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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 12/03/2019 Scarica PDF
Servizi di investimento e nesso causale presunto: si consolida l'orientamento della Cassazione
Giulia Zanzottera, .1. L'inderogabilità della struttura
posta dall'art. 21 del T.U.F. e la stretta connessione con l'art. 23, comma 6,
del T.U.F.
Il rapporto tra intermediari finanziari e investitore al dettaglio è
caratterizzato strutturalmente e fisiologicamente da forti asimmetrie
informative tra le parti derivanti principalmente dalla natura intangibile e
aleatoria del bene oggetto di investimento finanziario[1]. Il cliente di norma
infatti non è in grado in via autonoma di conoscere quale sia lo strumento
finanziario maggiormente funzionale ai suoi scopi di investimento, alle proprie
volontà remunerative o alla propria capacità di sopportare il rischio di
eventuali perdite. Per questo motivo l'art. 21 del Testo Unico in materia
finanziaria richiede all'intermediario l'adozione di regole comportamentali
consistenti in una serie di doveri non solo informativi, al fine di perseguire
il miglior interesse del cliente (c.d. best execution).
Il mercato regolamentato si regge, infatti, su un «circuito informativo» che
coinvolge emittenti, intermediari ed investitori. In un tale contesto, agli
intermediari è affidato il ruolo di decodificare le informazioni provenienti
dalle società emittenti (c.d. attività di intermediazione), in quanto soggetti
che, per le proprie dimensioni e qualità professionali, sarebbero in grado di
apprezzare il contenuto di tali informazioni e, per conseguenza, le
caratteristiche dei prodotti offerti dagli emittenti. Questo primo circuito di
informazioni permette all'intermediario di indirizzare successivamente le
scelte di investimento dei clienti, rendendo accessibili all'investitore la
natura e i rischi dell'operazione, permettendo che vengano così effettuate
scelte consapevoli di investimento. Il gap informativo tra
mercato-intermediario-cliente retail verrebbe così colmato mediante questo
sistema che si snoda nelle diverse modalità previste dai vari mercati
regolamentati[2].
La normativa del Testo Unico prevede sia doveri informativi inderogabili in
capo all'intermediario nell'esecuzione dei servizi di investimento individuati
dalla giurisprudenza come attivi e passivi, che doveri di attuazione della
valutazione di adeguatezza e appropriatezza dell'operazione rispetto alle
caratteristiche personali del cliente. La norma posta ai sensi dell'art. 21
T.U.F. [3] inoltre - coerentemente con la logica contrattualistica in materia
civile - individua nella diligenza il parametro di valutazione
dell'inadempimento dell'intermediario, richiedendogli di acquisire informazioni
necessarie dai clienti e di operare in modo che l'investitore sia sempre
adeguatamente informato.
Alla luce di tali doveri in capo all'intermediario, l'art. 23, comma 6, del
Testo Unico è funzionale al completamento della logica a tutela del cliente
prevedendo che, nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati ai clienti
nello svolgimento dei servizi di investimento, spetti all'intermediario
«l'onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta». Il
legame tra le due norme è stato oggetto di diverse decisioni della Suprema
Corte di Cassazione che ha potuto approfondire non solo la portata del plesso
di doveri informativi posti ai sensi dell'art. 21, ma anche quale sia l'esatta
ripartizione dell'onere probatorio tra le parti ai sensi dell'art. 23, comma 6.
2. Lo sviluppo delle decisioni della Suprema Corte sul problema del nesso
causale
Dal 2016 ad oggi si è assistito ad un aumento esponenziale delle pronunce di
Cassazione sulla responsabilità dell'intermediario finanziario per la
violazione delle regole di comportamento nell'esecuzione dei servizi di
investimento, in particolare con i clienti retail. La Cassazione ha
approfondito in particolare il problema che si può indicare come di seconda
generazione perché inerente l'individuazione dei criteri attraverso il quale
ritenere sussistente il nesso causale una volta che sia già stato accertato
l'inadempimento delle regole comportamentali da parte dell'intermediario.
Questa problematica - com'è intuibile - si pone logicamente e naturalmente in
una fase successiva all'accertamento dell'inadempimento dell'intermediario[4].
L'orientamento della Suprema Corte che si può dire ormai consolidato disegna la
seguente ripartizione di oneri probatori in capo alle parti nei giudizi di
responsabilità per la violazione delle regole poste ai sensi dell'art. 21 del
T.U.F.: innanzitutto l'investitore dovrebbe individuare l'inadempimento
dell'intermediario allegando in modo specifico la norma che ritiene violata dal
medesimo. In secondo luogo l'investitore dovrebbe fornire la prova - anche per
presunzioni - del conseguente danno emergente e lucro cessante ai sensi
dell'art. 1223 c.c., consistente almeno nella perdita in tutto o in parte del
capitale investito[5]. Il danno risarcibile nei confronti del cliente in via
diretta e immediata, consistente almeno nella liquidazione della perdita del
capitale investito in mancanza di un consenso informato, risponde ai canoni civilistici
di c.d. riparazione integrale del danno.
La relazione eziologica tra l'inadempimento e il danno - in applicazione del
principio di vicinanza della prova[6] - una volta allegato l'inadempimento e
provato il danno, sarebbe invece sussistente in via presuntiva[7].
La ragione principale di una tale ripartizione dell'onere probatorio starebbe
nella considerazione dell'inadempimento come indice in sè di non ascrivibilità
dell'operazione al cliente. In tal senso infatti la giurisprudenza più attenta
alla normativa di settore, ritiene come sia proprio il ruolo dell'intermediario
quello di orientare le scelte di investimento del cliente, tanto che qualora
vengano disattese le regole di condotta da parte dell'intermediario
nell'esecuzione del servizio di investimento, nel cliente non potrebbe formarsi
un'effettiva consapevolezza sul rischio concreto dell'operazione[8]. La
presunzione di sussistenza del nesso causale tra l'inadempimento e il danno
individuata dalla Cassazione maggioritaria pare, quindi, più in linea con la
normativa di settore: nel contesto del rapporto fiduciario tra cliente e
intermediario, infatti, l'assenza di una informazione oggettivamente
significativa incide sulla consapevolezza stessa dell'investitore sul rischio
dell'operazione con la conseguenza che - non potendosi ipotizzare che il
cliente possa effettivamente voler investire in un prodotto di cui non può
conoscere, o almeno prevedere, il rischio[9] - il danno possa considerarsi
presunto.
3. Il superamento del precedente orientamento della Suprema Corte
Secondo l'orientamento maggioritario, coerentemente con quanto prescritto ai
sensi dell'art. 23, comma 6, del T.U.F., l'intermediario potrà fornire la prova
positiva contraria di aver esattamente adempiuto ai doveri informativi secondo
la «specifica diligenza richiesta», ossia di aver informato adeguatamente il
cliente circa il rischio effettivo dell'investimento in relazione alla
conoscenza del medesimo in materia finanziaria e alle sue caratteristiche
personali. La prova da parte dell'intermediario secondo la Suprema Corte
dovrebbe essere completa, precisa e specifica circa l'esatto adempimento dei
doveri informativi derivanti dall'art. 21 del T.U.F[10].
La prova positiva dell'esatto adempimento, a differenza di quanto sostenuto da
un precedente orientamento della Suprema Corte, sarebbe l'unica possibilità per
l'intermediario di dimostrare l'interruzione del nesso causale. Il precedente
orientamento della Cassazione riteneva invece che l'alta propensione al rischio
del cliente poteva considerarsi idoneo fattore interruttivo della relazione
eziologica tra l'inadempimento e il danno[11]. In tal senso il cliente - oltre
alla prova dell'inadempimento e del danno - doveva dimostrare anche la rigorosa
prova del giudizio controfattuale di causalità alternativa ipotetica
consistente nell'incidenza o meno della mancata informazione dovuta
dall'intermediario sulla sua volontà di investimento[12].
Si riteneva che l'alta o media propensione al rischio del cliente implicasse
che anche qualora l'intermediario avesse fornito tutte le informazioni adeguate
e necessarie sulla pericolosità dell'investimento, il cliente avvezzo al
rischio lo avrebbe compiuto ugualmente[13]. Il giudizio di causalità
alternativa ipotetica idoneo ad interrompere il nesso causale tra
l'inadempimento e il danno, secondo questo indirizzo che si può ritenere
attualmente minoritario, consisterebbe pertanto nell'intento speculativo del
cliente che anche la massima diligenza dell'intermediario non avrebbe potuto
modificare, in quanto il fatto stesso che il cliente fosse propenso al rischio
costituirebbe un fattore idoneo ad interrompere il nesso causale. Seguendo
questo ragionamento il cliente con una profilatura di rischio corrispondente a
quella «medio-alta» avrebbe comunque investito in prodotti finanziari ad alto
rischio o speculativi e pertanto, anche qualora non vi fosse stato
l'inadempimento dell'intermediario il danno si sarebbe verificato. Tale
impostazione finirebbe per escludere qualsiasi rilievo del profilo in merito al
nesso causale nell'accertamento delle circostanze risarcibili[14]. A fronte di
questo indirizzo ci si potrebbe chiedere se effettivamente, considerata la
normativa di settore posta a tutela del cliente, sia necessario o meno ai fini
dell'esistenza del nesso causale, la valutazione dell'incidenza o non incidenza
dell'informazione sulla volontà di investimento del cliente.
L'orientamento precedentemente individuato come maggioritario e sempre più
consolidato in Cassazione sottolinea invece la necessità di una diversa
intensità della prova alle parti in ragione della strutturale posizione di
svantaggio del cliente. In tal senso l'art. 23, comma 6, T.U.F., andrebbe così
a determinare un'attenuazione dell'onere probatorio per l'investitore, non
trattandosi di un esonero dell'onere probatorio.
4. Il recente consolidamento dell'orientamento maggioritario in Cassazione
L'analisi delle più recenti decisioni appartenenti all'orientamento
maggioritario e consolidato in Cassazione permette di chiarire, oltre alla
necessità che in tema di risarcimento del danno per la perdita del capitale
investito gravi sull'intermediario l'onere di provare «di aver adempiuto
positivamente agli obblighi informativi», come l'eventuale elevata propensione
al rischio del cliente non si possa considerare «ininfluente» ma non possa
neppure mai essere considerata il solo fattore incidente sulla relazione
eziologica. In tal senso ancora una volta si sottolinea come la condotta
omissiva dell'intermediario - allegata specificatamente dal cliente -
normalmente sarebbe idonea a cagionare il pregiudizio lamentato
dall'investitore salvo prova contraria[15]. La Corte ribadisce inoltre come a
fronte dell'accertamento dell'inadempimento contrattuale della banca e del
danno patrimoniale agli investitori, anche qualora l'operazione sia adeguata la
mancata fornitura di informazioni «esaurienti ed appropriate», sarebbe indice
di una scelta non consapevole del cliente i cui effetti pregiudizievoli non
potrebbero essere acrivibili alla sua volontà.
Un'ulteriore decisione più recente la Corte chiarifica che a fronte di
un'operazione inadeguata si possa configurare un danno in re ipsa consistente
nella perdita investita che presumibilmente non sarebbe stata autorizzata
dall'investitore correttamente informato. In tal senso la Corte precisa come
ogni tal volta in cui l'investitore risulti inconsapevole perché non
adeguatamente informato, gli verrebbe accollato un rischio illegittimo che
pertanto dovrebbe essere necessariamente liquidato mediante il risarcimento
effettivo del danno[16]. Recentemente la Cassazione ha ribadito anche come non
solo l'avvertimento di inadeguatezza dell'operazione debba essere
personalizzato rispetto alle caratteristiche del cliente - quindi come non
possa bastare l'indicazione generica e standardizzata di inadeguatezza - ma
anche la necessità che l'intermediario provi di aver positivamente adempiuto
agli obblighi informativi individuando il «grado effettivo di rischio»
dell'operazione[17].
L'orientamento della Suprema Corte che va sempre di più consolidandosi precisa
definitivamente che la sussistenza del nesso causale in via presuntiva non
implichi un'inversione dell'onere probatorio tra le parti, ma semplicemente una
sua attenuazione in ragione del fatto che la mancata prestazione delle
informazioni dovute dalla banca all'investitore ingeneri una presunzione di
riconducibilità all'intermediario dell'operazione stessa[18].
5. Critica rispetto ad alcune decisioni
Nonostante il consolidamento dell'orientamento maggioritario, alcune attuali
pronunce della Cassazione risultano non conformi: alcune decisioni, infatti,
pur accertando l'inadempimento dell'intermediario, rigettano le pretese del
cliente valorizzando la sua propensione al rischio e/o la sua conoscenza
finanziaria.
Tra le decisioni riconducibili all'orientamento minoritario permangono quelle
che, nonostante l'accertamento dell'inadempimento dell'intermediario
finanziario per mancanza di diligenza nel rilascio dell'informazione,
attribuiscono al profilo di rischio medio - alto del cliente la capacità di
essere fattore interruttivo del nesso causale[19]. In termini sintetici, nelle
decisioni innanzitutto viene meno l'assunto per cui a fronte di un cliente
qualificato con una profilatura di rischio «medio - alta o alta» ovvero avente
una buona conoscenza in materia finanziaria, l'intermediario dovrebbe fornire
delle informazioni più specifiche e qualitativamente superiori alla media sul
prodotto oggetto dell'operazione. In tal caso infatti la giurisprudenza
maggioritaria ha individuato come la scelta di investimento del cliente su di
un investimento piuttosto che un altro, sarebbe determinata proprio dai
dettagli dell'operazione indicati dall'intermediario essendo, il cliente in
questione, in grado di comprendere la portata dell'informazione[20].
Alcune decisioni inoltre sono contrarie a quanto sostenuto dalla Corte rispetto
alla necessità che in capo all'investitore si formi un consenso informato
sull'investimento, possibile solo qualora al medesimo venga fornito l'intero
plesso di informazioni conosciute dall'intermediario secondo la diligenza
professionale[21].
Fra le recenti decisioni ve ne sono inoltre alcune che, a fronte di
un'operazione inadeguata - sul cui punto ora si deve approfondire - ritengono
insussistente la relazione eziologica tra l'inadempimento e il danno affermando
come le indicazioni di inadeguatezza non necessariamente debbano essere fornite
compiutamente, bastando invece l'indicazione di inadeguatezza su formato
standardizzato. Al riguardo, tuttavia, si può notare come tendenzialmente il
senso di tale informativa non sarà facilmente comprensibile dal cliente, che
allora non potrà essere considerato consapevole del rischio assunto. Queste
stesse decisioni tendono anche a ritenere che l'attenuazione dell'onere
probatorio tra il cliente e l'intermediario comporti la presunzione di
adempimento degli obblighi informativi vertenti su quest'ultimo e non il
contrario anche senza la necessità che, a fronte delle contestazioni del
cliente, venga fornita dall'intermediario la prova positiva di aver adempiuto
diligentemente ai sensi dell'art. 23, comma 6 del T.U.F. - come invece ritenuto
necessario dalla Cassazione maggioritaria - [22].
Altre decisioni, discordandosi esplicitamente rispetto all'orientamento
maggioritario circa il giudizio di sussistenza del nesso causale, ritengono che
lo stesso non sussista sulla base di motivazioni ben poco precise e chiare o
comunque sulla base della mera irrilevanza dell'inadempimento
dell'intermediario agli obblighi informativi, tale per cui il cliente avrebbe
comunque deciso di investire[23].
Si vuole sottolineare in particolare una decisione della Suprema Corte che,
rigettando le pretese dell'investitore, ritiene non sussistente il nesso
causale ritenendo il mancato rilascio del documento sui rischi generali un
inadempimento di scarsa importanza. In tal modo la pronuncia escluderebbe la
risoluzione del contratto per «l'irrilevanza» dell'inadempimento e sulla base
di ciò anche la domanda di risarcimento del danno per mancanza di nesso
causale[24]. Ci si dovrebbe domandare se sia corretto escludere la sussistenza
del nesso causale quando - pur ammettendo nel caso di specie che si tratti di
un inadempimento di scarsa importanza - vi sia in ogni caso inesattezza nell'esecuzione
della prestazione[25].
6. Il caso dell'operazione inadeguata: poche decisioni sul punto, ma stessa
sostanza
L'art. 21 T.U.F. si è detto implicare in capo all'intermediario anche
l'attuazione della regola che impone un giudizio di adeguatezza e
appropriatezza dell'operazione rispetto alle caratteristiche del cliente e ai
suoi obiettivi di investimento.
In merito alla violazione della regola di adeguatezza e l'esatta ripartizione
dell'onere probatorio, finora la Cassazione si è pronunciata in un numero
circoscritto di decisioni e, comunque, in misura inferiore rispetto ai casi di
violazione degli obblighi informativi. Nonostante ciò, il ragionamento svolto
dalla Suprema Corte maggioritaria in questo secondo scenario sarebbe di
possibile applicazione anche ai casi di violazione della regola di adeguatezza,
che trova anch'essa la propria fonte nella norma inderogabile posta dall'art.
21 T.U.F.
Si è detto come secondo l'orientamento consolidato della Corte l'obbligo
informativo in capo all'intermediario debba essere effettivamente adempiuto
tanto che la mera violazione, insieme alla prova del danno, determina una
presunzione di sussistenza del nesso causale. In un tale contesto, trasponendo
la medesima logica delle menzionate decisioni al caso della violazione della
regola di adeguatezza, l'unica modalità di tutela effettiva del cliente nel
caso di operazione inadeguata risiede nell'obbligo per l'intermediario di
astensione dall'esecuzione dell'operazione, ritenendo sussistente la medesima
presunzione circa il nesso causale tra la mancata astensione e il danno.
In alcune decisioni, infatti, la Cassazione ha avuto modo di rilevare come, ai
sensi dell'art. 28 del reg. Consob vigente al tempo delle decisioni[26],
l'intermediario nei casi in cui l'operazione sia inadeguata rispetto al profilo
di rischio del cliente e ai suoi obiettivi di investimento, deve avvertire
prontamente l'investitore delle specifiche ragioni che concretamente rendono
l'operazione inadeguata e, soprattutto nei casi in cui l'investitore sia
particolarmente propenso al rischio, deve astenersene dall'attuazione. La
violazione del dovere di astensione dall'operazione inadeguata determinerebbe
pertanto il danno in re ipsa perché, salvo prova contraria, la perdita del
capitale investito sarebbe logica conseguenza dell'operazione inadeguata
eccessivamente rischiosa per il cliente[27]. L'allegazione della violazione
della regola di astensione in caso di adeguatezza dell'operazione
giustificherebbe non solo, come nel caso di violazione dei doveri informativi,
l'attenuazione dell'onere probatorio in capo al cliente retail nei termini
finora individuati dalla Suprema Corte, ma anche la considerazione che il danno
sussista in re ipsa senza la necessità che il cliente ne fornisca ulteriore
prova. La ragione di ciò si rinviene nel fatto che qualora non vi fosse stata
l'iniziativa dell'intermediario verso l'operazione già inadeguata in origine,
non ci sarebbe stata alcuna violazione del divieto e, conseguentemente, la
perdita non si sarebbe verificata[28].
Una simile interpretazione della norma che pone la regola di adeguatezza deriva
in primo luogo direttamente dall'inderogabilità dell'art. 21 T.U.F., di cui
l'art. 28, Reg. Consob costituisce regola attuativa e strumentale alla
valutazione dell'esatto adempimento secondo la specifica diligenza del servizio
di investimento prestato (art. 23, comma 6, T.U.F.). La norma infatti non
lascerebbe margini di discrezionalità all'intermediario di adempiere o meno al
dovere di astensione, che pertanto non si limiterebbe alle sole ipotesi di
operazione inadeguata, ma si estenderebbe ai casi in cui per l'intermediario
non sia possibile attuare la valutazione di adeguatezza non essendogli state
fornite dall'investitore informazioni ovvero qualora quelle fornite non
risultino comunque sufficienti al compimento del giudizio di adeguatezza o meno
secondo la diligenza professionale[29].
In secondo luogo, anche in dottrina si ritiene che il compimento stesso
dell'operazione inadeguata sia rilevante di per sé nella determinazione del
danno, non solo per il fatto che l'operazione compiuta determinerebbe un
risultato contrario agli interessi del cliente, quanto piuttosto perché
l'obbligo di astensione assumerebbe una peculiare e autonoma valenza funzionale
alla reale tutela del cliente[30]. Questa logica porta a ritenere che per il
giudice non si ponga alcuna necessità di valutazione dell'incidenza o meno
della mancata informazione di inadeguatezza dell'operazione sulla volontà di
investimento del cliente e, quindi, sulla realizzazione del danno per non aver
disinvestito il capitale oramai perduto, essendo l'obbligo di astensione
dall'esecuzione di un'operazione inadeguata in sé l'unico strumento idoneo a
tutelare l'investitore. In terzo luogo, il dovere di astensione troverebbe
particolare ragionevolezza nei casi in cui per via della particolare
propensione al rischio dell'investitore, anche qualora venisse informato
dell'inadeguatezza dell'operazione, sarebbe portato a non desistere
dall'investimento inadeguato.
Tale logica di tutela rispondente all'orientamento maggioritario, pur
riferendosi alle fattispecie concrete verificatesi precedentemente la
disciplina MiFID, sarebbe suscettibile di applicazione anche nell'attuale
sistema, in quanto ai sensi degli artt. 40 e ss. del Reg. Consob n. 20307,
l'ordinamento prevede che i servizi di investimento e gli strumenti finanziari
raccomandati debbano essere <
La ratio sottostante il ragionamento della Cassazione trova spazio solo
superando la concezione dell'homo aeconomicus[34] per cingersi ad un approccio
più realista, in quanto in sé l'avvertimento di inadeguatezza o
inappropriatezza dell'operazione potrebbe non essere sufficiente a rendere
l'investitore consapevole delle conseguenze sul rapporto di rischio/rendimento
per un determinato prodotto, pertanto non essendo sempre in grado neppure di
comprendere la reale portata dell'inadeguatezza stessa, l'avvertimento non
basterebbe a rendere l'operazione adeguata. La considerazione che il prodotto
debba essere già adeguato nel momento in cui viene raccomandato od offerto risponde
al miglior interesse del cliente, interessato al raggiungimento di un guadagno
dall'operazione e non invece all'assunzione di un rischio di perdita che non
sarebbe in grado di sopportare. Questa lettura del fenomeno derivante
dall'orientamento maggioritario della Suprema Corte considera l'obbligo di
informazione, e l'intero plesso di regole in capo all'intermediario, come i
reali co-fattori[35] della decisione di investimento del cliente, pertanto -
nei termini anzidetti - suscettibili di determinare un danno in capo
all'investitore derivante dalla mera violazione della norma, essendo l'intero
plesso di regole desumibili dagli artt. 21 e 23 T.U.F. naturalmente interne
alla fattispecie e incidenti sulla volontà del cliente, tanto da determinare un
vizio per mancanza del consenso informato e un danno, salvo prova contraria
allegabile dall'intermediario.
Cass., Sez. I, del 24 settembre 2018, n. 22464 (Pres. Cristiano - Rel. Tricomi)
In tema di risarcimento del danno per la perdita del capitale investito in
virtù dell'acquisto di un prodotto finanziario, l'intermediario deve provare di
aver adempiuto positivamente agli obblighi informativi relativi anche al grado
effettivo di rischiosità dell'operazione. Qualora tale prova non venga fornita
appare evidente che il nesso di causalità possa essere ricostruito in via
presuntiva.
Cass., Sez. I, del 4 ottobre 2018 (Pres. Campanile - Rel. Dolmetta)
L'obbligo informativo assume in sé rilievo determinante, essendo diretto ad
assicurare scelte di investimento realmente consapevoli. In assenza di tale
consenso informato il sinallagma del singolo negozio di investimento manca di
trovare attuazione perché la prestazione dell'informazione sui termini di
rischio dell'operazione specifica, si pone come momento in sé funzionale alla
conoscenza effettiva dell'investimento.
Cass., Sez. I, del 14 novembre 2018, n. 29353 (Pres. De Chiara - Rel. Lamorgese)
Si può ravvisare in re ipsa il danno consistente nella perdita della somma
investita a causa di un investimento inadeguato, che presumibilmente il cliente
non avrebbe autorizzato se fosse stato informato in modo corretto.
L'inosservanza dei doveri informativi sarebbe pertanto in sé fattore di
disorientamento dell'investitore condizionato in modo scorretto nelle sue
scelte d'investimento.
Cass., Sez. I, del 16 novembre 2018, n. 29607 (Pres. De Chiara - Rel.
Lamorgese)
L'inadeguatezza dell'operazione comporta un alleggerimento dell'onere
probatorio gravante sull'investitore ai fini dell'esercizio dell'azione
risarcitoria. Tanto che anche a fronte di un operazione adeguata, la mancata
fornitura di informazioni esaurienti e appropriate sulla tipologia e
caratteristiche del prodotto finanziario, è indice di una scelta non
consapevole da parte dell'investitore i cui effetti pregiudizievoli non devono
essere ascritti alla sua volontà.
Cass., Sez. I, del 21 novembre 2018, n. 30104 (Pres. Cristiano - Rel Valitutti)
L'esperienza dell'investitore in materia finanziaria devono orientare la
selettività delle informazioni che l'intermediario deve fornire, dirigendosi
nel caso verso quelle specifiche e non generalmente accessibili, in quanto più
elevato è il rischio dell'investimento, maggiormente puntuali devono essere le
informazioni da fornire. Non rileva che in sede di stipula del contratto
l'investitore abbia dichiarato di aver acquisito un esperienza
"alta".
Cass., Sez. I, del 29 gennaio 2019, n. 2464 (Pres. Cristiano - Rel. Valitutti)
Si deve ritenere sussistente in via presuntiva l'esistenza del nesso causale
tra l'accertato inadempimento degli obblighi informativi da parte della banca e
il pregiudizio subito dagli investitori. La mancanza di informazioni dovute al
cliente da parte della banca, è idonea a generare una presunzione di
riconducibilità alla stessa dell'operazione finanziaria, costituendo inoltre
fattore di disorientamento dell'investitore che ne è condizionato nella scelta
d'investimento.
[1] In dottrina sul punto si veda A. Di Amato, Gli intermediari, in Manuale di
diritto del mercato finanziario, Giuffrè, a cura di S. Amorosino, pag. 89 e ss.
La normativa regolamentare individua tra i prodotti finanziari a titolo
esemplificativo quelli c.d. del mercato monetario che normalmente vengono
negoziati, tra questi i buoni del tesoro o i certificati di deposito (art. 1
comma 1-ter, T.U.F.) e le varie tipologie di strumenti derivati (indicati nell'
Allegato I, Sezione C, n. 4-5-5-7-9-10, MiFID II e T.U.F).
[2] Per un approfondimento sulla configurazione del principio di trasparenza e
tutela dell'investitore si veda A.A. Dolmetta e U. Minneci, Borsa (contratti
di), in Enc. dir., agg. VI, Borsa, 2001; gli autori precisano che l'intervento
dell'operatore qualificato non è sclerotizzabile secondo rigidi canoni
predeterminati, tendendo «piuttosto a conformarsi sulle caratteristiche
concrete del cliente, tenendo conto di due variabili fondamentali: da un lato,
dell'effettiva esperienza che il risparmiatore ha del campo in cui intende
muoversi; dall'altro, del tipo di servizio di investimento fornito
all'operatore qualificato».
[3] Per una lettura chiara della normativa si veda M. Miola, commento all'art.
21 T.U.F., in Testo unico della finanza. Commentario diretto da G. F.
Campobasso, Utet, 2002, pag. 164.
[4] La presente analisi vuole chiarire quale sia attualmente l'approccio della
Cassazione al problema in continuità con la rassegna giurisprudenziale di A.
Mager, Oltre la violazione dei doveri informativi nei servizi di investimento.
La Cassazione e il nesso di causalità, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it,
41, 2018; nel quale si analizzano i vari passaggi sviluppati dalla Suprema
Corte dal 2016 al 2018 sul punto del nesso di causalità.
[5] Tra le decisioni sul problema si veda: Cass. del 21 maggio 2018, n. 12456;
inoltre sul punto si veda Cass. del 24 maggio 2018, n. 12956 e Cass. del 31
agosto 2017, n. 20167;
[6] Per un analisi compiuta del principio si veda A.A. Dolmetta e U. Malvagna,
Vicinanza della prova e prodotti d'impresa del comparto finanziario, in Banca,
borsa e tit. cred., 2014, I, pag. 676 e ss., nella quale si afferma che «se
l'idea della vicinanza come regola di conformazione probatoria correttiva di
quella secondo allegazione fa perno generale sulla tutela dell'effettiva del
diritto di difesa (art. 24 Cost.) di controparte, per i prodotti d'impresa le
cose non si fermano qui. La vicinanza d'impresa si accresce di un valore
aggiuntivo. Essa tende a incentivare il livello di efficienza dell'impresa
perché porta sul piano processuale della prova quanto dovrebbe corrispondere,
nella linea del corretto agire d'impresa, al piano della sostanza».
[7] Le due decisioni che hanno dato il via all'orientamento e attualmente
ancora rispese dalle decisioni più attuali si veda: Cass. del 17 novembre 2016,
n. 23417; Cass. del 18 maggio 2017, n. 12544 e Cass. del 28 febbraio 2018, n.
4727; Cass. del 16 febbraio 2018, n. 3914; tra le più recenti si veda: Cass.
del 24 settembre 2018, n. 22464; Cass. del 14 novembre 2018, n. 29353; Cass.
del 16 novembre 2018, n. 29607; Cass. del 21 novembre 2018, n. 30104; Cass. del
29 gennaio 2019, n. 2464.
[8] Da ultimo si veda in particolare la decisione Cass. del 21 novembre 2018,
n. 30104 coerente con le precedenti decisioni Cass. del 28 febbraio 2018, n.
4727; nonché Cass. del 16 febbraio 2018, n. 3914 già citate.
[9] Un contributo importante in dottrina che si preoccupa di riflettere sulla
valenza degli obblighi legali dell'intermediario e sulle strutture rimediali
viene da A.A. Dolmetta, Strutture rimediali per la violazione di «obblighi di
fattispecie» da parte di intermediari finanziari, in www.ilcaso.it., si specifica,
pur non trattando espressamente del tema della causalità, come l'obbligo
comportamentale vertente sull'intermediario - che sia di mera informazione sui
rischi ovvero valutazione dell'adeguatezza o meno dell'operazione - sia stato
considerato erroneamente fuori dalla fattispecie di formazione del consenso del
cliente. La Cassazione infatti, si è precisato più volte che individua invece
questi obblighi quali co-fattori della decisione di investimento.
[10] Tra le diverse decisioni che hanno composto questo orientamento che
richiede la prova positiva di aver adempiuto esattamente alla prestazione da
parte dell'intermediario si veda: Cass. del 10 maggio 2018, n. 11368; Cass. del
10 aprile 2018, n. 8751; Cass. del 13 maggio 2016, n. 9892; Cass. del 19 aprile
2018, n. 9763.
[11] Nelle decisioni inerenti l'orientamento minoritario la dinamica risulta la
seguente: il cliente vuole investire in un operazione inadeguata (art. 28 RI),
l'intermediario ne indica l'inadeguatezza mediante una dichiarazione standardizzata
non comprensibile dal cliente, il quale conseguentemente decide comunque di
investirvi, perdendo successivamente l'intero capitale. Sul contenuto specifico
delle decisioni della giurisprudenza sul punto e sulla qualificazione di
cliente come «propenso al rischio» si veda: Cass. del 17 agosto 2016, n.17138;
Cass. del 3 novembre 2017, n. 26191; Cass. del 9 marzo 2018, n. 5837; Cass. del
20 marzo 2018, n. 6962.
[12] Sul punto si vedano le decisioni della Corte di legittimità: Cass. del 25
ottobre 2017, n. 25335 nei termini in cui cassa tale posizione minoritaria
della Corte d'Appello; Cass., del 3 novembre 2017, n. 26191; Cass., del 9 marzo
2018, n. 5837; Cass, del 20 marzo 2018, n. 6962.
[13] Tale orientamento oramai minoritario ammetterebbe almeno che la prova
alternativa ipotetica della relazione eziologica tra l'inadempimento e il danno
possa essere valutata sul «parametro del più probabile che non», diminuendo -
in parte - il tenore del difficile onere probatorio richiesto al cliente; Cass,
del 17 agosto 2016, n. 17138; Cass., del 24 aprile 2018, n. 10111 e 10115.
[14] Sul punto la dottrina non è unanime, per un approfondimento critico
dell'eccessivo rilievo dato alle caratteristiche personali del cliente si veda
S. Amorosino, Manuale di diritto del mercato finanziario, Giuffrè, 2014; G.
Facci, Il danno da informazione finanziaria inesatta, Zanichelli, 2013.
[15] Sul punto in particolare si veda la decisione Cass. del 16 novembre 2018,
n. 29607 la quale riprende in particolare la decisione cardine
dell'orientamento in questione (Cass. del 18 maggio 2017, n. 12544).
[16] Cass. del 14 novembre 2018, n. 29353, coerente con la precedente decisione
Cass. del 16 febbraio 2018, n. 3914 altrettanto fondamentale per
l'individuazione dell'orientamento maggioritario.
[17] Il riferimento è in particolare alla Cass. del 24 settembre 2018, n.
22464, in linea con la Cass. del 28 febbraio 2018, n. 4727 considerabile tra
quelle fondanti l'indirizzo in questione.
[18] In particolare il riferimento è alla Cass. del 29 gennaio 2019, n. 2464,
la quale specifica inoltre il fatto che sul piano del nesso causale non possa
ascriversi alcuna rilevanza all'esperienza negli investimenti ed alla
propensione al rischio dell'investitore ad effettuare operazioni ad alto
rischio. Dalla propensione al rischio del cliente «desumere che avrebbe
comunque accettato il rischio connesso [all'investimento]» non è corretto in
quanto «l'accettazione consapevole di un investimento finanziario non può che
fondarsi sulla preventiva conoscenza delle caratteristiche specifiche del
prodotto in relazione a tutti gli indicatori della sua rischiosità».
[19] Cass. del 12 luglio 2018, n. 18483: in particolare viene rigettata la
pretesa del cliente sulla base del fatto che la Corte d'Appello abbia valutato
lo stesso con un profilo speculativo tale per cui la mancata informazione sul
rating del prodotto e sul fatto che la negoziazione sarebbe avvenuta sul c.d.
grey market, non avrebbe inciso sulla scelta del medesimo di investimento.
[20] Per l'orientamento maggioritario si veda in particolare: Cass. del 15
settembre, n. 13884 e Cass. del 4 ottobre 2018, n. 24393 nella quale in
particolare si specifica che «il vigente sistema normativo dei servizi di
investimento, la sussistenza di una peculiare - anche particolarmente elevata -
propensione al rischio dell'investitore non è ragione di esonero
dell'intermediario dalla prestazione degli obblighi informativi. E nemmeno la
rende inutile».
[21] Tra le più recenti dell'orientamento maggioritario che si fonda su tale
assunto si veda Cass. del 3 ottobre 2018, n. 24142.
[22] L'orientamento prevalente infatti ritiene che a fronte della dichiarazione
di inadeguatezza dell'operazione sia necessario che il cliente sia consapevole
delle ragioni di inadeguatezza, cosa possibile solo qualora non solo le ragioni
siano compiutamente indicate per iscritto dall'intermediario, ma anche quando
l'investitore nella dichiarazione sottoscritta di voler comunque adempiere
abbia indicato le ragioni della comprensione. Sul punto e sulla necessità che
l'intermediario fornisca prova positiva di aver adempiuto correttamente ai
doveri informativi si vedano le già citate Cass. del 3 gennaio 2017, n. 29 e
Cass. del 18 maggio 2017, n. 12544. In senso contrario invece la recente decisione
della Cass. del 18 giugno 2018, n. 16088 per il tema dell'inadeguatezza e Cass.
del 6 giugno 2018, n. 14691 la quale non ritiene sussistente il nesso causale
perché l'informazione sul rating dell'operazione non era necessario quando la
banca non ha fornito una prova positiva di aver adempiuto al rilascio
dell'informazione.
[23] Cass. del 2 novembre 2018, n. 28058 e in particolare Cass. del 8 febbraio
2019, n. 3855, che nell'opporsi all'orientamento maggioritario (e accogliendo
le pretese dell'intermediario ricorrente) non specifica alcuna motivazione ne
in fatto ne in diritto.
[24] La critica volge in particolare alla decisione della Cass. del 18 gennaio
2019, n. 1460, (pag. 9 e ss.) nella quale si pone a motivazione del rigetto
della domanda dell'investitore, oltre alla questione dell'irrilevanza
dell'inadempimento e la non sussistenza del nesso causale, anche il tema
dell'inadeguatezza. Facendo riferimento alla giurisprudenza minoritaria,
ritiene che la valutazione di adeguatezza dell'intermediario possa ritenersi
«relativa» (pag. 14 della sentenza). È opportuno chiarire come ai sensi
dell'art. 1455 c.c., la «scarsa importanza» dell'inadempimento potrebbe
certamente escludere la possibilità di risolvere il contratto. Tuttavia, nel
caso di specie due sono le questioni che non tornano: innanzitutto, non si
capisce come possa ritenersi di scarsa importanza l'inadempimento
dell'intermediario consistente nella mancata consegna del documento sui rischi
generali - obbligatorio ex art. 28, lett. b) Reg. Consob n. 11522 del 1998 -
ritenuto dalla giurisprudenza prevalente doveroso insieme alla spiegazione del
suo contenuto all'investitore (Cass. del 20 marzo 2018, n. 6920).
[25] Tuttalpiù a fronte di un inadempimento di scarsa importanza, una volta
accertato in via presuntiva il nesso causale con il danno - coerentemente con
l'orientamento prevalente - si potrebbe porre in sede di quantificazione del
danno ex art. 1223 c.c. una maggior delimitazione. La funzione propria della
norma, infatti, - sulla quale non manca il dibattito - consisterebbe nella
delimitazione del quantum risarcibile una volta dato per presupposto
l'inadempimento e il nesso causale. Nella logica contrattualistica allora
l'inadempimento vi sarà in tutti i casi in cui, a prescindere dalla fonte dell'obbligo,
vi sia una difformità tra l'effetto che doveva conseguirsi con l'esecuzione
dell'obbligazione e quello effettivamente realizzatosi. Il c.d. criterio di
normalità farà da discriminante tra i danni ulteriori risarcibili e quelli che
non si possono considerare come tali, prevenendo in tal modo il rischio di
ingiusto arricchimento del creditore. Per un approfondimento sul dibattito
riguardante l'art. 1223 c.c. e la rilevanza della difformità totale o parziale,
della prestazione rispetto al vinculum a seconda che la prestazione sia
totalmente ineseguita o solamente inesatta, che determinerebbe la risarcibilità
di quei danni che secondo le norme di comune esperienza che siano conseguenza
normale dell'inadempimento; si veda: P.G. Monateri, La responsabilità civile,
nel Trattato di dir. civ. diretto da Sacco, 1998, pag. 312 e ss.; A. Di majo,
Tutela risarcitoria: alla ricerca di una tipologia, in Riv. dir. civ. 51, 3,
2005; F. Realmonte, Il problema del rapporto di causalità nel risarcimento del
danno, Giuffrè, 1967; A. Belfiore, Il binomio «causalità giuridica - causalità
materiale» e i criteri di determinazione del danno da risarcire, in Eur. e dir.
priv., vol. 1, 2017, pag. 117-166.
[26] L'art. 28, lett., a), Reg. Consob n. 11522, si deve specificare che è
attualmente integralmente superato dal Reg. Consob n. 20307 del 2018, ma la
maggioranza delle decisioni della Suprema Corte vertono sul testo previgente.
Quanto ritenuto dalla normativa precedente si può considerare in ogni caso
attuale in ragione dell'art. 40 del nuovo Reg. Consob.
[27] Già con la decisione del Tribunale di Venezia del 28 febbraio 2008, viene
sviluppato il primordio dell'attuale orientamento giurisprudenziale viene
specificato che «l'intermediario può legittimamente dar attuazione all'ordine
di investimento solo in presenza di determinate condizioni non ricorrendo le
quali lo stesso ha l'obbligo di astenersi - altrimenti la condotta dello
stesso - deve ritenersi che abbia concorso causalmente alla determinazione del
danno». Cass. del 27 aprile 2011, n. 9404, in Nuova giur. civ. comm., 2011,
1258: «in caso di concretizzazione del rischio che la norma violata tendeva a
prevenire, la considerazione del comportamento dovuto e della condotta
mantenuta assume decisivo rilievo, e il nesso di causalità che i danni
conseguenti a quest'ultima astringe rimane presuntivamente provato».
Attualmente tra le varie decisioni sul punto si vuole sottolineare: Cass. del 3
ottobre 2018, n. 42142 e Cass. del 6 marzo 2018, n. 5265, Cass. del 14 novembre
2018, n. 29353; le quali esprimono maggiormente la necessità che il dovere di
astensione sia effettivo, generandosi altrimenti una relazione eziologica con
il danno in re ipsa.
[28] In tal senso analizzando il vecchio Reg. Consob del 1998, la dottrina
analizza che l'art. 29 del precedente Reg. Intermediari n. 11522, implichi un
dovere di astensione assoluto con relativo nesso causale in re ipsa, solo
qualora sia l'intermediario a prendere l'iniziativa raccomandando l'operazione
inadeguata, mentre qualora vi sia stata dichiarazione di inadeguatezza e
conseguente dichiarazione dell'investitore di voler comunque procedere, non
possa configurarsi ancora sussistente il dovere di astensione in termini
assoluti. Attualmente questa distinzione non ha più gran funzione in quanto, il
nuovo regolamento pone l'importanza sull'adeguatezza dell'operazione a seconda
del tipo di servizio svolto come si è sottolineato nel precedente paragrafo. Si
veda in particolare G. Facci, Il danno da informazione finanziaria inesatta,
Zanichelli, 2013.
[29] Sul punto si sono evidenziate le decisioni: Cass. del 28 febbraio 2018, n.
4727 e Cass. del 6 marzo 2018, n. 5265. La giurisprudenza rileva che proprio
nei casi in cui vengano violati i doveri conseguenti alla valutazione di
inadeguatezza dell'operazione per il cliente, a maggior ragione si ponga un
problema di tutela dell'investitore, in quanto il regime di adeguatezza e -
seppur in modalità differenti - pare anche quello di appropriatezza,
implicherebbero la necessità per l'intermediario di astenersi dall'esecuzione
dell'operazione, potendo eventualmente anche recedere per giusta causa dal
contratto - artt. 1722 e 1727 c.c. -. Si vedano inoltre le decisioni
precedentemente individuate nell'orientamento maggioritario e in dottrina: M.
Maggiolo, Tutela restitutoria e risarcitoria nella prestazione dei servizi di
investimento, in Giur. comm., fasc. 3, 2010, pag. 390 ss., nella quale viene
specificato che «anche le informazioni incomplete o insufficienti possono far
scattare l'obbligo di astensione» in virtù della non possibilità di far
affidamento su un'informazione palesemente «inattendibile». Nel caso invece in
cui manchi una chiarezza nelle informazioni, l'intermediario alternativamente
deve chiedere ulteriori informazioni e, qualora risulti inadeguata l'operazione
ancora una volta dovrà astenersi dal compimento, in questo ultimo caso
l'obbligo di astensione non sarebbe automatico.
[30] Per un approfondimento in dottrina si veda D. Maffeis, Dopo le sezioni
unite: l'intermediario che non si astiene restituisce al cliente il denaro
investito, in www.ilcaso.it,
2008, il quale approfondisce il tema considerando l'esistenza del danno in re
ipsa dal fatto che la violazione del dovere da parte dell'intermediario,
risulti contraria all'interesse del cliente che doveva essere perseguito. Si
veda inoltre B. Inzitari, Violazione del divieto di agire in conflitto
d'interessi nella negoziazione di strumenti finanziari, www.ilcaso.it, 2009, nel quale
l'autore sul punto precisa che ponendosi anche nel caso di operazione adeguata
un divieto di procedere con la stessa rinvenibile dalla legge, così come nel
caso del conflitto di interesse, si genera un danno in re ipsa derivate dal
fatto che l'intermediario «non ha adempiuto agli specifici obblighi impostigli
dalla disciplina legislativa e regolamentare». Ai sensi dell'art. 1222 c.c.
infatti, la violazione delle obbligazioni di non fare - come il dovere di
astensione in caso di operazione inadeguata - «costituisce di per sé
inadempimento» rendendo irrilevante ogni indagine sulla sussistenza del nesso
di causalità. La sostanza dei due contributi non muta, anzi, si può affermare
che ogniqualvolta il debitore si comporti contra lege, la stessa omissione per
la struttura del rapporto, determini la contrarietà all'interesse del creditore
- interessato all'esatto adempimento -. Solo in questo modo le regole di
condotta imposte dall'art. 21 T.U.F. potrebbero essere funzionali alla
formazione della genuina volontà di investimento per il cliente.
[31] In tal senso tra i più recenti contributi in dottrina è possibile
approfondire sul punto M. De Mari, Diritto delle imprese e dei servizi di
investimento, Cedam, 2018, pag. 212 e ss; inoltre F. Annunziata, Il recepimento
di MiFID II: uno sguardo di insieme tra continuità e discontinuità, in Riv.
soc., n. 4, 2018, in cui si ammette che nel nuovo regime MiFID II gli obblighi
informativi relativi alla profilatura del cliente, attivi e passivi, sarebbero
maggiormente profondi rispetto al passato. Tra le informazioni rilevanti nella
profilatura del cliente vi sarebbe anche la sua tolleranza al rischio, non
bastando più la valutazione dei caratteri di «esperienza, conoscenza,
situazione finanziaria, obiettivi di investimento» del cliente.
[32] L'art. 40 del citato Reg. Consob, come si è sottolineato prevede infatti
che l'adeguatezza dell'operazione possa essere compiuta solo se l'intermediario
ottiene dal cliente delle informazioni ben precise che consistono sostanzialmente
in quelle che si classificano come attive e passive. Queste informazioni che
consistono nella «conoscenza ed esperienza in materia di investimenti riguardo
al tipo specifico di strumento o di servizio, situazione finanziaria, inclusa
la capacità di sostenere le perdite, obiettivi di investimento, inclusa la
tolleranza al rischio», funzionali parametri di valutazione dell'adeguatezza
dell'operazione. Tali informazioni si riferiscono alla fase iniziale del
rapporto ma devono essere costantemente monitorate nella fase esecutiva
dall'intermediario insieme alle informazioni cui si riferisce l'art. 36 del
Regolamento. L'attuazione di questo plesso di doveri verrebbe completata
mediante l'obbligo di astensione, idoneo a curare il miglior interesse del
cliente.
[33] Il soggetto qualificato anche solo con una profilatura «medio - alta» di
rischio secondo la Suprema Corte non determinerebbe infatti l'esonero per
l'intermediario dalla valutazione di adeguatezza dell'operazione rispetto alle
sue caratteristiche personali e obiettivi di investimento ma anzi implicherebbe
il dovere di astensione dall'operazione inadeguata ossia il recesso dal
contratto al fine di proteggere effettivamente la posizione del cliente che
presumibilmente acquisterebbe comunque il prodotto anche se informato
dell'inadeguatezza. Sul punto si vuole far riferimento in particolare la
decisione Cass. del 6 marzo 2018, n. 5265 e tra le più recenti si sottolinea la
Cass. del 16 novembre 2018, n. 29607 che evidenzia la questione in modo similare.
[34] Per un approfondimento da autorevole dottrina si veda N. Moloney, How to
Protect Investors. Lessons from the EC and the UK, Cambridge, 2010, 45 ss.
[35] Il termine viene coniato dalla già citata Cass. del 18 maggio 2017, n.
12544.
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