EsecuzioneForzata
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 14/03/2018 Scarica PDF
Questioni in tema di vendite telematiche
Giulio Borella e Sara Pitinari, MagistratiSommario: 1. Premessa ed evoluzione normativa – 2. Esperienze italiane e straniere prima del d.m. 32/2015 – 3. Riflessioni – 3.1 Quando (non) si fa la vendita telematica – 3.2. L'adeguamento delle ordinanze di vendita e delle deleghe – 3.3 La scelta del tipo di vendita – 3.4. La scelta del gestore – 3.5. Il diritto di visita da parte degli interessati.
1. Premessa ed evoluzione normativa
Non è elegante iniziare un articolo con un disclaimer, ma conviene subito precisare che queste poche righe non hanno lo scopo di fornire una trattazione o un inquadramento sistematico completo delle vendite telematiche, bensì solo affrontare e tentare di fornire un contributo di riflessione su alcune specifiche tematiche, quelle che, verosimilmente, saranno più attuali di qui al 10 aprile prossimo, data in cui questa modalità di vendita diverrà obbligatoria. In questa premessa ci si limiterà quindi unicamente a richiamare le fonti che, snodandosi nel tempo, dal 2009 ad oggi, hanno portato all’obbligatorietà in ambito esecutivo delle vendite telematiche, con un fugace sguardo ad altre esperienze simili, sia in ambito italiano, che estero.
In realtà la possibilità che certe fasi del procedimento di vendita in ambito esecutivo potessero svolgersi telematicamente risale all’art. 2 co. 3 ter lett. d) del d.l. 35/2005, convertito con modificazioni dalla l. 80/2005, che aveva introdotto l’art. 173 quinquies d.a. c.p.c., a mente del quale il giudice, con l’ordinanza di vendita, poteva disporre che la presentazione dell’offerta e della cauzione avvenissero con sistemi telematici di pagamento o con carte di debito o di credito o prepagate.
Vi era poi stato l’art. 4 co. 8 lett. d quinquies) del d.l. 193/2009, convertito con l. 24/2010, che aveva novellato l’art. 569 co. 4 c.p.c., disponendo che, sempre con l’ordinanza di vendita, il giudice potesse disporre che il versamento della cauzione, la presentazione delle offerte, lo svolgimento della gara e, nei casi previsti, l’incanto e il pagamento del prezzo potessero avvenire con modalità telematiche.
Contestualmente l’art. 4 co. 8 lett. a) del medesimo d.l. aveva introdotto l’art. 161 ter d.a. c.p.c., rubricato “vendita con modalità telematiche”, col quale si rinviava ad un decreto del Ministro della Giustizia la determinazione delle regole tecnico operative per lo svolgimento della vendita di beni mobili e immobili con modalità telematica, nei casi previsti dal codice, nel rispetto dei principi di competitività, trasparenza, semplificazione, efficacia, sicurezza, esattezza e regolarità delle procedure. Il suddetto decreto vedrà la luce quasi sei anni dopo, con la pubblicazione del d.m. 32/2015.
Interveniva infine, sul tema, l’art. 4 co. 2 lett. e) del d.l. 59/2016, convertito con modifiche dalla l. 119/2016, che, novellando nuovamente l’art. 569 co. 4 c.p.c., rende(va) sostanzialmente obbligatorie le vendite con modalità telematiche nel processo esecutivo, a decorrere dal novantesimo giorno successivo alla pubblicazione sul Portale delle Vendite Pubbliche del decreto che ne attesta la piena funzionalità (ex art. 4 co. 1 lett. e) d.l. 59/2016, in relazione all’art. 4 co. 3 bis d.l. cit., dal che si può già rilevare come, sebbene pubblicità sul P.V.P. e vendite telematiche possano costituire sistemi autonomi, essi siano stati poi materialmente concepiti dal legislatore come sistemi integrati).
2. Esperienze italiane e straniere prima del d.m. 32/2015
Tra il 2005 e l’attualità peraltro si erano avute alcune significative esperienze di vendite telematiche, sia in Italia che all’estero, esperienze senza dubbio tenute presenti dal legislatore del d.m. 32/2015.
Quanto all’estero, per segnalare gli esempi più significativi, occorre richiamare le esperienze spagnola e statunitense.
In Spagna esiste dal 2007 il Portal de subastas judiciales, un portale generale delle vendite pubbliche, del tutto analogo a quello che il legislatore ha voluto introdurre in Italia con il recente d.l. 83/2015.
La finalità espressa del Portal de subastas, come si legge nella home page, è quella di assicurare una maggior pubblicità e informazione sui beni messi all'asta, favorire la partecipazione degli interessati, limitare le turbative d'asta.
Il sistema funziona in modalità real time, nel senso che le aste si tengono online, con la simultanea presenza (online) del banditore (giudice o, più spesso, un assistente, clerk) e degli offerenti[1].
Possiamo anzi fin da ora rilevare che le vendite telematiche si possono distinguere in due grandi famiglie: le vendite real time (o sincrone, per utilizzare la terminologia del d.m.) e le vendite a termine (o asincrone, modello e-bay); esistono poi delle forme ibride.
Quanto agli Stati Uniti, possono segnalarsi due esempi, due portali, uno dedicato alla vendita-dismissione di assets pubblici, l’altro dedicato alla vendita di beni sequestrati (seized) o confiscati (forfeited) in ambito penale.
Il primo (govsales.gov) prevede sempre aste online a tempo (modello e-bay), previa registrazione.
Il secondo (treasyry.gov/auctions) prevede la possibilità di effettuare offerte telematiche, previa registrazione e identificazione (che può farsi telematicamente con una photo ID, oppure in loco).
Le aste invece si tengono in loco (cioè fisicamente nell'immobile da vendere o dove la cosa si trova), ma a volte anche online, sempre con sistema a tempo.
Nel primo portale viene specificato come esso costituisca anche parte della politica ecologica del governo, in quanto l'e-commerce ha un impatto anche sulla green economy.
Vi è infine il portale tedesco justiz-aucktion, che però riguarda solo beni mobili e opera mediante aste a tempo (modello e-bay).
Anche in Italia peraltro non erano mancate alcune esperienze intermedie.
Da un punto di vista generale, e, quindi, non con specifico riferimento alle vendite immobiliari nelle esecuzioni, ma pur sempre nell’ambito delle vendite forzate, può ricordarsi l'art. 107 l.f. (come novellato dal d.l. 5/2006), ma anche l'art. 532 c.p.c. (come novellato dal d.l. 90/2014).
In entrambi i casi però a ben vedere l'effettuazione di vendite telematiche non costituisce una novità dirompente sul piano del diritto (lo è senz'altro su quello pratico-operativo), in quanto la vendita effettuata dal curatore ai sensi dell'art. 107 c. 1 l.f., così come quella praticata dal commissionario nelle vendite mobiliari, ex art. 532 c.p.c., sono vendite di tipo privatistico, condizionate unicamente dall'esigenza di assicurare competitività e pubblicità.
Così che, quanto meno con riferimento alle vendite mobiliari, anche prima della novella non esisteva alcun ostacolo giuridico a che il commissionario si avvalesse di strumenti telematici per effettuare le vendite.
Non per niente, in ambito fallimentare, dopo la novella del d.l. 5/2006, esse venivano e vengono usualmente praticate, senza necessità di interventi legislativi legittimanti tale prassi. Così come, anche prima della novella, era ben consentito al commissionario far luogo alla vendita con modalità telematiche (solitamente, per i beni mobili, vendite di tipo e-bay).
Esperienze di vendite telematiche proceduralizzate si erano poi avute nell'ambito della dismissione dei patrimoni pubblici: Agenzia del Demanio, Ministero della Difesa, Inps, Inail, si erano avvalsi di operatori privati per organizzare vendite pubbliche con modalità telematica.
La scelta di avvalersi di tale strumento innovativo pare doversi attribuire soprattutto alla particolare tipologia dei beni posti in vendita, difficilmente appetibili per clienti che potremmo definire "retail", essendo piuttosto appannaggio di investitori o di soggetti facoltosi[2].
Di qui l'esigenza di favorire la partecipazione di tali soggetti, ovviamente e potenzialmente provenienti dalle più diverse parti d'Italia (o anche dall'estero).
Un'esperienza molto significativa è stata invece quella della Rete Aste del Notariato (R.A.N.).
Si tratta di un sistema intranet (Notartel), accessibile cioè solo ai Notai, che ha la finalità principale di consentire l'accesso alle vendite anche a chi si trovi a distanza dal luogo ove la vendita si svolge. La rete sfrutta i notai "periferici", che provvedono all'identificazione dell'offerente, alla ricezione dell'offerta e all'invio telematico della stessa al notaio banditore/referente. Il giorno e l'ora designati per la vendita/gara i notai periferici presso i quali sian state presentate offerte si connettono alla R.A.N. e, avuta la presenza dell'offerente, fanno le offerte per conto di questi; i rilanci sono visibili al notaio banditore, che, all'esito, redige il verbale di aggiudicazione.
Tale sistema intende coniugare l'esigenza di favorire la più ampia partecipazione del pubblico alle vendite, consentendo agli interessati che si trovino a distanza di compiere tutte le operazioni presso il notaio più vicino, senza rinunciare alla certezza dell'identificazione dell'offerente e della segretezza delle offerte e regolarità della procedura, assicurate dal pubblico ufficiale periferico.
Intanto alcuni Tribunali italiani si erano fatti pionieri di questa nuova frontiera delle vendite e avevano fatto ricorso alle vendite in forma telematica anche nelle esecuzioni immobiliari, pur in mancanza del decreto ministeriale[3].
Il Tribunale che, forse, più di ogni altro aveva puntato su questa modalità di vendita è stato sicuramente il Tribunale di Verbania.
La finalità dichiarata, fin nel testo dell'ordinanza, era quella di sviluppare un modello di vendita telematica che, nel rispetto della trasparenza e degli altri principi di cui all'art. 161 ter d.a. c.p.c., consentisse di sviluppare la competizione tra gli offerenti, ottenere prezzi di aggiudicazione più elevati, contenere le spese di pubblicità e l'impegno per la cancelleria[4].
Il modello utilizzato era del tipo vendita a termine o prolungata (e-bay), con un tempo per la presentazione delle offerte piuttosto esteso, fino a due mesi, con prolungamento automatico dell'asta di due giorni, laddove fossero pervenute offerte oltre le ore 12,00 del giorno conclusivo della gara. L'utente doveva registrarsi al sito (caricando una copia del documento d'identità), dare cauzione (tramite bonifico), quindi il sistema assegnava un codice per la partecipazione alla singola gara; verificato il versamento della cauzione, il sistema abilitava l'utente alla partecipazione alla gara. L'aggiudicazione era provvisoria, seguita da un'udienza nella quale aveva poi luogo l'aggiudicazione definitiva[5].
3. Riflessioni
3.1. Quando (non) si fa la vendita telematica
L’art. 569 co. 4 c.p.c. recita oggi, per effetto della novella apportata con d.l. 59/2016, “Con la medesima ordinanza il giudice stabilisce, salvo che sia pregiudizievole per gli interessi dei creditori o per il sollecito svolgimento della procedura, che il versamento della cauzione, la presentazione delle offerte, lo svolgimento della gara tra gli offerenti…l’incanto, nonchè il pagamento del prezzo, siano effettuati con modalità telematiche, nel rispetto della normativa regolamentare di cui all’art. 161 ter d.a. c.p.c”.
L’uso del modo indicativo “stabilisce” rende evidente come la vendita con modalità telematiche debba oggi intendersi come la regola, la quale conosce tuttavia una deroga per il caso in cui tale modalità di svolgimento delle operazioni di vendita sia pregiudizievole per gli interessi dei creditori o per il sollecito svolgimento della procedura.
Il rapporto tra vendita telematica e vendita tradizionale si pone quindi nei termini di regola ed eccezione, e ciò consente subito si rifiutare decisamente che l’espressione salvo che sia pregiudizievole per gli interessi dei creditori possa intendersi – come pure è stato sostenuto, fortunatamente in modo isolato - nel senso di rimettere sistematicamente ai creditori la scelta se far svolgere o meno la vendita con modalità telematiche.
E’ infatti bensì vero che l’art. 569 c.p.c. impone di sentire i predetti in ordine ai modi e ai tempi della vendita, ma si tratta all’evidenza di un parere consultivo non vincolante, in quanto il codice riserva al G.E. – a differenza di quanto accade nel fallimento, ove le scelte strategiche vengono rimesse al Curatore, unitamente al C.D.C. - una funzione dirigista, nel senso che è al giudice dell’esecuzione che il codice ancora riserva il potere di adottare le decisioni fondamentali all’interno del processo esecutivo, che poi – a parte le parentesi cognitive – si sostanziano nell’adozione degli atti esecutivi strictu sensu, ossia gli atti conclusivi di ciascun subprocedimento di cui si compone il processo esecutivo (Cass. 11178/1995), tra i quali il principale è oggi costituito proprio dall’O.D.V., atto conclusivo della fase istruttoria e atto pianificatorio delle fasi successive, le quali, sempre secondo le più recenti novelle, dovrebbero essere seguite da un delegato (peraltro può osservarsi che, anche in caso di delega, l’art. 591 bis c.p.c. pare riservare al G.E. gli atti conclusivi di ciascun subprocedimento, ossia la sottoscrizione del D.D.T. e l’approvazione del P.D.D., con una possibilità di ampliamento dei poteri del delegato quando l’atto sia per così dire “vincolato”, come quando l’aggiudicazione avvenga al prezzo di riserva).
D’altro canto a rimettere la scelta al ceto creditorio o a fare dell’interesse di quest’ultimo l’unico faro ermeneutico, si rischierebbe seriamente di non dover disporre mai la vendita con modalità telematiche. L’interesse dei creditori (che poi va di pari passo con quello al sollecito svolgimento della procedura, tanto che l’espressione contenuta nella norma può intendersi quasi come un’endiadi) è ovviamente di vendere prima e meglio ed è generalmente accettato che, quanto meno nella fase iniziale, la vendita con modalità telematiche potrà comportare una riduzione delle vendite.
Non va poi trascurato come la rimessione della scelta ai creditori finirebbe con il frammentare le condizioni di vendita all’interno dello stesso ufficio giudiziario, disarticolando la fase liquidativa in una molteplicità di opzioni, in grado di disorientare il pubblico, essendo invece più opportuno che, salvo i casi in cui sia necessario valorizzare singole specificità di una particolate esecuzione, tutte le vendite di un medesimo ufficio giudiziario si svolgano in maniera pressochè analoga (un po’ come nel mercato le imprese tendono a standardizzare le proprie contrattazioni, attraverso condizioni generali di contratto e moduli e formulari, sia per chiarezza verso la clientela, sia per velocizzare le transazioni; e non si può negare che, da questo punto di vista, l’ufficio esecuzioni di un tribunale si presenti o dovrebbe avere l’ambizione di presentarsi come una grande agenzia immobiliare, anzi, la prima agenzia immobiliare del proprio territorio).
Nel tentativo di dare un contenuto alla criptica espressione legislativa, può essere utile riscrivere la norma come se dicesse: “…il giudice stabilisce che la vendita si svolga in forma telematica quando…”, ossia interrogarsi, anziché sui casi in cui sia possibile non disporre la vendita con modalità telematiche, sui casi in cui sia obbligatorio ricorrervi.
La risposta all’interrogativo può essere rinvenuta se si riflette sulle finalità che il legislatore intende perseguire con tale modalità di vendita; in particolare, enucleando dai principi elencati dall’art. 161 ter d.a. c.p.c., occorre porre l’accento sulla trasparenza, competitività, regolarità delle procedure. Ed in effetti storicamente, a partire dall’introduzione dell’art. 173 quinquies d.a. c.p.c. ad opera del d.l. 35/2005, la ragione storica dell’introduzione di tale modalità di svolgimento delle operazioni di vendita è stata quella di evitare turbative e opacità delle vendite, assicurare trasparenza, in un ambiente tradizionalmente visto dal pubblico come inquinato, se non corrotto.
Condizione indispensabile, quindi, perché il giudice possa decidere di non far luogo alla vendita telematica, è che si possa presumere che in nessun caso, per la tipologia del bene o del debitore o del contesto o dei potenziali interessati, possa risultare compromessa la trasparenza della procedura, qualunque siano gli interessi dei creditori o le esigenze di sollecita definizione
Questo perché, per il legislatore, la tutela del sistema delle vendite pubbliche (o, se si vuole, delle vendite pubbliche come sistema, come mercato) è più importante della tutela dell’interesse del singolo creditore nella specifica procedura, e ciò perché l’immagine di trasparenza di tale sistema è funzionale alla miglior tutela del credito in generale (se funziona il mercato delle vendite pubbliche, è più efficiente la tutela del credito). Del resto nel senso di una maggior protezione e convenienza delle vendite pubbliche si sono mossi di recente sia la giurisprudenza (cfr ad es. Cass. SS.UU. 21110/2012, stabilità dell’aggiudicazione; Cass. SS.UU. 262/2010, parità tra i concorrenti; Cass. 18451/2015, giusto prezzo e regolarità delle procedure), sia il legislatore (può essere richiamata la tendenza, da un decennio a questa parte, ad anticipare alla fase c.d. istruttoria dell’esecuzione tutti gli incidenti che potevano ostacolare il rapido svolgimento della fase liquidativa, dall’introduzione del termine di decadenza per la presentazione dell’istanza di conversione, fino alla più recente previsione di un termine decadenziale addirittura per la presentazione dell’opposizione all’esecuzione).
Solo una volta dunque che sia garantita la trasparenza della procedura, o che si possa ragionevolmente ritenere che essa sia assicurata, si può pensare a situazioni residuali nelle quali può ancora farsi luogo alla vendita con modalità tradizionali, legate al profilo dei potenziali interessati (ad es. bene che interessa solo ai confinanti, custode che ha già ricevuto offerte, bene che sia rimasto invenduto per un certo numero di esperimenti, ecc.), mentre non sembra rilevante invece il valore del bene in sé (se non quando illumini il profilo dei possibili interessati).
Tutto questo evidenzia l’importanza di arrivare all’udienza ex art. 569 c.p.c. preparati e con un bagaglio di informazioni appropriato, che il giudice deve esigere dagli ausiliari, esperto e custode, nominati contestualmente, come recentemente indicato dalle linee guida del C.S.M., ma da tempo suggerito dalle migliori prassi virtuose.
3.2. L’adeguamento delle ordinanze di vendita e delle deleghe
Secondo l’art. 4 co. 5 d.l. 59/2016, l’art. 569 co. 4 c.p.c., nella sua nuova e attuale formulazione, entra in vigore a partire dal novantesimo giorno successivo alla pubblicazione in G.U. del decreto che attesta la piena funzionalità del P.V.P., ciò che è avvenuto il 10 gennaio 2018, e le nuove disposizioni si applicano alle vendite disposte dal giudice o dal professionista delegato dopo tale data.
Sebbene ciò possa indurre a ritenere che la norma sia di immediata applicazione, nel senso che il professionista delegato, già all’indomani del fatidico 10 aprile 2018, all’atto di avviare un nuovo esperimento di vendita, potrebbe autonomamente stabilire che la stessa abbia luogo in forma telematica, deve al contrario precisarsi che la modifica non potrà riguardare (se non alle condizioni di cui appresso) le vendite già disposte, che continueranno a seguire le disposizioni della relativa ordinanza di vendita.
Le ordinanze di vendita vecchie infatti sopravvivono, quali lex specialis della fase liquidativa (Cass. 9255/2015[6]), fino alla scadenza della delega o alla loro modifica da parte del G.E., né può pensarsi ad un adeguamento automatico delle forme della vendita ad opera del delegato, in quanto ciò potrebbe ritenersi possibile, a tutto concedere, solamente quando, dopo che è stata già emanata l’O.D.V., vengano introdotte nuove disposizioni di legge a carattere autoapplicativo, per tali intendendosi quelle che, per potersi applicare, non richiedono il medium dell’effettuazione da parte del G.E. di scelte discrezionali, essendo autoevidenti nell’an e nel quomodo (tale è ad es. l’art. 490 co. 1 c.p.c., come novellato dal d.l. 83/2015, convertito con l. 132/2015, che prevede l’obbligatorietà della pubblicità sul Portale delle Vendite Pubbliche).
Nel caso delle vendite telematiche, invece, sussistono spazi di discrezionalità che non possono essere colmati dal professionista delegato (scelta se fare o meno la vendita con modalità telematica, scelta del tipo di vendita telematica, scelta del gestore, ecc.), ma rimangono appannaggio esclusivo del G.E., in quanto è quest’ultimo l’organo della procedura al quale compete per legge, ex art. 569 co. 1 c.p.c., sentiti i creditori, stabilire i modi e i tempi della vendita (ed è evidente che il tema delle vendite telematiche attenga proprio a questi aspetti).
Rimane tuttavia l’inopportunità di mantenere un doppio binario di vendita, uno con modalità tradizionali, per le vendite già disposte, l’altro con modalità telematiche, per le O.D.V. emesse dopo il 10 aprile 2018, e ciò perché l’uniformità di condotta e di condizioni generali di approccio al cliente costituisce, per qualsiasi operatore economico che si proponga, come il tribunale, di effettuare transazioni di massa, un indubbio valore, proprio a tutela di quei principi di speditezza, trasparenza, chiarezza delle procedure affermati anche dall’art. 161 ter d.a. c.p.c.
In tal senso l’adeguamento delle modalità di vendita dovrebbe allora passare per una circolare urbi et orbi.
La problematica delle modalità operative per addivenire al risultato di una modifica massiva di tutte le ordinanze di vendita già emesse, senza passare per l’intervento in ogni singolo fascicolo, cosa impensabile in tribunali anche solo di medie dimensioni, non è nuova, in quanto si era già posta all’indomani del d.l. 83/2015, che aveva modificato alcune disposizioni in tema di offerta e di assegnazione, e la soluzione pretoria era passata proprio per l’emanazione di una circolare modificativa c.d. urbi et orbi.
Ma una circolare è comunque ancora un atto interno, tra il G.E. e i suoi delegati, mentre, per poter modificare le condizioni di vendita con efficacia verso il pubblico, necessita di essere portata a conoscenza del pubblico stesso.
Nel tentativo di coniugare l’esigenza di salvare questa modalità semplificata di intervento modificativo, con l’esigenza di assicurare altresì la regolarità del procedimento liquidativo, la Cassazione, in un recente arresto, ha delineato le condizioni alle quali una tale circolare possa effettivamente produrre l’effetto di modificare istantaneamente tutte le ordinanze di vendita (cfr Cass. N. 3607 del 24.02.2015, Pres. Salmè, est. Rubino “…è valida la vendita senza incanto, qualora l’aggiudicatario versi il saldo prezzo nel termine – diverso e maggiore rispetto a quello originariamente fissato nell’ordinanza ex art. 569 c.p.c. – successivamente stabilito dal G.E., con provvedimento generale, modificativo delle condizioni di svolgimento di tutte le vendite forzate dell’ufficio, che sia stato emesso prima dell’esperimento di vendita e pubblicizzato nelle forme dell’art. 490 c.p.c.”).
La circolare, insomma, è soggetta alle stesse forme di pubblicità dell’originaria ordinanza di vendita e degli avvisi di vendita, pubblicità sul sito del tribunale, sui siti internet autorizzati e, ora, anche sul P.V.P.
Si ribadisce come un tale intervento modificativo appaia opportuno, al fine di uniformare le modalità di vendita presso uno stesso ufficio giudiziario, evitando di creare un doppio binario che potrebbe ingenerare confusione nel pubblico e, d’altra parte, indurre gli interessati ad orientarsi verso l’acquisto di immobili per i quali la vendita si svolga nelle forme tradizionali, più semplici e più familiari, rispetto ad immobili per i quali la vendita si svolga in modalità telematica.
3.3. La scelta del tipo di vendita
Una delle scelte cruciali sarà quella della tipologia di vendita da adottare, sincrona pura, asincrona o sincrona mista.
Tutte e tre presentano pro e contra, che è bene passare in rassegna.
In generale, si ritiene che il problema più grave con cui le vendite telematiche (soprattutto la sincrona e in buona misura anche la asincrona) saranno destinate a scontrarsi sia la scarsa digitalizzazione e i bassi skills informatici della popolazione.
Riprendendo i dati dell’agenda digitale italiana 2014-2020, il quadro non appare molto confortante, soprattutto se si passa dall’utilizzo di servizi semplici, come social network o servizi di telefonia mobile, a servizi interattivi, in particolare legati all’e-commerce e all’e-government.[7]
Le ragioni vanno ricercate da un lato nel cronico ritardo strutturale del nostro paese (banda larga e ultra larga, PEC, firma digitale), dall’altro in ragioni socio-culturali e demografiche (mancanza di adeguati skills digitali).
Questo è sicuramente il vizio principale e genetico della vendita sincrona pura, accentuato dal fatto che l’architettura tecnico-informatica predisposta per la presentazione delle offerte appare piuttosto complessa anche per un operatore non digiuno di competenze informatiche (a prescindere dalla necessità di strumenti quali la PEC e la firma digitale, non diffusi tra la popolazione).
Per tale motivo da taluni si è ritenuto preferibile, almeno in un primo momento, disporre che la vendita abbia luogo con modalità mista, soprattutto al fine di consentire una transizione graduale alle vendite telematiche vere e proprie e al fine di evitare che un brusco passaggio dalle forme tradizionali a quelle telematiche possa determinare, all’inizio, un altrettanto brusco calo delle vendite (così ponendo sul piatto il tema dell’efficacia dell’esecuzione per espropriazione, quale strumento recuperatorio e di tutela del credito).
Malgrado tale intento possa sembrare lodevole, esso non sembra tenere in adeguato conto le finalità delle vendite telematiche e, in generale, il contesto normativo.
Non può nascondersi infatti come le tre forme di vendita disciplinate dal d.m. 32/2015 non si pongano tutte sullo stesso piano e anzi proprio la vendita sincrona mista si presenti come quella che pone le maggiori criticità in rapporto alla ratio stessa delle vendite telematiche, ossia la tutela della trasparenza del sistema delle vendite pubbliche.
Da questo punto di vista l’art. 569 co. 4 c.p.c. (come novellato dal d.l. 59/2016), l’art. 161 ter d.a. c.p.c. e il d.m. 32/2015 non sono una novità assoluta, in quanto il legislatore, come già supra accennato, aveva iniziato a dare rilievo ed importanza all’aspetto della trasparenza sin dalla prima riforma del processo esecutivo, col d.l. 35/2005, quando era stato introdotto l’art. 173 quinques d.a. c.p.c. (che consente che la presentazione dell’offerta e il pagamento della cauzione vengano effettuati con modalità telematiche o con carte di credito o debito, ecc.), proseguendo poi il percorso con la novella dell’art. 569 co. 4 c.p.c. (ove pure si prevedeva che certi atti del procedimento di vendita potessero svolgersi telematicamente).
Si trattava delle primissime forme di spersonalizzazione del procedimento liquidatorio (dal punto di vista normativo, in quanto a livello di best practices diversi uffici giudiziari si erano già mossi in tal senso), nel tentativo di sgombrare il campo da ogni possibilità di inquinamento e/o interferenza nelle vendite.
Ora appare quasi scontato osservare che la vendita mista si pone in termini altamente problematici (per non dire inconciliabili) rispetto all’esigenza di tutela della trasparenza, in quanto, consentendo la presentazione dell’offerta e la partecipazione all’udienza di vendita e all’eventuale gara in forma tradizionale, tende a reiterare i vizi di opacità di quest’ultima e, anzi, se possibile, ad accentuarli, in quanto nella vendita tradizionale, quanto meno, i partecipanti alla vendita si ritrovano in udienza tutti l’uno di fronte all’altro e di fronte al giudice, avendo la possibilità di guardarsi negli occhi, di misurarsi e di constatare la regolarità della procedura; laddove al contrario, nella vendita mista, vi potrebbe essere un eventuale offerente virtuale, che non ha la possibilità di verificare quanto accade nell’aula reale, tra le parti ivi fisicamente presenti e il giudice, con buona pace della trasparenza.
Insomma, la vendita mista pare un sistema atto ad esaltare i sospetti di opacità delle vendite pubbliche, piuttosto che a fugarli.
D’altro canto, lo stesso dettato normativo dovrebbe portare a ritenere la vendita mista come forma residuale rispetto alle altre due forme di vendita telematica.
Se infatti per l’art. 569 c.p.c. il giudice oggi può far luogo alla vendita in forma tradizionale solo quando ciò non sia pregiudizievole per i creditori o la celerità della procedura, e abbiamo visto che tale formula va interpretata comunque nel senso che non c’è esigenza di tutela dei creditori o della celerità della procedura che possa prevalere sulla salvaguardia comunque della finalità delle vendite telematiche, ossia la tutela della trasparenza, è evidente che tale ragionamento non può non valere anche con riferimento a quelle forme di vendita telematica che tendano a riprodurre i vizi della vendita tradizionale, come appunto accade con la vendita mista.
L’idea che tutte le forme di vendita telematica siano parimenti legittime ed equipollenti, sol perché previste dal d.m. 32/2015, e possano quindi essere indifferentemente disposte, con preferenza da accordarsi unicamente in forza della rispettiva diversa efficacia (tesi pure avanzata, in ambito pretorio, dai sostenitori della vendita mista, il cui ragionamento pare essere, in estrema sintesi, nel senso che, essendo la vendita mista prevista dal regolamento, senza specificazioni di sorta, essa avrebbe la stessa legittimità e dignità delle altre due forme), appare semplicistica e, oltre a non risultare corretta – ad avviso di chi scrive ovviamente - sotto il profilo ermeneutico, per le ragioni sopra esposte, rischia di contrastare e frustrare la ratio delle vendite telematiche.
L’idea poi che vi sia una efficacia delle procedure da salvaguardare a discapito di ogni altro valore, compresa la trasparenza, rischia di creare una contrapposizione (trasparenza vs efficacia) che è fallace, perché, come visto, il legislatore intende tutelare l’efficacia delle vendite pubbliche proprio attraverso la salvaguardia della loro trasparenza, consapevole che ciò che troppo spesso allontana il grande pubblico dal mercato che ci riguarda è, oltre all’elevato grado di burocrazia, anche il timore e la fama di opacità che le circonda e che si vuole spazzare via, a torto o a ragione sarà il tempo a dirlo, attraverso l’anonimato e la spersonalizzazione assicurata dalla digitalizzazione del procedimento.
In altre parole, la tutela del credito passa attraverso il buon funzionamento del mercato delle vendite pubbliche, ma, stante l’impossibilità di grossi investimenti pubblicitari su questo, la sua forza e la sua capacità di proporsi come valida e credibile alternativa al libero mercato non può che risiedere nei valori ai quali è informato, segnatamente la convenienza (sicurezza degli acquisti – cfr indagini e contenuti della perizia di stima ex art. 173 bis d.a. cpc e giurisprudenza sulla stabilità dell’aggiudicazione – e offerta outlet) e la trasparenza e regolarità delle procedure. Vi è stato cioè negli ultimi anni, sia a livello legislativo che giurisprudenziale, uno spiccato tentativo di attrarre il pubblico, mediante la valorizzazione di quegli aspetti delle vendite forzate che possono caratterizzarle in melius rispetto alle vendite nel libero mercato, sicurezza, convenienza e trasparenza in primis.
Non si può poi trascurare, ad colorandum, che la vendita mista reca con sé il rischio che, malgrado l’avviso di vendita preveda entrambe le modalità di partecipazione alla vendita, il pubblico continui a preferire - foss’anche per mera inerzia o diffidenza per il nuovo - la partecipazione nelle forme tradizionali, col che si sarà formalmente rispettato il dettato normativo, che impone di disporre la vendita con modalità telematica, ma sostanzialmente lo si sarà disatteso, proseguendosi a fare quello che si è sempre fatto (tutto cambi perché tutto rimanga come prima), ritardando semplicemente l’entrata in vigore a tutti gli effetti delle vendite telematiche vere e proprie.
Rimangono la vendita asincrona e la vendita sincrona pura.
Della sincrona pura s’è detto, essa reca con sé il fardello degli scarsi skills digitali del pubblico, e per di più il sistema delineato dal d.m. 32/2015, in uno con le specifiche tecniche (PEC, firma digitale, strumenti in dotazione per lo più solo a imprese e professionisti, modulo per l’offerta telematica, ecc.) è di per sé tale da rendere ancora più complicato per il quivis de populo l’approccio alla procedura.
Da questo punto di vista la vendita asincrona pare almeno idonea a limitare i danni, presentando numerosi profili che la rendono preferibile: la familiarità con il meccanismo tipo e-bay, ormai noto al grande pubblico; la maggior attitudine, grazie al tempo di estensione della gara, a consentire agli offerenti scelte meditate, soprattutto in un settore come quello dell’acquisto immobiliare, vieppiù se della prima casa, tradizionalmente importante nella mentalità italiana; la più agevole gestione, anche per il delegato, o per il giudice dell’esecuzione; i buoni risultati che tale modalità di vendita ha riscontrato nell’esperienza del tribunale di Verbania (anche se, occorre sottolinearlo, lì si trattava di una vendita le cui modalità di svolgimento erano in tutto e per tutto analoghe a quelle e-bay, mentre la vendita asincrona disegnata dal d.m. 32/2015 ha delle peculiarità che la rendono un po’ più complessa).
Una criticità potrebbe rinvenirsi nel rischio che un tale tipo di vendita possa frustrare il meccanismo pensato e disegnato dal legislatore del 2015, con l’introduzione dell’offerta c.d. outlet, ossia la possibilità di partecipare all’asta presentando un’offerta ridotta del 25% rispetto al prezzo base.
Al netto del fatto che forse occorrerebbe un ripensamento sull’intero sistema italiano delle aste a ribasso (di per sé idoneo a favorire speculazioni e svalutazioni, a differenza di altri sistemi in uso presso altri paesi), si tratterebbe di un meccanismo ispirato alla teoria dei giochi, dove l’offerta outlet sarebbe volta ad attrarre giocatori, con la prospettiva di una vincita facile e a basso costo, per poi sfruttare la naturale propensione degli stessi alla competizione per recuperare[8].
In altre parole, laddove alla vendita partecipino più offerenti, tutti entrati con l’offerta minima, si confida di recuperare con la gara tra gli stessi il gap tra prezzo base e prezzo offerto; laddove vi sia un solo offerente, si sarà comunque guadagnato tempo, anticipando di fatto l’esperimento di vendita successivo.
Si teme dunque che la vendita asincrona possa frustrare questo meccanismo, dilatando i tempi della gara e, con ciò, diluendo la tensione e propensione alla competizione tra gli offerenti. L’estensione temporale insomma, favorirebbe scelte più razionali e ponderate, a discapito dello spirito di competizione che un’asta hic et nunc potrebbe innescare.
In realtà gli esperti della teoria dei giochi sembrerebbero smentire tale timore, in quanto la vendita asincrona, per la quale è prevista la comunicazione ai partecipanti di ogni rilancio, non va a frustrare, ma esalterebbe questo meccanismo competitivo[9].
Se ciò è vero, la vendita asincrona parrebbe, tra le forme di vendita telematica, quella in grado di esaltare la trasparenza della procedura, contenendo i difetti della vendita sincrona pura.
Una criticità da taluni paventata è anche quella per cui, proprio a causa dell’estensione della gara, sarebbe a rischio il principio della sicurezza delle procedure, essendo più agevole l’intrusione nel sistema e l’alterazione dei dati.
Se questo può essere astrattamente vero (ma la questione attiene più che altro a chi ha il compito di mettere a punto l’architettura informatica del sistema, dal software per la predisposizione e criptazione dell’offerta, fino alla conclusione della gara), il rischio può comunque essere adeguatamente contenuto prevedendo un’estensione della gara in termini di poche ore, invece che di giorni, ossia riducendo al minimo il tempo di estensione della gara.
3.4. La scelta del gestore
Non si affronterà qui il problema complesso, ma di carattere organizzativo generale dell'ufficio, se la scelta del gestore debba avvenire tramite una gara, ovvero debba essere rimessa al singolo giudice, magari previo coordinamento con gli altri magistrati della sezione, eventualmente a seguito di riunione ex art. 47 quater Ord.Giud. o tacito accordo.
Del resto tanto il gestore della pubblicità, quanto il gestore delle vendite telematiche sono normalmente qualificati quali ausiliari del giudice, ex art. 68 c.p.c., così che appare evidente che, quantunque venga espletata una procedura competitiva, il potere di scelta del singolo magistrato sul punto non potrebbe in alcun modo risultarne compromesso e, anzi, si rischierebbe di ingenerare nel vincitore la legittima aspettativa ad un vantaggio economico che in nessun caso l’ufficio banditore non potrebbe assicurare, pena l’ingerenza in scelte proprie del singolo magistrato.
E’ stata adombrata l’idea di rimettere al delegato la scelta del gestore (e i relativi costi), sul presupposto che l’attività del gestore della vendita telematica, si differenzierebbe da quella degli altri ausiliari che cooperano all’interno del processo esecutivo, dall’esperto, al custode, al delegato, alle società che gestiscono i siti di pubblicità: mentre infatti questi porrebbero in essere un’attività direttamente funzionale al raggiungimento dello scopo del processo esecutivo, ossia la vendita e la distribuzione del ricavato, al contrario l’attività del gestore della vendita telematica non avrebbe diretta incidenza su tale scopo, ma sarebbe in realtà mera attività di gestione (o supporto alla gestione) di una fase della procedura, quella della vendita, così che non sarebbe peregrino che fosse il delegato stesso a scegliersi il gestionale a lui più congeniale, tenuto del resto conto che i portali dei gestori potranno differenziarsi graficamente e per altri dettagli, ma utilizzano di fatto poi tutti lo stesso software ministeriale e debbono essere conformi alle specifiche tecniche diramate dallo stesso Ministero.
Sebbene si tratti di una prospettiva suggestiva, si ritiene che essa non possa condividersi, sia in diritto, che in fatto.
In diritto, il d.m. 32/2015, all’art. 2 co. 1 lett. b) definisce il gestore della vendita telematica come il soggetto costituito in forma societaria autorizzato dal giudice a gestire la vendita telematica.
Il dettato normativo parrebbe sufficientemente chiaro nell’attribuire al giudice dell’esecuzione e non ad altri soggetti la scelta del gestore e tale opzione del legislatore è in linea con il ruolo dirigista che all’interno della procedura esecutiva pertocca al G.E., tenuto conto che la scelta del gestore della vendita telematica implica valutazioni discrezionali e strategiche, sia di tipo formale, che sostanziale.
Sotto il primo profilo può richiamarsi la verifica dell’iscrizione del gestore nell’apposito registro di cui all’art. 3 e ss del d.m. cit. (e, per chi intenda fare verifiche approfondite, anche il rispetto degli altri requisiti di cui all’art. 4 d.m. cit., quali la polizza fideiussoria, il soggetto che l’ha rilasciata – se trattasi ad es. di primaria compagnia assicuratrice o meno -, l’adozione del manuale operativo, la pubblicità dei prezzi praticati, ecc., perché, se è vero che la competenza per la tenuta del registro spetta al Ministero, è altrettanto vero che al G.E. spetta un potere si segnalazione, ex art. 7 co. 2 d.m. cit.).
Sotto il secondo profilo, quello sostanziale, si tratta di soppesare l’affidabilità del gestore (ad es. può essere utile sapere se un dato gestore abbia già avuto esperienze di gestione di vendite telematiche, vuoi in ambito fallimentare, vuoi nell’ambito delle dismissioni di asstes pubblici), i prezzi del servizio, se siano posti a carico della procedura o dell’aggiudicatario (il che potrebbe disincentivare gli interessati, tenuto conto che le vendite pubbliche si ispirano al principio only in one, pago il prezzo, non devo altro, non mi ritrovo sorprese), il carattere più o meno friendly del portale e dell’interfaccia.
L’aspetto che, tuttavia, pare destinato ad avere il peso specifico maggiore nella scelta, più ancora che il prezzo (per il quale è del resto presumibile che i diversi gestori si differenzieranno per poche decine di euro), è quello dei servizi di assistenza messi a disposizione del gestore, sia in favore dei referenti della vendita telematica, sia soprattutto a favore del pubblico.
Si è detto e va rimarcato che le vendite telematiche saranno molto verosimilmente destinate a scontrarsi, almeno (si auspica) in un primo periodo, con l’ostacolo dato dagli scarsi skills digitali della popolazione italiana, che saranno anzi accentuate dalla circostanza che l’architettura disegnata dal d.m. 32/2015 e dalle specifiche tecniche appare idonea ad accentuare, piuttosto che a semplificare, questo gap, sia per la scelta degli strumenti operativi (PEC, firma digitale, diffusi solo tra professionisti e imprese), sia per la complessità del modulo dell’offerta telematica predisposto dal ministero.
E’ quindi evidente che l’impatto negativo dell’entrata in vigore di tale sistema è destinato ad essere tanto più mitigato, quanto più siano predisposti dai gestori idonei presidi d’ausilio per l’utenza, quali info point/help desk, numero verde, chat, ecc., pur essendo facilmente prevedibile che la complessità del meccanismo favorirà comunque la nascita di nuove figure di soggetti, soprattutto professionisti, in possesso sia di PEC che di firma digitale, che si proporranno al pubblico per l’assistenza nelle operazioni di formulazione e invio dell’offerta (di fatto la parte più complessa del meccanismo, in quanto la fase della gara richiede semplicemente la connessione al portale a mezzo del codice inviato dal gestore via SMS e PEC).
Naturalmente l’help desk potrà fornire assistenza solo per la fase della formulazione ed invio dell’offerta (e a condizione che ne sia comunque assicurata la segretezza), non nella fase della gara, altrimenti si ripresenterebbe al desk l’inconveniente della presenza fisica degli offerenti, tipica della vendita tradizionale, che la vendita telematica intende scongiurare. Numero verde e chat dovranno essere operativi per l’arco temporale più esteso possibile, sia in termini di giorni della settimana, sia in termini di ore del giorno, tenuto conto che, si presume, l’utente si accingerà ad effettuare l’offerta quando non è a lavoro, quindi nel tardo pomeriggio o nel fine settimana, così che prevedere un servizio disponibile dal lunedì al venerdì dalla 9 alle 17 potrebbe risultare di poca o nessuna utilità per le procedure (ciò che si accentua se viene disposta la vendita asincrona, con estensione della gara per alcuni giorni, compresi sabato e domenica, ciò che potrebbe accadere anche nel caso in cui si adottasse lo stratagemma di prevedere un automatico prolungamento della gara, laddove venga effettuata un’offerta in limine, ad es. negli ultimi 5 minuti).
In alcuni casi è stato previsto l’allestimento di una sala d’aste, ma tale allestimento sembra utile solamente laddove si opti per la vendita mista, che invece, come detto, dovrebbe essere recessiva.
Saranno verosimilmente quindi i servizi accessori di assistenza, e non i prezzi, a determinare le scelte.
3.5. Il diritto di visita da parte degli interessati
L’Art. 560, co. 5 c.p.c. (modificato dal d.l. 59/2016) dispone che “…gli interessati a presentare l’offerta d’acquisto hanno diritto di esaminare i beni entro 15 giorni dalla richiesta. La richiesta è formulata esclusivamente attraverso il portale delle vendite pubbliche e non può essere resa nota a persona diversa dal custode”.
Il Punto 1.4.2. delle specifiche tecniche aggiunge: “il soggetto interessato all’acquisto di un immobile posto in vendita per espropriazione immobiliare può chiedere al custode la prenotazione di una visita. Il servizio di prenotazione è disponibile nella pagina di dettaglio dell’inserzione. La modalità per richiedere una visita prevede l’invio di una mail all’indirizzo di posta elettronica indicato in fase di pubblicazione dell’avviso dal soggetto legittimato alla pubblicazione…”
Ai sensi dell'art. 4 co. 4bis d.l. 59/2016, come convertito dalla l. 119/2016, la nuova disciplina è destinata ad entrare in vigore a decorrere dal novantesimo giorno successivo alla pubblicazione in G.U. del decreto che attesta la piena funzionalità del Portale delle Vendite Pubbliche, pubblicazione come noto avvenuta in data 10.01.2018.
La nuova disciplina fa riferimento al P.V.P., ma la sua entrata in vigore è collegata all'entrata in vigore delle disposizioni sulle vendite telematiche, sicchè se ne tratta in questa sede.
Essa pone all'interprete alcuni quesiti, sui quali occorre soffermarsi e ai quali occorre tentare di rispondere, in quanto la violazione delle nuove disposizioni potrebbe portare ad una invalidità dell'intero procedimento di vendita.
In particolare, ci si chiede cosa accada se l’interessato, anzichè inoltrare la richiesta di visita e/o informazioni mediante il Portale, lo faccia contattando direttamente il custode. L’interessato ha comunque “diritto” alla visita entro 15 giorni? Oppure il Custode può disattendere o ignorare tale richiesta, senza che vi siano ripercussioni sulla procedura di vendita? Cosa accade invece nel caso in cui il custode non soddisfi la richiesta di visita formulata dall’interessato correttamente e nei termini attraverso il Portale?
A quest'ultimo quesito pare più semplice rispondere, nel senso che, laddove l'interessato formuli la richiesta di visita tramite il Portale, quindi nel rispetto delle forme imposte dalla legge, il Custode non potrebbe sottrarsi all'obbligo di far effettuare all'interessato stesso la visita.
Che in capo al Custode sussista un vero e proprio obbligo, pare doversi desumere dalla circostanza che la posizione giuridica dell'interessato è qualificata come di vero e proprio diritto.
Più che di un obbligo in capo al custode, peraltro, parrebbe corretto parlare di un dovere, tenuto conto che la Custodia non fa sorgere rapporti negoziali tra le parti del processo esecutivo e tanto meno con i terzi che vi vengano in contatto, trattandosi piuttosto, come noto e come usualmente si ritrova in dottrina, di un "...rappresentante di un ufficio, titolare di un munus publicum, avente ad oggetto la gestione di un patrimonio autonomo/separato, costituito dal compendio dei beni immobili pignorati, provvisoriamente sottratto a chi ne aveva la disponibilità, in quanto tale titolare di una legittimazione, funzionalmente limitata, ad agire in nome dell'ufficio e per conto di chi spetta, cioè del soggetto cui i beni andranno attribuiti all'esito della procedura (aggiudicatario/assegnatario o debitore in caso di estinzione)".
Si tratterebbe insomma, quanto alle visite, di un dovere connaturato alle funzioni liquidative assegnate al custode sin dalla riforma del 2005/2006, ma spesso purtroppo trascurato, non essendo rari i casi di acquisti effettuati senza che il Custode sia riuscito a soddisfare la richiesta di visita.
Non sembra che sia dunque sotto tale profilo che la qualificazione della posizione dell’interessato quale diritto sia destinata ad avere i riflessi più significativi[10], bensì nel caso di inadempimento da parte del custode.
In tal caso infatti, le conseguenze possono essere differenti, a seconda che l'interessato che ha formulato la richiesta di visita partecipi poi o meno all'esperimento di vendita.
Laddove l'interessato partecipi e si aggiudichi l'immobile, potrebbero anche non esservi ripercussioni di sorta, tenuto conto la procedura non avrebbe subito alcun pregiudizio, mentre, quanto all'aggiudicatario, lo strumento informativo sulla natura e caratteristiche dei beni staggiti è costituito, per il pubblico, dalla perizia redatta dall'esperto ex art. 173 bis d.a. c.p.c. Gli acquisti “sulla carta” del resto sono stati, in passato, tutt’altro che infrequenti.
Non sempre tuttavia la perizia, anche a non considerare i casi di veri e propri errori o omissioni da parte dell’esperto, ha un contenuto informativo così dettagliato o è accompagnata da un adeguato apparato fotografico o, comunque, consente di rendersi pienamente conto della natura e delle caratteristiche dell'immobile, così che potrebbe esservi uno scarto, che solo con la visita potrebbe colmare.
Nei casi più gravi, di vero e proprio aliud pro alio, l'aggiudicatario potrà impugnare il D.D.T. con l'opposizione agli atti esecutivi (Cass. 7708/2014), ma in tal caso più che una responsabilità del Custode appare assorbente la responsabilità dell'esperto, ex art. 64 c.p.c. (salvo che la diversa consistenza sia imputabile ad accadimenti successivi alla stesura della perizia); al contrario l'esistenza di meri vizi edilizi non potrebbe avere alcun impatto sull'aggiudicazione e la validità del D.D.T., ex art. 2922 c.c.
La norma dell'art. 2922 c.c. è chiaramente dettata a fini di tutela della stabilità delle aggiudicazioni e di sicurezza del traffico (Busnelli), ma ciò non implica necessariamente la totale irrilevanza della non coincidenza tra quanto acquistato e quanto abbia formato oggetto della manifestazione di volontà contenuta nell'offerta d'acquisto, formatasi sulla scorta della sola perizia, così che, qualora vi sia uno scarto tra questa e le caratteristiche effettive dell'immobile, qualora l'omissione della visita da parte del Custode abbia impedito all'interessato di rendersene conto e, infine, qualora l'interessato riesca a dimostrarne la rilevanza nel processo formativo della propria volontà, potrebbero aprirsi le strade di un'azione di responsabilità verso il Custode, ex art. 67 c.p.c.
Tale conclusione appare rafforzata oggi proprio alla luce della qualificazione della posizione giuridica dell'interessato quale "diritto", qualificazione che, se non aggiunge molto, come detto, sotto il profilo dei doveri del Custode (in quanto, come visto, il dovere di assistenza verso gli interessati è connaturato al suo ufficio, dopo che, con la riforma del 2005/2006, ai tradizionali compiti conservativi si sono aggiunti quelli liquidativi), dice molto invece circa le conseguenze della relativa violazione, tenuto conto che già in precedenza la giurisprudenza aveva qualificato la posizione dell'aggiudicatario quale ius in rem, quale aspettativa tutelata (cass. 5751/1993), in modo che fosse assicurata la tendenziale corrispondenza tra il bene trasferito e quanto aveva formato oggetto della volontà d'acquisto (Cass. 14765/2014), e l'odierno rafforzamento della posizione dell'interessato, che abbia effettuato richiesta di visita, parrebbe inserirsi in tale ambito, legittimando una eventuale richiesta di risarcimento danni nei confronti del custode.
La ratio poi sarebbe evidentemente quella di ridurre la percentuale di insoddisfazione degli aggiudicatari, una volta entrati in possesso del bene, percentuale che, dai dati statistici, risulterebbe piuttosto elevata, se paragonata a quella del libero mercato.
Laddove poi la richiesta di visita non sia soddisfatta e l'interessato, per conseguenza, non partecipi all'esperimento di vendita, potrebbero addirittura aprirsi le strade dell'esercizio del potere di sospensione da parte del giudice, debitamente informato, ex art. 586 c.p.c.
Tale norma è stata recentemente fatta oggetto di un importante arresto della Suprema Corte, che ne ha delineato il perimetro applicativo, spiegando come il giusto prezzo cui si fa riferimento non debba valutarsi in astratto, rispetto al valore di mercato ricavato dall'esperto ex art. 568 co. 2 c.p.c., ma rispetto alla regolarità della procedura di vendita, dovendosi ritenere tale (giusto) il prezzo ottenuto a seguito di una procedura di vendita nella quale sia stato pienamente rispettato il programma di vendita definito dal G.E. nell'ordinanza di vendita e nel quale non si siano verificate interferenze illecite (qualsiasi deviazione dal programma di vendita determina nullità della vendita stessa, con valutazione da condursi in astratto e non in concreto, cfr Cass. 9925/2015).
Il fatto quindi che il legislatore abbia voluto mettere direttamente in relazione le visite con il P.V.P., ossia con lo strumento destinato a divenire il fulcro e il perno attorno al quale si intende far girare l'intero sistema delle vendite pubbliche (il P.V.P. è il primo strumento di pubblicità, ex art. 490 co. 1 c.p.c.; è inoltre il P.V.P. che smista la pubblicità sui siti internet autorizzati dal G.E. e restituisce poi al referente le informazioni circa la data di effettuazione di tale pubblicità, ecc.), lascia chiaramente intendere come, sebbene l'intendimento originario fosse probabilmente e semplicemente quello di raccogliere dei dati statistici, la visita sia oggi parte integrante del meccanismo e del procedimento di vendita, così che la mancata effettuazione della stessa, sebbene la richiesta sia ritualmente transitata per il P.V.P., dovrebbe integrare quella deviazione dal programma di vendita (in questo caso nel suo contenuto necessario, previsto ex lege, e, quindi, comunque integrativo delle disposizioni date dal G.E. con l'o.d.v.) suscettibile di attivare i poteri sospensivi del G.E. (o, il che è l'altra faccia della medaglia, a legittimare le parti, il debitore ad esempio, a reclamare l'aggiudicazione o ad impugnare ex art. 617 c.p.c. il D.D.T. eventualmente emesso).
Discorso in parte diverso deve farsi, se la richiesta di visita venga effettuata mediante contatto diretto col Custode, telefonico o via mail, senza passare per il P.V.P.
Qui evidentemente non sussiste nessun "diritto" dell'interessato ad ottenere la visita, non già e non tanto nel senso che, comunque, non sussista un dovere del Custode di soddisfare anche tali richieste, atteso che in fondo ciò fa parte dei suoi compiti istituzionali, come sopra evidenziato, quanto piuttosto nel senso che l'interessato che non effettui una rituale richiesta di visita vedrà legittimamente preferite e soddisfatte con precedenza le richieste formulate da altri soggetti attraverso il P.V.P., ciò che potrà anche portare, qualora queste ultime siano numerose, a non lasciare al Custode il tempo di soddisfarne altre.
Così che, nel caso in cui l'interessato abbia effettuato una irrituale richiesta di visita, che sia rimasta insoddisfatta, non potrà poi dolersi nel caso in cui, divenuto aggiudicatario, vi sia quello scarto tra la descrizione e la consistenza dell'immobile, quale risultante dalla perizia di stima, e le reali caratteristiche del bene (tranne ovviamente il caso di aliud pro alio, la cui attivazione rimane comunque possibile, atteso che la relativa ratio risiede nell'esigenza di assicurare l'equilibrio degli scambi).
Inoltre, non verificandosi alcuna deviazione dal programma di vendita, non potrà neppure farsi luogo a sospensione della vendita, ex art. 586 c.p.c, e tuttavia non per questo la circostanza che non tutte le richieste di visita siano state soddisfatte, comprese quelle fatte irritualmente, rimarrebbe totalmente irrilevante.
Va infatti rammentato che, per l'art. 572 ult.co. c.p.c., come novellato dal d.l. 83/2015, "se il prezzo offerto è inferiore a quello stabilito nell'ordinanza di vendita in misura non superiore ad un quarto, il giudice può far luogo alla vendita quando ritiene che non vi sia seria possibilità di conseguire un prezzo superiore con una nuova vendita...".
E' quindi evidente che, nell'esercizio di tale potere discrezionale (che, va precisato, sussiste solo in capo al G.E., non in capo al delegato, in quanto l'adozione degli atti conclusivi di ciascun subprocedimento di cui si compone l'esecuzione rimane riservata al G.E., essendo limitata la possibilità di rimetterli al delegato solamente qualora si tratti di atto vincolato, come appunto l'aggiudicazione a prezzo di riserva, o l'approvazione del progetto di distribuzione in assenza di controversie distributive), il G.E. non potrebbe non tenere conto del fatto che il bene staggito abbia suscitato un certo interesse e determinato un certo movimento di mercato, anche se poi solo alcune richieste di visita siano transitate per il P.V.P. e siano quindi state soddisfatte.
La qualificazione quale "diritto" della posizione dell'interessato, che abbia formulato la richiesta di visita tramite il P.V.P., oltre ad assumere rilievo sotto il profilo risarcitorio nei confronti del Custode, non pare destinata infatti a dirimere un conflitto con gli altri interessati, che abbiano effettuato la richiesta di visita irritualmente, se non nel limitato senso di una precedenza accordata al primo, rispetto ai secondi, nella soddisfazione della propria richiesta; sicuramente tale qualificazione non appare rivolta ad escludere dalla visita gli interessati che abbiano contattato il Custode mediante altri canali, i quali potrebbero ugualmente partecipare all'esperimento di vendita.
E' del resto interesse della procedura che il bene venga venduto al prezzo più alto possibile, ciò che normalmente avviene quando si riesca a mettere più interessati in competizione.
E' naturale quindi che, laddove la gara non abbia avuto luogo, ma il giudice venga messo a conoscenza del fatto che vi siano state richieste di visita non ritualmente proposte e non soddisfatte, da parte di soggetti che poi non abbiano partecipato alla procedura di vendita, ciò potrebbe autorizzare il G.E. a non aggiudicare l'immobile al miglior offerente, ma ad avviare un nuovo esperimento, pur dovendosi peraltro dare atto che tale potere discrezionale consegnato dal d.l. 83/2015 va esercitato con estrema avvedutezza, per le ricadute che esso comporta sui tempi e degli esiti della procedura.
[1] Il portale è pubblico per la sola visione, mentre per partecipare occorre registrarsi, previa identificazione, che può essere effettuata sempre online (se il soggetto possiede una carta d'identità elettronica, similmente a quanto avviene in Italia con la stessa carta o con la carta dei servizi), oppure recandosi presso uno degli appositi desks istituiti nel territorio nazionale. Una volta registrato, l'utente potrà accedere a vari servizi, come ad esempio la possibilità di controllare alcune aste, ricevendo avvisi periodici. Per fare offerte invece occorre richiedere al portale l'accreditamento per la singola vendita.
[2] Ad esempio, per ciò che concerne la dismissione degli assets dell’Agenzia del Demanio, può rilevarsi un valore medio dei beni di circa euro 550.000,00 (comunque non meno di 450.000,00, con picchi di valore oltre il milione di euro); quanto alla tipologia di beni, trattasi di complessi immobiliari, a volte edifici di interesse storico o artistico (ad esempio ex conventi). Tutti beni normalmente non appannaggio del quivis de populo (dati riferiti alle vendite 2013-2014 messi a disposizione dal gestore).
[3] circa i dubbi che ciò potesse rendere nulla l’O.D.V. e la vendita stessa, essi erano fugati, dal punto di vista formale, dal fatto che l’O.D.V., se non opposta tempestivamente, si consolida e diviene lexspecialis della procedura, conformando l’intera fase liquidativa e distributiva; dal punto di vista sostanziale dalla constatazione che, essendo le vendite telematiche una tecnica liquidativa usualmente praticata in altri settori, dal concorsuale alle esecuzioni mobiliari, informati ai medesimi principi di competitività e trasparenza, poteva escludersene l’abnormità).
[4] “Sinceramente più che una approfondita analisi (di mercato, ndr) è stato un istinto. Questo istinto mi ha detto che il fulcro vero è la fiducia del mercato ed ero convinto che impostando il tutto con una organizzazione che venisse incontro al mercato erano più i pro che i contro rispetto alla fiducia; perché una gestione informatica ben fatta e comunicata è un valore aggiunto in quanto dà idea di modernità, di trasparenza e di efficienza che i tradizionali sistemi in uso, anche per come sono gestiti, non danno minimamente…il valore aggiunto (che a mio avviso può tranquillamente imporsi anche con i delegati) è che io ti metto in vetrina tutto quello che ho da vendere e tu sei vuoi vieni a partecipare con calma ad una semplice asta virtuale ed in questo percorso sei assistito; che non è un percorso ad ostacoli per adepti , ma un allargamento vero a chiunque voglia cogliere la opportunità senza timore di pastoie o di imbrogli…”.
[5] In realtà l’esperienza di Verbania – che, lo si ribadisce, è ad oggi la più significativa, anche per i buoni risultati ottenuti - merita di essere ricordata, al di là delle modalità tecniche utilizzate per la vendita, per la scelta strategica di fondo effettuata, in favore della vendita con modalità telematica, e per il ripensamento organizzativo complessivo dell’ufficio ch’essa ha comportato.[5] Il messaggio di fondo è che non basta (e non basterà, nel momento in cui ciascun ufficio decidesse di approcciarsi a questo sistema) modificare le ordinanze di vendita, ma sarà necessario prevedere una riorganizzazione generale dell’ufficio e della fase delle vendite. In particolare va segnalato: 1) la scelta di effettuare aste a tempo della durata piuttosto lunga, circa due mesi, giustificata dall’intenzione di consentire agli interessati di avere il tempo di meditare e sedimentare una scelta, quale quella dell’acquisto della casa, che, tradizionalmente, riveste molta importanza nella società italiana (ma anche ad esempio per espletare attività connesse, quali l’eventuale istruttoria per il mutuo); 2) tutte le vendite sono state concentrate nella medesima sessione (in media si tenevano tre sessioni l’anno), evitando la fissazione di aste nei più disparati giorni della settimana, mese, anno. Parallelamente è stata eliminata la pubblicità del singolo annuncio sul giornale, per passare ad una pubblicità della sessione di vendite nel suo complesso. Il tutto con l’intento, tra l’altro, di familiarizzare il pubblico con tali nuove modalità di vendita e creare una sorta di appuntamento per così dire fisso. Ovviamente ciò ha comportato anche la tendenziale scelta di non avvalersi dei delegati, con i quali sarebbe stato più difficile coordinare queste attività. Ciò peraltro non ha comportato un rilevante aggravio di attività per la cancelleria, posto che la vendita asincrona e la pubblicità della sessione erano attività complessivamente poco impegnative; 3) la possibilità per il pubblico di accedere liberamente al sito e seguire le aste (esattamente come avviene con e-bay), sempre con lo scopo di familiarizzare il pubblico medesimo col nuovo strumento. Dal punto di vista telematico si è optato per un sistema di identificazione e formulazione dell’offerta assai semplice, non basato su firma digitale o PEC, in quanto strumenti complessi e spesso non alla portata del comune cittadino.
[6] Si legge infatti nella citata sentenza che “all’ordinanza di vendita (che, col suo contenuto anche ulteriore rispetto alle previsioni minime normative – come per la pubblicità ex art. 490 co. 3 c.p.c. – diviene il fondamento o lex specialis dello specifico subprocedimento in cui la vendita si concreta), nella parte in cui non esenta inammissibilmente da forme immancabili di pubblicità, ma ne prevede legittimamente altre, deve quindi darsi piena e incondizionata ottemperanza, almeno fino a parziale o totale sua modifica o revoca…In sostanza il subprocedimento di vendita è scandito da condizioni di forma, sostanza e tempo che devono non solo essere conoscibili e chiare fin dall’avvio di quello, ma soprattutto rimanere tali e restare ferme per tutto lo sviluppo successivo e fino all’emanazione del decreto di trasferimento…onde evitare il mutamento o la violazione delle regole a gioco ormai iniziato ed avviato”.
[7] Digital Agenda Scoreboard della Commissione Europea 2014-2020: utenti regolari internet: Italia 56%, media UE 72%; acquisti in rete: Italia 20%, media UE 47%; uso servizi di e-government: Italia 21%, media UE 42%.
[8] Il meccanismo della gara nella vendita immobiliare, in base alla normativa vigente, configura un gioco (ovvero un contesto di interdipendenza strategica) sequenziale, dove le scelte degli agenti vengono effettuate dopo che hanno avuto conoscenza delle mosse degli altri concorrenti. Il meccanismo ricalca quello delle aste “ascendenti” (o aste inglesi), dove il concorrente con la valutazione più alta continua a fare offerte appena superiori a quelle degli altri concorrenti, finché gli altri decidono di non rilanciare. L’offerta ottimale è data da piccoli incrementi, fino a raggiungere il proprio prezzo di riserva. Il banditore riceve un trasferimento pari al secondo prezzo di riserva. Dal punto di vista del banditore, in presenza di agenti neutrali rispetto al rischio, il risultato (in termini attesi) è uguale a quello delle buste chiuse al primo prezzo.
[9] Se non venissero comunicati i rilanci effettuati dagli altri partecipanti, si sarebbe in un contesto di strategie dominanti, per cui ogni partecipante farebbe quello che ritiene ottimale, indipendentemente da ciò che gli altri fanno. Sarebbe quindi portato ad offrire un valore di poco superiore al minimo o di poco superiore al proprio prezzo di riserva, confidando nell’assenza di rilanci da parte degli altri. Se invece, entro il periodo predeterminato per lo svolgimento della gara, ogni concorrente è a conoscenza dei rilanci degli altri, si configura in ogni caso un equilibro di Nash, per cui ciascuno fa quello che ritiene il meglio, dato ciò che gli altri hanno deciso di fare e viceversa: un individuo razionale non è comunque tentato di offrire un valore che si discosti molto dal proprio prezzo di riserva. Per il banditore, in presenza di individui razionali, il risultato finale del gioco è uguale: i rilanci continuano finché le aspettative sul comportamento dei concorrenti sono coerenti con la scelta ottimale di ognuno, data la sua offerta ottima.
[10] La ricostruzione del rapporto tra l’interessato e il custode in termini di diritto-obbligo appare problematica, non solo per la valenza pubblicistica della figura e dei compiti del custode, ma soprattutto perché, dal lato passivo, non appare possibile enucleare efficaci strumenti coercitivi, laddove la richiesta di visita del soggetto attivo del rapporto non venga soddisfatto. Più che di un diritto, quindi, si tratterebbe di un interesse legittimo, di tipo pretensivo, ad un comportamento collaborativo da parte del Custode, volto a colmare un deficit informativo, così che, in caso di inadempimento, laddove tale deficit avrebbe potuto essere colmato con la visita e sia stato determinante del consenso, ciò che può desumersi anche per presunzioni, mediante massime di esperienza o in base alle circostanze del caso concreto, la condotta illegittima dell’ausiliario diverrebbe anche illecita, potendo aprire le porte ad una richiesta risarcitoria ex art. 67 c.p.c. Da tale punto di vista, tenuto conto che, a mente della norma citata, la responsabilità del Custode è verso le parti, la qualificazione della posizione dell’interessato quale diritto avrebbe anche la funzione di dare veste di parte della procedura al mero interessato all’acquisto, che però, mediante la richiesta di visita, sia venuto in contatto con la procedura stessa.
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