Sovraindebitamento
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 09/03/2019 Scarica PDF
La liquidazione del patrimonio dei soggetti sovraindebitati fra presente e futuro
Salvo Leuzzi, Magistrato Addetto alla Corte di CassazioneSommario: 1. Una premessa di contesto. – 2. Il nuovo impianto "codicistico" del sovraindebitamento. – 3. I lineamenti essenziali della liquidazione del sovraindebitato tra legge vigente e codice incipiente. – 4. La disamina dei presupposti soggettivi. – 4.1. Il sovraindebitamento del socio in estensione. – 4.2. L’accesso del socio in proprio. – 4.3. Il sovraindebitamento "familiare". – 5. L’esame del presupposto oggettivo. – 6. L’apertura della procedura su domanda del debitore. – 7. Il contenuto della domanda: le ipotesi controverse. – 8. L’apertura della procedura per conversione. – 9. Gli organi della liquidazione. – 10. L’apertura della liquidazione e i suoi effetti per il debitore. – 10.1. Gli effetti per i creditori. – 10.2. Il regime giuridico degli atti pregiudizievoli. – 10.3. Il regime giuridico dei rapporti pendenti. – 11. L’accertamento del passivo. – 12. La liquidazione dell’attivo. – 13. Il riparto del ricavato. – 14. La chiusura della procedura. – 15. L'esdebitazione. – 16. Il divieto di azioni esecutive e cautelari. – 17. Lacunosità delle regole e ricorso al paradigma fallimentare.
1. Una premessa di contesto
La riforma del diritto concorsuale interesserà anche la gestione delle crisi dei soggetti esclusi dal fallimento, ribattezzato per l’occasione "liquidazione giudiziale". Soffermarsi sul riordino che plausibilmente avverrà, significamuovere dalle certezze e dalle insicurezze sciorinate dalla normativa attuale, affidandosi in parallelo al “Codice della crisi e dell’insolvenza”, che entrerà in vigore il 14 agosto 2020[2].
Quel che di limpido si staglia sull’orizzonte del "sovraindebitamento" è, peraltro, l’assenza di sconvolgimenti[3]: il riformatore ha preferito l’importazione della disciplina contemplata nella l. n. 3 del 2012[4], intarsiandola di varianti e specificazioni. Esigua sarà la somma delle novità ragguardevoli, tutte tese – opportunamente – a rischiarare le ombre della disciplina vigente, dentro un edificio intalterato nei suoi pilastri.
Come nella legge attuale, così nel “Codice”, le procedure di regolazione della materia rimarranno tre, ma cambieranno i nomi: l’"accordo di composizione della crisi" di cui agli artt. da 10 a 12 della l. n. 3 del 2012 diventerà "concordato minore" e troverà le proprie norme negli artt. da 79 ad 88; il "piano del consumatore" di cui agli artt. da 12-bis a 14-bis prenderà a chiamarsi "ristrutturazione dei debiti del consumatore" e sarà normato negli artt. da 72 a 78; la "liquidazione", oggi condensata negli artt. da 14-ter a 14-terdecies della legge odierna, assumerà, nel contesto degli artt. da 273 a 281 del "Codice", il titolo di "liquidazione controllata".
Al di là dei vocaboli, le prime due procedure continueranno a giovare alla composizione dei debiti, l’ultima seguiterà a connotarsi come liquidatoria; tutte e tre resteranno consegnate, in linea di massima, a regole che in larga parte già si conoscono.
La ragione dell’invarianza, probabilmente, è in un’implicita sospensione di giudizio sulla performance delle regole: ancora pochi, in cifra complessiva, i riscontri applicativi finali degli istituti, per decretarne la buona riuscita o l’insuccesso o per immaginarne sbrigativamente una fisionomia differente. La diffusione tutto sommato dimessa delle procedure di sovraindebitamento, almeno nei primissimi anni di vita dell’istituto, e l’escalation solo recente, al di là della connotazione dei precetti e della claudicante normativa secondaria di attivazione degli OCC[5], sono state originate verosimilmente da un approccio culturale socialmente radicato, comprensivo della limitata propensione dell’imprenditore sotto soglia e del debitore civile a servirsi di procedimenti parzialmente giudiziari per risolvere l’eccesso di debito.
Poco meno di sette anni fa, la costruzione nuova del sovraindebitamento di sicuro si mostrava insolita e dissonante rispetto al tragitto evolutivo del nostro diritto e alle categorie che per decenni lo hanno nutrito. Benchè fin da tempi abbastanza distanti, autorevoli nostri scrittori avessero avvistato nel “fallimento civile” un luogo di decantazione ideale della crisi dei debitori non commerciali e censurato, in controluce, le inadeguatezze funzionali delle esecuzioni forzate[6], il sovraindebitamento vigente rimane il parto elaborato di un confronto secolare e vigoroso[7], che sconta nella sequela vigente di norme monche la difficoltà originaria del proprio travaglio.
La sua portata in certo senso sovvertitrice alloggia nello scavalcamento della bipartizione ordinaria e domestica della categoria dei debitori, che all’inizio isolava su un fronte gli imprenditori commerciali “medi”, cui rivolgeva le articolate regole della legge fallimentare, confinando sulla sponda opposta gli "altri" debitori, per i quali nessuna soluzione era raggiungibile senza il consenso di tutti creditori, quindi sulla base di una trattativa individuale, generalizzata e inclusiva che, in ipotesi di mancata accettazione anche di uno solo fra costoro, determinava la prosecuzione delle espropriazioni individuali, frustrando ogni tentativo di composizione globale e concertata.
In fin dei conti, in Italia, la l. n. 3 del 2012, appare pure un riflesso dell’intenzione di tenere consapevolmente la scia dei paesi limitrofi, ove le normazioni in tema di sovraindebitamento erano andate rigogliosamente germogliando[8]. A pesare è stata di certo l’esigenza di rimanere dentro un quadro di competitività con gli altri stati europei, posto che laddove le regole concorsuali fossero risultate deficitarie rispetto a quelle altrui,il debitore, per un verso sospinto verso l’economia sommersa, sarebbe stato per altro verso indotto a riparare in altre giurisdizioni, contraddistinte nel suo immaginario da regimi giuridici più vantaggiosi.
Nè marginale, sul piano dell’impulso, si è rivelata, proprio nel panorama comunitario, la necessità di governare secondo una chiave procedimentale distinta una circostanza macroeconomica stratificata, consistente nella cronicizzazione dell’indebitamento dei singoli e dei nuclei familiari nei confronti dell’erario e del sistema bancario, con il suo flusso inarrestabile di ripercussioni sistemiche[9].
In questo contorno così frastagliato, agevolare il debitore al riacquisto di un ruolo proattivo nell'economia e nel mercato, sgombrandolo dall’involto di debiti pregressi ormai di fatto sostanzialmente inesigibili[10], accende un effetto positivo sulle imprese e sulle attività professionali, perché segna un recupero della propensione alla spesa e nel contempo argina il ricorso al sostegno esiziale all’usura.
2. Il nuovo impianto "codicistico" del sovraindebitamento
Nuova è la definizione chiave di sovraindebitamento, originale la sistematica delle procedure correlate, che si scostano dal modello primigenio e appartato della l. n. 3 del 2012, per trovare una ubicazione armonicamente racchiusa nel "Codice della crisi e dell’insolvenza".
Sotto il primo profilo, a risaltare è l’inserimento in apertura, fra le nozioni snocciolate dall’art. 2, del “Sovraindebitamento", che vien fatto consistere con "lo stato di crisi o di insolvenza del consumatore, del professionista, dell’imprenditore minore, dell’imprenditore agricolo, delle start-up innovative di cui decreto legge n. 179 del 18 ottobre 2012 e di ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza”.
Sotto il secondo aspetto, nell’intelaiatura del decreto la disciplina relativa alla regolazione della crisi del soggetto non fallibile viene collocata nel Capo II del Titolo IV, destinato agli “Strumenti di regolazione della crisi” in generale. Detto capo, comprende una Prima Sezione dedicata alle “Disposizioni di carattere generale”, comuni ai tre percorsi di composizione del sovraindebitamento, disposizioni custodite in due sole norme: l’art. 65, incaricato di tratteggiare il recinto applicativo dei procedimenti de quibus[11], l’art. 66, chiamato a delineare l’istituto di nuova concezione delle c.d. “procedure familiari”[12].
Nel medesimo capo, figura poi una Seconda Sezione, dedicata alla “Ristrutturazione dei debiti del consumatore” (artt. da 67 a 73) e una Terza Sezione, destinata al “Concordato minore” (artt. da 74 a 83). La Liquidazione controllata viene innestata ben oltre, in un capo autonomo, il IX, del titolo successivo, il V, riservato alla Liquidazione giudiziale (artt. da 268 a 277).
In un ulteiore capo, il X, di quest’ultimo titolo, sono trasfuse tutte le norme sull’esdebitazione, ivi incluse quelle afferenti alle procedure da sovraindebitamento, rinvenibili in ambedue le sezioni che articolano il capo in parola (artt. da 278 a 283).
Le disposizioni di estrazione penale concernenti le procedure da sovraindebitamento si reperiscono nel Titolo X, rubricato “Disposizioni penali” e, segnatamente, nel relativo quarto capo, sui “Reati commessi nelle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento e reati commessi nella procedura di composizione della crisi”.
La nuova normativa mostra probabilmente una funzionalità non eccelsa, in quanto, pur suddivisa in titoli, capi e sezioni del decreto, non è intercalata unitariamente nell’ordito normativo, cosicché si presta ad essere ricercata in tutta la sua articolazione lungo l'intero provvedimento, con riverberi opachi sul piano del coordinamento e dell’organicità.
Nel contesto del trattamento codicistico della crisi e dell’insolvenza, il sovraindebitamento diviene una parte del tutto. L’inclusione delle sue regole nello stesso articolato normativo che si occupa, con senso di sistema, del tema spazioso e sfaccettato del diritto concorsuale, può avvantaggiare un’interpretazione omogenea e coerente degli istituti, finalmente liberata dai rischi dell’esegesi creativa e congiunturale, cui i buchi neri della disciplina vigente l’hanno per un gran tempo condannata.
Nell'emanando "Codice" si assiste, sul piano procedurale, all’unificazione del modello processuale di accertamento della crisi o dell’insolvenza, secondo uno schema nel quale riaffiorano integre le sembianze familiari dell’attuale art. 15 l.fall. È percorsa la via indicata dall’art. 2, lett. 2, della legge delega (l. n. 155 del 2017), dell’assimilazione del trattamento processuale dei dissesti, attuali o prospettici, tanto dell'imprenditore quale che sia (quindi a prescindere dal suo profilo dimensionale), quanto dei debitori civili, vuoi professionisti che consumatori. E in questo itinerario, il primo passaggio procedurale non può che mostrarsi identico per ciascun debitore, "sia esso persona fisica o giuridica, ente collettivo, consumatore, professionista o imprenditore esercente un'attività commerciale, agricola o artigianale, con esclusione dei soli enti pubblici”, mentre ciò che muta sono solo gli sbocchi successivi nelle procedure specifiche, ossia “i diversi esiti possibili, con riguardo all'apertura di procedure di regolazione concordata o coattiva, conservativa o liquidatoria, tenendo conto delle relative peculiarità soggettive ed oggettive” (art. 2, lett. 2, l. n. 155 del 2017).
È dentro questa impostazione di massima, che il "Codice" punta sulla metabolizzazione culturale del sovraindebitamento e lo fa confermandone a grandi linee la trama di regole e insistendo sulla strada già battuta di procedure concorsuali messe in disparte, le cui regole, ad ogni modo, adesso sparpaglia e nel contempo integra in una struttura normativo organica.
Vi è in questa scelta l’abdicazione all’opportunità praticabile di un accorpamento totalizzante delle regole di gestione delle crisi e delle insolvenze da sovraindebitamento, che – sul modello spagnolo – avrebbe amalgamato in nuce il sistema. Si sarebbe rideterminato un ambito amplissimo al cui cospetto sarebbe stata offerta ai debitori una modalità omogenea di risoluzione di tutte le forme di dissesto, in quanto ritenute parimenti meritevoli d’essere affrontate, non in via meramente (e spesso vanamente) negoziale e transattiva, ma in un quadro di irrinunziabile controllo pubblicistico-giudiziale.
Se l'opzione normativa originaria era il corollario di un’elaborazione che reputava aspre e scabrose, quindi necessitanti di sistemazione concorsuale, le sole insolvenze generate dall'esercizio di un'attività commerciale non piccola, al mutar della prospettiva – divenuta maggiormente inclusiva di insolvenze da regolare sulla base del concorso fra i creditori – la sola ragione di una perdurante scissione delle forme di affronto del dissesto, a seconda della tipologia del suo artefice, si risolve in un’istanza di maggior semplificazione o scarnificazione dei procedimenti, qualora riguardanti soggetti di dimensioni minute, titolari di rapporti obbligatori a gamma ridotta.
3. I lineamenti essenziali della liquidazione del sovraindebitato tra legge vigente e codice incipiente
Fra le tre procedure da sovraindebitamento della l. n. 3 del 2012, quella di liquidazione ha il background più strutturato, avendo nei fatti positivizzato l’ottocentesca ambizione ad immettere nell’ordinamento la disciplina del “fallimento civile”, ossia una procedura liquidatoria collettiva, orientata sul patrimonio del soggetto escluso dalla procedura fallimentare, in funzione esdebitatoria.
Alternativa all’accordo in rimedio e al piano del consumatore, che rispondono ad una tendenza di ristrutturazione, la liquidazione mira al traguardo semplice di monetizzare gli averi del debitore. Lo fa, al pari delle altre due, sostenendosi su un’attività di pianificazione di matrice lato sensu aziendalistica, per il cui tramite si preordina un programma di composizione del debito di declinazione, in questo caso, soltanto dismissiva[13].
Alla medesima stregua del suo paradigma a tutt’oggi occulto – il fallimento – la liquidazione del patrimonio s’atteggia a procedura concorsuale, che, per un verso, attinge l'intero complesso di beni pignorabili del debitore, affidandone le sorti ad un organo ad hoc, il liquidatore, con larghezza di compiti amministrativi e dismissivi in funzione del riparto fra i creditori; per altro verso, dispiega i propri effetti nei riguardi dell’intera platea dei creditori anteriori alla sua apertura, rispetto ai quali viene in rilievo, in coincidenza con tale momento, il blocco delle azioni esecutive e cautelari individuali, in uno all'impossibilità di costituire cause legittime di prelazione[14].
Il timbro singolare dell’istituto si intravvede allora in ciò, che esso non contempla accordi fra il debitore e i suoi creditori, postulando, pertanto, che le modalità di attuazione della responsabilità patrimoniale del primo restino orientate dalla par condicio creditorum. Se la funzione della procedura de qua è quella consustanziale a tutte le procedure concorsuali, ossia il massimo soddisfacimento dei creditori, la relativa stella polare si mantiene ferma e solida, per una volta, nell’evocato principio cardine.
La procedura di liquidazione è, allo stato, a base eminentemente volontaria, ascrivendosi la legittimazione a richiederne l'apertura al solo debitore. Proprio l’intenzionalità dell’avvio del procedimento che nella l. 3 del 2012 la caratterizza, l’ha fatta nel contempo strutturalmente divergere da quell’archetipo di processo tendenzialmente “obbligato” che è il fallimento, entro il quale ciononostante tende – quando non vive di regole autonome – sin d’ora inesorabilmente ad iscriversi.
La volontarietà attuale non è che un riflesso del piano teleologico su cui posa la liquidazione, che si sorregge, infatti, sull’incentivo dell'esdebitazione del debitore meritevole, impegnato ad inseguire il c.d. fresh start e con esso la sua nuova occasione (art. 14-terdecies). Proprio lo svincolo dai debiti, che in capo al sovraindebitato dovessero residuare all’esito della procedura, è il lineamento funzionale distintivo della liquidazione; è novità di estremo rilievo che si riassume in un meccanismo di governo prima e di cancellazione controllata poi, in sede giudiziale, dei debiti insoluti del soggetto non fallibile[15].
Nel "Codice della crisi e dell’insolvenza" la procedura di che trattasi, oltre che al livello della nomenclatura – assumendo ora il titolo di "liquidazione controllata" – viene investita da alcuni cambiamenti di una certa pregnanza, il più originale dei quali si compendia nell’attribuzione a terzi, oltre che al debitore, della legittimazione a proporre l’istanza di accesso alla procedura: i creditori sono legittimati ad assumere l’iniziativa ogni qualvolta constino procedure esecutive individuali pendenti; il pubblico ministero è abilitato a farlo sempre e comunque, ove l’insolvenza investa un imprenditore (art. 268).
Vi è nella valorizzazione senza distinguo del ruolo del pubblico ministero uno sforzo di parificazione fra il trattamento della crisi debitoria personale e quello della crisi d’impresa: non solo in quest’ultimo caso, ma anche nel primo, viene meno l’esclusività a decidere delle sorti dei propri beni.
Quanto all’oggetto della liquidazione, il profilo sanzionatorio che la procedura può assumere, ove aperta a seguito di conversione[16], è in linea con l’indefettibile cooptazione nel compendio da monetizzare di qualsiasi valore pignorabile, tanto presente, quanto sopravveniente nel quadriennio successivo all’apertura del procedimento. Quest’ultimo fa, infatti, fulcro sulla prevista apprensione pure dei beni che il debitore dovesse conseguire nei quattro anni posteriori al disposto avvio formale del procedimento[17], il che coerentemente si lega alla durata quadriennale minima normativamente scandita[18].
La procedura liquidatoria, dunque, non si risolve in una mera cessio bonorum, configurandosi, piuttosto, alla stregua di dismissione dell'intero "patrimonio" del debitore, comprensivo ontologicamente di tutti i suoi beni attuali, con i loro accessori, le relative pertinenze nonchè i frutti (art. 14 novies, comma 2, l. n. 3 del 2012). È proprio in questa sua visione preminente che la soluzione liquidatoria può assurgere a pietra di paragone per la valutazione di convenienza di quelli che attualmente si chiamano piano del consumatore e accordo di composizione della crisi e che presto si interpelleranno ristrutturazione dei debiti del consumatore e concordato minore[19].
4. La disamina dei presupposti soggettivi
Il "Codice" è ben più esplicito della l. 3 del 2012, posto che, laddove quest’ultima delinea la propria applicabilità con riassuntivo riguardo a tutte le "situazioni di sovraindebitamento non soggette né assoggettabili" ad altre procedure concorsuali, il "Codice", già all’art. 2, destina in dettaglio le procedure da sovraindebitamento a favore “del consumatore”, “del professionista”, “dell’imprenditore minore”, dell’“imprenditore agricolo”, delle “start-up innovative” di cui alla l. n. 179 del 2012, salvo conservare il riferimento di mera chiusura a “ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale”.
Il disposto normativo ci trasmette alcune significative evidenze.
Da un primo punto di vista, viene in risalto come l’istituto liquidatorio, al pari degli altri due che lo precedono, continui a avvolgere un'area soggettivamente eterogenea, che spazia dal consumatore al piccolo esercente commerciale, dall'imprenditore agricolo al professionista intellettuale, dalla persona fisica caduta in disgrazia, a società, associazioni e fondazioni di dimensioni circoscritte.
Da un secondo, interconnesso punto di vista, risulta chiara il principio di “residualità” delle procedure di sovraindebitamento, le quali, compresa quella di liquidazione, resteranno volutamente rimesse a chiunque non sia suscettibile di rientrare, per sua natura o struttura, entro l’alveo applicativo delle altre procedure concorsuali.
Da un terzo punto di vista, si precisa l’esclusione dalla cerchia dei legittimati al sovraindebitamento degli enti di diritto pubblico, aspetto che nel sistema vigente è rimasto in certo senso perplesso[20].
Da un quarto punto di vista, in linea con la previsione della legge delega[21], viene in rilievo una scelta di esenzione dalle procedure maggiori del piccolo imprenditore commerciale, configurandosi tale quello che situato al di sotto di un’immutata soglia dimensionale[22]. Il "Codice" indulge all’art. 2, n. 4 in una definizione positiva dell’impresa sotto-soglia, qualificata “impresa minore”, adottando gli stessi limiti di attivo patrimoniale, ricavi lordi e debiti previste nella attuale legge fallimentare [23]. Dunque, le procedure di affronto del sovraindebitamento appaiono accessibili, oltre che a soggetti che non sono imprenditori, a quelli che, essendolo, esercitano una impresa di dimensioni ridotte, palesandosi alla stregua di "piccoli imprenditori" nel senso chiarito.
Merita osservare che, in funzione della verifica del superamento della soglia di esclusione da parte della piccola ditta individuale, quanto ai debiti, sembrano doversi ricomprendere nel calcolo anche quelli contratti per scopi estranei all’attività imprenditoriale: la giurisprudenza di legittimità ben fa risaltare che, ai fini della sussistenza del presupposto dell'insolvenza, l'ordinamento italiano non distingue tra i debiti di un imprenditore individuale, in ragione della natura civile o commerciale di essi, in quanto non consente limitazioni della garanzia patrimoniale in ragione della causa sottesa alle obbligazioni contratte, tutte ugualmente rilevanti sotto il profilo dell'esposizione del debitore al fallimento; solo l'alterità soggettiva (ad esempio, in caso di impresa gestita tramite una società di capitale unipersonale) introduce un criterio diverso di imputazione dei rapporti obbligatori, in base al principio dell'autonomia patrimoniale perfetta[24].
In ogni caso, necessita considerare che il superamento delle soglie di esclusione costituisce nel "Codice" motivo di inammissibilità rilevabile già in sede di apertura del procedimento ex artt. 75, 83 e 275, nonché di trasmissione degli atti in procura ai fini di un’eventuale impulso d’avviso della liquidazione giudiziale per insolvenza (art. 42, lett. b).
Parecchio muta, sul piano generale, in punto di rapporti fra le procedure da sovraindebitamento. Mentre rebus sic stantibus, i consumatori sono legittimati all’accesso a tutte e tre le discipline del sovraindebitamento, nella prospettiva del "Codice" essi godranno di un’opzione limitata al piano e alla liquidazione, poiché verrà loro precluso il concordato minore (art. 79 c. 1). Al contrario, i soggetti diversi dai consumatori, che scampano ex lege dalla liquidazione giudiziale,potranno percorrere la via del concordato minore e della liquidazione controllata, dovendo per converso fare a meno del piano (art. 72, comma 1).
Quanto ai margini soggettivi del sovraindebitamento liquidatorio, è significativo che non si sia ritenuto di archiviare lo scorporo tralaticio dal novero delle attività produttive fallibili dell’impresa agricola, la quale, ove insolvente o in crisi, seguita ad essere destinata ad una regolazione ad hoc – quella dei soggetti sovraindebitati appunto – ben distinta dall’aggregato di regole riservato ai soggetti di grandezza omolga che esercitino altra attività[25].
Da un ulteriore angolo di visuale, il "Codice" ha ribadito la definizione di consumatore come della "persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta" (art. 2, lett. e). Si è mutuata nel terreno concorsuale la nozione propria del codice del consumo[26], sicchè la qualità di consumatore non rappresenta un attributo soggettivo aprioristico e preconcetto, ma è “conferita” di volta in volta sulla base dello scopo consumeristico del singolo debito contratto, sul quale, pertanto, presuppone un’indagine[27].
L’aggancio della nozione al profilo teleologico del rapporto obbligatorio fa residuare una nebulosa sorte dei debiti “misti”, ossia delle obbligazioni che, parzialmente orientate ai bisogni della persona o della famiglia del sovraindebitato, per la restante porzione siano riconducibili all’attività imprenditoriale o professionale di chi le contrae. Già attualmente, l’art. 6 della l. n. 3 del 2012 non sembrerebbe negare al debitore, per quanto sia stato soggetto attivo sul mercato, di venire in considerazione quale consumatore, quindi di “spacchettare” la propria esposizione passiva, nella prospettiva di ristrutturare il solo debito personale, cioè quello assunto "esclusivamente per scopi estranei" alla professione o all’impresa[28].
Il "Codice" non contiene puntualizzazioni neppure con riferimento alla posizione del fideiussore, il che determinerà la prosecuzione del confronto da sempre in atto. E difatti, secondo un solido orientamento giurisprudenziale, "la qualità del debitore principale attrae quella del fideiussore ai fini della individuazione del soggetto che deve rivestire la qualità di consumatore"[29]. La natura accessoria del debito comporta la riferibilità alla garanzia personale della medesima causa dell’esposizione passiva garantita. A derivarne è lo smarcamento automatico dell’obbligazione accessoria dal titolo consumeristico, con parallela assunzione di quella professionale-imprenditoriale, in ossequio alla c.d. teoria del "professionista di rimbalzo"[30]. Eppure, nel contesto unionale[31] e in quello interno[32], sembra contornarsi una crescente esigenza di approccio diretto, scevro da automatismi, all'obbligazione di garanzia, ai fini della ponderazione degli elementi di fatto idonei a illustrare la sussistenza effettiva di collegamenti funzionali tra garanzia prestata e debito. In tal senso, a seconda dei casi dovrebbe esser dato spicco o meno all’accessorietà, a seconda che nella fattispecie concreta si rintracci una dinamica di sostegno personale del debito stesso oppure si registri una comunanza della garanzia rispetto agli interessi imprenditoriali che sostiene.
4.1. Il sovraindebitamento del socio in estensione
Nell’orizzonte corto, ma ancora attuale, della l. n. 3 del 2012, in senso contrario alla diffusione degli effetti del sovraindebitamento dell’ente al socio illimitatamente responsabile parrebbero militare, da un lato, l’assenza di una norma ad hoc, dall’altro, la difficoltà di chiamare in causa sul punto, “in supplenza”, il paradigma fallimentare: difatti a campeggiare è la natura, univocamente considerata eccezionale e di stretta interpretazione, della disciplina del fallimento in estensione di cui all’art. 147 l.fall., che fa perno sull’applicazione della procedura a prescindere dal riscontro dei suoi presupposti oggettivo e soggettivo.
Allo stato, pertanto, è alquanto stretto il varco per l’assoggettamento del socio a liquidazione da sovraindebitamento, in virtù di ripercussione de plano della liquidazione del patrimonio della società. Né, com’è ovvio, il liquidatore della procedura sociale può dirsi facoltizzato ad apprendere pure i beni personali dei soci.
Il "Codice" si profilerà opportunamente risolutivo sul punto, atteso che ai sensi del quarto comma dell’art. 65, rubricato “Ambito di applicazione delle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento”, col quale esordirà la Sezione Prima dedicata alle “Disposizioni di carattere generale” in materia, sarà letteralmente previsto che “la procedura produce i suoi effetti anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili”.
L’opzione legislativa prossiva ventura è, dunque, nel senso della diffusione sul socio degli effetti della procedura che coinvolge la società. Il che vuol dire che la decozione accertata in capo all’ente comporterà l'attuazione coattiva della responsabilità patrimoniale del socio, nel mentre la propagazione del discharge nei confronti di quest’ultimo implicherà la fruizione da parte sua degli effetti liberatori connessi alla procedura, in uno con la società.
All’esito dell’opera di consolidazione normativa consustanziale al "Codice", che assurgerà a corpus organico nella materia del diritto oggettivamente concorsuale, le procedure maggiori, nei limiti della compatibilità, suggeriranno la traccia normativa di riferimento per le procedure di composizione del sovraindebitamento, ogni qualvolta si tratterà di saturare omissioni di disciplina.
La norma sull’esdebitazione dei soci illimitatamente responsabili dell’ente ammesso alla liquidazione controllata è riproduttiva del congegno remissorio che l’attuale art. 184, comma 2, l. fall. contempla, in ambito di concordato preventivo, per tale categoria di soci. La norma delinea una limitazione affine di responsabilità in favore del singolo, del quale pone il patrimonio personale al riparo dalle azioni esecutive dei creditori. Pertanto, la procedura da sovraindebitamento libera i soci illimitatamente responsabili con riferimento ai debiti sociali, mentre i creditori particolari conservano impregiudicati i propri diritti, tanto da poter aggredire esecutivamente i beni dei soci, chiedendo l’integrale pagamento delle proprie spettanze, a prescindere dal fatto che costoro siano integralmente esposti a livello patrimoniale con riferimento alle obbligazioni di una società.
4.2. L’accesso del socio in proprio
Il tema della posizione del socio illimitatamente responsabile nel contesto del sovraindebitamento intercetta un'altra area rilevante: di fianco a quella attinente alla regolazione degli effetti di estensione della procedura di sovraindebitamento della società al socio, si colloca quella specularmente riguardante l’ammissibilità dell'accesso in proprio del socio ad autonoma procedura.
Lo scenario dell'insolvenza personale del soggetto illimitatamente responsabile si apre a due possibili criteri ricostruttivi. In un primo severo approccio, la non assoggettabilità a procedure concorsuali diverse si innalza a requisito marcatamente ostativo. L’art. 6 della l. n. 3 del 2012 circoscrive l’accesso agli istituti del sovraindebitamento alle situazioni che “non sono soggette né assoggettabili a procedure concorsuali” e tanto basterebbe a interdire a qualunque debitore, consumatore e non, di accedere ad una qualsiasi delle procedure di sovraindebitamento in pendenza del rapporto societario e fino all’anno successivo alla pubblicizzazione della cessazione della sua responsabilità illimitata[33]. Ciò a prescindere dall’essere la società partecipata in bonis o meno, atteso che a rilevare è l’assoggettabilità astratta al fallimento, non l’attualità concreta dell’assoggettamento. Se a tenore dell’art. 6 ora evocato l'intera disciplina sul sovraindebitamento è apparecchiata per rimediare alle situazioni finanziarie squilibrate o dissestate non sottoponibili ad altre procedure concorsuali, e se a mente dell’art. 7, lett. a, della legge in parola, ai fini dell'ammissibilità della singola procedura, il giudice deve riscontrare che il debitore non sia "soggetto a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dal presente capo", al socio dovrebbe dirsi preclusa la possibilità di percorrere in autonomia soluzioni delle crisi da proprio sovraindebitamento. Egli un assoggettamento a procedura concorsuale lo sconta di già, in estensione, ai sensi dell’art. 147 l.fall.
Eppure, in una lettura differente, è possibile attribuire a chi, come il socio illimitatamente responsabile, è esposto a subire il fallimento soltanto per ripercussione, un’opportunità di riassetto concorsuale motu proprio del debito, attraverso una procedura volontaria ed esdebitatoria[34]. Osservazione, questa, che ha un suo pregio pragmatico, sebbene non possa tacersi che il socio che fallisce personalmente non è del tutto deprivato di strumenti tesi a comporre l’esposizione passiva conclamata, potendosi egli avvantaggiare perlomeno del ricorso al concordato fallimentare della società, provando, se del caso, persino ad accedervi in proprio[35]. Né può trascurarsi che detto soggetto è interessato dall’eventualità della riapertura del fallimento societario, non solo per risoluzione o annullamento del concordato fallimentare anzidetto, ma anche ai sensi dell’art. 121 l.fall. Deve, infine, considerarsi che il socio illimitatamente responsabile un rimedio esdebitatorio lo possiederebbe pure fuori dallo steccato del sovraindebitamento, potendo certamente servirsi del beneficio di cui all’art. 142 l.fall.
La normativa concorsuale applicabile alla società parrebbe perciò coerentemente esaurire l’aspetto della concorsualizzazione del debito complessivo anche in relazione a ciascuno dei suoi soci illimitatamente esposti[36]. La tenuta del sistema sembra, pertanto, escludere che una procedura concorsuale individuale possa, simultaneamente e in parallelo, essere applicata al socio già trascinato nel sistema della regolazione dell’insolvenza o della crisi della società.
Residua verosimilmente una scopertura del sistema esdebitatorio su un solo caso eclatante, forse pure il più frequente: quello in cui il socio ha debiti propri solo in quanto ha sottoscritto fideiussioni in favore della società neanche in ambito fallimentare. Analogamente a quanto previsto in tema di concordato dagli artt. 135, comma primo, e 184, comma primo, l.fall., l’art. 142, comma quarto, l.fall., prevede che “sono salvi i diritti vantati dai creditori nei confronti di coobbligati, dei fideiussori del debitore e degli obbligati in via di regresso”. All’indirizzo dei suddetti soggetti, l’esdebitazione dell’ente non produce alcun effetto liberatorio[37]. La norma in esame non si collega soltanto al carattere autonomo della coobbligazione o della prestazione di garanzia, ma è anche espressione della volontà del legislatore di non consentire ai coobligati e ai fideiussori di beneficiare degli effetti liberatori della esdebitazione, atteso che detti soggetti sono prossimi al debitore insolvente e con esso condividono la massa delle informazioni sulla dinamica evolutiva del debito e del dissesto.
Un’ulteriore contingenza di specie potrebbe aversi nel caso di società solvibile con socio sovraindebitato sul piano personale. Pure in tale ipotesi il sistema adombra una sottile iniquità, sul piano del principio costituzionale di eguaglianza sostanziale.
Eppure, ad oggi non consta addentellato normativo che consenta di confinare l’impraticabilità contemporanea di sistemazioni del debito da parte del socio alle sole situazioni di assoggettabilità concreta a procedura concorsuale in estensione, per attualità dello stato di insolvenza o crisi dell’ente. L’assoggettabilità fa da limite in astratto, non rivelandosi elementi tesi a implicarne una verifica di sussistenza in concreto.
È in astratto che la natura universale delle procedure concorsuali si mostra inconciliabile con la sovrapposizione di altre pretese creditorie sul medesimo patrimonio – quello del socio appunto – oggettivamente attingibile. Pertanto, il socio che voglia adoperare pro domo sua una procedura di sovraindebitamento dovrebbe prima curarsi di sciogliere quel rapporto sociale. Anzi, proprio in una fattispecie del genere – in cui il soggetto ambisce ad affrontare il proprio dissesto – sembrerebbe ricorrere una giusta causa di recesso, in linea con la previsione dell’art. 2285 c.c.[38].
Il "Codice"non prende posizione esplicita su questi profili, lasciando più o meno intatta la coltre dei dubbi. La formula dell’art. 6 non viene rieditata dal "Codice", secondo il quale, viceversa, il consumatore è, ai sensi dell’art. 2, lett. 2), “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta, anche se socio di una delle società appartenenti ad uno dei tipoi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile, per i debiti estranei a quelli sociali”. Il socio può, in definitiva, comporre il proprio sovraindebitamento, qualora lo stesso riguardi esclusivamente passività estranee a quelle sociali. In tal guisa, la riforma sembra permettere al socio di società in nome collettivo, all’accomandatario di società in accomandita semplice e per azioni e all’accomandante ingeritosi nell’amministrazione ex art. 2320 c.c., di accostarsi liberamente alle diverse procedure di sovraindebitamento, purché non consti in capo ai creditori sociali un pregiudizio consistente nella destinazione del patrimonio del socio al soddisfacimento dei soli creditori personali a detrimento dei primi.
Un profilo assai problematico attiene, peraltro, ai casi in cui, una volta aperta una liquidazione del patrimonio (ma la stessa cosa potrebbe dirsi per l’omologa di un piano di ristrutturazione o di un concordato minore), dovessero prendere di mira il patrimonio del socio sovraindebitatosi per conto proprio, anche i creditori sociali. Può accadere, segnatamente, o che il creditore della società aggredisca il patrimonio personale dopo aver infruttuosamente escusso quello sociale, ex artt. 2304 e 2318 c.c., oppure che la sopravvenuta dichiarazione di liquidazione giudiziale della società si estenda ai soci ex art. 261 del "Codice" (corrispondente all’attuale art. 147 l.fall.). Con riguardo a questa seconda ipotesi, la legge prossima ventura non si pronuncia sulla prevalenza del procedimento di composizione da sovraindebitamento ovvero della liquidazione giudiziale. Pur tuttavia, è scarsamente plausibile che, in caso di liquidazione giudiziale per estensione del socio già sovraindebitato a titolo personale, possano coesistere sull’unico suo patrimonio due procedure con altrettante masse attive e passive distinte. Ne deriva che la procedura di sovraindebitamento precedentemente aperta debba inevitabilmente comprimersi a vantaggio della liquidazione giudiziale sopravvenuta, che è la procedura maggiore, quindi quella strutturalmente vocata al governo unitario dell’indebitamento sociale e di quello personale del socio[39].
Con riferimento, invece, al caso in cui le pretese di singoli creditori sociali dovessero indirizzarsi sul patrimonio del socio, è ben ipotizzabile che tali iniziative siano accolte e gestite all’interno della procedura di sovraindebitamento, alla stregua di domande tardive di crediti nella liquidazione controllata[40]. Ciò ancorchè faccia a tutt’oggi difetto una disciplina delle domande tardive all’interno di quest’ultima, ma mancando, d’altronde, nel suo contesto, una indicazione di perentorietà del termine, non superiore a sessanta giorni, concesso ai creditori per la formulazione delle domande di ammissione al passivo (art. 270, lett. d).
4.3. Il sovraindebitamento "familiare"
Un’importante novità del "Codice" è rappresentata dalla possibilità, risconosciuta ai “membri di una stessa famiglia”, di presentare “un unico progetto di risoluzione della crisi da sovraindebitamento”, e cioè di fare accesso all’applicazione di un’unica procedura, quale che sia (art. 66).
Si tratta di un mutamento che riprende, dal punto di vista dell’impostazione complessiva, quella relativa alla possibilità, nel quadro della liquidazione giudiziale e del concordato di gruppo, dell’apertura di un’unico procedimento a fronte di situazioni di crisi riferibili a soggetti di diritto diversi.
Nell’un caso e nell’altro il "Codice" precisa che le masse attive e passive devono comunque rimanere distinte.
Già nel quadro normativo oggi in vigore, un ufficio di merito ha ritenuto l’ammissibilità del ricorso per la liquidazione del patrimonio proposto congiuntamente di due coniugi in relazione ad un indebitamento comune, derivante da un mutuo fondiario, a garanzia del quale erano stati offerti beni nella contitolarità dei due soggetti finanziati, in regime di comunione legale[41]. È apparso congruo permettere ai coniugi di affrontare unitariamente lo squilibrio finanziario correlato alla vita in comune, mostrandosi irragionevole pretendere che ciascuno fronteggiasse su binari paralleli un identico dissesto.
La pronuncia in commento si pone nel solco di un filone di arresti giurisprudenziali, attributivi ai familiari della possibilità di esperire un solo ricorso per accedere ad uno degli istituti del sovraindebitamento[42], sulla premessa per cui la soluzione della crisi non può essere assicurata dal ricorso di un solo coniuge – magari all’insaputa o nell’inerzia dell’altro – soprattutto qualora il ceto creditorio sia composto da titolari di pretese riguardanti entrambi i componenti della famiglia.
È utile accedere ad una lettura estensiva della nozione di "debitore", idonea a ricomprendervi congiuntamente i componenti della famiglia sovraindebitati. Peraltro, la l. n. 3 del 2012, senza impedire il ricorso congiunto, interpone soltanto il limite della garanzia patrimoniale generica, che evidentemente deve essere rispettato nel pagamento dei creditori, per evitare che quote del patrimonio di uno dei ricorrenti vengano destinate al pagamento dei debiti dell’altro, con evidente lesione dell’art. 2740 c.c.
È in quest’ottica che il tribunale ha aperto una sola procedura di liquidazione del patrimonio su ricorso dei due coniugi in regime di comunione legale dei beni, i quali hanno offerto il proprio patrimonio costituito da beni immobili e dalla quota pignorabile di un quinto del proprio reddito[43].
L’Ufficio ha giudicato che le ragioni dell’indebitamento, da ricercarsi nella perdita del lavoro di uno dei coniugi e nella malattia dell’altro, trovassero una radice comune, tanto da necessitare di una regolazione unitaria, evitando immotivatamente di disperdere risorse processuali in due ricorsi, quindi scongiurando la deficienza di coordinamento tra due singole procedure concomitanti, che avrebbe finito per pregiudicare i creditori, che avrebbero visto “spacchettati e porzionati i debiti”.
In buona sostanza, anticipando il disposto dell’art. 70 del "Codice", la pronuncia ha aperto una sola procedura di liquidazione, nominato un unico liquidatore e attribuito ai creditori cessionari del quinto le porzioni di retribuzioni oggetto di garanzia per il limite del triennio e solo ove opponibili perché munite di data certa[44].
Mette in conto osservare che, in casi del genere, il liquidatore nominato, al fine di escludere la confusione delle masse deve sempre procedere alla redazione di due separati stati passivi e di due distinti programmi di liquidazione a norma dell’art. 14-novies l. n. 3 del 2012.
5. L’esame del presupposto oggettivo
Per quanto, sia la Raccomandazione della Commissione UE n. 135 del 12 marzo 2014, sia la proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio in materia di procedure di ristrutturazione e di insolvenza diffusa il 22 novembre 2016, insistano su congegni giuridici di second chance, latita, a livello comunitario, una definizione di sovraindebitamento, dal che è discesa a cascata una molteplicità di definizioni negli ordinamenti dei singoli paesi.
Il nostro legislatore, giunto in coda agli altri, ha preferito calare nella l. n. 3 del 2012, una nozione sovrabbondante, scorgendo il sovraindebitamento nella "situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, ovvero la definitiva incapacità del debitore di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni" (art. 6, comma 2, lett. a). Il risultato tangibile è un concetto piuttosto attorto, che si regge sull’impiego simultaneo delle nozioni di sbilancio patrimoniale, di difficoltà ad adempiere e di insolvenza.
In linea con l’indicazione dell’art. 2, lett. c, della l. n. 155 del 2017, in punto di requisiti oggettivi correlati alle procedure concorsuali di che trattasi, il "Codice" ha provvidenzialmente accantonato l’enunciazione ad hoc del sovraindebitamento: quest’ultimo è uno “stato di crisi o di insolvenza” tout court. Si è scelto, dunque, un profittevole rimando alle nozioni uniformanti di insolvenza e di crisi[45], reputate, a ragione, sufficienti a sigillare la porta di ingresso agli istituti, senza superflue diversioni concettuali[46].
È proprio l’imperante depressione che ha impestato l’economia del mondo negli ultimi dieci anni, a dettare l’impellenza di una nozione omnicomprensiva e non frammentata dei fenomeni, essendo sia la crisi che l’insolvenza eventi suscettibili di emergere e riprodursi a ciascun livello della realtà economica, secondo un’immutabile essenza, che non viene scalfita, né dalla diversità delle dimensioni, né dalla varietà degli strumenti.
Le criticità connesse all'accertamento della condizione oggettiva di crisi e di insolvenza in relazione al sovraindebitato non possono essere colmate dallo zelo didascalico, in quanto si annidano su un dato che è fattuale e non giuridico, attenendo alla mancanza di quella documentazione contabile obbligatoria che nel caso di un imprenditore sopra soglia rende più immediata ed agevole la verifica.
E pertanto, le nozioni di crisi e insolvenza bastano a leggere le condizioni di partenza del debitore che si affaccia sull’uscio della concorsualizzazione del debito, a prescindere dalla sua statura formale ed organizzativa[47]; soprattutto, esse sono idonee a far afferrare l’esigenza per cui, finanche in riferimento al semplice consumatore sovraindebitato, l’oggetto di osservazione non deve esser fatto riduttivamente corrispondere con il patrimonio stimato nella sua composizione statica e in somma algebrica, occorrendo, piuttosto, una valutazione in chiave prognostica delle risorse del soggetto, che metta a rubrica gli eventi personali e familiari condizionanti la sua redditività.
Il riferimento alla crisi, ossia alla "probabilità di futura insolvenza", ha una valenza chiarificatoria propizia, consentendo al debitore il ricorso alla disciplina del sovraindebitamento prima che la sua esposizione passiva si sia smisuratamente aggravata, il che è in pienamente sintonia con la Raccomandazione della Commissione UE n. 135 del 12 marzo 2014[48].
Indubitabile, comunque, che la procedura liquidatoria aiuti a fare fronte alle situazioni di vera e propria insolvenza, posto che il debitore che vi accede non ipotizza la salvaguardia della continuità della propria impresa, né un risanamento delle proprie finanze, aspirando, piuttosto, a dominare il dissesto, ad esdebitarsi, a riemergere, quindi a ripartire.
6. L’apertura della procedura su domanda del debitore
Nella l. n. 3 del 2012 la via elettiva per l’apertura della liquidazione del patrimonio è quella che corre sulla domanda presentata dal debitore, ai sensi dell'art. 14-ter, comma 1, e che giunge al decreto di cui all’art. 14-quinquies. Trattasi di istanza riservata al sovraindebitato che, non assoggettabile a procedure concorsuali diverse da quelle contemplate nella normativa anzidetta, non si mostri recidivo, in quanto non abbia fatto ricorso agli strumenti di affronto del sovraindebitamento nel precedente quinquennio (art. 14-ter, comma 1). La legittimazione scolpita dalla disciplina vigente in capo al sovraindebitato è, dunque, esclusiva: egli può scegliere di concedersi ad un’esecuzione collettiva – in luogo delle tante individuali cui presterebbe ineluttabilmente il fianco -- nella più desiderabile prospettiva di conquistarsi l'esdebitazione di cui all’art. 14-terdecies.
La domanda, che va depositata nel tribunale del luogo di residenza o della sede principale del debitore, assume a corredo i documenti di cui all’art. 9, commi 2 e 3 (per richiamo dell’art. 14-ter, comma 2) nonché l'inventario di tutti i beni del debitore, con specifiche indicazioni sul possesso di ciascuno degli immobili e dei mobili; infine, in allegato alla domanda verrà fornita una relazione particolareggiata dell'OCC, volta a far emergere la "meritevolezza" del debitore, profilo che, pur non condizionando – per quanto a breve si dirà – l'ammissione alla procedura, rileverà ai fini dell’epilogo cruciale rappresentato dall’esdebitazione cui anela il debitore.
Quanto all'avvio della procedura, resta dubbio se il procedimento abbisogni dell'assistenza tecnica di un difensore. Stando ad una certa impostazione, la presenza di un legale provvisto di uno specifico mandato non sarebbe imprescindibile, allorché nell'OCC che coadiuva il debitore dovesse figurare un avvocato preposto ad occuparsi degli aspetti tecnici della domanda[49]. In verità, su un piano più complesso, per quanto la facoltatività si intoni meglio alla struttura sommaria e semplificata che permea la procedura, il carattere contenzioso di quest’ultima quell’assistenza parrebbe pretenderla. La proposta altro non è se non una domanda giudiziale[50], che indossa la forma del ricorso e che introduce una procedura concorsuale, diretta a definire una crisi finanziaria e, dunque, a comporre interessi contrapposti. La procedura si svolge, inoltre, davanti ad un tribunale, individuato sulla base di criteri tecnici di competenza, ed è articolata su fasi fisiologicamente inclini a divenire contenziose, in virtù di pronunce di inammissibilità, decisioni di merito, contestazioni, reclami[51]. Non va tralasciato che il rimando alle forme del rito camerale s’accorda all’applicazione dei principi generali ritratti negli artt. 82 e 83 c.p.c., in forza dei quali vige l'obbligo di difesa e di rappresentanza tecnica in tale tipologia di procedimento.
All’inammissibilità della procedura porteranno, sia l'esistenza di atti in frode ai creditori (art. 14-quinquies, comma 1), sia l'incompletezza e l'inattendibilità della documentazione di supporto, ove la stessa renda impossibile una compiuta ricostruzione della situazione economica e patrimoniale del debitore (art. 14-ter, comma 5).
Effetto sporgente collegato alla domanda di accesso alla liquidazione del patrimonio è la sospensione, ai soli effetti del concorso, del corso degli interessi, tanto legali quanto convenzionali, sui crediti diversi da quelli muniti di cause legittime di prelazione (art. 14-ter, comma 7)[52].
Qualora ricorrano i presupposti, soggettivo ed oggettivo, per l'ammissione alla procedura, la completezza dei documenti depositati e l'assenza di atti in frode ai creditori perpetrati negli ultimi cinque anni, il giudice dichiara, con decreto, aperta la procedura di liquidazione del patrimonio del debitore (art. 14-quinquies); in caso contrario, sempre con decreto, respinge l'istanza.
Il requisito di meritevolezza non si presta a verifiche ab imis quando il procedimento viene inaugurato, essendone differito il vaglio alla fase dell’esdebitazione.
Si guardi al caso, sufficientemente frequente, dei ricorsi per l'ammissione alla procedura di liquidazione del patrimonio ex art. 14-ter, presentati da parte di soci o degli amministratori di s.r.l. a compagine familiare, solitamente fallite in esito a tentativi abortiti di concordato; dette persone asseriscono che la loro situazione individuale di sovraindebitamento si collega fondamentale alle garanzie personali prestate in favore dell’ente. Il più delle volte ci si trova al cospetto di soggetti che hanno prestato fideiussioni a sostegno della compagine familiare per importi di gran lunga sproporzionati rispetto alla propria capacità reddituale. Costoro sono, dunque, ben consapevoli della situazione patrimoniale del debitore principale, rilasciando, anzi, le garanzie quando quest’ultimo è già pressochè decotto, quindi indebitandosi colpevolmente, a propria volta, nel disperato e vano tentativo di salvarne le sorti.
Non sembra congruo, con tutto ciò, considerare il giudizio di meritevolezza una valutazione da compiersi già prima (ed ai fini) dell'apertura della procedura di liquidazione. Per quanto il colpevole indebitamento precluda l'esdebitazione, vero baricentro della procedura liquidatoria, e per quanto l’art. 14-ter, comma 3, pretenda fin dall’inizio contenuti che evocano il piano della meritevolezza del debitore, quest’ultima rimane all’esterno del cerchio valutativo su cui poggia l’ammissione.
Il comma 1, dell’art. 14-quinquies sembra icasticamente escludere un vaglio esteso alla colpevolezza del debitore nella causazione del dissesto, incaricandosi, infatti, di menzionare i soli requisiti di cui all’art. 14-ter, il quale sembra presupporre l’esercizio di un semplice controllo di completezza documentale. In particolare, il comma 3, di quest’ultima norma prevede l’allegazione alla domanda di una relazione particolareggiata dell'OCC, contenente: a) l'indicazione delle cause dell'indebitamento e della diligenza impiegata dal debitore nell'assunzione volontaria delle obbligazioni; b) l'esposizione delle ragioni dell'incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte; c) il resoconto sulla solvibilità del debitore negli ultimi cinque anni; d) l'indicazione delle eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dai creditori; e) il giudizio sulla completezza e attendibilità della documentazione depositata a corredo della domanda. Nonostante la griglia di contenuti della relazione faccia cenno della “diligenza impiegata dal debitore” nella contrazione del debito, il successivo comma 5 sanziona d'inammissibilità la domanda di liquidazione soltanto in ipotesi in cui la documentazione prodotta non consenta di ricostruire compiutamente la situazione economica e patrimoniale del debitore, non anche laddove faccia difetto l’adombrata meritevolezza del sovraindebitato, profilo che rimane, pertanto, in disparte rispetto al nucleo del vaglio giudiziale.
A sua volta, il primo comma dell’art. 13-quinquies indica, in funzione dell’apertura, l’incombenza di una verifica sull’insussistenza di atti di frode.
Da questo coordinato normativo si desume che i profili di cui alle lettere a), b) e c) dell'art. 14-ter fuoriescono dall’oggetto dell’analisi giudiziale in fase di ammissione, in quanto funzionali unicamente alla successiva eventuale fase dell'esdebitazione. Di primo acchito l’ufficio appurerà se la documentazione è completa e attendibile e se i creditori non abbiano impugnato atti del debitore, sentendosene frodati.
Al subprocedimento che sfocia nell'apertura della liquidazione sono applicabili, in quanto compatibili, le disposizioni sui procedimenti in camera di consiglio (artt. 737 ss. c.p.c.).
Il decreto del giudice monocratico è reclamabile dinanzi al tribunale collegiale, nella cui composizione non può essere ricompreso il giudice che abbia emesso il decreto (art. 14-quinquies, comma 1, che rinvia all'art. 10, comma 6).
Il debitore che abbia chiesto e ottenuto l'apertura del procedimento di liquidazione dei suoi beni, ai sensi degli artt. 14-ter e ss. l. n. 3 del 2012, non può rinunciare alla domanda proposta. Dopo il decreto che dà inizio alla procedura, avendo la stessa carattere concorsuale e pubblicistico, il debitore perde la possibilità di rinunciarvi[53]. Non è accordata al debitore ammesso la rinuncia, così come non è acconsentita la derelictio del fallimento successivamente all'emissione della sentenza che lo ha dichiarato. Il debitore potrebbe essersi, peraltro, avvalso dell'effetto protettivo.
Su questa architettura di base, incide sensibilmente il "Codice", il quale – come s’è accennato infra (§ 3) – punta sulla soppressione dell’esclusiva del debitore a dare spinta al procedimento de quo e sulla coeva attribuzione al creditore e, in caso di debitore-imprenditore, anche al pubblico ministero del potere di iniziativa per l’avvio della liquidazione (art. 268).
L’obiettivo nobile dell’allargamento della classe dei “legittimati attivi” della liquidazione è quello di sfumare le conseguenze della crisi sul tavolo dei rapporti giuridici che coinvolgono il debitore. Dette ripercussioni, se nel caso dell’impresa piccola e non fallibile rivelano sovente una portata dilaniante sugli assetti precari di un mercato ridotto, nel caso del consumatore hanno un’incidenza esterna blanda e poco allarmante, il che spiega molto peggio il riconoscimento a terzi di un potere così radicale come quello or ora segnalato.
Né possono sottacersi, al di là degli aspetti di convenienza della scelta, le sue possibili frizioni su un piano di costituzionalità, nella misura in cui, assegnare a terzi la “carta” d’avvio della liquidazione, implica la messa a regime della possibilità dell’ablazione coattiva "in prevenzione" del patrimonio del debitore, quand’anche neppure motivata da una condizione di insolvenza, ma, se del caso, soltanto supportata da una mera situazione di crisi. Ne viene fuori un assorbimento pressochè assoluto della procedura di liquidazione controllata nel modello proprio del fallimento, il cui riverbero è – sol che vi sia un’esposizione debitoria non trascurabile – la scissione, per mano altrui, fra il diritto di proprietà e il suo attributo prominente, dato dalla legittimazione a disporne in via esclusiva[54].
7. Il contenuto della domanda: le ipotesi controverse
Quantunque sia proprietario di un solo bene, il debitore è nella facoltà di proporre la liquidazione del suo patrimonio, guadagnando la sospensione dell’esecuzione forzata che lo attinge, ancorchè nell’ambito di questa sia già stata disposta la vendita. La procedura di liquidazione è ammissibile finanche in questo caso, sia perchè ontologicamente l’unico cespite compone di per sé stesso un patrimonio, sia perchè il debitore beneficia di un lasso temporale di quattro anni, entro il quale può ragionevolmente procacciarsi altre utilità, che in automativo verrebbero acquisite dalla procedura.
De iure condendo sarebbe forse confacente una modifica normativa che scartasse la sospensione della procedura in ipotesi di vendita già disposta, così da rendere più precoci le riflessioni, quindi le determinazioni, del debitore. In effetti, la domanda di liquidazione è spesso l’estremo, sconfortato tentativo di salvare la casa di abitazione, tanto da prendere su di sé un tratto congenito solo dilatorio. Eppure il tenore testuale dell´art. 14-quinquies, comma 2, lettera b), legge 3/2012[55] non consente oggi discrezionalità: l’esecuzione individuale deve cedere il passo a quella collettiva, quindi dev’essere bloccata. Quando la documentazione è sufficiente, la procedura va aperta, con l’appendice necessaria della sospensione, cui va accompagnato l’ordine al debitore – sempre che il liquidatore non decida per il subentro senza indugio nella procedura in atto – di consegnare senza attesa l'immobile a costui, così da contingentare i tempi dell’alienazione coattiva nella nuova sede concorsuale. Se il liquidatore non ritiene di tenere ferma l’esecuzione già avviata e di servirsene per monetizzare il bene, va messo in grado di espletare subito una vendita competitiva autonoma.
L’opzione più plausibile è indubbiamente quella dell’organo concorsuale che rimpiazza il creditore procedente nel giudizio espropriativo già in corso, allo scopo di assicurarne il l’utile svolgimento e di conseguirne il ricavato a vantaggio dei creditori concorsuali. Ciò salvo il caso in cui dovesse constare, fuori da quel giudizio, quindi annessa alla domanda di liquidazione del patrimonio, un’offerta cauzionata e irrevocabile d’acquisto del bene, per un prezzo superiore a quello assunto a base d’asta nel tentativo di vendita coattiva in itinere.
La soluzione che disinnesca i sovraindebitamenti tattici, confacenti al progetto ultimo di lucrare una sospensione tardiva di un’esecuzione inesorabile, si rinviene nell´art. 14-novies, che permette al liquidatore di prendere il posto del creditore procedente nelle esecuzioni pendenti alla data di apertura della liquidazione; questa norma deprime gli spazi di utilizzo minuto e strategico delle liquidazioni in funzione del differimento delle vendite, anziché dell’esdebitazione. È senz’altro vero che il subentro presuppone di regola un inventario e un programma di liquidazione già esitati, ma nulla esclude che il liquidatore, sulla base di una adeguata ponderazione, possa inserirsi subitaneamente nell’esecuzione, impedendone l’improcedibilità. In definitiva, se la procedura esecutiva è ad uno stadio avanzato, la liquidazione può prendere di fatto avvio dal riparto per esaurirsi sostanzialmente in esso. Né può dirsi impeditiva della continuazione del giudizio esecutivo intrapreso in anticipo la sussistenza di un accordo fra il debitore e il liquidatore, prevedente un compenso inferiore rispetto a quello che spetterebbe al delegato per la fase di vendita in sede endoesecutiva. Nessun accorso può sacrificare la valutazione di convenienza cui è preposto il liquidatore, che non deve ispirarsi al raccorciamento attuale della spesa, ma all’efficienza del procedimento e alla massimizzazione del suo risultato, inverantesi nel ricavato finale.
Altra questione contigua è quella in cui il soggetto che si prefigge di liquidare il proprio patrimonio non tenga altro che il proprio reddito da lavoro.
Parrebbe poco convincente un approccio tanto inclusivo al concetto di liquidazione, da comprendervi ciò che liquido per definizione lo è già; la retribuzione da lavoro non va liquidata, ma semplicemente spesa e nei limiti del possibile ripartita. Disagevole è, perciò, superare l’esordio testuale dell’art. 14-ter, che permette al debitore di accedere alla procedura in commento solo chiedendo “la liquidazione di tutti i suoi beni”. Ancora più arduo giustificare la nomina e la presenza di un liquidatore, che vedrebbe risolversi i propri compiti nella distribuzione di somme.
Nel caso dei redditi vi è che gli stessi nascono già liquidi, né nella nozione di beni può farsi rientrare il reddito, che bene in senso proprio non lo è affatto.
Ed allora più ragionevole immaginare che il nullatenente, percettore di salario o di stipendio, componga i propri debiti passando per la procedura del piano del consumatore o di quello che, nel work in progress della riforma, si chiamerà ristrutturazione dei debiti.
Un’ultima questione di fondo fa capolino, pressochè assiduamente, nelle procedure di liquidazione dei beni (ma lo stesso vale ovviamente nei piani del consumatore). È quella del debitore che esige di ricomprendere in ciò che offre ai creditori concorsuali il proprio credito da retribuzione, benchè lo abbia già ceduto, per lo più ad una finanziaria.
In antitesi a tale ambizione, il creditore-cessionario reclama l’estraneità del credito al trattamento concorsuale, sul presupposto della precedente notifica al ceduto, che rileva proprio sul piano dell’opponibilità della cessione ai terzi.
Un’espressione della medesima questione è quella in cui il quinto dello stipendio sia stato attinto da pignoramento. È il caso, ormai quasi classico, nel quale la messa a disposizione di utilità, da parte del debitore, comprenda la retribuzione da lavoro e la stessa sia stata addirittura vincolata nei limiti anzidetti.
In ambedue le ipotesi esposte, si realizza una modificazione soggettiva dell’assegnatario della somma attraverso una cessione pro solvendo di una parte del credito[56].
In rapporto alla cessione “preventiva” si tratta di comprendere se essa sia davvero opponibile alla procedura di liquidazione del patrimonio; con riferimento all’assegnazione endoesecutiva al terzo occorre, del pari, scrutare se il terzo goda del beneficio della stabilità degli atti di cui all’art 187-bis disp. att. c.p.c.
Il contrasto fra il debitore si ponga nella carreggiata della procedura da sovraindebitamento e il creditore cessionario del quinto è stato risolto quasi sempre a vantaggio del primo, ma sulla base di ragioni diversificate[57].
Andando con ordine, merita considerare che, nel contesto del fallimento, la problematica innescata dall’esecuzione intrapresa sulla porzione dello stipendio, anteriormente alla declaratoria fallimentare, viene approcciato, dalla sedimentata giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo una prospettiva di ritenuta inefficacia, ex art. 44 l.fall., di ciascun pagamento eseguito dopo il fallimento, per quanto adempitivo di un’ordinanza di assegnazione del credito avvenuta prima dell’accertamento formale dell’insolvenza[58].
Non si può negare che, sul piano dogmatico, il problema soffra due complicazioni: nel sovraindebitamento manca una norma ad hoc come l’art. 44 l.fall.; la procedura esecutiva si chiude con l'assegnazione, avvenuta la quale non v’è alcunchè da sospendere o da dichiarare nullo o improcedibile[59].
L’affinità fra sovraindebitamento liquidatorio e fallimento e la forza sistemica di quest’ultimo, quale plesso normativo di riferimento per tutto il diritto oggettivamente concorsuale, consiglia di ritenere applicabili, purchè compatibili, per tutto cià che non sia espressamente disciplinato, i principi validi per la procedura fallimentare. Perciò, sembra venire in rilievo l’avviso rettilineo della giurisprudenza di legittimità, in ragione del quale, pure in ipotesi di pronuncia di ordinanza di assegnazione di somma in un pignoramento presso terzi ex art. 553 c.p.c. anteriore alla dichiarazione di fallimento del debitore, l’organo concorsuale incaricato della liquidazione, ossia il curatore, può far valere l’inefficacia, ai sensi dellart. 44 l.fall., dei pagamenti effettuati dal terzo pignorato al creditore procedente in epoca successiva alla dichiarazione del fallimento del debitore esecutato.
Sebbene, allora, i pagamenti già effettuati dal debitore al terzo, in conseguenza del provvedimento di assegnazione del giudice dell’esecuzione, restino intangibili, non potendosi applicare analogicamente le norme sulla revocatoria fallimentare ex artt. 67 e ss. l.fall., istituto proprio del fallimento, discorso diverso dovrebbe valere per i pagamenti posteriori al decreto di apertura, in quanto, ove persistentemente consentiti, si risolverebbero in preferenziali e confliggenti con il principio della "par condicio", ribadito nell'art. 14 quinquies lett. b) in particolare.
Ci muoviamo in ambiente concorsuale, non nel corpo del diritto civile classico. La liquidazione del patrimonio è procedura che apre il concorso formale e sostanziale, sicchè, per quanto possibile, essa impone l’applicazione dei principi enucleati nel fallimento a salvaguardia della par condicio.
L’assegnazione da parte del giudice dell’esecuzione ha sicuramente effetto definitivo, al pari della cessione di un credito. Però, nella specie, il dato sensibile è quello per cui si tratta dell’assegnazione – ma lo stesso vale per l’ipotesi della cessione – di una parte di reddito che maturerà soltanto nelle mensilità future.
In questa cornice, è noto che il pignoramento del bene non può che confluire nel pignoramento generale coincidente con l’apertura della liquidazione, la quale “funziona” al modo della dichiarazione di fallimento[60]. Il provvedimento che dà avvio alla procedura da sovraindebitamento è analogo negli effetti a quest’ultima, in quanto precipuamente capace di creare un vincolo di destinazione sul patrimonio segregato, opponibile a tutti i terzi.
L'effetto di cristallizzazione che deriva dall'apertura delle procedure in parola è così intenso da tradursi nella sospensione del corso degli interessi sui crediti chirografari; nel contesto di riferimento, è, altresì, incisivamente prescritto il divieto di azioni esecutive sui beni del debitore, sia da parte dei creditori anteriori (concorsuali), sia da parte dei creditori successivi all'apertura del concorso, giacchè scaturisce un vincolo di destinazione del patrimonio, ormai incentrato sulle preponderanti esigenze concorsuali.
È il portato della
fisionomia concorsuale della liquidazione del patrimonio: il credito residuo
del pignorante, per tutti i ratei di quinto non ancora versati, si espone
senz'altro alla falcidia. Vero è che, su un piano nozionistico, la procedura
espropriativa conclusasi prima della dichiarazione di insolvenza non possa
essere sbaragliata da un provvedimento che a posteriori la accerta, ma gli
effetti in corso all'atto dell'apertura del
concorso non possono che proseguire nel rispetto della par condicio[61].
La giustificazione della lettura che i giudici di legittimità svolgono dell’art. 44 l.fall. sembra erigersi su un dato senz’altro mutuabile nell’area del sovraindebitamento, anche al netto del rimando, pure perorato, alla legge fallimentare come normativa irradiante i principi cardine di tutto l’ordinamento concorsuale. Si allude al nucleo dispositivo raccolto nell’art. 553 c.p.c., in forza del quale l’assegnazione è pronunciata “salvo esazione”: ciò vuol dire che l’assegnazione non può condurre all’immediata estinzione del debito dell’insolvente, poichè, procrastinando l’effetto satisfattivo alla riscossione del credito, lo fa coincidere con un successivo pagamento, il quale, in quanto eseguito dopo la dichiarazione di fallimento del debitore, sconta la sanzione dell’inefficacia. L’art. 2928 c.c., dal canto suo, prevede che “se oggetto dell’assegnazione è un credito, il diritto dell'assegnatario verso il debitore che ha subito l'espropriazione non si estingue che con la riscossione del credito assegnato”.
Lo stesso è a dirsi per il cessionario del quinto, il quale, a fronte dell’apertura della liquidazione, non beneficia di un effetto definitivo, come nella cessione del credito tout court, ma soltanto di una modalità di riscossione, che richiede successivi pagamenti periodici e che diviene incompatibile con la procedura concorsuale, e con la par condicio, avuto riguardo ciò che residua alla data di apertura del concorso.
Infatti, proprio dalla concorsualità della procedura consegue inevitabilmente il principio per cui i crediti debbano intendersi interamente scaduti al momento dell’apertura del concorso dei creditori, con l’effetto che la prosecuzione di un mutuo o di un finanziamento erogato dietro cessione del quinto dello stipendio, sarebbe inammissibile risolvendosi in una lesione della richiamata par condicio[62]. Valgono i vincoli imposti o volontariamente assunti dal debitore fino a quando costui non patisce l’effetto straordinario e disarcionante del sovraindebitamento, che, in virtù della richiamata universalità, travolge tutte le obbligazioni precedenti piegandole all’unica procedura con cui viene dato ordine ai pagamenti sulle basi nuove della parità di trattamento e della graduazione delle cause di prelazione.
In altre parole, la cessione o l’assegnazione del quinto dello stipendio operano il trasferimento di un credito futuro, che esplica un’efficacia eminentemente obbligatoria, secondo l’avviso proprio della giurisprudenza di legittimità[63]. Finchè il credito non diviene esigibile, cessione e assegnazione concretizzano una semplice garanzia della restituzione dell’importo dovuto. Prima della maturazione del diritto alla retribuzione, la titolarità della somma rimane in capo al dipendente, che ne può dunque disporre nella procedura concorsuale intrapresa. Se quest’ultima impatta in senso sospensivo su quelle esecutive, il medesimo effetto di blocco non può che aversi sulla quota di cessioni e di assegnazioni che non sia stata anteriormente al fallimento ancora riscossa[64].
In una pronuncia di merito, si è ritenuto che la cessione dei crediti di lavoro, ancorchè idonea a generare un effetto obbligatorio e non immediatamente traslativo che si produrrà solo nel momento in cui il credito verrà ad esistenza, sia assimilabile alle cessioni di fitti, condividendo con questa categoria la caratteristica della periodicità e probabilità della venuta ad esistenza, perché nascenti da un unico rapporto base (come quello di lavoro) che li distingue da quelli eventuali di natura aleatoria; conseguentemente il decreto che ammette il debitore alla procedura di sovraindebitamento è equiparato al pignoramento, sicchè l’analogia tra la cessione del credito di lavoro e quella del fitto consente di applicare anche alla prima fattispecie l’art 2918 c.c., che limita a non più di un triennio la prevalenza sul pignoramento di una cessione notificata al debitore ceduto, di modo che il creditore cessionario potrà sottrarre le risorse acquisite alla disponibilità del debitore ai fini della ristrutturazione del debito per un termine massimo di tre anni dall’omologa del piano[65].
In verità, la pronuncia di legittimità che sorregge il ragionamento del giudice brianzolo riguardava un conflitto tra cessione e pignoramento del singolo, laddove la natura concorsuale della procedura di sovraindebitamento sembra dotarsi di effetti più travolgenti sul patrimonio del debitore e sui vincoli che lo riguardano rispetto a quelli ricavabili dal pignoramento individuale.
8. L’apertura della procedura per conversione
Già nella normativa attuale, all'apertura della procedura di liquidazione del patrimonio del debitore si può pervenire in virtù della conversione di una procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento andata a male (art. 14-quater). Il congegno è quello che traduce in liquidazione l’accordo o il piano del consumatore naufragati e che segna l’avvicendamento, senza soluzione di continuità e con salvezza degli atti già compiuti e degli effetti già prodotti, della procedura liquidatoria a quella primigenia: di quest’ultima la prima rappresenta una naturale prosecuzione[66].
Il transito verso la liquidazione è essenzialmente tripartito: 1) in primo luogo, esso si compie per cessazione di diritto degli effetti (che la legge qualifica come revoca) dell'accordo in ragione di inadempimenti nei confronti delle amministrazioni pubbliche e degli enti previdenziali e assistenziali obbligatori, oppure a cagione del compimento, in costanza di procedura, di atti in frode ai creditori (art. 11, comma 5); 2) in secondo luogo, esso segue l’eventurale annullamento dell'accordo, ex art. 14, comma 1; 3) in terzo luogo, esso presuppone l’avvenuta risoluzione dell'accordo in rimedio, ex art. 14, comma 2.
Le fattispecie enucleate sono le stesse che permettono, allo stato, la conversione in liquidazione del piano del consumatore: quindi, una volta di più, la cessazione di diritto degli effetti (art. 14-bis, comma 1, che richiama l'art. 11, comma 5), l'annullamento (art. 14-bis, comma 2, lett. a), la risoluzione del piano (art. 14-bis, comma 2, lett. b).
Nel quadro del “concordato minore”, introdotto dal "Codice", una norma ad hoc, l’art. 83, efficacemente rispondente ad un proposito di semplificazione, si incaricherà di disciplinare la "Conversione in procedura liquidatoria", la quale verrà in rilievo “in caso di revoca o risoluzione” dello strumento anzidetto, “su istanza del debitore”; qualora, peraltro, la revoca o la risoluzione conseguano “ad atti di frode o ad inadempimento”, l’istanza di conversione sarà proponibile anche da parte dei creditori o del pubblico ministero. In ciascuno dei due casi, il giudice concederà termine al debitore per l’integrazione della documentazione e provvederà ai sensi dell’art. 270, ossia disporrà con sentenza l’apertura della liquidazione alla medesima stregua di quanto accade nelle ipotesi di apertura ab origine volontaria del procedimento.
Nel contesto del nuovo istituto della "Ristrutturazione dei debiti del consumatore", che gemmerà dall’attuale piano del consumatore, compare una norma omologa a quella appena segnalata: l’art. 73, del pari rubricato "Conversione in procedura liquidatoria", si cura, infatti, di descrivere le correlate fattispecie, che, nella rammentato disegno di semplificazione, ricorreranno nel “caso di revoca dell’omologazione”, qualora consti un’istanza di conversione del debitore, e in ipotesi di “revoca” della ristrutturazione, conseguente “ad atti di frode o ad inadempimento”, stavolta pure dietro istanza dei creditori o del pubblico ministero, oltre che, more solito, del debitore.
A ben guardare, l'accesso alla procedura per il tramite dell'istituto della conversione continuerà a presupporre la cessazione dello strumento selezionato di primo acchito, determinata da cause in certo senso imputabili al debitore, in tal guisa seguitando ad imprimere alla procedura “di seconda istanza” un marchio sanzionatorio.
9. Gli organi della liquidazione
La liquidazione del patrimonio si articola sulla compresenza di tre componenti essenziali, cui corrispondono altrettante funzioni.
Un ruolo di direzione e di controllo è attribuito al giudice che apre la procedura. Due gli aspetti notevoli: non vi è sdoppiamento alcuno fra tribunale fallimentare e giudice delegato; a quest’ultimo non sono riconosciute competenze esterne alla procedura, non operando, segnatamente, una vis attractiva concursus sul modello dell'art. 24 l.fall..
Le prerogative del giudice, allo stato, si esprimono, innanzitutto, nella nomina del liquidatore (art. 14-quinquies, comma 2, lett. a). Fa difetto una norma specifica in punto di potere di revoca e sostituzione del soggetto nominato, ma trattasi di prerogativa desumibile dal sistema, in quanto fa da specchio a quella di designazione, quindi è esercitabile per giusta causa e con decreto motivato.
Certamente il giudice non è depositario del potere di impartire ordini e prescrizioni al liquidatore, men che meno di sostituirsi al medesimo nell’esercizio delle sue attribuzioni.
Non è, peraltro, previsto nemmeno un controllo generalizzato sull’attività dell’organo tecnico da parte del magistrato. L’opportunità del controllo è declinato soltanto con riferimento alle operazioni di liquidazione in senso stretto (art. 14-novies, comma 2 e 3); viceversa, non è replicata la regola sulla generale reclamabilità degli atti del curatore tratteggiata dall’art. 36 l.fall..
Il giudice si occupa, poi, della formazione definitiva dello stato passivo, solo ove si registrino contestazioni al progetto predisposto dal liquidatore, che quest’ultimo non ritenga fondate e assorbibili (art. 14-octies, comma 4).
Organo tecnico della procedura è il mentovato liquidatore: designato con il decreto di apertura, egli deve già attualmente possedere i medesimi requisiti richiesti dalla legge per ricoprire il ruolo di curatore fallimentare (art. 14-quinquies, comma 2, lett. a)).
Il liquidatore è, peraltro, nominato con il decreto solo "ove non sia stato nominato ai sensi dell'art. 13, comma 1", fattispecie che coincide con l’ipotesi in cui la designazione sia avvenuta nel quadro di una procedura di composizione della crisi successivamente convertita, ex art. 14-quater, in liquidazione del patrimonio.
La unipersonalità dell’incarico, in uno alla mancanza di una disposizione testuale in tal senso, sembrerebbe escludere la possibilità della nomina di due o più liquidatori in luogo di uno soltanto. Malgrado nel fallimento la prassi di nominare più curatori risulti attuata, finanche con l’attribuzione di compiti distinti e poteri disgiunti, in quell’ambito essa comprensibilmente si spiega e si correla alle apprezzabili dimensioni dell’impresa e alla conseguente complessità della procedura. Questi ultimi sembrano aspetti che poco si attagliano alle situazioni economico-patrimoniali addensate e rimpicciolite dei sovraindebitamenti, nel cui ambito un organo plurale corre il rischio di intaccare la personalità delle funzioni, di generare distonie di gestione e incrementi di costi, di assicurare una fluidità della procedura, minore rispetto a quella che la centralizzazione dei compiti su un unico soggetto sarebbe in grado di assicurare.
È comunque da dire che, in sede d’apertura, il giudice, ex art. 14-quinquies, comma 2, può stabilire che le funzioni del liquidatore siano esercitate dall'organismo di composizione della crisi (art. 15, comma 8).
Non è stabilito nulla in punto di possibili cause di cessazione dall'ufficio di liquidatore; esse consistono, tuttavia, nella morte, nelle dimissioni accolte dal giudice e nella revoca da parte di quest’ultimo.
Il liquidatore si cura, innanzitutto, dell'amministrazione del patrimonio del debitore (art. 14-novies, comma 2), in essa accludendosi, non soltanto le attività volte alla monetizzazione dei beni e quelle ad esse funzionali, ma tutte quelle che attengono alla conservazione, gestione, ricostruzione del patrimonio e alla distribuzione di quanto, dismettendolo, se ne ricavi.
Così, competono al liquidatore: la vendita dei beni che compongono il patrimonio di liquidazione e la cessione e l'incasso dei crediti del debitore (art. 14-novies, comma 2); l'esercizio di ogni azione prevista dalla legge, finalizzata a conseguire la disponibilità dei beni compresi nel patrimonio da liquidare e comunque correlata con lo svolgimento dell'attività di amministrazione, nonché l'esercizio delle azioni orientate al recupero dei crediti compresi nella liquidazione (art. 14-decies), senza necessità di ottenere la preventiva autorizzazione da parte del giudice; l'esecuzione del decreto di apertura con il quale si ordina la consegna o il rilascio dei beni facenti parte del patrimonio di liquidazione, in un quadro di “spossessamento” (art. 14-quinquies, comma 2, lett. e); la redazione dell'inventario (art. 14-sexies); l'elaborazione del programma di liquidazione (art. 14-novies, comma 3); la ripartizione dell'attivo tra gli aventi diritto, che, per quanto non sia detto espressamente, costituisce l’epilogo immanente al procedimento intrapreso.
Gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione sono suscettibili di essere liberamente compiuti dal liquidatore che non sconta, a norma di legge, specifici condizionamenti o connesse restrizioni; non gli occorre, pertanto, supporto autorizzatorio del giudice.
La legge non disciplina neppure i rimedi contro gli atti posti in essere dal liquidatore, quand’anche in ipotesi questi ultimi dovessero rientrare nell’alveo della straordinaria amministrazione. Tuttavia, il modello camerale cui è informata anche la procedura di liquidazione del patrimonio, sembra rendere adoperabile, da parte dei soggetti interessati, allo scopo di sollecitare un controllo sugli atti, il mezzo impugnatorio di cui all’art. 739 c.p.c.: i provvedimenti del giudice del sovraindebitamento sono, dunque, reclamabili.
Il liquidatore assolve anche ad una inconsueta funzione giurisdizionale, nella misura in cui è demandato ad accertare i crediti da soddisfare all'interno della procedura.
Infine, tutti i compiti lato sensu organizzativi della procedura è a detto organo che fanno senz’altro capo.
In particolare, egli deve procedere, su ordine del giudice, alla trascrizione del decreto di apertura sui registri dei beni immobili e dei mobili registrati eventualmente compresi nel patrimonio di liquidazione (art. 14-quinquies, comma 2, lett. d); deve verificare l'esattezza dell'elenco dei creditori e l'attendibilità della documentazione ex art. 9, commi 2 e 3 (art. 14-sexies); deve comunicare l'avviso ai creditori ai fini della presentazione della domanda di ammissione al passivo (art. 14-sexies).
La responsabilità del liquidatore verso la procedura assume natura squisitamente contrattuale, sussistendo con questa un rapporto di imprinting negoziale nascente dall’atto di nomina.
Sul piano del target di diligenza richiesto, il liquidatore attenderà all’esercizio dei suoi compiti, non secondo il canone medio e inappagante del “buon padre di famiglia”, ma sulla base del parametro specialistico suggerito dalla natura dell'incarico, che non a caso postula il possesso di requisiti professionali stringenti per ricoprire l'ufficio.
Ovviamente, oltre che nei confronti della procedura, l’organo in parola risponde, secondo i principi generali, anche nei diretti riguardi del debitore, dei creditori o di terzi, per i danni eventualmente ad essi cagionati nell'esercizio delle sue funzioni, su di un livello extracontrattuale.
Non è allo stato previsto un obbligo di rendiconto del liquidatore; esso è, peraltro, imposto in re ipsa, pur nel silenzio della legge, dalla circostanza dello svolgimento di una attività di amministrazione della massa attiva concorsuale. In tal senso, il riferimento corre all’art. 116 l.fall., perlomeno ai fini dell’individuazione del momento nel quale adempiere all’obbligo.
La l. n. 3 del 2012 tace anche in ordine al compenso del liquidatore. L’art. 15, comma 9, invero, attiene a quello da riconoscere al professionista (o alla società tra professionisti) o al notaio – nominati dal presidente del tribunale o dal giudice da lui delegato –, nell'ipotesi in cui questi ultimi siano chiamati a svolgere le funzioni ed i compiti che nella procedura di liquidazione sono ordinariamente assegnati all'OCC, commisurandolo a quello del curatore, ridotto del quaranta per cento. Il criterio menzionato, dunque, è di diretta applicazione ai fini del computo del compenso del liquidatore nel solo caso in cui il giudice, nel decreto di apertura, abbia affidato le funzioni di liquidatore, non all'OCC, ma ad un professionista esterno[67].
L’ultima componente a venire in rilievo è l'OCC. Deve trattarsi di uno di quegli organismi suscettibili di essere costituiti, ai sensi dell’art. 15, con adeguate garanzie di indipendenza e professionalità, da enti pubblici, tenuti ad iscriversi in uno speciale registro tenuto presso il Ministero della giustizia e che non debbono gravare in alcun modo sulla finanza pubblica[68].
L'intervento degli organismi, la cui nomina – in difetto di una norma espressa che la attribuisca al giudice – spetta senz’altro al debitore, è indefettibile, essendo precluso l’accesso alla liquidazione in mancanza della loro assistenza.
L’organismo esercita, innanzitutto, eventuali funzioni di liquidatore, qualora con il decreto di apertura ex art. 14-quinquies, comma 2, il giudice gliele assegni (art. 15, comma 8). In tal caso, ove l'organismo non eserciti collegialmente le funzioni in discorso, esso provvederà a designare al proprio interno – in applicazione analogica dell'art. 28, comma 1, lett. b) l. fall. – il componente responsabile della procedura.
Al netto di queste funzioni contingenti, l’organismo si limita alla stesura della relazione che il debitore deve depositare con il ricorso per l'accesso alla procedura.
Ai sensi dell'art. 14-ter, comma 3, la relazione – della cui richiesta da parte del debitore l'organismo di composizione della crisi deve, entro tre giorni, informare l'agente di riscossione e gli uffici fiscali competenti (comma 4) – deve contenere: "a) l'indicazione delle cause dell'indebitamento e della diligenza impiegata dal debitore persona fisica nell'assumere volontariamente le obbligazioni; b) l'esposizione delle ragioni dell'incapacità del debitore persona fisica di adempiere le obbligazioni assunte; c) il resoconto sulla solvibilità del debitore persona fisica negli ultimi cinque anni; d) l'indicazione della eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dai creditori; e) il giudizio sulla completezza e attendibilità della documentazione depositata a corredo della domanda".
Ciò detto, il "Codice" seguita a scommettere sul ruolo degli OCC, subito definiti dalla “norma bussola” dell’art. 2, come “organismi di composizione delle crisi da sovraindebitamento disciplinati dal decreto del Ministro della giustizia del 24 settembre 2014, n. 202, e successive modificazioni, che svolgono i compiti di composizione assistita della crisi da sovraindebitamento previsti dal presente codice”.
Ormai formati sull'intero territorio nazionale, ai sensi del d.m. anzidetto, tali enti sono apparsi anche al riformatore una soluzione soddisfacente e ragionevole rispetto all’alternativa percorribile, data dalla moltiplicazione diversificante delle figure professionali necessarie alla gestione dei sovraindebitamenti. Ciò, benchè essi sommino compiti eterogenei e piuttosto disparati, che attengono all’ausilio alla predisposizione del piano – quasi alla stregua di advisors legali e finanziari del debitore –, investono la verifica dei dati che vi confluiscono, culminano nell’attestazione di veridicità e fattibilità dei dati[69], proseguono con la cura degli adempimenti pubblicitari, includono la raccolta dei voti dei creditori, comprendono la stesura di relazioni sulla meritevolezza del debitore, interagiscono con l’autorità giudiziaria sul fronte della vigilanza sull’esecuzione dei piani.
L’art. 269 del "Codice" prevede che “il ricorso può essere presentato personalmente dal debitore, con l’assistenza dell’OCC” e prosegue, al secondo comma, disponendo che “al ricorso deve essere allegata una relazione, redatta dall’OCC, che esponga una valutazione sulla completezza e l’attendibilità della documentazione depositata a corredo della domanda e che illustri la situazione economica, patrimoniale e finanziaria del debitore”. Con ogni evidenza, la relazione che verrà sembra non dover essere più “particolareggiata” come lo è adesso, posto che l’organismo potrà limitarsi alla sola valutazione sulla completezza ed attendibilità della documentazione presentata, nonché ad illustrare la situazione economica, patrimoniale e finanziaria del debitore.
Di sicura sporgenza, in un’ottica di discosure immediata del dissesto e di salvaguardia della “ragion fiscale”, è la disposizione inserita nel "Codice" all’art. 269, comma 3, in forza della quale “L'OCC, entro tre giorni dal conferimento dell’incarico da parte del debitore, ne dà notizia all'agente della riscossione e agli uffici fiscali, anche degli enti locali, competenti sulla base dell'ultimo domicilio fiscale dell'istante”.
Agli organismi in commento, il "Codice" serba anche una menzione nell’art. 6, che si cura, in senso chiarificatorio, di disciplinare la "Prededucibilità dei crediti": quand’anche quelli relativi a spese e compensi per le prestazioni rese dagli organismi in questione non siano prededucibili per espressa qualificazione di legge, essi saranno ritenuti tali in forza della norma in parola.
10. L’apertura della liquidazione e i suoi effetti per il debitore
Al pari delle altre procedure concorsuali, la liquidazione del patrimonio produce effetti giuridici sotto quattro diversi versanti: all’indirizzo del debitore, nei confronti dei creditori, in rapporto agli atti pregiudizievoli per questi ultimi, in relazione ai contratti pendenti.
Per quanto concerne il primo ventaglio di effetti, è noto che già attualmente l'apertura della procedura comporta il necessario “spossessamento” del debitore, il quale viene privato, per la durata della stessa, del potere di amministrazione e di disposizione del patrimonio liquidabile, potere che viene attribuito al liquidatore.
Ancorché la titolarità dei beni rimanga, pertanto, in capo al sovraindebitato fino alla realizzazione della vendita in favore del terzo, l'art. 14-quinquies, comma 3, espressamente statuisce che il decreto di apertura della liquidazione "deve intendersi equiparato all'atto di pignoramento", implicando, in tal senso, il passaggio dalla tutela individuale a quella collettiva del credito, caratteristica delle procedure concorsuali[70].
Lo “spossessamento” comprende il patrimonio liquidabile del debitore, con l’esclusione dei beni annoverati nell'art. 14-ter, comma 6, norma sostanzialmente ripropositiva del disposto dell’art. 46 l.fall.[71] e il cui contenuto è pressochè pedissequamente riportato nell’art. 268, comma 3, del "Codice"[72].
In forza dell'art. 14-undecies "I beni sopravvenuti nei quattro anni successivi al deposito della domanda di liquidazione di cui all'art. 14-ter costituiscono oggetto della stessa, dedotte le passività incontrate per l'acquisto e la conservazione dei beni medesimi. Ai fini di cui al periodo precedente il debitore integra l'inventario di cui all'art. 14-ter, comma 3". In buona sostanza, i beni che all’apertura del procedimento si appalesano futuri, ma che entrano nel patrimonio del debitore nei quattro anni susseguenti al decreto ex art. 14-ter, sono attratti nell’orbita della massa attiva.
Con il decreto in parola, può essere autorizzato l’utilizzo, da parte del debitore, di alcuni dei cespiti ablati, tra cui la casa di abitazione: a tal fine è necessario che ricorrano gravi e specifiche ragioni (art. 14-quinquies, comma 2, lett. e). Sebbene il legislatore ancori la valutazione del magistrato agli stringenti parametri della gravità e della specificità, essa non sembra molto distante dalla valutazione che il giudice dell’esecuzione compie ex art. 560 c.p.c., comma 3, allorquando autorizza il debitore a dimorare nell’immobile pignorato: il bene può essere lasciato nella disponibilità di costui, affinchè benefici di un lasso temporale minimo per procurarsi un posto diverso dove alloggiare.
Non fa difetto, peraltro, in quanto desumibile dalla formulazione ad ampio spettro della norma, un nocciolo di novità, che sembra collegarsi ad un’opportunità di protezione, non solo dell’esigenza socialmente rilevante a trovarsi un tetto nuovo, ma anche dell’esercizio dell’impresa e della professione in atto: si intende dire che il giudice può permettere l’uso di beni da parte del sovraindebitato anche ogni qualvolta si rivelino essere strumenti coessenziali a dette attività. Nell’un caso come nell’altro l’impiego consentito di beni non deve impattare pregiudizievolmente sul corso celere e redditizio della liquidazione: ecco il profilo implicito della ponderazione giudiziale. Autorizzare a processo in corso la permanenza dell’uso non significa escludere virtualmente i beni dalla massa attiva né rallentarne la dismissione, ma semplicemente soprassedere sulla sottrazione del godimento, finché non si sia realizzata l’obiettivo del processo medesimo, ossia la vendita endoconcorsuale.
Niente è previsto nella l. n. 3 del 2012 avuto riguardo agli atti a contenuto patrimoniale ed ai pagamenti eventualmente eseguiti dal debitore posteriormente l'ammissione alla procedura. Il passaggio che il decreto d’apertura scandisce, dalla tutela individuale del credito a quella rigorosamente collettiva, suggerisce di ritenere già allo stato tali atti relativamente inefficaci rispetto alla massa, ai sensi della norma “chiave” di cui all’art. 44 l.fall..
Inefficaci, d’altro canto, dovranno ritenersi i pagamenti eventualmente ricevuti dal debitore in costanza di procedura e le formalità trascritte dopo l'apertura di questa al fine di rendere opponibili gli atti ai terzi, venendo in rilievo il riferimento normativo generale dell’art. 45 l. fall..
Per effetto dello “spossessamento” il debitore perde la legittimazione processuale nelle controversie a carattere patrimoniale, relative a beni e rapporti compresi nel patrimonio liquidabile. Essa viene espressamente attribuita al liquidatore ex art. 14-decies. La legittimazione passiva di detto organo tecnico non è menzionata dalla legge, ma è ricavabile dai principi generali di governo delle procedure collettive.
Sul fronte degli effetti di tipo personale, è d’uopo rilevare che la legge non fa derivare dall'apertura della procedura alcuna incapacità in testa al debitore; l’eccezionalità delle norme sullo status di fallito ne escludono l’importazione a carico del sovraindebitato.
Del pari, inapplicabili tout court nei confronti di quest’ultimo si palesano le norme, ex artt. 216 e s. l.fall., che disciplinano i reati fallimentari.
L’art. 270 del "Codice", rubricato “Apertura della liquidazione controllata”, ricompone almeno in parte il mosaico degli effetti, disponendo al primo comma che il tribunale, “in assenza di domande di accesso alle procedure di cui al titolo IV e verificati i presupposti di cui agli articoli 268 e 269”, dichiara aperta la liquidazione controllata, mediante sentenza, in luogo del decreto di cui alla l. n. 3 del 2012. La norma prosegue, descrivendo un contenuto provvedimentale, solo in parte ripropositivo di quello che attualmente connota, ai sensi dell’art. 14-quinquies,il decreto della legge vigente. Con la sentenza il tribunale nomina il giudice delegato; nomina il liquidatore, confermando l’OCC di cui all’articolo 269 o, per giustificati motivi, scegliendolo nell’elenco dei gestori della crisi di cui al decreto del Ministro della giustizia 24 settembre 2014, n. 202[73]; ordina al debitore il deposito entro sette giorni dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, nonché dell’elenco dei creditori; assegna ai terzi che vantano diritti sui beni del debitore e ai creditori risultanti dall’elenco depositato un termine non superiore a sessanta giorni entro il quale, a pena di inammissibilità, devono trasmettere al liquidatore, a mezzo posta elettronica certificata, la domanda di restituzione, di rivendicazione o di ammissione al passivo, predisposta ai sensi dell’articolo 201; si applica l’articolo 10, comma 3; ordina la consegna o il rilascio dei beni facenti parte del patrimonio di liquidazione, salvo che non ritenga, in presenza di gravi e specifiche ragioni, di autorizzare il debitore o il terzo a utilizzare alcuni di essi[74]; dispone – a fini perspicuamente informativi erga omnes – l’inserimento della sentenza nel sito internet del tribunale o del Ministero della Giustizia e, nel caso in cui il debitore svolga attività d'impresa, pure la pubblicazione nel registro delle imprese; ordina, quando vi sono beni immobili o beni mobili registrati, la trascrizione della sentenza presso gli uffici competenti[75]. È l’ultimo comma della norma a richiamare, infine, con la riserva di compatibilità “le disposizioni sul procedimento unitario di cui al titolo III”, che, pertanto, occuperanno gli spazi bianchi della disciplina.
10.1. Gli effetti per i creditori
L’universalità e la generalità che ne connotano il senso, certamente implicano che la procedura di liquidazione produca effetti verso tutti i creditori anteriori al decreto di apertura. Pertanto, l'ammissione ad essa dischiude il concorso sostanziale dei creditori sul patrimonio del debitore. Al riguardo, l'art. 14-quinquies, comma 2, lett. b), statuisce oggi che il giudice, con il decreto d’apertura, "dispone che, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni cautelari o esecutive né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio oggetto di liquidazione da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore".
La norma contiene un eccentrico riferimento ad un provvedimento di omologazione che nel procedimento in parola non esiste affatto, sicché quella regola deve leggersi e intendersi come se dicesse "dal momento dell'apertura della procedura"; essa impedisce ai creditori concorrenti di guadagnare posizioni di primazia all'interno della procedura, in virtù della cristallizzazione che imprime al patrimonio del debitore, in funzione ancillare al principio della par condicio creditorum.
I creditori concorsuali soggiacciono, in parallelo, alle modalità connesse al concorso formale, potendo partecipare ai riparti all'interno della procedura, solo a seguito dell'ammissione allo stato passivo di essa, in ragione del meccanismo tratteggiato dagli artt. 14-septies e 14-octies l.fall.
Occorre chiedersi se, anche nella procedura di liquidazione del patrimonio del debitore, valga, come nel fallimento, il principio in ragione del quale i crediti concorrono per il loro valore alla data di apertura della procedura. Si tratta di comprendere, cioè, se già allo stato trovino applicazione le regole sulla scadenza anticipata dei crediti (artt. 55, comma 2, e 59 l. fall.); sulla sospensione degli interessi (art. 55, comma 1, l. fall.) e sulla trasformazione di tutti i crediti in crediti pecuniari (art. 59 l. fall.).
Solo la regola sulla sospensione degli interessi in costanza di procedura ha trovato espresso cenno all’art. 14-ter, comma 7. Le altre regole paiono, però, applicabili, in quanto, sia la scadenza anticipata sia la trasformazione dei crediti costituiscono principi imprescindibili per l’attuazione del concorso sostanziale tra i creditori.
Deve ritenersi anche che il creditore sia facoltizzato ad eccepire al liquidatore la compensazione legale del suo credito con quello vantato, nei suoi riguardi, dal debitore ammesso alla procedura di liquidazione. Peraltro, la compensazione non potrà che avvenire entro i margini coincidenti con le condizioni poste dall'art. 1243 c.c. (omogeneità, liquidità ed esigibilità di entrambi i crediti), qualora si palesino integrate al momento dell'apertura della procedura.
Nel contesto del "Codice", gli effetti per i creditori sono concentrati in tre norme icastiche. La prima è inclusa nell’art. 268, comma 4, il quale prevede testualmente che già “il deposito della domanda sospende, ai soli effetti del concorso, il corso degli interessi convenzionali o legali fino alla chiusura della liquidazione, a meno che i crediti non siano garantiti da ipoteca, pegno o privilegio e salvo quanto previsto dagli articoli 2749, 2788 e 2855, secondo e terzo comma, del codice civile”.
Le altre due norme sono richiamate dall’ultimo comma dell’art. 270: si tratta degli artt. 150 e 151[76]. La prima disposizione è quella che, nella procedura “madre” della liquidazione giudiziale, sancisce il “Divieto di azioni esecutive e cautelari individuali”, in forza del quale, sic et simpliciter, “salvo diversa disposizione della legge, dal giorno della dichiarazione di apertura della liquidazione … nessuna azione individuale esecutiva o cautelare anche per crediti maturati durante il fallimento, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nella procedura”. La seconda disposizione è quella che radica il “Concorso dei creditori”, in concomitanza all’apertura del procedimento, di talchè ciascun credito, quand’anche esentato dal divieto (alla stregua del “fondiario”), esige d’essere accertato nell’ambito della verifica del passivo: “Ogni credito, anche se munito di diritto di prelazione o prededucibile, nonché ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare, deve essere accertato secondo le norme stabilite dal capo III del presente titolo, salvo diverse disposizioni della legge”.
10.2. Il regime giuridico degli atti pregiudizievoli
Non si scoprono nella l. n. 3 del 2012 previsioni di legge sugli effetti della procedura di liquidazione avuto riguardo agli atti pregiudizievoli ai creditori.
L’inesistenza di una norma ad hoc di richiamo della disciplina delle revocatorie fallimentari sembra renderle inservibili nel contesto del sovraindebitamento. Fa difetto, inoltre, finanche una dichiarazione espressa dello stato di insolvenza del debitore sottoposto alla procedura.
Senz’altro esperibile si profila, di contro, la revocatoria ordinaria, ex artt. 2901 ss. c.c.. Legittimato a promuoverla, in costanza di procedura, sembra essere il liquidatore, dal momento che la reintegrazione del patrimonio che si collega all’inefficacia dell’atto revocato è un beneficio ad appannaggio della massa dei creditori, che vedono tutti insieme rivalorizzarsi il compendio liquidabile.
Pur in difetto di una disposizione specifica come quella contenuta nell'art. 66 l.fall., l'art. 14-decies riconosce al liquidatore la legittimazione a promuovere ogni azione mirata a conseguire la disponibilità dei beni oggetto di liquidazione o che comunque si palesi correlata con lo svolgimento dell'attività di amministrazione. L’ampiezza del riferimento permette di reputare incluse nel suo campionario tutte le azioni reintegrative del patrimonio del debitore, comprese, oltre alle revocatorie ordinarie, le azioni di simulazione.
Anche con riferimento al gruppo delle azioni esperibili, il "Codice" conferisce nitidezza al sistema; lo fa mediante costruzione di una norma specifica, l’art. 274, rubricata “Azioni del liquidatore”. Nei tre commi che lo articolano, si ritrova uno schema semplice: il liquidatore “autorizzato dal giudice delegato”, esercita o prosegue (qualora pendente), ogni azione prevista dalla legge e “finalizzata a conseguire la disponibilità dei beni compresi nel patrimonio del debitore e ogni azione diretta al recupero dei crediti”; il liquidatore, ancora una volta autorizzato, esercita o prosegue le azioni dirette a far dichiarare inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile.
Almeno due i profili di certezza che si traggono dalla norma: le c.d. revocatorie fallimentari (o della liquidazione giudiziale) sono sottratte ab implicito, eppure inequivocabilmente, dallo strumentario adoperabile; l’autorizzazione all’esercizio delle azioni che in quest’ultimo rientrano si nutre di un nuovo “presupposto-filtro”, atteso che il giudice delegato è chiamato a consentire l’iniziativa giudiziaria, ai sensi del comma terzo della norma, solo “quando è utile per il miglior soddisfacimento dei creditori”, il che vuol dire che la via tendenzialmente dovrebbe rimanere preclusa ogni qualvolta non sia idonea ad apportare alla procedura risorse distribuibili.
10.3. Il regime giuridico dei rapporti pendenti
Nella cornice della legge attuale manca la regolamentazione dell’impatto della procedura sui rapporti giuridici preesistenti. Fa difetto, in altri termini, una norma che, alla stregua dell’art. 72 l.fall. facoltizzi il liquidatore ad ottenere, nell’interesse dei creditori concorsuali, la sospensione o, addirittura, lo scioglimento dei contratti.
Benché a fronte della mancanza di una norma specifica di governo dei rapporti pendenti, una prerogativa di taglio così netto possa difficilmente ricavarsi dal sistema, l’attribuzione, nell’ambito delle procedure concorsuali, della facoltà di congelare o di recidere il vincolo negoziale, proteggendo a beneficio della massa il patrimonio debitorio, rappresenta una costante ordinamentale, la cui assenza appare stravagante.
Il "Codice" non produce al riguardo uno sforzo di chiarezza; rimane molto opaca – a fronte del mero richiamo, nei limiti della compatibilità, al “Titolo III” sul procedimento unitario (così l’art. 65, comma 2, e l’art. 270, ultimo inciso) –, la mutuabilità nella liquidazione controllata delle norme che, in quella giudiziale, agli artt. 172 e ss. segnano la sorte e la regolazione dei rapporti giuridici pendenti.
11. L’accertamento del passivo
È la fase cui la l. n. 3 del 2012 dedica la più minuziosa regolazione, mediante gli artt. 14-sexies, 14-septies e 14-octies.
Mostrando una originale affinità rispetto all'omologo procedimento previsto in tema di liquidazione coatta amministrativa[77], la formazione dello stato passivo nel contesto della liquidazione del patrimonio è rimessa direttamente all'organo tecnico della procedura, anziché all'autorità giudiziaria. Tuttavia, diversamente che nell’evocata procedura concorsuale, nel contesto ora in esame, ai fini dell’ammissione al passivo il creditore deve comunque presentare la domanda di partecipazione, analogamente a quanto accade nel fallimento.
La disciplina de qua si applica, non solo ai creditori concorsuali, ma anche a coloro che vantano diritti reali e personali su beni mobili o immobili facenti parte del patrimonio liquidabile; mentre è rimasto in dubbio che si applichi ai creditori "prededucibili", non essendo stata mutuata nel corpo della l. n. 3 del 2012, la norma dell’art. 52 l. fall..
Il subprocedimento di verifica del passivo passa per una fase, per così dire, imperativa e per una soltanto eventuale: la prima è condotta per intero dal liquidatore; la seconda sorge in relazione alle contestazioni al progetto di stato passivo da costui redatto, che comportano l'intervento dell’autorità giudiziaria.
L’atto di inizio è la comunicazione, a cura del liquidatore, di un avviso ai creditori e ai titolari dei diritti reali e personali, mobiliari e immobiliari, su immobili o cose mobili in possesso o nella disponibilità del debitore, ex art. 14-sexies. Il precetto, che riprende lo schema dell’art. 92 l.fall., attribuisce al liquidatore il compito di cadenzare il termine per la presentazione della domanda di partecipazione (o di rivendicazione o restituzione), senza assegnargliene alcuno per la comunicazione dell'avviso.
L'art. 14-septies, comma 1, riprende pressoché integralmente l'art. 93 l.fall., fissando il contenuto specifico della domanda di partecipazione alla liquidazione o di rivendicazione o di restituzione.
Fa difetto una norma che, sulla falsariga dell’art. 94 l.fall, descriva gli effetti prodotti dalla presentazione della domanda di partecipazione, che ovviamente sono quelli propri della domanda giudiziale, di interruzione della prescrizione del diritto di credito[78].
Vagliate le domande di partecipazione ricevute, il liquidatore elabora un progetto di stato passivo, comprensivo dell'elenco dei titolari di diritti reali e personali su beni mobili o immobili facenti parte del patrimonio liquidabile. Progetto ed elenco sono, quindi, comunicati agli interessati, i quali, nel volgere di quindici giorni – decorrenti dal momento dell'avvenuta ricezione della comunicazione –, sono legittimati a proporre eventuali osservazioni nelle forme previste per la presentazione della domanda di partecipazione (art. 14-octies, comma 1).
Se non vi sono osservazioni, "il liquidatore approva lo stato passivo dandone comunicazione alle parti" (art. 14-octies, comma 2). In buona sostanza, il liquidatore approva quanto da lui stesso elaborato.
Se, invece, constano osservazioni ed il liquidatore le ritiene fondate, nel termine di quindici giorni dalla ricezione dell'ultima osservazione, si cura di rettificare il progetto di stato passivo, comunicandolo agli interessati, ai sensi del comma 1 (art. 14-octies, comma 3).
I destinatari della comunicazione disporranno, a quel punto, di ulteriori quindici giorni per presentare le loro osservazioni sul nuovo progetto di stato passivo.
Qualora il liquidatore non ritenga di poter rettificare lo stato passivo sulla scorta delle osservazioni pervenutegli rimette – in un termine imprecisato dalla legge – gli atti al giudice che lo ha nominato, il quale provvede alla definitiva formazione del passivo e si applica, in tal caso, l'art. 10, comma 6, che richiama le forme del rito camerale (art. 14-octies, comma 4)[79].
Qualora al liquidatore pervengano domande di partecipazione tardive, in quanto posteriori rispetto al termine da lui stesso scandito nell’avviso comunicato, non essendo stabilita la perentorietà del termine, non può essere preclusa ai creditori intempestivi la possibilità di partecipare ai riparti[80].
Nel contesto del "Codice" alla formazione del passivo è dedicato l’art. 273: la dinamica non muta, in quanto scaduti i termini per la proposizione delle domande di ammissione (art. 270, comma 2, lettera d), il liquidatore predispone il progetto e lo comunica agli interessati mezzo pec. Segue lo spatium per la formulazione di eventuali osservazioni, in assenza delle quali è il predetto organo a formare lo stato passivo e a depositarlo in cancelleria. Solo in presenza di osservazioni di cui apprezzi la fondatezza, il liquidatore predisporrà un nuovo progetto nei quindici giorni successivi alla scadenza del termine per sollevare osservazioni e lo schema a quel punto si ripeterà: l’organo concorsuale comunicherà il nuovo progetto, decorrerà un nuovo termine per ulteriori osservazioni e lo schema verrà a reiterarsi.
Solo in presenza di contestazioni insuperabili, il liquidatore rimetterà gli atti al giudice delegato, il quale provvederà – come già accade oggi ai sensi del comma 4 dell’art. 14-octies – alla definitiva formazione del passivo con decreto motivato, che pubblicherà mediante deposito in cancelleria e inserimento nel sito web del tribunale o del Ministero della Giustizia.
Il comma 6 dell’art. 273 prevede la reclamabilità del decreto del giudice davanti al collegio, di cui il primo non farà parte. In una prospettiva acceleratoria è prevista la scarnificazione ulteriore delle forme procedimentali del giudizio impugnatorio così introdotto: non viene più richiamato, alla stregua dell’art. 14-octies il rito camerale, in quanto “il procedimento si svolge senza formalità, assicurando il rispetto del contraddittorio”.
12. La liquidazione dell’attivo
Per la liquidazione in senso stretto sono stabilite poche disposizioni. Per di più, l’imbastitura del procedimento sembra calibrata in nuce sul c.d. debitore civile (consumatore o professionista), tanto da pagare lo scotto della drastica assenza di riferimenti ai "complessi produttivi" (azienda e rami d'azienda) da alienare, come pure all’affitto endoprocedimentale o all'esercizio dell'impresa del debitore, in costanza di procedura, come mezzo di gestione dinamica del patrimonio, in funzione di una più efficiente allocazione delle risorse.
L'avvio della fase di liquidazione combacia con la redazione, da parte del liquidatore, dell'inventario, mediante il quale si delinea la composizione del patrimonio da monetizzare[81], e in esito al quale il liquidatore prende in custodia i beni, assumendone la relativa responsabilità. L'inventario di cui all'art. 14-sexies è un’incombenza agevole per ciò, che riprende nella sostanza il documento che il debitore è tenuto a predisporre ed allegare al proprio ricorso, ai sensi dell'art. 14-ter, comma 3; solo, diversamente da questo, contiene in via esclusiva i beni liquidabili nel contesto della procedura, non anche quelli sottratti allo spossessamento.
Il liquidatore, entro trenta giorni dalla formazione dell'inventario, concepisce un programma di liquidazione, che comunica al debitore ed ai creditori e deposita presso la cancelleria del giudice[82].
Anche nel procedimento in esame, dunque, è previsto, come avviene nel fallimento ex art. 104-ter l. fall., un atto di pianificazione e di indirizzo in ordine alle modalità ed ai tempi della successiva attività di liquidazione, il che consente, almeno tendenzialmente, se non di velocizzare, perlomeno di razionalizzare le operazioni di vendita.
Diversamente che in ambito fallimentare, il programma di liquidazione non è sottoposto all’approvazione dei creditori e gli atti che lo concretizzano non sono assoggettati alla previa autorizzazione del giudice della procedura.
La legge tace, peraltro, sul contenuto del piano, da cui ciononostante devono emergere tempi, condizioni e strategie di dismissione dei diritti e delle utilità economicamente rilevanti facenti capo al debitore. La normativa di riferimento sorvola anche sulle azioni risarcitorie, recuperatorie o revocatorie da esercitare e sulla preconizzazione del loro possibile esito. Tuttavia, essendo dette azioni espressione vitale dell'attività di intercettazione e reperimento di risorse ripartibili fra i creditori, non possono non trovare traccia nel programma di liquidazione.
Qualora sopravvengano nuovi beni liquidabili, le modalità prescelte per la relativa dismissione verranno travasate nel programma di liquidazione, comportandone una modifica.
Il programma è vincolante per il liquidatore, nel senso che le dismissioni dovranno espletarsi sulla base di quanto in esso prefissato.
In ipotesi in cui, a posteriori, il giudice si avveda della non conformità dell'atto di liquidazione rispetto alle previsioni di piano, egli denegherà l’autorizzazione allo svincolo delle somme e si asterrà dall’ordinare la cancellazione dei vincoli che gravitano sui beni ceduti. Ne deriverà la vanificazione della procedura di vendita, ferma e impregiudicata, peraltro, la responsabilità del liquidatore nei confronti del terzo aggiudicatario del bene.
Il programma dovrà mostrarsi idoneo ad assicurare "la ragionevole durata della procedura", la quale peraltro, giusta espressa disposizione di legge non può durare meno di quattro anni (cfr. artt. 14-quinquies, comma 4 e 14-novies, comma 5).
Ai sensi dell'art. 14-novies, comma 2, terzo periodo: "Le vendite e gli altri atti di liquidazione posti in essere in esecuzione del programma di liquidazione sono effettuati dal liquidatore tramite procedure competitive anche avvalendosi di soggetti specializzati, sulla base di stime effettuate, salvo il caso di beni di modesto valore, da parte di operatori esperti, assicurando, con adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli interessati". Si tratta di una disposizione che, mutatis mutandis, riprende il calco dell’art. 107, comma 1, l. fall., asservendosi all’obiettivo di ottenere il massimo realizzo dalle operazioni di vendita, nel minor tempo possibile, attraverso meccanismi atti a consentire la più diffusa partecipazione dei potenziali interessati all'acquisto.
Il liquidatore, pertanto, selezionerà liberamente la modalità di vendita, pregiandosi di assicurare trasparenza e competitività: potrà immaginare una procedura concorrenziale “deformalizzata”, purché siano garantite adeguate forme di pubblicità, oltre che la massima informazione e il più ampio coinvolgimento degli interessati[83]. Nulla sembra escludere che il liquidatore possa far ricorso al congegno di cui all'art. 107, comma 2, l. fall., disponendo che le vendite siano effettuate dal giudice che lo ha nominato, secondo le disposizioni del codice di rito, in quanto compatibili.
Il “filtro” della competizione e del mercato attiene anche ai “beni di modesto valore”, non a caso menzionati dall’art. 14-novies al solo fine di escludere la necessità di una previa stima da parte di soggetti specializzati, restando ferma, di contro, l’esigenza di sondare il mercato con riferimento ad essi “assicurando, con adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli interessati”.
Ai sensi dell'art. 14-novies, comma 2, quinto periodo, "prima del completamento delle operazioni di vendita, il liquidatore informa degli esiti delle procedure il debitore, i creditori e il giudice". All’organo gestorio non fa capo il potere – che l'art. 107, comma 4, l. fall. riconosce invece al curatore del fallimento – di sospendere la vendita in caso di offerta irrevocabile di acquisto migliorativa per un importo non inferiore al dieci per cento del prezzo offerto; non è neppure previsto il potere del giudice di impedire il perfezionamento della vendita – contemplato, nel fallimento, dall'art. 108, comma 1, seconda parte –, qualora il prezzo offerto si ponga notevolmente al di sotto di quello giusto, tenuto conto delle condizioni di mercato.
Uno strumento di riequilibrio degli esiti delle vendite interne alla procedura ora in esame è, tuttavia, contemplato allo stato dall'art. 14-novies, comma 2, sesto periodo, il quale, nel riprendere lo schema dell'art. 108, comma 1, primo periodo, l. fall., prevede che "quando ricorrono gravi e giustificati motivi, il giudice può sospendere con decreto motivato gli atti di esecuzione del programma di liquidazione". I gravi e giustificati motivi possono farsi coincidere, tanto con la minata regolarità della procedura di vendita seguita, quanto con l'ammontare esiguo del prezzo offerto. L’esercizio del potere sospensivo del giudice non è subordinato all'istanza di parte (debitore, creditori, altri interessati), la quale varrà al più come impulso sollecitatorio.
A prescindere dalla modalità di vendita prescelta – quindi quand’anche il passaggio finale sia costituito da un rogito notarile finalizzato a perfezionare la cessione del bene – è comunque previsto dall’art. 14-novies, comma 3, che il giudice delegato, sentito il liquidatore e previo vaglio di conformità degli atti dispositivi con il programma di liquidazione, ordini la cancellazione dei vincoli gravanti sui compendi alienati.
Sempre nel programma di liquidazione – e specularmente nell’ordinanza di vendita e nel bando di gara – dovrà essere specificato a chi competa il pagamento degli oneri di cancellazione[84].
Con riferimento alle spese condominiali trova in linea generale applicazione il disposto dell’art. 63 disp. att. c.c., il quale prevede che “chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente”[85].
Poche le originalità di disciplina veicolate dal "Codice" in punto di regole della liquidazione dei beni.
L’art. 272, che al primo comma prevede l’aggiornamento dell’elenco dei creditori a cura del liquidatore, al secondo comma assegna a quest’ultimo un termine di novanta giorni dalla sentenza di apertura per completare l’inventario e redigere il programma di liquidazione, comunicarlo al giudice delegato e depositarlo in cancelleria[86].
Una maggior cura, rispetto all’assetto normativo attuale, è dedicata dal "Codice" all’"Esecuzione del programma di liquidazione", cui è dedicata un’apposita norma così rubricata, l’art. 275, il quale, invero, contiene disposizioni proiettate a far luce su un’altra zona d’ombra della normativa a tutt’oggi vigente, ossia sull’ambito del riparto delle somme.
Nella prospettiva di rafforzare la sorveglianza sui sovraindebitamenti, il primo comma della norma ora ricordata esige che il liquidatore riferisca “ogni sei mesi” al giudice delegato sugli atti liquidatori eseguiti, esponendosi alla revoca dell’incarico e ad una liquidazione più esigua qualora non lo faccia.
Nella medesima linea di accentuazione del controllo giudiziale sull’attività del liquidatore, costui, al termine della propria attività di monetizzazione del patrimonio, sarà, poi, tenuto a “presentare il rendiconto”, di talchè il magistrato, verificata la conformità degli atti dispositivi al programma prestabilito, possa approvarlo.
Il comma 3 dell’art. 275 prevede, peraltro, che, una volta approvato il rendiconto, il giudice delegato liquida il compenso dell’organo tecnico della liquidazione, in certo senso apprezzando la diligenza dell’attività espletata, diligenza non a caso richiamata dalla norma nel successivo comma 4. In base a quest’ultimo, il giudice che disapprova il rendiconto è tenuto, peraltro, ad indicare gli atti necessari al completamento della liquidazione e le rettifiche ed integrazioni del rendiconto, nonché ad assegnare un termine per il loro compimento. Peraltro, se le prescrizioni non sono adempiute nel termine, anche prorogato, il giudice provvede alla sostituzione del liquidatore e nella liquidazione del compenso tiene conto della diligenza (e a quel punto della negligenza) mostrata, fino a potere escludere in tutto o in parte il compenso stesso, con una previsione che conferma, per un verso, l’intensificazione del controllo sull’attività dell’organo proattivo della liquidazione, per altro verso, la finalità legislativa di promuovere, attraverso la minaccia della sanzione, un esercizio disciplinato e scrupoloso degli incombenti di legge e di programma.
Tale esigenza è tanto più marcata in quanto si guardi alla massimizzazione della libertà gestoria del liquidatore: nella nuova liquidazione controllata, quel che fa difetto a ben guardare è proprio il controllo sulla liquidazione del patrimonio, sol che si consideri che le modalità di realizzazione dell’attivo appaiono rimesse per intero all’organo di gestione. Quest’ultimo si può limitare a darsi un programma e a riversarvi le forme, i tempi e i modi, di cessione, che del tutto autonomamente ipotizza. Il suo programma continua a non essere oggetto, nel contesto del "Codice", di approvazione e impugnazione da parte dei creditori o del giudice delegato, ma, per di più – aspetto che grandemente perplime – si sottrae adesso anche ai binari esplititi in punto di modalità di realizzo dell’attivo, che la l. n. 3 del 2012 prende in prestito dalle norme di principio della legge fallimentare, che blindano trasparenza, pubblicità e competitività. Si accantona, ora, finanche il riferimento acquietante alle procedure competitive, con stima dei beni salvo quelli di modico valore e – profilo di non poco momento – con facoltà del giudice di disporre la sospensione delle vendite. Che il liquidatore debba godere di una sfera fuori misura di autonomia d’azione parrebbe esorbitante rispetto agli obiettivi di sistema, sicchè un richiamo agli artt. 221 e 222 in tema di liquidazione dell’attivo nel contesto della liquidazione giudiziale sembrerebbe profilarsi sin d’ora come una riconquista irrinunciabile.
Bisogna chiedersi se la disciplina di cui all’art. 490, comma primo, c.p.c., e dunque l’obbligo di pubblicazione dell’avviso di vendita sul Portale, riguardi o meno anche le procedure di alienazione che si celebrano in seno ad una delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento previste dalla l. 3/2012.
Il riferimento normativo esclusivo è contemplato dal secondo comma dell’art. 14 novies, secondo cui “le vendite e gli altri atti di liquidazione posti in essere in esecuzione del programma di liquidazione sono effettuati dal liquidatore tramite procedure competitive anche avvalendosi di soggetti specializzati, sulla base di stime effettuate, salvo il caso di beni di modesto valore, da parte di operatori esperti, assicurando, con adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli interessati”. Il successivo quarto comma specifica che i mezzi di pubblicità sono quelli di cui al settimo comma dell’art. 107 l.fall., che a propria volta rinvia ad un decreto ministeriale la individuazione dei sistemi di pubblicità. Da tale norma si evince che il legislatore ha inteso prevedere, per l’esecuzione del programma di liquidazione, gli stessi meccanismi pubblicitari che giovano alle vendite fallimentari. Ciò nonostante in occasione della introduzione del “Portale delle vendite pubbliche”, il d.l. 83/2015, pur modificando l’art. 107, comma primo, e l’art. 182, comma primo, l.fall., ha omesso di aggiornare il testo della l. n. 3 del 2012. Ne consegue che, almeno de iure condito, non viene in rilievo un’obbligatorietà di pubblicazione dell’avviso di vendita sul Portale[87].
Pur in assenza di disposizioni espresse e “dedicate”, anche nelle procedure per la liquidazione del patrimonio si profila opportuno che la pubblicità relativa ai beni posti in vendita sia effettuata sul portale del Ministero della giustizia nell'area pubblica denominata “Portale delle vendite pubbliche”, trattandosi dello strumento individuato dal legislatore per offrire informazione globale sulle vendite forzate in corso nel territorio nazionale[88].
13. Il riparto del ricavato
La l. n. 3 del 2012 non ha disciplinato la fase di ripartizione delle somme ricavate dalla liquidazione, nè in punto di criteri utilizzabili per la distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione dei beni, nè in punto di meccanismi da seguire per effettuare concretamente le ripartizioni.
Sul piano dei criteri, la natura concorsuale della liquidazione e l'apertura del concorso che ne scaturisce postula, in difetto di deroghe, il ricorso alla "stella polare" della par condicio creditorum, ai fini della distribuzione delle somme fra i titolari delle pretese: la graduazione avverrà ai sensi dell’art. 2471 cod. civ., seguendo l'ordine dei privilegi stabilito dalla legge; i crediti di pari rango saranno proporzionalmente soddisfatti.
Le prededuzioni, qualificate tali dalla legge, in quanto debiti della massa si smarcheranno dal concorso sostanziale fra i creditori. Segnatamente l’art. 14-duodecies, comma 2, prevede che i crediti sorti in occasione o in funzione della liquidazione o di uno dei procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento "sono soddisfatti con preferenza rispetto agli altri, con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti". La disposizione è molto prossima a quella di cui all’art. 111-bis, comma 2, l.fall..
Nel quadro dei "crediti sorti in occasione o in funzione della liquidazione" si iscrivono senz’altro le spese di procedura, tra cui il compenso del liquidatore e dei soggetti che a diverso titolo prendono ruolo nelle operazioni di vendita, nonché i crediti derivanti dagli atti legittimamente compiuti dal liquidatore nell'espletamento del suo incarico.
Silente è la legge anche sul congegno operativo della ripartizione. Una sola certezza sembra venire in rilievo: alla ripartizione non potrà che provvedere il liquidatore, in base alle indicazioni contenute nello stato passivo.
Ogni ulteriore aspetto rimane indeterminato e sospeso. Nella specie, non è chiarito se il liquidatore possa procedere a riparti parziali e secondo quale modulazione temporale; se debba, viceversa, provvedere a ripartire il risultato finale della liquidazione in un’unica soluzione; se debba predisporre un piano di riparto formale da comunicare ai creditori o se possa procedere ad immediate assegnazioni; se e in quali forme i creditori possano presentare osservazioni di merito; se il giudice della procedura abbia voce in capitolo e se debba rendere esecutivo il progetto di distribuzione; secondo quali modalità il liquidatore debba accantonare le somme a copertura delle spese di procedura e delle posizioni dei titolari di crediti controversi o condizionati o irreperibili; se e quando il liquidatore debba presentare il rendiconto della gestione.
A questo frastagliato panorama di manchevolezze, il "Codice" prova a prestare rimedio; lo fa mediante alcune disposizioni innestate nel corpo dell’art. 275, rubricato in realtà “Esecuzione del programma di liquidazione”.
Sull’introduzione dell’onere di rendiconto e sulla sua incidenza sull’attività del liquidatore, si è detto infra (§ 11.). A tale novità basilare, se ne accosta un’altra di pari rango: è quella che fa carico al liquidatore di provvedere alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione secondo l’ordine di prelazione risultante dallo stato passivo, mediante la “previa formazione di un progetto di riparto da comunicare al debitore e ai creditori, con termine non superiore a giorni quindici per osservazioni” (art. 275, comma 5). La norma prosegue prevedendo che solo “in assenza di contestazioni, comunica il progetto di riparto al giudice che senza indugio ne autorizza l’esecuzione”. Viceversa, qualora dette contestioni sorgano il liquidatore viene chiamato a verificare – deve ritenersi per le “vie brevi” e a strettissimo giro – quella che viene sinteticamente denominata “possibilità di componimento”, apportando al piano di ripartizione tutte le “modifiche che ritiene opportune”. In buona sostanza, il liquidatore viene chiamato a svolgere una sorta di attività lato sensu transattiva endoprocedurale, naufragata la quale il cerchio si chiude con la rimessione degli atti al giudice delegato “il quale provvede con decreto motivato, reclamabile ai sensi dell’articolo 124” (art. 275, comma 6).
14. La chiusura della procedura
Due le disposizioni che si occupano della fase nella disciplina attualmente vigente della chiusura della procedura. In primo luogo, viene in evidenza l’art. 14-novies, comma 5, il quale dispone che: "Accertata la completa esecuzione del programma di liquidazione e, comunque, non prima del decorso del termine di quattro anni dal deposito della domanda, il giudice dispone, con decreto, la chiusura della procedura"; in secondo luogo, assume rilievo l'art. 14-quinquies, comma 4, avverte che: "La procedura rimane aperta sino alla completa esecuzione del programma di liquidazione e, in ogni caso, ai fini di cui all'art. 14-undecies, per i quattro anni successivi al deposito della domanda".
Nessun'altra disposizione è dedicata alla chiusura della procedura, sicchè già allo stato l’asciutto complesso normativo suggerisce un'interpretazione sistematica idonea a tener conto della funzione immanente alla liquidazione del patrimonio e della sua connotazione di procedura concorsuale. In tal senso, sembra congruo ritenere che la procedura di liquidazione – al di là dei tempi rigidamente prefigurati – sia suscettibile di chiudersi anche per la mancata presentazione, nei termini segnati dal liquidatore, delle domande di ammissione al passivo nonché per l'avvenuta estinzione dei debiti, se del caso in virtù del sostegno finanziario di un terzo.
La durata necessariamente quadriennale pretesa dal legislatore e la possibilità, in tale lasso di tempo, di intercettare ulteriori beni suscettibili di pervenire in via ulteriore al debitore, paiono fare premio, di contro, sull'applicazione analogica della norma di cui all'art. 118, comma 1, n. 4 l. fall. in tema di chiusura del fallimento per insufficienza di attivo.
Neanche nel quadro del "Codice" l’ambito della chiusura del procedimento riceve più numerosi dettagli di disciplina. L’art. 276 si limita a precisare che “la procedura si chiude con decreto” (comma 1) e a soggiungere che con il medesimo provvedimento “il giudice, su istanza del liquidatore, autorizza il pagamento del compenso liquidato”, svincola le “somme eventualmente accantonate” e si occupa di determinare il c.d. effetto purgativo della vendita coattiva, ordinando “la cancellazione della trascrizione del pignoramento e delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché di ogni altro vincolo”.
15. L'esdebitazione
Disciplinata attualmente dall'art. 14-terdecies, l’esdebitazione consente al debitore-persona fisica di ottenere la liberazione nei confronti dei creditori dai debiti non integralmente soddisfatti dai riparti endoconcorsuali. L'effetto collegato al provvedimento che la dispone è la mera inesigibilità del residuo insoluto, il che vuol dire, per un verso, che non vi è novazione dell'obbligazione originaria; per altro verso, che restano salvi i diritti dei creditori concorsuali nei riguardi di quei soggetti – coobbligati, fideiussori e obbligati in via di regresso – che siano legati al debitore "esdebitato" dal vincolo della solidarietà passiva[89].
La fase è plasmata sul modello degli artt. 142 e ss. l.fall., da quale essa si discosta per talune originalità.
Sul piano soggettivo, a poter beneficiare dell’istituto è giustappunto solo il debitore-persona fisica (art. 14-terdecies, comma 1, primo inciso).
Sul piano oggettivo, l'esdebitazione può essere concessa soltanto qualora la procedura si sia chiusa a seguito della completa esecuzione del programma di liquidazione, con ripartizione finale dell'attivo e soddisfacimento parziale dei creditori concorrenti.
L’istituto non opera per tutti i debiti, essendo contemplate dall'art. 14-terdecies, comma 3, alcune importanti dispense.
Una problematica rimarchevole attiene ai creditori concorsuali non concorrenti, ossia a coloro i quali, pur avendone il diritto, non abbiano presentato domanda di ammissione allo stato passivo della procedura. Ancorché faccia difetto una norma modellata sull’art. 144 l.fall., appare fedele ai principi della concorsualità della procedura che tali creditori non guadagnino corsie preferenziali togliendosi via volontariamente dal concorso sostanziale. Ed allora, l'esdebitazione varrà pure nei loro confronti, sulla base della fictio della loro ammissione, per la porzione di credito esorbitante la percentuale attribuita nel concorso ai creditori di pari grado.
In una prospettiva parzialmente diversa si inseriscono i creditori per titolo o causa posteriore all'ammissione del debitore alla procedura concorsuale, ossia i creditori non concorsuali. Costoro, ai sensi dell'art. 14-duodecies, comma 1, "non possono procedere esecutivamente sui beni oggetto di liquidazione". Detti soggetti sono titolari di pretese vero il debitore comune non opponibili alla massa dei creditori concorrenti e insuscettibili di essere fatte valere all'interno della procedura collettiva. Pertanto, essi, chiusa la quest’ultima, manterranno il diritto di agire coattivamente sui beni che nel frattempo dovessero essere affluiti nel patrimonio del predetto soggetto passivo L’esdebitazione non può valere, d’altronde, nei loro confronti, posto che alla procedura in cui si compie, essi sono rimasti addirittura estranei.
L'istituto ex art. 14-terdecies viene dalla legge subordinato all'accertamento della meritevolezza del debitore. Affinché egli sia considerato meritevole, è doveroso ricorrano talune condizioni, per la verifica delle quali il giudice potrà contare anche sulla relazione "particolareggiata" che, ai sensi dell'art. 14-ter, comma 3, l'OCC avrà rilasciato al debitore ai fini dell'accesso alla procedura.
Il procedimento è disciplinato dal comma 4 dell'art. 14-terdecies all’impronta di una facilitazione procedurale che trasmoda in lacunosità.
La norma non precisa chi (se il liquidatore o lo stesso debitore) e attraverso quali mezzi (se attraverso la notifica a cura dell'ufficiale giudiziario, una raccomandata, una pec) debba portare a conoscenza dei creditori concorsuali non integralmente soddisfatti il ricorso presentato dal debitore.
Non è specificato neppure come il giudice debba provvedere a "sentire" i creditori.
Appare, peraltro, difficilmente comprensibile la ragione per la quale il legislatore non abbia ritenuto di "adeguare", mutatis mutandis, il disposto di cui art. 143, comma 1, l.fall., secondo la modifica apportatavi dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 181 del 2008, intervenuta proprio per assicurare il coinvolgimento dei creditori nel procedimento di esdebitazione.
In questa costruzione malferma, la novità di maggior spessore, rispetto alla disciplina della legge fallimentare, riguarda certamente la revocabilità del provvedimento di esdebitazione, posto che, a tenore dell'art. 14-terdecies, comma 5, "Il provvedimento è revocabile in ogni momento, su istanza dei creditori, se risulta: a) che è stato concesso ricorrendo l'ipotesi del comma 2, lett. b); b) che è stato dolosamente o con colpa grave aumentato o diminuito il passivo, ovvero sottratta o dissimulata una parte rilevante dell'attivo ovvero simulate attività inesistenti". I soli legittimati a richiedere la revoca, senza limiti di tempo, sono, pertanto, i creditori che subiscono l'esdebitazione: essi porranno in rilievo i comportamenti fraudolenti (o gravemente colposi), tenuti dal debitore prima dell'emanazione del provvedimento esdebitatorio, sfuggiti sia al giudice, sia all'OCC e sia, in prima battuta, agli stessi creditori concorsuali.
La norma in commento affida al solito rito camerale il procedimento da seguire per ottenere la revoca, richiamando, salvi i limiti della compatibilità, gli artt. 737 e ss. c.p.c. e stabilendo che il reclamo si propone al tribunale e del collegio non può fare parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento.
Un ultimo assetto di novità veicolato dal "Codice" riguarda proprio l’esdebitazione, schierata in un capo ad hoc, il X, riferito in modo unificante, sia alla liquidazione giudiziale, che a quella controllata.
L’art. 278, che inaugura il capo, descrive l’istituto, siccome consistente nella liberazione dai debiti, con connessa inesigibilità di quelli rimasti insoddisfatti nell’ambito della procedura concorsuale liquidatoria (comma 1); prosegue, poi, prevedendo che il beneficio non si arresta di fronte ai creditori anteriori alla procedura che non abbiano preso parte al concorso, operando anche rispetto a costoro, sia pure “per la sola parte eccedente la percentuale attribuita nel concorso ai creditori di pari grado” (comma 2).
Mentre nella disciplina vigente soltanto le persone fisiche possono beneficiare dell’esdebitazione (art. 14-terdecies), il "Codice" rende agibile l’istituto anche per le società, come di consueto con effetto verso i soci illimitatamente responsabili (comma 5), e non invece verso coobbligati, fideiussori e obbligati in via di regresso (comma 6)[90]. L’ottica del legislatore volge, dunque, ad un allargamento ampio dello strumento e l’estensione è operata effacemente mediante un richiamo normativo secco e netto: possono ora accedere all’esdebitazione “tutti i debitori di cui all’articolo 1, comma 1” (comma 3).
Il comma 7 dell’art. 278 abbozza le esclusioni dall’istituto, riassumendole negli “obblighi di mantenimento e alimentari” nonchè nei “debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale” e nelle “sanzioni penali e amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti”.
Il successivo art. 279 illustra il varco temporale di accesso al beneficio, che il debitore ha diritto a conseguire decorsi tre anni dall’apertura della procedura di liquidazione o al momento della chiusura della procedura, se antecedente allo spirare del triennio (comma 1). In senso incentivante, il termine è addirittura ridotto a due anni ove il debitore abbia tempestivamente proposto istanza di composizione assistita della crisi.
Immediatamente dopo, l’art. 280 stabilisce le condizioni per l’esdebitazione. Innanzitutto, viene in rilievo la mancata condanna con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, o altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa, salvo intervenuta riabilitazione.
Quella dei delitti per connessione con l’esercizio d’impresa è una categoria residuale, nella quale rientrano tutti i reati attinenti alla liquidazione giudiziale diversi dalla bancarotta fraudolenta, e quindi la bancarotta semplice (art. 340)[91]; il ricorso abusivo al credito, con la sua variante della truffa; la truffa ai danni dello stato; i reati ambientali; l’omicidio colposo per violazione di norme antiinfortunistiche; l’emissione di fatture false per ottenere anticipazioni su crediti autoliquidanti; la denuncia di crediti inesistenti; la commissione di taluni reati societari previsti dal codice civile, qualora ciò abbia causato il dissesto della società; i reati previsti nel d.lgs. n. 231 del 2001 sulla responsabilità delle società ed enti, quando tali reati siano stati commessi nel loro interesse o a loro vantaggio[92].
In ipotesi di procedimento penale in corso, com’è arguibile dall’art. 280, comma 1, lett. a, il tribunale è tenuto a sospendere il procedimento di esdebitazione fino all’esito del primo[93].
Su un piano condizionante la fruibilità del mezzo esdebitatorio, viene poi in rilievo la mancata interposizione di ostacoli o rallentamenti allo svolgimento della procedura e l’ostensione in favore degli organi ad essa preposti di tutte le informazioni utili e dei documenti necessari per il suo buon andamento.
Mette in conto poi rammentare la necessaria, mancata fruizione di altra esdebitazione nei cinque anni precedenti la scadenza del termine per l’esdebitazione.
Infine, è menzionato come imprescindibile il mancato godimento dell’esdebitazione per due volte.
Il procedimento di accesso al beneficio è narrato dall’art. 281.
Il tribunale vi provvede contestualmente alla pronuncia del decreto di chiusura della procedura, sentiti gli organi della stessa e verificata la sussistenza delle condizioni prima descritte (artt. 278, 279 e 280) (comma 1); vi provvede, altresì, su istanza del debitore, quando siano decorsi almeno tre anni dalla data in cui è stata aperta la procedura di liquidazione giudiziale (comma 2).
A tal fine, il liquidatore dà atto, nei rapporti informativi, dei fatti rilevanti per la concessione o il diniego del beneficio (comma 3).
Il decreto del tribunale è comunicato agli organi della procedura, al pubblico ministero, al debitore e ai creditori ammessi al passivo non integralmente soddisfatti, i quali possono proporre reclamo a norma dell’articolo 124 (comma 4).
L'esdebitazione non collide con i giudizi in corso e con le operazioni liquidatorie (comma 5), né in alcun modo li influenza, sicchè quando dall'esito dei predetti deriva maggior provvista per un più pingue riparto a favore dei creditori, il beneficio ha effetto solo per la parte definitivamente insoddisfatta (comma 6).
Subito dopo queste norme generali, è inserita nel "Codice" una Sezione II, riguardante specificamente l’"Esdebitazione del sovraindebitato". Nella liquidazione controllata viene significativamente ora prevista l’operatività di diritto dell’istituto, senza necessità di richiesta, a seguito della chiusura della procedura, o anche prima della chiusura una volta decorsi tre anni dalla sua apertura (art. 282, comma 1). L’esdebitazione del sovraindebitato in liquidazione sorge ora ope legis, in concomitanza con la pronuncia del provvedimento che la definisce o anche prima, allorchè siano spirati tre anni dalla sentenza che l’ha aperta.
L’innovazione dell’art. 282 è armonica rispetto al nuovo art. 277, comma 3, il quale prevede, infatti, che la liquidazione controllata non possa superare i due anni, prorogabili a tre per gravi e giustificati motivi. È dunque evidente che la chiusura del sovraindebitamento debba intervenire in tempi assai rapidi, e così pure la conseguente esdebitazione. Chiara la cifra incentivante delle previsioni in commento rispetto all’attuale art. 14-quinquies l. 3 del 2012, che raccoglie in quattro anni la durata minima della liquidazione e che eleva la chiusura del procedimento a presupposto per chiedere l’esdebitazione.
Il termine quadriennale della vigente disciplina è strumentale all’acquisizione di eventuali beni (e crediti) sopravvenuti: infatti, l’art. 14-undecies l. n. 3 del 2012 prevede l’apprensione alla procedura delle attività sopravvenute nei quattro anni successivi al deposito della domanda di liquidazione. Nel "Codice", al contrario, non si riscontra una previsione in tal senso, benchè nella procedura di esdebitazione del debitore incapiente e meritevole, regolata dall’art. 287, sia prevista espressamente la destinazione ai creditori delle "utilità" rilevanti sopravvenute nei quattro anni. Nella scelta di tagliare via la disciplina dei beni sopravvenuti dalla procedura di liquidazione, vi è la decisione di ridurre da quattro a due, massimo tre anni, il tempo di durata del sovraindebitamento “liquidatorio”, così favorendo uno spedito fresh start del sovraindebitato.
L’esdebitazione è dichiarata con decreto motivato del tribunale, che deve essere iscritto nel registro delle imprese (art. 282, comma 2).Nell’emettere il provvedimento esdebitatorio, al tribunale non è più richiesto di sentire preliminarmente i creditori non integralmente soddisfatti, né esso deve chiedere il parere all’OCC o al liquidatore. Anche questa è una modifica che abbrevia i tempi e rende più agili gli incombenti.
L’art. 282 prosegue mantenendo ferme le preclusioni di cui all’articolo 280, comma 1, lettera a (relativa all’intervenuto giudicato di condanna per delitti contro l’economia pubblica, l’industria o il commercio o compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa), e quelle relative al consumatore già esdebitato nei cinque anni precedenti la domanda o esdebitato due volte o che abbia determinato l’indebitamento con colpa grave, mala fede, o frode (comma 2).
Infine, la disposizione precisa che il provvedimento di cui al comma 1 è comunicato al pubblico ministero e ai creditori, i quali possono proporre reclamo a norma dell’articolo 124, entro trenta giorni (comma 3). L’opportunità di interloquire sulla spettanza del beneficio è procrastinata ad un’eventuale fase impugnatoria.
La seconda norma della Sezione II, che chiude il Capo X, è rivolta al “debitore incapiente”: l’art. 283, invero, dispone che il debitore meritevole, che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura, può comunque fruire una tantum del bonus esdebitazione, fatto salvo l’obbligo di pagamento del debito entro quattro anni dal decreto del giudice, laddove sopravvengano utilità rilevanti che consentano il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore al dieci per cento. La norma si affretta a precisare che “non sono considerate utilità, ai sensi del periodo precedente, i finanziamenti, in qualsiasi forma erogati” (comma 1).
La valutazione di rilevanza di cui al comma 1 deve essere condotta su base annua, dedotte le spese di produzione del reddito e quanto occorrente al mantenimento del debitore e della sua famiglia in misura pari al doppio dell’indice ISEE (comma 2).
La domanda di esdebitazione è presentata tramite l’OCC al giudice competente[94].
Ovviamente nell’ipotesi del “debitore incapiente” assume rilievo il profilo della meritevolezza. A tale proposito l’Organismo di composizione, nel trasmettere al giudice la domanda e la documentazione richiesta per legge, espone gli elementi idonei a valutarla, sotto il profilo delle cause dell’indebitamento, della diligenza impiegata nell’assumere obbligazioni e delle ragioni che hanno comportato l’incapacità ad adempierle (comma 4)[95].
Sul piano procedimentale, il giudice, assunte le informazioni ritenute utili, valutata la meritevolezza del debitore e verificata, a tal fine, l’assenza di atti in frode e la mancanza di dolo o colpa grave nella formazione dell’indebitamento, concede con decreto l’esdebitazione, indicando le modalità e il termine entro il quale il debitore deve presentare, a pena di revoca del beneficio, ove positiva, la dichiarazione annuale relativa alle sopravvenienze rilevanti ai sensi dei commi 1 e 2 (comma 7).
È previsto un apposito procedimento di opposizione da parte dei creditori, cui il decreto è comunicato al pari del debitore. Entro trenta giorni i titolari delle pretese possono contestare la concessione del beneficio. Spirato detto termine, il cui dies a quo coincide con l’ultima delle comunicazioni, il giudice, instaurato nelle forme ritenute più opportune il contraddittorio tra i creditori opponenti ed il debitore, conferma o revoca il decreto. La decisione è reclamabile ai sensi dell’articolo 50, norma che disciplina il reclamo avverso il provvedimento che rigetta la domanda di apertura della liquidazione giudiziale (comma 8).
16. Il divieto di azioni esecutive e cautelari
Nella l. n. 3 del 2012, il divieto di azioni esecutive individuali si atteggia diversamente a seconda del tipo di procedura scelta[96].
Nella procedura di liquidazione il divieto di azioni esecutive individuali è generale ed automatico, ma presuppone l’apertura del procedimento: “Con il decreto di cui al comma 1 il giudice: a) (...); b) dispone che, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni cautelari o esecutive nè acquistati diritti di prelazione sul patrimonio oggetto di liquidazione da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore” (art. 14-quinquies, comma 2)[97].
La norma rassomiglia, più che all'art. 51, all'art. 168 l.fall., dettato in tema di concordato preventivo, in quanto, per un verso, essa contempla l'impossibilità, per i creditori, di acquisire diritti di prelazione e, per altro verso, non ammette (o sembrerebbe non ammettere) alcuna eccezione[98].
Si ritiene comunemente che neppure il creditore fondiario si sleghi dalla regola, posto che non esiste nella procedura di sovraindebitamento alcun riferimento all’art. 41 T.U.B., di talchè anche questa procedura dovrebbe subire la sospensione/improcedibilità, dovuta alla pendenza della procedura di sovraindebitamento.
Il divieto di azioni esecutive individuali si atteggia come generale ed immediato, e copre tutta la durata della procedura, a prescindere dalla erronea indicazione normativa (“sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo”), in quanto non vi è alcun provvedimento che omologa la liquidazione, mentre l’esigenza di impedire iniziative esecutive individuali permane per tutta la durata della procedura. In altre parole, posto che la ratio della previsione è chiaramente quella di impedire ai creditori concorrenti l’occupazione di posizioni di vantaggio all'interno della procedura e di contribuire, pertanto, alla cristallizzazione del patrimonio del debitore ed alla piena attuazione del principio della par condicio creditorum, si deve prendere atto che la norma contiene un refuso[99].
Secondo l’art. 14-novies, comma 2: “Se alla data di apertura della procedura di liquidazione sono pendenti procedure esecutive il liquidatore può subentrarvi”[100]. Di conseguenza sarà lui stesso ad incassare il ricavato della vendita e a distribuirlo nel rispetto delle cause di prelazione, ivi compresa quella pertinente al credito fondiario (ipotecario).
Quello del liquidatore non è un vero intervento nella procedura esecutiva, ma una sua sostituzione al creditore procedente, in modo tale da poter governare direttamente l’esecuzione forzata, anziché avocarne l’oggetto nella sede concorsuale.
Alternativamente, sospesa la procedura esecutiva singolare (o meglio: fatta dichiarare la stessa improcedibile), il liquidatore potrà vendere in forma autonoma il bene già attinto dal pignoramento, procedendo quindi al riparto nel rispetto di tutte le cause di prelazione, ivi compresa l’ipoteca del fondiario. Altrimenti detto, dopo che è stata disposta l'apertura della liquidazione dei beni ex art. 14 quinquies, il liquidatore giudiziario ha facoltà di presentare istanza di improcedibilità della esecuzione immobiliare pendente[101].
Sembra, pertanto, potersi rilevare che nella procedura di liquidazione del patrimonio il divieto di azioni esecutive è assoluto.
Il "Codice" semplifica la rete dei rapporti fra procedura liquidatoria ed esecuzioni esecutive individuali, nella misura in cui, nell’ultimo comma dell’art. 270 sull’apertura di detto procedimento, rinvia incisivamente all’art. 150, che contempla appunto il divieto di azioni esecutive e cautelari individuali, nel contesto della liquidazione giudiziale, in virtù del quale “salvo diversa disposizione della legge, dal giorno della dichairazione di apertura della liquidazione giudiziale nessuna azione individuale esecutiva o cautelare anche per crediti maturati durante il fallimento, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nella procedura”.
17. Lacunosità delle regole e ricorso al paradigma fallimentare
Le norme della l. n. 3 del 2012 sulla liquidazione del patrimonio esibiscono parecchie smagliature, sol che si considerino l’assenza di un abbozzo di regole in punto di ripartizione dell'attivo e la mancata previsione di ipotesi di chiusura diverse dall'esecuzione del programma di liquidazione[102].
Ancorché la disciplina vigente non si avvalga della tecnica del rinvio alle norme della legge fallimentare e sebbene difetti finanche una norma di chiusura in tal senso, le carenze riscontrate non possono che fare impiego di un criterio di sedimentata certezza: quello che scorge nel "fallimento" il fulcro emblematico di regolazione dell’insolvenza, cui occorre guardare ogni qualvolta si tratti di colmare le lacune normative o di ricostruire la disciplina applicabile.
La liquidazione del patrimonio produce implicazioni che sollecitano questioni interpretative ed applicative in numero non minore di quante non ne siano affrontate dalla legge fallimentare, quindi in prospettiva, dal "Codice" per le insolvenze maggiori. In chiave sistematica, il riferimento, per la liquidazione dei beni del sovraindebitato, alla disciplina di liquidazione giudiziale può giovare, se rettamente intesa, ad assicurare un'apprezzabile unità di sistema.
A supporto dell’opportunità profilata militano le caratteristiche intriseche alla procedura di liquidazione, oltre che taluni elementi di disciplina: la procedura in esame è concorsuale, ma non negoziale; si incentra sui principi di universalità e di generalità; non mira a risanare una situazione economico-finanziaria, ma a irregimentare il concorso fra i creditori al cospetto di un dissesto irreversibile; implica una cristallizzazione dei diritti vantati dai creditori concorrenti, nell’ottica di impedire ai singoli di guadagnare posizioni di vantaggio all'interno del concorso stesso.
Ed ancora: essa presuppone un vincolo di destinazione sul patrimonio debitorio nonché lo spossessamento di questo, con contestuale attribuzione – come ‘è veduto – ad un organo terzo, chiamato a gestirlo, in costanza di procedura, nell’ottica del perseguimento dell'interesse concorsuale, per tale intendendosi quello della massa dei creditori alla regolazione, secondo parità di condizioni, dei loro rapporti col debitore.
Non va, poi, ignorato che la procedura in parola ricollega, ai sensi dell’art. 14-ter, comma 7, alla presentazione della domanda di ammissione alla procedura, l'effetto della sospensione degli interessi, legali o convenzionali, sui crediti concorsuali non "privilegiati", fino alla chiusura della liquidazione, "ai soli effetti del concorso".
Infine, si tenga in conto che l'art. 15, comma 9, della l. n. 3 del 2012, sui compensi del professionista che svolge le funzioni degli organismi di composizione della crisi in ambito di liquidazione del patrimonio, sono sintomaticamente parametrati a quelli del curatore del fallimento.
[1] Saggio edito su “In executivis”, marzo 2018.
[2] Come noto sulla Gazzetta ufficiale del 14 febbraio 2019 è stato pubblicato il decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, che, in attuazione della legge delega 19 ottobre 2017, n. 155, contiene il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, che si sostituirà integralmente alla legge fallimentare del 1942.
[3] Per una prima, capillare lettura del sovraindebitamento nel contesto del nuovo "Codice", ci si permette di rinviare alla seguente monografia: Crivelli, Fontana, Leuzzi, Napolitano e Rolfi, Il nuovo sovraindebitamento, Zanichelli, 2019.
[4] Cospicua, tanto da non poterla inventariare per intero, la mole dei contributi sul tema. Di recente v: D’Attorre-Fimmanò, La composizione delle crisi da sovraindebitamento, 2017. Tra gli altri v.: Pisani Massamormile(a cura di), La crisi del soggetto non fallibile,Torino, 2016; Caiafa e Vaglio (a cura di), La risoluzione delle crisi da sovraindebitamento, Roma, 2015; Ferro (a cura di), Sovraindebitamento e usura, Milano, 2012; Angelici e G.B. Ferri, Manuale di diritto commerciale,Milano, 2015, p. 821; Bonfatti, Gli incentivi alla composizione negoziale delle crisi d'impresa: uno sguardo d'insieme, in Bonfatti e Falcone (a cura di), Le procedure di composizione negoziale delle crisi e del sovraindebitamento, Milano, 2014, p. 33; Costa, Profili problematici della disciplina della composizione della crisi da sovraindebitamento, in Dir. fall., 2014, I, p. 663; Del Linz, Spunti critici sulle nuove procedure di sovraindebitamento e ordinamenti a confronto, ivi, 2015, I, p. 482; De Matteis e Graziano, Crisi da sovraindebitamento ovvero il fallimento del consumatore, Rimini, 2015; Di Marzio, Macario e Terranova, La nuova composizione della crisi da sovraindebitamento, Milano, 2013; Fabiani, Crescita economica, crisi e sovraindebitamento, in Corr. giur., 2012, p. 449; Falcone, Il trattamento normativo del sovraindebitamento del consumatore, in Giur. comm., 2015, I, p. 132; G. Ferri jr., Sovraindebitamento, piccoli imprenditori e imprese piccole, in Riv. dir. comm., 2012, I, p. 423; Frascaroli Santi, Procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento, inVassalli, Luiso e Gabrielli (diretto da), Tratt. dir. fall. e delle altre procedure concorsuali, IV, Torino, 2014, p. 563; Guiotto, La nuova procedura per l'insolvenza del soggetto non fallibile: osservazioni in itinere, in Fall., 2012, p. 21; Leozappa, Il sovraindebitamento del debitore fallibile, delle società professionali e degli enti pubblici, in Giur. comm., 2015, I, p. 574; Lo Cascio, La composizione delle crisi da sovraindebitamento, in Fall., 2012, p. 1021; Macario, La nuova disciplina del sovra-indebitamento e dell'accordo di ristrutturazione per i debitori non fallibili, in Contratti, 2012, p. 229; Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013, p. 2027 ss.; Nigro e Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali, Bologna, 2017, p. 582; Paciello, Prime riflessioni (inevitabilmente) critiche sulla composizione della crisi da sovraindebitamento, in Riv. dir. comm., 2012, I, p. 83; Panzani, La composizione della crisi da sovraindebitamento dopo il d.l. 179/2912, in www.ilfallimentarista.it; Id., La composizione della crisi da sovraindebitamento, in www.treccani.it, 2012; Perrino, La "crisi" delle procedure di rimedio al sovraindebitamento e degli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Giust. civ., 2014, p. 435; Presti, Stanghellini e Vella (a cura di), L'insolvenza del debitore civile. Dalla prigione alla liberazione, in Analisi giur. econ., 2004, p. 337; Rispoli Farina, I rimedi alle crisi da sovraindebitamento: un assetto definitivo alla crisi del consumatore?, in Bonfatti e Falcone(a cura di), Le procedure di composizione negoziale delle crisi e del sovraindebitamento, cit., p. 277; Id., La nuova disciplina del sovraindebitamento del consumatore, in Problemi attuali di diritto privato. Studi in memoria di Di Prisco, Torino, 2016, p. 891; Sciuto, La crisi dell'impresa, in M. Cian (a cura di), Diritto commerciale, Torino, 2017, p. 165; Soldati, Il sovraindebitamento alla prova della riforma del diritto fallimentare, in Contratti, 2016, p. 628; Trisorio Liuzzi, Il procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento, in Giusto proc. civ., 2012, p. 649; Verde, Il sovraindebitamento, Bari, 2014.
[5] D.M. n. 202 del 2014.
[6] Già Vivante, Trattato di diritto commerciale, ed. Vallardi, Milano, 5° ed., 1928, p. 323 e ss. aveva perorato “l’istituzione di una procedura collettiva di concorso per tutti i cittadini, commercianti e non commercianti”, soggiungendo “un fallito che deve lavorare per tutta la vita per pagare i debiti arretrati perde ogni energia: è un cittadino perduto e la legge lo salva redimendolo dai debiti”.
[7] Si leggano le riflessioni di Di Marzio, Sulla composizione negoziale della crisi da sovra-indebitamento, in Dir. Fall., 2010, I, 650 ss.
[8] Il fallimento del sovraindebitato appartiene tradizionalmente alla cultura di Paesi quali gli Stati Uniti e l’Inghilterra. In Francia la procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento (surendettement) è stata introdotta già nel 1989 ed è stata poi trapiantata nel Codice del consumo, con l’obiettivo di consentire il ripianamento dei debiti dei privati non imprenditori commerciali. In Spagna, nel 2003, la procedura per il superamento della crisi è stata unificata, considerandosi in una cornice onnicomprensiva l'imprenditore non fallibile e il debitore civile mentre con Ley n. 25 del 2015 è stato introdotto un congegno normativo finalizzato all'esenzione dei debiti residui della persona fisica, imprenditore o non, in stato di indebitamento in eccesso. In Germania, per il debitore privato e per il piccolo imprenditore è stata, viceversa, a suo tempo, coniata un'autonoma e semplificata procedura avente la finalità della liberazione dai debiti e del reinserimento attivo del debitore nel ciclo produttivo-economico. Per un approccio comparato alla disciplina della crisi da sovraindebitamento nei principali ordinamenti occidentali v. Modica, Profili giuridici del sovraindebitamento, Napoli, 2012, 308 ss.; Pellecchia, Dall'insolvenza al sovraindebitamento. Interesse del debitore alla liberazione e ristrutturazione dei debiti, Torino, 2012, 121 ss.; Giavarrini, Le diverse soluzioni nazionali al problema del sovraindebitamento del debitore civile. Stati Uniti d'America, Francia, Germania, in Giur. comm., 2016, I, p. 480.
[9]V.http://ec.europa.eu/consumers/financial_services/reference_studies_documents/docs/part_1_synthesis_of_findings_en.pdf:"Il sovraindebitamento delle persone fisiche rappresenta un grande problema economico e sociale. L'11,4% dei cittadini europei è permanentemente in arretrato con i pagamenti, spesso per le bollette domestiche". Cfr. il parere del Comitato economico e sociale della UE Sovraindebitamento delle famiglie, in G.U.C.E. C-149 del 21 giugno 2002; Commissione UE 22 maggio 2012, Un'agenda europea dei consumatori. Stimolare la fiducia e la crescita; FMI, Euro Area Policies - Selected Issues, IMF Country Report No. 15/205, luglio 2015, p. 61.
[10] Sul tema v. Marcucci, Insolvenza del debitore civile e fresh start. Le ragioni di una regolamentazione, in Analisi giur. econ., 2004, p. 226.
[11] L’art. 65 recita: "I. I debitori di cui all’articolo 2, comma 1, lett. c, possono proporre sooluzioni della crisi da sovraindebitamento secondo le norme del presente capo o del titolo V, capo IX. II. Si applicano, per quanto non specificamente previsto dalle disposizioni della presente sezioni, le disposizioni del titolo III, in quanto compatibili. III. I compiti del commissario giudiziale o del liquidatore nominati nella procedura di cui al comma 1 sono svolti dall’OCC. La nomina dell’attestatore è sempre facoltativa. IV. La procedura produce i suoi effetti anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili".
[12] L’art. 66 dispone: "I. I membri della stessa famiglia possono presentare un unico progetto di risolutzione della crisi da sovraindebitamento quando sono conviventi o quando il sovraindebitamento ha un’iorigine comune. II. Ai fini del comma 1, si considerano membri della stessa famiglia i parenti entro il quarto grado e gli affini entro il secondo, nonché le parti dell’unione civile e i conviventi di fatto di cui alla legge 20 maggio 2016, n. 76. III. Le masse attive e passive rimangono distinte".
[13] Naturalmente, se il piano riassume un progetto di modalità e tempi adempitivi di ciò che è prospettato nella domanda che apre la procedura, esso guiderà il liquidatore nell’attività di alienazione forzata dei beni.
[14] Sull’argomento v. Limitone, La nuova procedura di liquidazione giudiziale del sovraindebitato, in Il Fallimentarista, 27 febbraio 2018; Giavarrini, La procedura di liquidazione del patrimonio nella legge n. 3/2012, Giurisprudenza commerciale 2016, p. 712, fasc. 5; Durello, Profili processuali del procedimento per la composizione della crisi da sovraindebitamento, Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ. 2014, p. 651, fasc. 2; Cesare, Sovraindebitamento: liquidazione del patrimonio, in Il Fallimentarista, 2017.
[15] La ratio della normativa sull’esdebitazione è quella di attribuire agli insolventi civili la possibilità della cancellazione dei debiti al fine di ripartire da zero – giustappunto il c.d. fresh start – e di riacquistare un ruolo attivo nell'economia eliminando l'indebitamento preesistente. Nel consentire al debitore civile di svincolarsi dalle obbligazioni non soddisfatte si è scongiurata una larvata incostituzionalità dell'art. 142 l.fall. per un’adombrata violazione del principio di uguaglianza: v. Frascaroli Santi, L'esdebitazione del fallito: un premio per il fallito o un'esigenza del mercato, in Dir. fall., 2008, I, 40.
[16] Attualmente ai sensi dell’art. 14-quater l. n. 3 del 2012.
[17] Così prevede attualmente l’art. 14-undecies l. n. 3 del 2012.
[18] La durata minima di quattro anni è prevista dall’art. 14-quinquies l. n. 3 del 2012.
[19] Secondo l'art. 12-ter l. n. 3 del 2012, in caso di opposizione all'omologazione il vaglio di convenienza del piano (in una sorta di cram down), va condotto alla luce del raffronto con la soluzione della liquidazione del patrimonio ex artt. 14-ter e ss. l n. 3 del 2012. Quanto al piano, poi, la relazione ad hoc redatta dall'Organismo di Composizione della Crisi, secondo l'art. 9, comma 3-bis, l. n. 3 del 2012, deve anche soffermarsi "sulla probabile convenienza del piano rispetto all'alternativa liquidatoria".
[20] L’art. 1 del "Codice" estromette dal campo di applicazione del Codice gli enti qualificati pubblici dalla legge; vengono invece ricomprese le società a partecipazione pubblica. Già nel vigore della l. n. 3 del 2012 è stata esclusa in giurisprudenza da ogni regolazione privatistica l'insolvenza degli imprenditori e degli enti di diritto pubblico: v. in senso negativo all'accesso all'accordo di sovraindebitamento per una IPAB, Trib Treviso 12 maggio 2016, in Dir. fall., 2017, II, p. 272. Tra gli studiosi cfr. Ghia, Fallimento e società di capitali a controllo o partecipazione pubblica, in Ghia, Piccininni e Severini(diretto da), Tratt. delle procedure concorsuali, Torino, 2010, p. 115; Potito e Sandulli, Commento all'art. 1 l.fall., in Nigro, Sandulli e Santoro(a cura di), La legge fallimentare dopo la riforma, I, Torino, 2010, p. 15.
[21] L’art. 2, lett. 2, l. n. 155 del 2017 delegava a legiferare "in particolare assimilando il trattamento dell'imprenditore che dimostri di rivestire un profilo dimensionale inferiore a parametri predeterminati, ai sensi dell'articolo 1 r.d. n. 267 del 1942, a quello riservato a debitori civili, professionisti e consumatori".
[22] Sulla nozione di piccolo imprenditore v. Fortunato, Commento all'art. 1, in Jorio e Fabiani (diretto da), Il nuovo diritto fallimentare. Commentario sistematico, I, Bologna, 2007, p. 58; Rondinone, L'imprenditore, l'impresa, l'azienda e la concorrenza, in De Angelis (a cura di), Diritto commerciale, I, Padova, 2017, p. 25; Stanghellini, La piccola impresa, oppure "in memoria del piccolo imprenditore", in Analisi giur. econ., 2014, p. 104; Terranova, Che resta del piccolo imprenditore?, in Riv. dir. comm., 2010, I, p. 733.
[23] “Impresa minore” è l’impresa che presenta congiuntamente: a) un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila, negli ultimi tre esercizi compiuti; b) ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila, negli ultimi tre esercizi compiuti; c) debiti, anche non scaduti, non superiori ad euro cinquecentomila. I predetti valori possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia. “Consumatore” è la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente già svolta; si considerano consumatori anche le persone fisiche che siano soci delle società appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del Codice civile, con esclusivo riguardo ai debiti estranei a quelli sociali.
[24] Cass. 4 giugno 2012, n. 8930, in dejure.
[25] Si consideri che, a fronte degli stimoli provenienti dalla dottrina ad un superamento del dogma della regolamentazione autonoma dell’impresa agricola – v. già Ragusa Maggiore, Imprenditore agricolo e imprenditore commerciale: il diaframma sta per cadere, in Dir. fall., 1984, p. 585 –la giurisprudenza vi è rimasta fedele: cfr. Corte cost. 20 aprile 2012, n. 104, in Fall., 2012, p. 1174, che ha respinto una questione di incostituzionalità per disparità di trattamento, cogliendo nella sorte normativa dell’impresa agricola una scelta discrezionale del legislatore rispondente a "ragioni di politica economica e giudiziaria"; v. anche Cass. 8 agosto 2016, n. 16614, in Fall., 2017, p. 38.
[26] In tema v. Cracoli e Curletti, La nozione di consumatore tra codice del consumo e l. 3/2012, in Contratti, 2018, p. 81; Troiano, Significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, in Alpa e S. Patti (a cura di), Clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, in Comm. Schlesinger, Milano, 2003, p. 31.
[27] Per tutti cfr. Pacchi, Il sovraindebitamento. Il regime italiano, in Riv. dir. comm., 2012, I, p. 694.
[28] Cfr. in tal senso Cass 1 febbraio 2016, n. 1869, in Fall., 2016, p. 661, con commento di F. Pasquariello; in Giur. it., 2016, p. 817, con nota di Capoccetti. Nella fattispecie, secondo la S.C. può essere considerato consumatore colui che, avendo svolto e poi cessato un'attività dalla quale sono scaturiti debiti IVA non pagati, presenta un piano per la sistemazione del solo debito civile, stralciandovi quel debito e le risorse necessarie per pagarlo, come imposto per legge, integralmente. Rimarrebbe poi affidata al vaglio giudiziario provocato dall'eventuale iniziativa di colui che faccia opposizione all'omologazione la valutazione sulla convenienza di una simile soluzione. Nel merito, Trib. Bergamo 16 dicembre 2014, in Il Fallimentarista, aveva stabilito che anche l'imprenditore o il libero professionista possono avere qualifica di consumatore a condizione che le obbligazioni scadute e non adempiute, e che abbiano determinato il "sovraindebitamento", non siano riferibili in alcun modo all'attività d'impresa o professionale svolta.
[29] V. Cass. 13 giugno 2006, n. 13643, in Obbl. contr., 2006, p. 675; Cass. 29 novembre 2011, n. 25212, in Contratti, 2012, p. 148.
[30] La tesi del professionista "di rimbalzo" è stata originariamente formulata per il "caso Dietzinger" (Corte giust. CE 17 marzo 1998, causa C-45/96), in relazione all'interpretazione della nozione di consumatore dettata dalla dir. 1985/577/CEE sui contratti negoziati fuori sede.
[31] Cfr. Corte giust. UE 19 novembre 2015, causa C-74/15 (in Nuova giur. civ. comm.,2016, II, p. 1119, con commento di Renna, La tutela consumeristica del fideiussore: riflessioni a partire da una recente pronuncia della Corte di Giustizia) ove la Corte afferma che “nel caso di una persona fisica che abbia garantito l'adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta quindi al giudice nazionale determinare se tale persona abbia agito nell'ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l'amministrazione di quest'ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata”.
[32] V. Trib Bologna 21 dicembre 2017, in www.ilcaso.it.
[33] V. Trib. Milano, 18 agosto 2016, in www.ilcaso.it, per il quale “sembra incongruente procedere ad una sistemazione della situa-zione debitoria senza considerare tutti i debiti sociali oltre a quelli della socia …. Va altresì considerato che in qualunque momento la società potrebbe fallire trascinando il socio nel fallimento”. Contra ammettono l’accesso del socio a dette procedure Trib. Prato, 16 novembre 2016, in www.ilcaso.it, e Trib. Rimini, 13 marzo 2018, in www.ilcaso.it.
[34] È la soluzione perorata da Limitone, Accesso alla procedura di sovraindebitamento del socio illimitatamente responsabile di sas, in Il Fallimentarista e da Marturzi, La composizione delle crisi da sovraindebitamento mediante accordo di ristrutturazione dei debiti e soddisfazione dei crediti, in Dir. fall., 2014, I, p. 1067. In giurisprudenza v. in tal senso Trib. Prato 16 novembre 2016, in Fall., 2017, p. 197, con commento di Pasquariello.
[35] Artt. 153 e 154 l.fall.
[36] Incidentalmente: analogo effetto di "consumazione" pare rilevare a proposito della persistente possibilità di ristrutturare con una procedura di sovraindebitamento il debito dei soggetti rispetto ai quali è spirato il termine annuale - degli artt. 10 e 147 l.fall. -, per "esaurimento" degli strumenti di regolazione delle crisi; e per l'eccezionale ultrattività dei presupposti, testualmente prevista per la (sola) fallibilità.
[37] Si tratta di una espressa eccezione alle disposizioni in tema di remissione: infatti, l’art. 1239 c.c. stabilisce che la remissione concessa al debitore principale libera anche i fideiussori, mentre l’art. 1301 c.c. prevede che la remissione di un debitore in solido si estende agli altri condebitori.
[38] È sulle medesime basi che si sostiene la regola dell’esclusione di diritto del socio fallito in proprio, sol che si consideri che l’art. 2288 c.c. è finalizzato proprio a consentire, in quel fallimento, di comporre con esattezza la massa dei beni da liquidare, il che è incompatibile con la persistenza della quota in società.
[39] Parrebbero conciliabili in un modo affine la procedura di concordato preventivo omologato della società e la procedura del sovraindebitamento del socio, posto che la classe dei creditori sociali è destinata ad essere soddisfatta, non nell’ambito della procedura di sovraindebitamento, ma direttamente in quella concordataria.
[40] O come debiti sopravvenuti in un piano di ristrutturazione o in un “concordato minore”.
[41] Trib. Mantova, 8 aprile 2018, in www.ilcaso.it.
[42] Trib. Napoli Nord, 18 maggio 2018, in relazione ad un piano del consumatore; Trib. Milano, 6 dicembre 2017, in relazione ad un accordo di composizione della crisi.
[43] Sulla cessione del quinto v. Benvenuto, Domande congiunte e cessione del quinto, in Il Fallimentarista, 2018.
[44] Si tratta dell’interpretazione avviata da Trib. Monza, 26 luglio 2017, in www.Ilcaso.it.
[45] La legge fallimentare si limita a fare riferimento alla “crisi” senza mai definirla, mentre il “Codice” la definisce espressamente (sempre nell’art. 2) come uno “stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”.
[46] Sia in giurisprudenza che in dottrina la tendenziale coincidenza tra sovraindebitamento e crisi o insolvenza costituisce già un approdo: v. Trib. Larino 24 maggio 2016, in www.leggidItalia.it; Trib. Milano 7 agosto 2014, in IL Fallimentarista; v. anche Lucci, Piano del consumatore e sovraindebitamento: alcuni profili problematici, in Fall., 2016, p. 1281.
[47] Le nozioni di crisi e di insolvenza sono già insite nell’attuale definizione di “sovraindebitamento”, se è vero che la l. n. 3 del 2012 fa già riferimento tanto alla situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, nella quale consisterebbe la crisi, quanto alla “definitiva incapacità” di adempiere, nella quale consisterebbe l’insolvenza. Nella prima ipotesi, il giudizio sul debitore è positivo (egli riesce ancora a pagare), ma la prognosi è negativa (è probabile che in breve tempo non sarà più in grado di adempiere); nella seconda, invece, il giudizio è negativo, perché il debitore è già inadempiente.
[48] Nel cui par. III, punto 6, lett. a), di quest’ultimo si legge che "il debitore dovrebbe poter procedere alla ristrutturazione in una fase precoce, non appena sia evidente che sussiste soltanto la probabilità dell'insolvenza". Si consideri pure che nell’art. 1 del Regolamento UE del 20 maggio 2015, è scritto che "laddove le procedure di cui al presente paragrafo possano essere avviate in situazioni in cui sussiste soltanto una probabilità di insolvenza, il loro scopo è quello di evitare l'insolvenza del debitore o la cessazione delle attività di quest'ultimo".
[49] Trib. Vicenza, 29 aprile 2014, in www.ilcaso.it.
[50] La domanda produce effetti di matrice processuale, perché il ricorso apre un giudizio di fronte al tribunale in composizione monocratica, tenuto a pronunciarsi quanto meno sull'ammissione; essa spiega anche effetti di natura sostanziale, poiché a norma dell'art. 9, comma 3-quater: "sospende, ai soli effetti del concorso, il corso degli interessi» dei crediti chirografari, mentre continuano a maturare gli altri interessi secondo le regole stabilite dalla l.fall.”.
[51] In questo senso è Farina, Le procedure concorsuali di cui alla legge n. 3 del 2012 e la (limitata) compatibilità con la legge fallimentare. le problematiche della domanda e dell'automatic stay , in Dir. Fall., 2017, 1, 43.
[52] La regola è identica a quella, propria del fallimento e delle altre procedure concorsuali, sancita dal combinato disposto degli artt. 54, comma 3, e 55, comma 1, l. fall.
[53] Trib. Treviso 22 giugno 2017, in www.fallimentiesocietà.it.; Trib. Venezia, 11 ottobre 2016, in Il Fallimentarista.
[54] Sul piano della crisi d’impresa di soggetti di dimensioni non piccole, il binomio impresa-imprenditore è stato disgiunto, sia nel concordato preventivo, con l’introduzione dell’istituto delle c.d. proposte concorrenti da parte dei creditori; sia, nel contesto del "Codice", con i c.d. strumenti di allerta, anch’essi richiedibili da parte di soggetti terzi.
[55] La norma recita: , secondo il quale “sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullita', essere iniziate o proseguite azioni cautelari o esecutive ne' acquistati diritti di prelazione sul patrimonio oggetto di liquidazione da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore",
[56] Cass. 8 febbraio 2007, n. 2745; Cass 14 febbraio 2000, n. 1611.
[57] Secondo Trib. Pistoia 27 dicembre 2013, in www.ilcaso.it., è la legge stessa che consente di non tener conto di tali accordi volontariamente raggiunti in precedenza tra debitore e creditore, in quanto, se fossero vincolanti, ostacolerebbero l’accesso alla procedura di sovraindebitamento, permettendo il soddisfacimento integrale di singoli creditori e la proporzionale riduzione del patrimonio da destinare al soddisfacimento di tutti gli altri; peraltro il legislatore non rinvia all’art 545 c.p.c., ossia al parametro di valutazione degli importi necessari al mantenimento, sicchè detto parametro non è costituito dalla quota di un quinto dell’emolumento, né tanto meno dalla misura della pensione sociale, ma viene determinato di volta in volta dal giudice sulla base della documentazione prodotta ex art. 14-ter, comma 2, e 9, comma 2, l. n. 3 del 2912, con la conseguenza che il criterio del quinto va rideterminato nel contesto della procedura. Ad avviso di Trib. Grosseto, 9 maggio 2017, in www.ilcaso.it, l’esclusione della cessione del quinto dello stipendio dalla procedura di sovraindebitamento sarebbe da reputarsi tout court incoerente rispetto ai principi di concorsualità del procedimento e di parità di trattamento che esso esprime.
[58] V. Cass. 22 gennaio 2016, n. 1227: “In caso di fallimento del debitore già assoggettato ad espropriazione presso terzi, il pagamento eseguito dal "debitor debitoris" al creditore che abbia ottenuto l'assegnazione del credito pignorato ex art. 553 c.p.c. è inefficace, ai sensi dell'art. 44 l.fall., se intervenuto successivamente alla dichiarazione di fallimento, non assumendo rilievo, a tal fine, l'anteriorità dell'assegnazione, che, disposta "salvo esazione", non determina l'immediata estinzione del debito dell'insolvente, sicché l'effetto satisfattivo per il creditore procedente è rimesso alla riscossione del credito, ossia ad un pagamento che, perché eseguito dopo la dichiarazione di fallimento del debitore, subisce la sanzione dell'inefficacia”. Nello stesso senso, cfr. anche Cass. 31 marzo 2011, n. 7508.
[59] Secondo Trib. Milano, 9 luglio 2017, l’assegnazione deve prevaleresulla procedura di sovraindebitamento successivamente intrapresa, in quanto la l. n. 3 del 2012 non prevede nessuno strumento di revoca né richiama l’art. 44 l.fall., che comporta l’inefficacia dei pagamenti successivi, con la conseguenza che la domanda di sovraindebitamento non ha potere sulla precedente disposizione giudiziale di assegnazione del credito futuro.
[60] Questa assimilazione vale in tutte le procedure da sovraindebitamento. Si considerino: l’art. 10, comma 5, in tema di accordo in rimedio: “Il decreto di cui al comma 1 deve intendersi equiparato all’atto di pignoramento”; l’art. 12-bis, comma 7, nella materia del piano del consumatore: “Il decreto di cui al comma 3 deve intendersi equiparato all?atto di pignoramento”; l’art. 14-quinques, comma 3, in ambito di liquidazione del patrimonio: “Il decreto di cui al comma 2 deve intendersi equiparato all’atto di pignoramento”.
[61] Si consideri en passant che la l. n. 3 del 2012detta solo tre limitazionialla destinazione di tutto il patrimonio al soddisfacimento paritetico dei creditori concorsuali e ciò per favorire il soddisfacimento: crediti impignorabili, crediti di IVA e ritenute e crediti privilegiati nei limiti del valore dei beni destinati a soddisfarli; i crediti derivanti dalla cessione del quinto dello stipendio non sono ricompresi in queste eccezioni e pertanto nulla impedisce che siano trattati alla stregua di tutti gli altri ai quali il debitore riserva il patrimonio secondo principi di par condicio.
[62] Così Vitiello, Il piano del consumatore: natura del procedimento e conseguenze del suo inquadramento, in Il Fallimentarista.
[63] Cass. 17 gennaio 2012, n. 551, in dejure.
[64] V. Trib. Torino, 8 giugno 2016, in www.ilcaso.it.
[65] Così Trib. Monza, 26 luglio 2017, in www.ilcaso.it, che ha richiamato nell’occasione Cass. 26 ottobre 2002, n. 15141, in www.ilcaso.it..
[66] L'istituto della conversione non è nuovo nel panorama del diritto concorsuale domestico, essendo già espressamente contemplato nell'ambito sia dell'amministrazione straordinaria (artt. 11, 35, 69, 70, 77, 84 e 87 d.lgs. n. 270 del 1999), della l.c.a. delle società fiduciarie (art. 3 l. n. 430 del 1986), della disciplina della crisi dei gruppi bancari (artt. 100 e 101 T.U.B.) ed assicurativi (artt. 277 e 278 codice assicurazioni).
[67] Si consideri che Cass. 8 agosto 2017, n 19740, in Dir. fall., 2017, II, p. 1447, qualifica la previsione dell'art. 15, comma 9, l. n. 3 del 2012 come transitoria e residuale, con ciò volendo intendere che, qualora nel circondario sia costituito un OCC, ne raccomanda la valorizzazione del livello di specializzazione, per poter gestire al meglio la crisi, senza ricorrere alla designazione, come gestore della procedura, di un professionista esterno.
[68] Compete al Ministro della giustizia, che vi deve provvedere con apposito regolamento, determinare i requisiti di indipendenza e professionalità e le "modalità di iscrizione" nel registro; disciplinare "le condizioni per l'iscrizione" (vale a dire - è da ritenere - fornire anche e proprio le indicazioni, da un lato, su quali enti pubblici possano costituire gli organismi e, dall'altro, sulle caratteristiche strutturali che i medesimi organismi debbono possedere e sulle quali la legge tace completamente), la formazione dell'elenco e la sua revisione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti; determinare i compensi e i rimborsi spese le indennità spettanti agli organismi e a carico dei soggetti che ricorrono alle procedure in oggetto. Ai sensi dell'art. 15, comma 1, sono iscritti di diritto nel registro, su semplice domanda, gli organismi di conciliazione costituiti presso la Camere di commercio, il segretariato sociale ex L. n. 328/2000 e gli ordini professionali degli avvocati, dei commercialisti ed esperti contabili e dei notai (la disposizione, in quest'ultimo caso, deve essere ovviamente interpretata nel senso che sono iscritti di diritto non gli ordini in quanto tali, ma gli organismi da essi costituiti).
[69] L’art. 269 del "Codice" prevede che “il ricorso può essere presentato personalmente dal debitore, con l’assistenza dell’OCC” e prosegue, al secondo comma, disponendo che “al ricorso deve essere allegata una relazione, redatta dall’OCC, che esponga una valutazione sulla completezza e l’attendibilità della documentazione depositata a corredo della domanda e che illustri la situazione economica, patrimoniale e finanziaria del debitore”.
[70] Tale equiparazione vale anche con riferimento alla sentenza che, nel contesto del "Codice", prenderà il posto del decreto d’apertura della liquidazione.
[71] Vi è l'indicazione, piuttosto superflua, dei crediti relativamente impignorabili ex art. 545 c.p.c., mentre fa difetto, all'opposto, quella relativa ai beni e ai diritti di natura strettamente personale (quali, ad esempio, i diritti potestativi), i quali nondimeno, per natura si sottragono allo spossessamento.
[72] Secondo detto comma: “Non sono compresi nella liquidazione: i crediti impignorabili ai sensi dell’articolo 545 del codice di procedura civile; i crediti aventi carattere alimentare e di mantenimento, gli stipendi, le pensioni, i salari e ciò che il debitore guadagna con la sua attività nei limiti, indicati dal giudice, di quanto occorre al mantenimento suo e della sua famiglia; i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, salvo quanto disposto dall’articolo 170 del codice civile; le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge”.
[73] In questo ultimo caso la scelta è effettuata di regola tra i gestori residenti nel circondario del tribunale competente e l’eventuale deroga deve essere espressamente motivata e comunicata al presidente del tribunale. Inoltre, come specificamente previsto dalla successiva lett. f, “Al liquidatore nominato dal tribunale ai sensi del comma 2, lettera b), seconda parte, si applicano gli articoli 35, comma 4-bis, 35.1. e 35.2. del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159”.
[74] La lett. e dell’art. 270 si cura incisivamente di precisare che “Il provvedimento è titolo esecutivo ed è posto in esecuzione a cura del liquidatore”.
[75] Ai sensi del comma 4 della’art. 270 questi adempimenti pubblicitari sono “eseguiti a cura del liquidatore”, che procede, altresì di notificare la sentenza “al debitore, ai creditori e ai titolari di diritti sui beni oggetto di liquidazione”.
[76] Ai sensi del comma 5 della norma sull’apertura della liquidazione: “Si applicano gli articoli 150 e 151”.
[77] Disciplinata in origine soltanto dalle leggi speciali, che la prevedevano per determinati tipi di impresa, sulla base della necessità di una maggiore uniformità della materia, la procedura è stata in seguito regolamentata dalla legge fallimentare, la quale all'art. 194, oltre a prevedere l'applicabilità delle disposizioni del titolo V (artt. 194-215), salvo che le leggi speciali dispongano diversamente, afferma l'abrogazione delle "disposizioni delle leggi speciali, incompatibili con quelle degli artt. 195, 196, 200, 201, 202, 203, 209, 211 e 213". La procedura in parola ha subito modifiche ad opera del legislatore della riforma di cui al d. lgs. n. 5 del 2006 e del d. lgs. n. 169 del 2007.
[78] Il decreto di apertura produce attualmente l’automatic stay e vi è un'espressa equiparazione, operata dall'art. 14-quinquies, comma 3, del decreto di apertura della liquidazione all'atto di pignoramento.
[79] Il quarto comma dell’art. 14-octies precisa anche che il reclamo contro il provvedimento del giudice si propone al tribunale in composizione collegiale e del collegio non può far parte il giudice che tale provvedimento ha pronunciato.
[80] Rimane oscura la disciplina degli effetti prodotti dalla domanda tardiva: non è chiaro se e come reagisca su tale disciplina la colpevolezza o meno del ritardo; così come non chiaro è il meccanismo procedurale attraverso il quale debba avvenire l'ammissione tardiva.
[81] La legge non fissa il termine di predisposizione dell’inventario, limitandosi a stabilire che "il liquidatore, verificato l'elenco dei creditori e l'attendibilità della documentazione di cui all'art. 9, commi 2 e 3, forma l'inventario dei beni da liquidare..." (art. 14-sexies).
[82] Ai sensi del secondo inciso del primo comma dell’art. 14-novies “il programma deve assicurare la ragionevole durata della procedura”.
[83] A. Didone, Le riforme delle procedure concorsuali, t. II, Giuffrè Editore, 2016, 2131.
[84] Solitamente i programmi di liquidazione si conformano alla prassi operativa osservata per le vendite giudiziarie presso tribunale competente: per Trib. Milano, circ. 29 novembre 2017, le spese di cancellazione sono a carico della procedura.
[85] Il tenore letterale della norma è tuttavia chiaro nello specificare che obbligato in solido con il condomino uscente è il soggetto che “subentra” nei diritti di quest’ultimo, e pertanto l’individuazione delle annualità di riferimento andrà condotta in relazione all’anno di gestione in corso e all’anno precedente al decreto di trasferimento (o al rogito notarile)
[86] In linea di continuità con quanto previsto dall’art. 14-novies, comma 1, a tenore del comma 3, dell’art. 272 “Il programma deve assicurare la ragionevole durata della procedura”.
[87] V. D’Alonzo, Il Portale delle vendite pubbliche, la vendita telematica e le lacune del neonato sistema, su in executivis.com.
[88] Così condivisibilmente Trib. Mantova, 6 Febbraio 2018, in www.ilcaso.it.
[89] Nell’attuale regime l’esdebitazione del debitore non pregiudica i diritti dei creditori nei confronti di coobbligati, fideiussori e obbligati in via di regresso (art. 12-ter, comma 3, l. n. 3 del 2012). Quindi i creditori possono esigere il pagamento nei confronti dei garanti per l’intero, in deroga al principio civilistico per cui la remissione nei confronti del debitore libera anche il fideiussore (art. 1239 c.c.) e il coobbligato in solido (art. 1301 c.c.). Scopo della norma è tutelare i diritti dei terzi che hanno fatto affidamento anche sul patrimonio altrui, e che verosimilmente non avrebbero concesso credito in assenza di garanzie collaterali.
[90] Nella liquidazione controllata è ribadita, pertanto, nel solco della l. n. 3 del 2012, l’integrale responsabilità dei garanti, cui non si estendono gli effetti dell’esdebitazione.
[91] Consta però una decisione del Tib. Udine, 25 giugno 2012, per il quale una condanna per bancarotta semplice docu-mentale non impedisce la concessione del beneficio della liberazione dai debiti residui, sulla base della considerazione che quest'ultimo reato non sarebbe espressamente previsto come causa ostativa dall'art. 142 primo c. l. fall. (che ricalca l’art. 284 del Codice), e che la norma non potrebbe essere interpretata estensivamente.
[92] Destinatari della sanzione penale della 231 sono unicamente le società (anche di persone) e gli enti, e non anche gli imprenditori individuali. Tuttavia, andrebbero esclusianche questi ultimi, qualora investiti da una condanna per i reati in parola, ogni qualvolta sussista una oggettiva connessione tra la condotta illecita e l’attività imprenditoriale espletata.
[93] Il secondo periodo della lett. a prevede, infatti: “Se è in corso il procedimento penale per uno di tali reati o v’è stata applicazione di una delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, il beneficio può essere riconosciuto solo all’esito del relativo procedimento”.
[94] Unitamente ad alla documentazione specificata dalla norme, che segnatamente contempla: a) l’elenco di tutti i creditori, con l'indicazione delle somme dovute; b) l’elenco degli atti di straordinaria amministrazione compiuti negli ultimi cinque anni; c) la copia delle dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni; d) l’indicazione degli stipendi, delle pensioni, dei salari e di tutte le altre entrate del debitore e del suo nucleo familiare (comma 3).
[95] È precisato anche che la domanda debba esser munita di un’allegata relazione particolareggiata dell'OCC, che comprende: l’indicazione delle cause dell'indebitamento e della diligenza impiegata dal debitore nell'assumere le obbligazioni; l’esposizione delle ragioni dell'incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte; l’indicazione della eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dai creditori; la valutazione sulla completezza ed attendibilità della documentazione depositata a corredo della domanda (art. 283, comma 4).
[96] Nella procedura con accordo, prevista dall’art. 10 della richiamata legge, il divieto di azioni esecutive individuali, ivi comprese le esecuzioni forzate, è generale ed opera automaticamente alla stregua di “automatic stay”, che si produce per effetto della semplice apertura del procedimento, poiché nel decreto di apertura il giudice “c) dispone che, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali ne’ disposti sequestri conservativi ne’ acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di accordo, da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore; la sospensione non opera nei confronti dei titolari di crediti impignorabili” (art. 10, comma 2, lett. c). Nella procedura del piano (senza accordo) non esiste un divieto generale ed automatico di agire esecutivamente sui beni del debitore, ma è possibile chiedere al giudice la sospensione discrezionale, ex art. 12-bis, comma 2, di alcune procedure esecutive, specificamente indicate, posto che “quando, nelle more della convocazione dei creditori, la prosecuzione di specifici procedimenti di esecuzione forzata potrebbe pregiudicare la fattibilità del piano, il giudice, con lo stesso decreto, può disporre la sospensione degli stessi sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo”.
[97] Su questi aspetti v. Farina, Le procedure concorsuali di cui alla legge n. 3 del 2012 e la (limitata) compatibilità con la legge fallimentare. le problematiche della domanda e dell'automatic stay, in Dir. Fall., 2017, 1, 43.
[98] Il regime dell'automatic stay presenta forti analogie con l'art. 168 legge fallim., dettato in tema di concordato preventivo, in quanto, per un verso, il comma 2 dell'art. 14-novies fa riferimento all'impossibilità per i creditori, di acquisire diritti di prelazione e, per altro verso non ammette deroghe di sorta, discostandosi vistosamente dalla disciplina di cui all'art. 51 legge fallim.
[99] In effetti, l'inciso “sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo” doppia inutilmente l'art. 10, comma 2, lett. c) e deve essere letteralmente stralciato.
[100] Il legislatore ha, dunque, mutuato lo stesso meccanismo contenuto nell'art. 107, comma 6, l. fall..
[101] Trib. Livorno 5 gennaio 2017, in www.ilcaso.it.
[102] In chiave critica v. Donzelli, Prime riflessioni sui profili processuali delle nuove procedure concorsuali in materia di sovraindebitamento, in Dir. fall., 2013, I, p. 609, il quale constata come il legislatore di queste nuove procedure concorsuali "abbia accolto come premessa la malsana idea che la semplificazione possa consistere nel disciplinare poco o nulla, che semplificare significhi non affrontare i problemi, o semmai nasconderli".
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