche procedere all’ingresso nel capitale della società in concordato, può dirsi venuto meno il tradizionale limite della non modificabilità della struttura organizzativa della società senza (o contro) la volontà della compagine sociale[3].
Le maggiori perplessità relative a tale scenario sono peraltro riferibili a tutte quelle situazioni in cui il debitore, in assenza di un (quantomeno conclamato) stato di insolvenza, versi soltanto in uno stato di crisi: crisi che ben potrebbe essere temporanea e reversibile. Si è dunque sostenuto che, in tale situazione, un aumento di capitale promosso da un creditore ed attuato con l’esclusione del diritto di opzione, potrebbe configurarsi come una espropriazione senza alcun corrispettivo a favore dei soggetti espropriati[4].
In risposta a tali critiche è necessario tuttavia evidenziare che il legislatore ha introdotto, unitamente all’istituto qui in esame, alcuni “contro-limiti” a quest’ultimo (accentuati dalla riforma, come si vedrà infra §3), i quali, in ultima istanza, consentono al debitore di evitare l’ingresso indesiderato di terzi all’interno della compagine sociale.
Innanzitutto, deve ricordarsi che l’iniziativa relativa alla presentazione della proposta concordataria è riservata al debitore e che, dunque, in assenza di quest’ultima non potrà aversi l’attribuzione di alcun potere concorrente ai creditori. In secondo luogo, l’art. 163, comma 5, l. fall., richiede che il creditore proponente rappresenti almeno il dieci per cento dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale depositata ai sensi dell'articolo 161, comma 2, l. fall., così fissandosi una soglia volta ad evitare proposte meramente speculative da parte di soggetti privi di qualsiasi interesse nelle sorti della società debitrice[5].
Oltre a ciò, occorre altresì rilevare la preclusione contro eventuali proposte di concordato concorrenti che scatta qualora nella relazione di cui all’articolo 161, comma 3, il professionista attesti che la proposta di concordato del debitore assicura il soddisfacimento di almeno il quaranta per cento dell’ammontare dei crediti chirografari, soglia preclusiva che scende al trenta per cento se il concordato è con continuità aziendale. Le previsioni appena richiamate sono valse a “disinnescare”, almeno in parte, le obiezioni aventi ad oggetto l’invasività dell’istituto in questione[6].
3. La riforma della disciplina delle proposte concorrenti
A tal ultimo riguardo, il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, all’art. 90 (rubricato “Proposte concorrenti”), pur mantenendo la soglia - relativa alla rappresentatività dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale - ferma al 10 per cento, ha tuttavia ridotto sensibilmente le soglie di soddisfazione previste (rectius: assicurate) dalla proposta del debitore le quali, come anticipato, hanno la funzione di escludere l’ammissibilità di eventuali proposte concorrenti.
Il testo recentemente pubblicato prevede che: a) la proposta di concordato proveniente dal debitore - al fine di escludere l’ammissibilità di proposte concorrenti - assicuri il pagamento di almeno il trenta per cento dei creditori chirografari e, b) qualora il debitore abbia fatto ricorso al procedimento d’allerta, ovvero abbia utilmente avviato la composizione assistita della crisi ai sensi dell’art. 24 c.c.i., tale soglia sia ridotta al venti per cento[7].
La nuova impostazione adottata dal c.c.i. risulta quindi maggiormente favorevole al debitore proponente, il quale vedrà esclusa la possibilità per i propri creditori di formulare una proposta concorrente, a fronte di una soddisfazione assicurata ai propri creditori chirografari inferiore rispetto al passato.
4. Il “nuovo” procedimento previsto dal codice della crisi e dell’insolvenza per l’esecuzione “in forma specifica” della proposta omologata
Occorre altresì evidenziare che la riforma ha investito anche il procedimento preposto a garantire l’esecuzione della proposta concordataria, precedentemente disciplinato dall’art. 185, l. fall. Pur mantenendosi inalterata la configurazione che prevede la possibilità, in presenza di un inadempimento post-omologa da parte del debitore, di un intervento sia da parte del commissario giudiziale sia di un amministratore giudiziario al fine di adottare gli atti necessari a dare esecuzione alla proposta (previa revoca dell’organo amministrativo), il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza impone una distinzione tra la partecipazione del socio di minoranza e quello di maggioranza sotto due diversi (seppur connessi) profili.
A tal riguardo, l’art. 118, comma 5, del nuovo codice (rubricato “Esecuzione del concordato”) dispone che “sono in ogni caso fatti salvi i diritti di informazione e di voto dei soci di minoranza”, colmando per tale via una lacuna avvertita in passato con riferimento ai flussi informativi riservati ai soci[8] e, tuttavia, lasciando intatto un vulnus informativo nei confronti dei soci di maggioranza. L’art. 118 prosegue, al comma successivo, disponendo che, tra i poteri attribuiti all’amministratore giudiziario al fine di dare esecuzione alla proposta omologata, rientrano anche la convocazione dell’assemblea, nonché l’esercizio del diritto di voto nella stessa “per le azioni o quote facenti capo al socio o ai soci di maggioranza”.
La nuova formulazione, la cui ratio non risulta ben comprensibile, potrebbe dar luogo a difficoltà anche rilevanti laddove non vi sia, all’interno della compagine sociale, un socio che detenga una quota di maggioranza del capitale sociale [9].
Sempre con riferimento all’esecuzione della proposta concordataria, deve rilevarsi che la nuova lettera dell’art. 118 c.c.i. (che, come già anticipato, viene a sostituire l’art. 185 l. fall.) sembra definitivamente risolvere alcuni degli interrogativi relativi all’estensione dei poteri attribuiti all’amministratore giudiziario.
Invero, l’art. 118, comma 6, c.c.i., prevede che all’amministratore giudiziario sia attribuito il “potere di compiere gli atti necessari a dare esecuzione alla proposta omologata, ivi inclusi, se la proposta prevede un aumento del capitale sociale della società debitrice o altre deliberazioni di competenza dell’assemblea dei soci, la convocazione dell’assemblea avente ad oggetto tali deliberazioni e l’esercizio del diritto di voto nelle stesse” e, dunque, riscrivendo l’attuale disciplina, introduce una novità di rilievo.
Tale novità è rappresentata dal fatto che la nuova disciplina consente all’amministratore di convocare l’assemblea dei soci (non più necessariamente straordinaria) se la proposta omologata “prevede un aumento di capitale sociale [..] o altre deliberazioni di competenza dell’assemblea dei soci” e, dunque, l’ambito applicativo dell’istituto in esame non risulterebbe più limitato al solo aumento di capitale della società debitrice, bensì consentirebbe anche l’avallo (forzoso) da parte dell’assemblea di altre operazioni previste nella proposta omologata (e necessarie all’attuazione di quest’ultima)[10].
Un’altra novità di rilievo sembra essere rappresentata dall’inclusione della proposta omologata presentata del debitore - e non più solo dai creditori - tra le proposte coercibili da parte dell’amministratore giudiziario per mezzo dell’attribuzione a quest’ultimo dei “poteri necessari” da parte del tribunale[11]. Il nuovo art. 118, comma 3, c.c.i., prevede che “il debitore è tenuto a compiere ogni atto necessario a dare esecuzione alla proposta di concordato anche se presentata da uno o più creditori, qualora sia stata approvata e omologata”[12] e, dunque, è stata modificata la precedente formulazione che faceva esclusivo riferimento alle proposte presentate da “uno o più creditori”.
Sebbene la lettera del quinto comma dell’art. 118 c.c.i. preveda che “il soggetto che ha presentato la proposta di concordato approvata e omologata dai creditori può denunciare al tribunale i ritardi e le omissioni del debitore mediante ricorso notificato al debitore”, creandosi (apparentemente) un “cortocircuito” che vedrebbe il debitore denunciare se stesso relativamente ad un inadempimento avente ad oggetto una proposta da questi presentata, occorre rilevare che ben potrebbe essere il consiglio di amministrazione o il collegio sindacale (qui intesi come debitore) a denunciare l’ostruzionismo interno dei soci che, ad esempio, ostacolino un aumento di capitale previsto nella proposta omologata.
Dunque, nonostante la non perfetta formulazione della norma e il non completo coordinamento tra le due disposizioni, deve ritenersi preferibile l’interpretazione che prevede la coercibilità della proposta presentata dal debitore. In tal modo, a ben vedere, oltre ad essere assicurato il rispetto della nuova formulazione del terzo comma dell’art. 118 c.c.i., sarà garantito alla disciplina concordataria un ulteriore strumento volto ad assicurare l’efficace e tempestiva esecuzione del concordato anche in presenza di manovre ostruzionistiche “interne”, adottate nel contesto di proposte provenienti da parte dello stesso debitore
Tale impostazione si pone del resto in linea con la Direttiva europea in materia di disciplina della crisi delle imprese che, all’art. 12, richiede che gli Stati membri adottino le misure necessarie affinché i soci non siano in grado di ostacolare irragionevolmente l’esecuzione di un piano di ristrutturazione (si veda infra par. 8).
5. Le “altre” operazioni previste dalla proposta concordataria nella riforma
Nell’ambito delle nuove operazioni “forzose” che - alla luce della riforma - risultano coercibili dall’amministratore giudiziario a seguito dell’omologazione della proposta concordataria, le operazioni “straordinarie” sembrano destinate a giocare un ruolo primario.
Sebbene le modifiche statutarie e le operazioni straordinarie rimangano di competenza degli organi societari, la violazione dell’obbligo di adottare le delibere necessarie ad attuare il piano omologato consentirebbe al tribunale, come conferma il dato letterale della norma di recente introduzione, di nominare un soggetto preposto ad esercitare il voto di soci e amministratori della società debitrice in concordato[13].
La nuova disciplina sembra anche in grado di risolvere le perplessità, sorte in passato, riguardo alla possibilità di emettere azioni di categoria speciale, così come strumenti partecipativi ai sensi dell’art. 2346, comma 6, c.c., senza che ciò fosse già statutariamente previsto dalla società in concordato.
Con riferimento a tale questione, è stato rilevato che, seguendo una interpretazione letterale dell’art. 185, l. fall., la precedente disciplina non consentiva di modificare - senza il consenso dei soci - lo statuto della società debitrice, ovvero di introdurre nuove clausole, fatta salva unicamente la facoltà di modificare la cifra del capitale sociale[14].
Il nuovo art. 118 c.c.i., invece, sancendo espressamente il superamento di un sistema basato su un numerus clausus di operazioni, a favore di un sistema tendenzialmente aperto e flessibile, in cui sono adottabili contro la volontà dei soci le “altre deliberazioni di competenza dell’assemblea dei soci”, appare lo strumento idoneo a procedere ad una riorganizzazione della struttura partecipativa e finanziaria della società in concordato anche in presenza di manovre ostruzionistiche da parte dei soci.
6. La sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione, automatica e su domanda
Con riferimento alla disciplina posta a tutela dell’integrità del capitale sociale nell’ambito delle procedure concorsuali, il nuovo codice sostanzialmente replica quanto già previsto dall’art. 182 sexies, l. fall.
Il nuovo art. 64 c.c.i (rubricato “Effetti degli accordi sulla disciplina societaria”) prevede - per quanto riguarda gli accordi di ristrutturazione - che “dalla data del deposito della domanda per l’omologazione degli accordi di ristrutturazione disciplinati dagli articoli 57, 60 e 61 ovvero della richiesta di misure cautelari e protettive ai sensi dell’articolo 54 relative ad una proposta di accordo di ristrutturazione e sino all'omologazione, non si applicano gli articoli 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482-bis, commi quarto, quinto e sesto, e 2482-ter del codice civile”, disponendo inoltre che - durante il periodo in questione - non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli artt. 2484, numero 4, e 2545-duodecies c.c.
Analogamente, con riferimento alla procedura di concordato preventivo, l’art. 89 c.c.i. (rubricato “Riduzione o perdita del capitale della società in crisi”) dispone che “dalla data del deposito della domanda e sino all’omologazione non si applicano gli articoli 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482-bis, commi quarto, quinto e sesto, e 2482-ter del codice civile. Per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, n. 4, e 2545-duodecies del codice civile” con espressa indicazione che - per il periodo anteriore al deposito delle domande e della proposta di cui al comma 1 - resta ferma l’applicazione dell’art. 2486 c.c.[15], mantenendo in tal modo inalterata l’attuale impostazione.
Ciò detto, occorre evidenziare che la summenzionata disciplina dettata per gli accordi di ristrutturazione differisce, rispetto a quella prevista per il concordato preventivo, nella misura in cui prevede la sospensione automatica degli obblighi di ricapitalizzazione o scioglimento anche in caso di semplice “richiesta di misure cautelari e protettive ai sensi dell’articolo 54”.
Tale disposizione consente di cristallizzare la disciplina a tutela dell’integrità del capitale sociale sin dalle prime, prodromiche, fasi di attivazione del debitore per la risoluzione della crisi. Quest’ultima, tuttavia, non è la sola presente nel c.c.i. a consentire una sospensione della disciplina posta a tutela dell’integrità del capitale sociale nelle prime fasi di gestione della crisi.
Come appena anticipato, un altro aspetto della riforma che merita particolare attenzione è rappresentato dalla previsione, contenuta all’art. 20 (rubricato “Misure protettive”), riguardante la sospensione degli obblighi previsti agli artt. 2446, commi 2 e 3, 2447, 2482 bis, commi 4, 5 e 6 e 2482 ter del codice civile, in pendenza del procedimento di composizione della crisi di cui all’art. 19 c.c.i. e fino alla sua conclusione[16]. Oltre a ciò, la norma ripropone la non operatività della causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, n. 4, e 2545-duodecies del codice civile.
La sospensione sopra descritta opera - a differenza di quella prevista agli artt. 64 e 89 c.c.i. - su istanza del debitore rivolta al tribunale, il quale dovrà necessariamente accertare il ricorrere dei requisiti fissati dalla legge e, segnatamente, l’attivazione della procedura di composizione della crisi (nonchè la sua pendenza).
7. L’attribuzione al curatore dei poteri dell’assemblea nell’ambito della liquidazione giudiziale
Il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza prevede, altresì, una profonda revisione dei poteri del curatore nell’ambito della liquidazione giudiziale. Infatti, il nuovo art. 264 c.c.i. (rubricato “Attribuzione al curatore dei poteri dell’assemblea”), al comma 1, dispone che “il curatore può compiere gli atti e le operazioni riguardanti l'organizzazione e la struttura finanziaria della società previsti nel programma di liquidazione”, ciò a condizione che siano garantiti i diritti informativi dei soci e dei creditori.
Il secondo comma dell’articolo in commento specifica l’ampiezza dei poteri attribuibili al curatore, chiarendo che “il programma di liquidazione può prevedere l’attribuzione al curatore, per determinati atti od operazioni, dei poteri dell’assemblea dei soci”, fermo il potere di soci, creditori e terzi interessati di proporre reclamo ai sensi dell’articolo 133 c.c.i.[17] Infine, la disposizione compie un rinvio alla disciplina dettata in tema di validità delle deliberazioni assembleari di cui agli artt. da 2377 a 2379-ter e 2479-ter del codice civile, in quanto compatibile.
Come già anticipato, l’art. 264 c.c.i. sancisce e cristallizza una tendenza, rinvenibile in altre parti del nuovo codice della crisi e dell’insolvenza, che vede un accentramento di poteri e competenze a favore del curatore nell’ambito della liquidazione giudiziale. Tale “spinta” verso un accentramento di poteri a vantaggio degli organi della procedura, sia che essa trovi applicazione nell’ambito della procedura di concordato preventivo (si veda supra §4), sia che essa trovi forma nell’ambito della liquidazione giudiziale, può identificarsi in un deciso abbandono del principio di neutralità, il quale prevede(va) che l’apertura di una procedura concorsuale dovesse configurarsi come un evento “neutro” rispetto all'organizzazione di poteri e competenze tra gli organi della società debitrice[18].
Invero, l’attribuzione al curatore dei poteri dell’assemblea dei soci nel programma di liquidazione, nonché la facoltà concessa a quest’ultimo di incidere sull’organizzazione e la struttura finanziaria della società (sempre in esecuzione del programma di liquidazione) determina uno spostamento del baricentro delle competenze nell’esecuzione del programma di liquidazione di cui all’art. 213 c.c.i., in ragione della previsione di una forma di “esecuzione specifica” particolarmente incisiva a favore dell’organo della procedura nominato dal tribunale.
Occorre peraltro rilevare che l’art. 214 c.c.i. (rubricato “Vendita dell’azienda o di suoi rami o di beni o rapporti in blocco”), pur riproponendo la facoltà - già prevista in passato - per il curatore di procedere alla liquidazione mediante il conferimento in una società (anche di nuova costituzione) dell’azienda o rami di quest’ultima[19], introduce una novità rilevante rispetto al precedente art. 105, l. fall., in quanto “le azioni o quote della società che riceve il conferimento possono essere attribuite, nel rispetto delle cause di prelazione, a singoli creditori che vi consentono”.
Occorre, dunque, domandarsi come potrà trovare applicazione la nuova disciplina in esame, attributiva dei poteri dell’assemblea al curatore. Una possibile risposta sembra muoversi in due distinte direzioni. Una prima direzione potrebbe essere rappresentata dalla possibilità per il curatore di procedere ad un aumento di capitale della società in liquidazione giudiziale - in sostituzione dell’assemblea di quest’ultima - purché tale operazione sia contemplata nel programma di liquidazione, così come previsto dall’art. 264 c.c.i.
La seconda direzione, invece, contempla il compimento di operazioni straordinarie quali, anzitutto, la fusione o la scissione, operazioni che potrebbero risultare necessarie al fine di attuare efficacemente il programma di liquidazione approvato dal comitato dei creditori[20]. Si pensi, ad esempio, alla necessità di riorganizzare l’allocazione di assets e rami d’azienda per mezzo di un loro trasferimento ad una o più società di nuova costituzione le cui quote, successivamente, potranno essere attribuite ai singoli creditori (consenzienti), così come consentito dalla nuova lettera dell’art. 105 c.c.i.
Sembrano dunque aprirsi interessanti scenari a fronte dei nuovi poteri attribuiti al curatore che - in ultima istanza - consentono di superare l’eventuale ostruzionismo di una compagine sociale oramai priva di qualsiasi interesse nella società[21] e, tuttavia, destinataria di un “potere di veto” in ordine al compimento di operazioni che richiedono l’approvazione di quest’ultima[22]. Oltre a ciò merita rilevare che, la nuova “struttura” di poteri elevata dall’art. 264 c.c.i. consentirebbe di superare anche l’eventuale assenza di collaborazione da parte dell’organo gestorio - essenziale al fine di compiere le operazioni in questione - in quanto si renderebbe possibile la revoca di quest’ultimo, per mezzo di una delibera assembleare adottata ai sensi della nuova disciplina.
Tale ulteriore forma di esecuzione del programma di liquidazione sembra essere strettamente correlata ai nuovi poteri attribuiti al curatore dall’art. 264 c.c.i. Ciò in ragione del fatto che, una disciplina che si propone di affidare un ruolo centrale alla riorganizzazione societaria degli assets della società in liquidazione giudiziale, al fine di massimizzare il soddisfacimento dei creditori e di offrire una rapida conclusione dell’iter concorsuale - affinché possa avere una chance di successo - deve necessariamente prevedere una figura (in questo caso il curatore) dotata di poteri idonei a garantire l’esecuzione del programma di liquidazione anche in sostituzione degli organi societari preposti.
Ciò posto, deve altresì evidenziarsi il rinvio, operato dall’art. 264 c.c.i., alla disciplina dettata in tema di invalidità delle delibere assembleari dagli artt. da 2377 a 2379-ter e 2479-ter (per la società a responsabilità limitata) del codice civile. Tale rinvio, così come richiesto dalla stessa lettera della nuova norma, necessita di un vaglio di compatibilità con la disciplina societaria.
A tal riguardo, viene in evidenza un problema di coordinamento tra lo strumento di impugnazione avverso gli atti del curatore, rappresentato dal reclamo ex art. 133 c.c.i.[23], ed il procedimento di impugnazione delle deliberazioni assembleari di cui all’art. 2378 c.c.[24] Un’analisi approfondita del rapporto tra strumenti di impugnazione processuali “societari” e “concorsuali” risulterebbe fuori dal campo di analisi del presente scritto, tuttavia merita rilevare che il duplice richiamo all’art. 133 c.c.i. e all’art. 2378 c.c. rischia di creare non poche incertezze anche in ragione della diversa tutela assicurata dai due istituti processuali. Si pensi, ad esempio, alla facoltà prevista all’art. 2378, comma 3, c.c. di richiedere la sospensione dell’esecuzione della deliberazione impugnata, non prevista nel procedimento deformalizzato dal reclamo ex art. 133 c.c.i.
8. L’impatto della emananda Direttiva europea in materia di ristrutturazione sulle operazioni sul capitale
Quanto finora esposto con riferimento alla disciplina fallimentare oggetto di riforma deve, peraltro, essere coordinato con il contenuto della Direttiva europea in materia di ristrutturazione, il cui testo finale, risultante dall’accordo tra Parlamento europeo e Consiglio dell’Unione europea del 18 dicembre 2018, è stato approvato dal Parlamento europeo il 28 marzo 2019. Come già evidenziato da più parti, l’ambizioso intervento del riformatore europeo avrà importanti ripercussioni sul nostro sistema nazionale, andando ad incidere anche su principi ed istituti già oggetto della recentissima riforma che, per tale motivo, rischia di nascere già “vecchia”[25].
Invero, la trasposizione di alcuni principi propri della procedura di Reorganization disciplinata dal Chapter 11 statunitense - oggetto peraltro di influenze da parte del diritto della crisi spagnolo e tedesco[26] - ha condotto all’approvazione di un testo che vede una riconfigurazione degli strumenti a disposizione dell’impresa in crisi al fine di affrontare tempestivamente una ristrutturazione idonea a preservare il valore di quest’ultima. Tra gli aspetti che, in questa sede, presentano elementi di maggior interesse figurano sicuramente:
a) la limitazione, ai sensi dell’art. 4.4 della Direttiva UE, dell’accesso alla procedura ristrutturazione preventiva ivi contemplata all’iniziativa del debitore o al consenso di quest’ultimo, disposizione derogabile, ex art. 4.4(a), solo con riferimento alle imprese di maggiori dimensioni[27];
b) la previsione di un meccanismo di cross-class cram down (o “ristrutturazione trasversale dei debiti”)[28], nonché l’adozione, ai sensi dell’art. 11.1, lett. c, della Relative Priority Rule (previsione, quest’ultima, derogabile da parte degli Stati membri a favore della ben differente Absolute Priority Rule)[29].
Con riferimento alla legittimazione, limitata al solo debitore - o, comunque, subordinata al consenso di quest’ultimo - a presentare un’istanza di accesso alla procedura di ristrutturazione preventiva considerata dalla Direttiva UE (salvo il potenziale esercizio della deroga sopra anticipata per le imprese di maggiori dimensioni, di cui si tratterà più avanti), si impone sin da subito una riflessione avente ad oggetto l’istituto delle proposte concorrenti analizzata nei precedenti paragrafi.
A tal fine, deve tenersi presente la disposizione di cui all’art. 9(01) della Direttiva, ai sensi del quale:
- gli Stati membri dovranno garantire il diritto del debitore a presentare un piano di ristrutturazione, “a prescindere dal soggetto che ha adottato l’iniziativa ai sensi dell’art. 4” (primo periodo);
- gli Stati membri avranno la facoltà di prevedere il diritto dei creditori e dei professionisti incaricati della procedura di presentare un piano di ristrutturazione e le condizioni per l’esercizio di tale diritto (secondo periodo).
L’art. 9(01) oltre a fissare il principio in base al quale il debitore ha sempre diritto a presentare un proprio piano da sottoporre al voto dei creditori[30], prevede altresì la possibilità per gli Stati membri di garantire ai creditori e ai professionisti incaricati della procedura il diritto a presentare un piano concorrente con quello del debitore. Con riferimento a quest’ultima previsione - e alla sua (facoltativa) ricezione da parte degli Stati membri - sebbene ad una prima letturapossa risultare non chiaro il motivo che ha portato alla sua adozione, il quadro assume maggiore chiarezza se a quest’ultimo si guarda in un’ottica di “sopravvivenza” dell’istituto delle proposte concorrenti alla luce della nuova impostazione della Direttiva.
Infatti, qualora il legislatore nazionale - in sede di recepimento della Direttiva - seguisse la via che prevede l’esclusione dell’iniziativa dei creditori con riferimento non solo alle PMI, bensì a tutte le categorie di imprese (dunque comprese anche quelle di maggiori dimensioni), potrebbe essere rinvenuto un potenziale conflitto con la disciplina che prevede la possibilità per il creditore, che sia in possesso dei requisiti fissati dall’art. 90 c.c.i., di presentare una proposta concorrente da sottoporre al voto per l’approvazione dei creditori.
Tale potenziale conflitto, frutto di una interpretazione particolarmente rigida della normativa europea[31], sarebbe causato dalla difficoltà di ricondurre nella nozione di accordo con il debitore - richiesto espressamente dalla Direttiva all’art. 4.4a - la circostanza che l’eventuale concordato con proposte concorrenti si innesti all’interno di un procedimento aperto su iniziativa del debitore stesso[32].
La difficoltà in questione sarebbe dettata dal fatto che la proposta concorrente del creditore è, per sua stessa natura, frutto del mancato accordo con il debitore e alternativa alla proposta presentata da questi. Pertanto, seguendo tale percorso logico, la normativa europea (senza la previsione di cui all’art. 9[01]) potrebbe risultare inconciliabile con l’istituto delle proposte concorrenti che, ancora giovane e recentissimamente “aggiornato”, rischierebbe di vedere una fine prematura: ciò senza aver avuto modo di trovare diffusa applicazione né, tantomeno, di aver raggiunto gli obiettivi che il legislatore si era prefissato con la sua introduzione[33].
Orbene, grazie all’art. 9(01) della Direttiva è possibile tenere ben distinto il diritto a presentare la domanda di accesso alla procedura di ristrutturazione preventiva dal (differente) diritto alla presentazione del piano di ristrutturazione.
Qualora il legislatore nazionale recepisse la disciplina europea ricomprendendovi anche la deroga prevista all’art. 4.4(a) e, dunque, relegasse l’esclusiva (a favore del debitore e relativa all’istanza di accesso) all’ambito delle sole PMI, verrebbe a crearsi, con riferimento alle imprese di maggiori dimensioni, una situazione diametralmente opposta rispetto a quella poc’anzi prefigurata. Invero, in tal caso, non solo l’istituto delle proposte concorrenti supererebbe senz’altro indenne il vaglio di compatibilità con la nuova disciplina europea, bensì nuovi e inediti (quantomeno per il nostro ordinamento) scenari verrebbero a configurarsi con riferimento alle procedure di ristrutturazione preventiva.
Ciò in ragione del fatto che, rispettando il tenore letterale della norma, sarebbero legittimati anche i singoli creditori (nonché i rappresentanti dei lavoratori) - nei casi aventi ad oggetto imprese di grandi dimensioni - a presentare una domanda di accesso alla procedura in questione (con relativo diritto di presentazione del piano di ristrutturazione), sottraendo dunque al debitore una prerogativa ad esso storicamente riservata nell’ambito delle procedure di ristrutturazione preventiva[34].
Sebbene questa non sia la sede per un’analisi - nemmeno a grandi linee - dell’impatto che questa potenziale rivoluzione (perché di questo, a parere di chi scrive, si tratta) avrebbe sul nostro sistema concorsuale, merita tuttavia evidenziare l’assenza, nel testo della Direttiva, di indicazioni riguardo a eventuali soglie di rappresentatività del creditore proponente, così come di rapidi meccanismi volti a neutralizzare eventuali pratiche di abuso dell’istituto così come riconfigurato[35]. È di tutta evidenza pertanto che, qualora questa fosse la strada che intenderà seguire il riformatore, si renderà necessaria l’introduzione di correttivi al fine di regolare l’azionamento e il funzionamento della procedura in esame.
Il nuovo (dis)equilibrio nella disciplina avente ad oggetto l’iniziativa nelle procedure di ristrutturazione, così come risultante dal nuovo dettato europeo, deve peraltro essere letto unitamente ad un’altra novità di estremo rilievo quale l’adozione, come regola di default, della Relative Priority Rule (“RPR”) all’interno del testo della Direttiva.
Tale regola potrebbe infatti avere un impatto considerevolissimo sulla posizione dei soci all’interno delle procedure concorsuali di ristrutturazione, in quanto consente a questi ultimi - i quali dovranno essere inseriti in una o più classi[36] - di preservare il valore della propria partecipazione sociale anche in assenza di un accordo con i creditori non integralmente soddisfatti[37]. Come è noto, il nostro diritto fallimentare è caratterizzato dal c.d. divieto di alterazione delle cause legittime di prelazione da parte della proposta concordataria, divieto che si pone come limite legale all’ammissione della proposta[38] e la cui impostazione è stata recentemente riconfermata, sebbene in modo non cristallino, dal Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza all’art. 85, comma 6[39].
Deve evidenziarsi che l’adozione della Relative Priority Rule quale scelta “di base”, derogabile da parte dei singoli Stati membri a favore della Absolute Priority Rule, risponde all’esigenza di una maggiore flessibilità e disincentivazione di comportamenti opportunistici in sede concorsuale avvertita da più parti, nonché ad una linea evolutiva del diritto della crisi a cui si guarda con interesse anche oltreoceano[40].
Il vantaggio principale che viene maggiormente in risalto, nel contesto di una procedura che mira a favorire la continuità aziendale e a preservare l’occupazione, è rappresentato dalla possibilità di mantenere all’interno della compagine sociale tutti quei soggetti che - in ragione del ruolo previamente rivestito nell’impresa in crisi - possono costituire un valore aggiunto (se non un vero e proprio elemento indispensabile) al rilancio di quest’ultima. Tale possibilità risulta pressoché esclusa laddove trovi applicazione l’Absolute Priority Rule che, come già evidenziato, richiede che siano soddisfatte integralmente tutte le classi superiori prima che quelle inferiori (e, dunque, in primis i soci) possano ricevere o mantenere un valore nell’impresa.
Tale conclusione sembra peraltro corroborata dal testo del Considerando n. 29(a) della Direttiva, in cui si afferma che “ai fini della sua esecuzione, il piano di ristrutturazione dovrebbe rendere possibile per i soci delle MPMI di fornire assistenza non finanziaria, facendo ricorso - ad esempio - alla propria esperienza, reputazione e ai propri contatti”. La formulazione del testo del Considerando sembra quindi mettere a disposizione del proponente la possibilità di avvalersi (e di monetizzare) il know-how, nonchè l’avviamento soggettivo dei soci nelle imprese di dimensioni minori, al fine di garantire maggiori chances di successo al piano di ristrutturazione e, dunque, massimizzare il valore dell’impresa in crisi.
Proprio grazie alla Relative Priority Rule è possibile riflettere l’apporto dei soci nell’ambito del processo di ristrutturazione, consentendo a questi ultimi di preservare una partecipazione nel capitale di rischio della società [41].
Merita peraltro rilevare che la possibilità di attribuire un valore concreto al contributo dei soci nell’ambito di una procedura di ristrutturazione, così come la possibilità di consentire a questi ultimi di mantenere una partecipazione nella società ristrutturata, rappresenta senz’altro un tassello indispensabile al fine di integrare quanto richiesto dalla stessa Direttiva all’art. 12, in cui si richiede che ogni Stato membro adotti le misure necessarie al fine di evitare che i soci possano ostacolare “irragionevolmente” l’adozione o l’esecuzione di un piano di ristrutturazione.
Infatti, la prospettiva ex ante di una possibilità concreta di poter beneficiare dei frutti di un impegno collettivo (soci, creditori e altri stakeholders) al risanamento dell’impresa costituisce certamente un forte incentivo per i soci ad adottare un atteggiamento collaborativo in un contesto che, altrimenti, vede necessariamente entrare in gioco strumenti di coercizione della volontà assembleare da parte degli organi della procedura[42]. Tali strumenti sono sì idonei a superare l’assenza di collaborazione dei soci su un piano meramente “deliberativo” e, tuttavia, non valgono ad acquisire quella rete di capacità e conoscenze dell’impresa che una collaborazione spontanea è idonea a preservare e che, segnatamente nell’ambito delle PMI, è spesso essenziale perché la ristrutturazione abbia successo[43].
Alla luce di quanto sopra, si delinea per il diritto della crisi italiano una nuova stagione estremamente innovativa, laddove per un verso lo scettro dell’iniziativa all’interno delle procedure di ristrutturazione preventiva “potrebbe” essere condiviso dal debitore con i propri creditori mentre[44], per un altro verso, i soci avranno la possibilità di mantenere una partecipazione nell’impresa ristrutturata in assenza della soddisfazione integrale dei titolari di pretese gerarchicamente preordinate. Il risultato di tale (potenziale) combinazione risulta - ad oggi - di difficile previsione.
Un potenziale ruolo di “stabilizzazione” del sistema, idoneo a conciliare le spinte esterne alla società con il giusto inquadramento dei soci nel corso della ristrutturazione (nonché all’esito di quest’ultima), potrebbe essere rivestito dagli amministratori della società, la cui responsabilizzazione nelle varie fasi del processo di ristrutturazione rappresenta un altro importante elemento della Direttiva.
Quest’ultima, infatti, all’art. 18 (rubricato “Duties of directors where there is likelihood of insolvency”), comma 1(b), richiede che gli amministratori - “as a minimum” - tengano in debita considerazione “gli interessi dei creditori, degli altri stakeholders e dei soci”[45]. Ebbene, proprio in tale contesto - e in considerazione di quanto sopra - si inserisce il dovere degli amministratori di trovare un equilibrio che consenta, quantomeno, di ridurre al minimo il rischio di insolvenza della società tramite un bilanciamento degli interessi delle tre macro-categorie di attori indicate all’art. 18: opera di bilanciamento i cui criteri, il Considerando n. 36 della Direttiva, espressamente rimette alla discrezionalità di ogni singolo Stato membro[46].
Se le indicazioni fornite dall’art. 18, comma 1(b), debbano essere rispettate o meno anche nell’ambito della formazione del piano di ristrutturazione dipende in gran parte dall’interpretazione dell’art. 18, comma 1(c), laddove è richiesto che gli amministratori tengano altresì in debita considerazione “la necessità di adottare misure volte ad evitare l’insolvenza”[47].
Tra le misure volte ad evitare l’insolvenza sembra doversi ricomprendere anche l’adozione degli strumenti messi a disposizione dall’ordinamento al fine di fronteggiare la crisi d’impresa come, appunto, la procedura di ristrutturazione preventiva disegnata dalla Direttiva (in cui il concreto trattamento delle pretese dei vari soggetti interessati troverà sintesi all’interno del piano di ristrutturazione). Un’ulteriore apparente conferma di ciò arriva dalla lettura della rubrica del Capitolo 5 della Direttiva (di cui l’art. 18 rappresenta il primo articolo), la quale recita “doveri degli amministratori in relazione alle negoziazioni aventi ad oggetto un piano di ristrutturazione” e che, dunque, espressamente riconduce il contenuto delle previsioni in esso contenute alla negoziazione (e conseguente formazione) del piano di ristrutturazione.
Al riguardo è possibile peraltro notare un’asimmetria tra gli obblighi imposti dalla Direttiva agli amministratori in sede di presentazione del piano e gli obblighi imposti agli altri soggetti (eventualmente) legittimati alla presentazione dello stesso. Come si è già avuto modo di evidenziare, ai primi è richiesto di tenere conto - (anche) all’interno del piano - dell’interesse dei creditori, dei soci e delle altre parti interessate: per quanto riguarda, invece, l’eventuale proposta da parte dei creditori o del professionista incaricato nulla è previsto.
Tale silenzio sorprende particolarmente con riferimento all’eventuale piano proposto dal professionista incaricato della procedura che, in ragione della sua posizione di “terzietà” rispetto a quella dei creditori e dei soci, dovrebbe risultare il primo destinatario delle indicazioni contenute all’art. 18, comma 1(b). Una riflessione sull’importanza di indicazioni chiare a beneficio degli organi della procedura, in particolare se investiti dei poteri anzi citati, deve essere ricollegata anche all’abbandono del principio di neutralità organizzativa dell’apertura della procedura, nonché al notevole rafforzamento delle prerogative riconosciute agli organi stessi.
Ciò poiché, qualora sia attribuita agli organi della procedura la facoltà di presentare piani alternativi, unitamente ai nuovi poteri coercitivi riferibili al commissario giudiziale e all’amministratore giudiziario ex art. 118 c.c.i., la mancanza di chiari criteri da rispettare potrebbe generare incertezza (che, come è noto, rappresenta un costo non trascurabile nei procedimenti riorganizzativi) e fenomeni di abuso delle procedure di ristrutturazione.
[1] Nel presente lavoro ci si riferisce al testo risultante dal d.lgs. 14/2019, che potrebbe cambiare in forza della delega ad apportarvi correzioni e integrazioni, conferita al Governo dalla l. 8 marzo 2019, n. 20.
[2] Si vedano, con riferimento alle criticità e agli effetti che l’introduzione dell’istituto delle proposte concorrenti ha prodotto nel sistema vigente, L. Stanghellini, La struttura finanziaria delle società per azioni al tempo della grande crisi, in Carcano - Mosca - Ventoruzzo (a cura di), Regole del mercato e mercato delle regole. Il diritto societario e il ruolo del legislatore, Milano, 2016, 257 ss.; N. Abriani, Proposte concorrenti, operazioni straordinarie e dovere delle società di adempiere agli obblighi concordatari, in Giust. civ., 2016, 365 ss.; M. Fabiani, Riflessioni sistematiche sulle addizioni legislative in tema di crisi di impresa, in Nuove leggi civ., 2016, 24 ss.; A. Jorio, La parabola del concordato preventivo: dieci anni di riforme e controriforme, in Giur. comm., I, 2016, 15 ss.; M.L. Vitali, Profili di diritto societario delle «proposte concorrenti» nella “nuova” disciplina del concordato preventivo, in Riv. Soc., fasc. 5, 2016, pag. 870; G. Bozza, Le proposte e le offerte concorrenti, in www.fallimentiesocietà.it, 2015, 7 ss.; F. Brizzi, Proposte concorrenti nel concordato preventivo e governance dell'impresa in crisi, in Giur. comm., 2017, I, 336; M. Ranieli, Proposte di concordato preventivo concorrenti, trasferimento del controllo ed esenzione dall'obbligo di opa per salvataggio “ostile”, in Riv. dir. banc., n. 3/2017, 21 ss.
[3] Così F. Guerrera, La ricapitalizzazione “forzosa” delle società in crisi: novità, problemi ermeneutici e difficoltà operative, in Dir. fall., 2016, I, pag. 420 ss.
[4] In questo senso L. Panzani, Introduzione, in Il nuovo diritto della crisi d'impresa: l. 132/15 e prossima riforma organica. Disciplina, problemi, materiali, a cura di S. Ambrosini, Bologna, 2016, pag. 24 ss.
[5] Si veda a tal riguardo il recente decreto del Tribunale di Napoli del 2 febbraio 2018, con nota di A. Rossi, in Fallimento, 2019, 87 ss. in cui la corte partenopea procede ad un vaglio della legittimazione (escludendola) di uno dei creditori della società sottoposta a concordato preventivo a presentare una proposta concorrente, in assenza dell’effettiva titolarità della quota “soglia” di crediti richiesta dalla legge fallimentare.
[6] In questo senso, si veda L. Stanghellini, La struttura finanziaria delle società per azioni al tempo della grande crisi, cit., pag. 257 ss.; ma anche M.L. Vitali, Profili di diritto societario delle «proposte concorrenti» nella “nuova” disciplina del concordato preventivo, cit., pag. 876 ss.
[7] L’art. 24 (richiamato dall’art. 90 e rubricato “Tempestività dell’iniziativa”) del nuovo codice della crisi e dell’insolvenza si occupa di fissare i criteri necessari al fine di stabilire se il ricorso alla procedura d’allerta da parte del debitore, ovvero l’avvio da parte di quest’ultimo del procedimento di composizione della crisi, è stato tempestivo. Ciò in quanto il seguente art. 25 (rubricato “Misure premiali”) – tra cui rientra anche l’abbassamento della soglia di soddisfazione al 20% per l’esclusione di proposte concorrenti – richiede, quale condizione necessaria, che il debitore si sia attivato tempestivamente al fine di accordare a quest’ultimo la disciplina di favore ivi prevista.
[8] Sul punto si veda F. Pacileo, Doveri informativi e libertà di impresa nella gestione di una s.p.a. in ‘‘fase crepuscolare’’, in Riv. dir. comm., 2015, 79 ss.
[9] A tal riguardo si veda D. Vattermoli, La posizione dei soci nelle ristrutturazioni. Dal principio di neutralità organizzativa alla residual owner doctrine?, in Riv. soc., fasc. 4, 2018, pag. 858 ss. L’Autore propone un esempio efficace, volto a dimostrare la debolezza della nuova lettera legislativa, in cui la partecipazione societaria risulta essere distribuita in quote pari al 20% del capitale. In tale caso come dovrebbe trovare applicazione la nuova normativa?
[10] A favore di un’interpretazione estensiva dei poteri attribuibili all’amministratore giudiziario si era già espresso, in costanza del precedente assetto normativo, l’Orientamento n. 58/2015 del Consiglio Notarile di Firenze e, in dottrina, G. Ferri jr, Il ruolo dei soci nella ristrutturazione finanziaria dell'impresa alla luce di una recente proposta di direttiva europea, in Dir. fall., 2018, 541 ss. In senso contrario all’orientamento espresso dal Consiglio Notarile di Firenze si veda G. Meo, I soci e il risanamento. Riflessioni a margine dello Schema di legge-delega proposto dalla Commissione di riforma, in Giur. comm., fasc. 3, 2016, pag. 286 ss. Sul punto si veda anche N. Abriani, Proposte concorrenti, operazioni straordinarie e dovere della società di adempiere agli obblighi concordatari, cit., pag. 365 ss.
[11] Tale nuova impostazione, sulla base di una interpretazione estensiva della normativa attualmente vigente, era già stata formulata dal Consiglio Notarile di Firenze con l’orientamento citato n. 58/2015. Sempre a favore di tale orientamento si veda L. Stanghellini, La struttura finanziaria delle società per azioni al tempo della grande crisi, cit., pag. 257 ss.; ma anche M.L. Vitali, Profili di diritto societario delle «proposte concorrenti» nella “nuova” disciplina del concordato preventivo, cit., pag. 876 ss. In senso contrario, tra la giurisprudenza di merito, si veda Trib. Reggio Emilia, 28 giugno 2017, in Il Caso.it, 2017.
[12] L’art. 185, comma 3, l. fall., invece, faceva esclusivo riferimento alle sole proposte provenienti dai creditori disponendo che “il debitore è tenuto a compiere ogni atto necessario a dare esecuzione alla proposta di concordato presentata da uno o più creditori, qualora sia stata approvata e omologata”.
[13] Sul punto si veda C.B. Vanetti, Operazioni straordinarie nelle crisi d’impresa: sono possibili scissioni e conferimenti negativi, in Ilcaso.it, 24 settembre 2018.
[14] Così F. Guerrera, La ricapitalizzazione “forzosa” delle società in crisi: novità, problemi ermeneutici e difficoltà operative, cit., pag. 420 ss.
[15] Come è noto, l’art. 2486 c.c. prevede che gli amministratori di una società in cui si sia verificata una causa di scioglimento mantengano il potere di gestire quest’ultima, ai soli fini della conservazione dell’integrità patrimoniale, fino alla consegna ai liquidatori della documentazione prevista all’art. 2487 bis c.c.
[16] Procedimento introdotto dallo stesso CCI in attuazione della legge delega n. 155/2017.
[17] Tale articolo, rubricato “Reclamo contro gli atti e le omissioni del curatore”, mette a disposizione del reclamante un procedimento che consente una verifica, da parte del giudice delegato, sull’operato del curatore “omessa ogni formalità non indispensabile al contraddittorio”.
[18] In questo senso, si veda D. Vattermoli, La posizione dei soci nelle ristrutturazioni. Dal principio di neutralità organizzativa alla residual owner doctrine?, cit., pag. 858 ss.
[19] Ciò in aggiunta, così come previsto anche dall’attuale normativa, di beni e crediti della società debitrice (con i relativi rapporti in corso).
[20] Come è noto, l’attuale formulazione dell’art. 2501 c.c. ha eliminato il divieto - precedentemente contenuto al secondo comma del medesimo articolo - di procedere ad un’operazione di fusione laddove una delle società partecipanti sia sottoposta a procedura concorsuale.
[21] Sul punto si veda G. Ferri jr, Il ruolo dei soci nella ristrutturazione finanziaria dell'impresa alla luce di una recente proposta di direttiva europea, cit., 531 ss., il quale parla di un vero e proprio “cono d’ombra” in cui soci, privi di qualsiasi interesse patrimoniale, non hanno incentivi a “collaborare spontaneamente ad una riorganizzazione del capitale proprio”.
[22] Si rimanda, con riferimento alle prerogative degli organi sociali nella società fallita e, segnatamente, riguardo al compimento di operazioni straordinarie (nella specie di un’operazione di trasformazione) all’Orientamento n. 35/2013 del Consiglio Notarile di Firenze.
[23] Richiamato espressamente dall’art. 264 c.c.i.
[24] Per un efficace inquadramento dell’attuale disciplina avente ad oggetto l’impugnazione delle delibere assembleari, nonché la contrapposizione tra tutela risarcitoria e “demolitoria” si rimanda a F. Guerrera, I rimedi tra effettività della tutela e stabilità del deliberato assembleare, in Giur. comm., 2018, fasc.2, pag. 362 ss.
[25] In questo senso S. Ambrosini, La riforma della disciplina della crisi e dell’insolvenza: motus in fine velocior, in sito IlCaso.it, 17 settembre 2018. Per un’attenta analisi della disciplina della Direttiva in questione, si veda L. Stanghellini, La proposta di direttiva UE in materia di insolvenza, in Fallimento, 2017, 873 ss.; D. Vattermoli, La posizione dei soci nelle ristrutturazioni. Dal principio di neutralità organizzativa alla residual owner doctrine?, cit., pag. 858 ss., ma anche A. Nigro, La proposta di direttiva comunitaria in materia di disciplina della crisi delle imprese, in Riv. dir. comm., 2017, II, 201 ss.; G. Ferri jr, Il ruolo dei soci nella ristrutturazione finanziaria dell'impresa alla luce di una recente proposta di direttiva europea, cit., 531 ss.
[26] Si veda G. Ferri jr, Il ruolo dei soci nella ristrutturazione finanziaria dell'impresa alla luce di una recente proposta di direttiva europea, cit., 531 ss. e A. Santoni, Gli azionisti e i detentori di strumenti di capitale nella proposta di direttiva in materia di crisi di impresa, in Riv. dir. comm., 2018, II, pag. 335 ss.
[27] Si noti infatti che, come verrà evidenziato più avanti, il legislatore nazionale avrà la facoltà di limitare la necessità del consenso del debitore alla presentazione di un’istanza di accesso alla procedura di ristrutturazione preventiva solamente alle PMI. E infatti il testo licenziato dal Parlamento e dal Consiglio dell’Unione europea prevede al punto 4.4(a) che “Member States may restrict the requirement for the agreement of the debtor to debtors which are SMEs.”. L’inderogabilità stabilita a favore delle PMI con riferimento all’iniziativa riservata a favore del solo debitore è dovuta alla consolidata consapevolezza che, in tali entità, quasi sempre il mantenimento della presenza dei soci/amministratori all’interno dell’impresa ristrutturata risulta imprescindibile al fine di preservare il valore di quest’ultima.
[28] Come è noto, si tratta di un meccanismo volto a neutralizzare il dissenso di una (o più) classi qualora (quantomeno) una classe di aventi diritto - c.d. “impaired”, ossia una parte interessata non soddisfatta appieno dal piano - abbia espresso il proprio voto favorevole nei confronti di quest’ultimo. La classe che deve aver votato a favore del piano, perché possa applicarsi validamente l’istituto di superamento del dissenso in questione deve essere, ai sensi dell’art. 11.1(b)(ii), diversa da quella dei soci o di coloro che, in base al piano, non sarebbero destinatari della distribuzione di alcun valore.
[29] L’art. 11.1, lett. c richiede infatti che “dissenting voting classes of affected creditors are treated at least as favourably as any other class of the same rank and more favourably than any junior class” prevedendo, tuttavia, al successivo comma 2(a) che tale regola possa essere derogata dal singolo Stato membro, richiedendo che una “dissenting voting class of affected creditors is satisfied in full by the same or equivalent means if a more junior class is to receive any payment or keep any interest under the restructuring plan”. In estrema sintesi, dunque, la differenza tra la prima regola (Relative Priority Rule, nella versione fatta propria dalla Direttiva europea, diversa da quella oggetto di dibattito negli Stati Uniti) e la seconda regola (Absolute Priority Rule) consiste nella possibilità prevista nella prima - ed esclusa nella seconda - di distribuire valore a favore dei creditori di rango inferiore o, comunque, di far mantenere una partecipazione nell’impresa ai soci, in assenza di un completo soddisfacimento delle classi superiori.
[30] Principio che, come si vedrà più avanti, avrà un suo peso specifico qualora il nostro ordinamento recepisca l’impostazione che consente l’iniziativa dei creditori, senza il consenso del debitore, nelle imprese di maggiori dimensioni. In caso contrario, tale previsione risulterebbe del tutto ultronea.
[31] E che comporta una commistione tra diritto all’iniziativa e diritto alla presentazione del piano.
[32] Si veda in tal senso D. Vattermoli, La posizione dei soci nelle ristrutturazioni. Dal principio di neutralità organizzativa alla residual owner doctrine?, cit., pag. 858, ss., nt. 90. In senso contrario, A. Santoni, Gli azionisti e i detentori di strumenti di capitale nella proposta di direttiva in materia di crisi di impresa, cit., pag. 335 ss.
[33] Si veda con riferimento agli esiti dell’introduzione dell’istituto delle proposte concorrenti nel nostro ordinamento A. Rossi, Il difficile avvio delle proposte concorrenti nel concordato preventivo, cit., pag. 91 ss.
[34] Coerentemente con tale eventuale assetto, l’art. 11, comma 1, ultimo periodo, della Direttiva prevede che gli Stati membri possano autorizzare anche i creditori a presentare la domanda di omologazione in caso di mancata approvazione da parte di tutte le classi.
[35] Basti pensare all’effetto dirompente che l’eventuale presentazione di una domanda di concordato preventivo da parte di un creditore, senza alcun coordinamento con il debitore, potrebbe avere sui rapporti di quest’ultimo con banche, fornitori, clienti etc.
[36] Il testo del Considerando n. 29 è chiaro al riguardo, disponendo che “più classi di soci potrebbero rendersi necessarie qualora siano presenti categorie di soci con diritti differenziati”. Occorre tenere distinta la diversa questione dell’attribuzione del diritto di voto ai soci sul piano, diritto di voto che può essere escluso o meno dal legislatore nazionale e che, comunque, è può essere soggetto a cram down (fatta eccezione per le PMI, con riferimento alle quali lo stesso Considerando n. 29 evidenzia l’opportunità di mantenere opzionale tale strumento).
[37] Lo stesso ovviamente vale con riferimento al rapporto creditori junior/senior e alla possibilità di soddisfare (parzialmente) i primi anche in assenza dell’integrale soddisfazione dei secondi.
[38] Ciò a differenza del sistema statunitense, in cui la verifica del rispetto della Absolute Priority Rule viene effettuata in sede di omologazione qualora una classe di creditori non accetti il piano di ristrutturazione e sia necessario appurare che il cram down compiuto ai danni di detta classe sia “fair and equitable”. V. sul punto D. Vattermoli, La posizione dei soci nelle ristrutturazioni. Dal principio di neutralità organizzativa alla residual owner doctrine?, cit., pag. 858, ss.
[39] Deve infatti tenersi conto della formulazione alquanto “sibillina” dell’art. 84, comma 2, c.c.i., ai sensi del quale “in caso di continuità diretta il piano prevede che l’attività d’impresa è funzionale ad assicurare il ripristino dell’equilibrio economico finanziario nell’interesse prioritario dei creditori, oltre che dell’imprenditore e dei soci”. Il riferimento ad una necessaria considerazione dell’interesse dei soci all’interno del piano (in caso di continuità diretta) pone più di un dubbio con riferimento alla regola da rispettare in tale ambito (APR o RPR?). V. L. Stanghellini, Il Codice della crisi d’impresa: una primissima lettura (con qualche critica), in corso di pubblicazione su Corr. Giur.
[40] Si rimanda, con riferimento ai possibili vantaggi derivanti dell’adozione della Relative Priority Rule, L. Stanghellini, R. Mokal, C.G. Paulus, I. Tirado, Best practices in European restructuring. Contractualised distress resolution in the shadow of the law, Wolters Kluwer, 2018. Per un’approfondita analisi e confronto tra Relative e Absolute Priority Rule nel contesto statunitense si veda su tutti D. G. Baird, Priority matters: absolute priority, relative priority, and the costs of bankruptcy, in Univ. Pa. Law Rev., 2016, pag. 785 ss. Occorre avere ben presente, in ogni caso, la ben diversa configurazione della Relative Priority Rule, così come immaginata dalla dottrina statunitense, rispetto alla versione fatta propria dalla Direttiva europea. Nelle sue linee essenziali, la versione “statunitense”, infatti, mette a disposizione dei creditori junior e dei soci una call option al fine di limitare, in massima parte, gli ingenti costi relativi alla valutazione dell’impresa in sede concorsuale. Ciò in quanto la call option attribuita a tali soggetti, di cui sono stabiliti in anticipo i termini per il suo esercizio, ha l’effetto di consentire a questi ultimi di far proprio l’eventuale surplus (una volta pienamente soddisfatti i creditori senior) derivante da un andamento particolarmente positivo dell’impresa (non più) in crisi. In tal modo, dunque, parallelamente al necessario, integrale, soddisfacimento dei creditori senior, viene affrontato il fondamentale problema della valutazione dell’impresa in crisi. Ciò in quanto l’attribuzione di una call option ai creditori junior e ai soci - per un valore “x” ed entro una data certa - consente di evitare una sottovalutazione dell’impresa a loro danno. Grazie a tale sistema, da un lato, i creditori junior (o i soci) non avranno più interesse a sopravvalutare l’impresa (nel tentativo di non vedere cancellato il proprio investimento) in quanto ciò, paradossalmente, avrebbe l’effetto di aumentare il futuro prezzo d’acquisto previsto nell’opzione messa a loro disposizione mentre i creditori senior, all’opposto, non avranno più interesse a sottovalutare l’impresa. In altri e più sintetici termini, il meccanismo in questione disincentiva valutazioni dell’impresa che si discostano eccessivamente dal valore “reale” di quest’ultima, in ragione della successiva verifica della bontà di tali valutazioni proprio mediante l’attribuzione del diritto di esercizio dell’opzione per il valore individuato. Nonostante tali sostanziali differenze è utile evidenziare la presenza di un dibattito volto a superare, sebbene per vie diverse, la rigidità di un sistema basato esclusivamente sull’Absolute Priority Rule.
[41] La particolare rilevanza di tale istituto con riferimento alle imprese di minori dimensioni ha indotto alcuni autori ad auspicare una limitazione della RPR alle sole MPMI. Sul punto si veda R. J. De Weijs, A. Jonkers, M. Malakotipour, The Imminent Distortion of European Insolvency Law: How the European Union Erodes the Basic Fabric of Private Law by Allowing ‘Relative Priority’ (RPR), in Centre for the Study of European Contract Law Working Paper,2019.
[42] Si veda supra, par. 4, con riferimento all’ampliamento - ad opera dell’art. 118 del nuovo Codice della crisi - dei “poteri coercitivi” attribuiti al commissario e all’amministratore giudiziario nell’ambito della procedura di concordato preventivo.
[43] Si veda L. Stanghellini, R. Mokal, C.G. Paulus, I. Tirado, Best practices in European restructuring. Contractualised distress resolution in the shadow of the law, cit., 227 ss. Sulla necessità dell’introduzione di incentivi alla riorganizzazione del capitale proprio a favore dei soci si veda G. Ferri jr, Il ruolo dei soci nella ristrutturazione finanziaria dell'impresa alla luce di una recente proposta di direttiva europea, cit., 531 ss.
[44] Il condizionale è d’obbligo, in considerazione della facoltà di scelta rimessa al legislatore nazionale di adottare o meno parte delle soluzioni contenute nella Direttiva per mezzo del sistema delle deroghe (c.d. “opt in”).
[45] Oltre a ciò è richiesto, alla lett. c) del medesimo comma, che gli amministratori tengano altresì in debita considerazione “la necessità di adottare misure volte ad evitare l’insolvenza”, nonché, alla lett. d), “la necessità di evitare l’adozione di condotte caratterizzate da dolo o colpa grave che mettano a repentaglio la reddittività dell’impresa”.
[46] Il Considerando n. 36 della Direttiva infatti recita “this Directive does not purport to establish any hierarchy among the different parties whose interests need to be given due regard to, but Member States are free to decide on such a possible hierarchy” e prosegue chiarendo che il processo decisionale interno alla società, così come definito da ogni singolo Stato membro, non rientra nell’ambito di applicazione della Direttiva.
[47] In questo senso v. D. Vattermoli, La posizione dei soci nelle ristrutturazioni. Dal principio di neutralità organizzativa alla residual owner doctrine?, cit., pag. 858, ss. Nessun dubbio sembra sussistere circa la riferibilità dell’art. 18, comma 1(b), della Direttiva al periodo di gestione degli amministratori antecedente alla presentazione della domanda di accesso alla procedura di ristrutturazione quando è ravvisata la probabilità di insolvenza.
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