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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 28/02/2018 Scarica PDF

«Strumenti di credito chirografario di secondo livello». Alchimie linguistiche e tutela del mercato bancario

Daniele Vattermoli, Professore Ordinario di Diritto Commerciale


Sommario: 1. Il bail-in e le passività “ammissibili”. Criticità della misura e prospettive di riforma dell’ordinamento comunitario. – 2. I nuovi artt. 12-bis e 91, co. 1-bis TUB. – 3. Strumenti di debito chirografario di secondo livello (senior non preferred debt): caratteristiche tipologiche e funzionali.


     

1. Com’è ampiamente noto, attraverso la misura del bail-in[1]– introdotta in Italia dal d.lgs. n. 180/2015 di recepimento della Direttiva 2014/59/UE (c.d. BRRD: Banking Recovery and Resolution Directive) – le perdite registrate dalla banca in dissesto (o a rischio di dissesto) vengono “allocate”, in prima battuta, tra gli azionisti, mediante la svalutazione (write-down), che può essere anche integrale (wipe-out), della loro partecipazione al capitale di rischio, e, in un secondo momento, tra i creditori dell’ente, che possono subire la riduzione (potenzialmente anche a zero) del valore nominale del credito vantato (debt write-down) e/o la conversione dello stesso in quote di partecipazione al capitale di rischio (debt conversion)[2]. In estrema sintesi: assorbimento delle perdite e ricapitalizzazione dell’ente attraverso, rispettivamente, la riduzione e la conversione in quote di capitale primario di classe 1 delle c.d. “passività ammissibili”, per tali ultime intendendosi «gli strumenti di capitale non computabili nel patrimonio di vigilanza e le altre passività (...) non escluse dall’ambito di applicazione del bail-in» [art. 1, co. 1, lett. qq) d.lgs. n. 180/2015][3].

A. In tale scenario, l’entità delle passività ammissibili che in un dato momento figurano nella struttura patrimoniale dell’ente in crisi è dunque elemento centrale nel misurare la possibile efficacia dello strumento di risoluzione[4]: ed invero, solo qualora i c.d. “bail-inable instruments” siano sufficienti a consentire la continuità aziendale potrà dirsi soddisfatta la precondizione richiesta dalla legge per procedere alla risoluzione della banca in dissesto.

Le passività ammissibili svolgono un ruolo talmente centrale nell’applicazione del bail-in da essere oggetto di un requisito minimo obbligatorio per tutti gli enti creditizi (c.d. MREL: “Minimum Requirement of Eligible Liabilities”)[5], concettualmente simile al requisito prudenziale offerto dal regulatory capital [6].

A ciò si aggiunga che a livello internazionale, il Financial Stability Board prima[7], ed il Comitato di Basilea poi[8], hanno elaborato norme, di applicazione necessaria per le banche a rilevanza sistemica globale (c.d. GSII), che prevedono, anche qui, l’obbligo per tali intermediari di finanziarsi con passività ad elevata capacità di assorbimento delle perdite, in modo da rendere effettiva, appunto, la misura del bail-in (requisito minimo c.d. TLAC: “Total Loss-Absorbing Capital”)[9].

B. Tanto premesso, i problemi operativi che hanno posto e pongono le passività ammissibili scaturiscono essenzialmente da ciò che, per un verso, la direttiva BRRD non impone la subordinazione obbligatoria degli strumenti computabili nel MREL; e, per altro verso, che di tali passività possono far parte, oltre i crediti subordinati in senso stretto, quelli cioè che in caso di apertura della procedura concorsuale debbono essere soddisfatti soltanto dopo il completo soddisfacimento dei chirografari (e dei privilegiati, ovviamente, in primis), anche quei crediti che in caso di concorso sul patrimonio dell’ente in dissesto avrebbero lo stesso rango (chirografario o addirittura privilegiato) di quelli esclusi, per scelta dell’autorità di risoluzione, dai bail-inable instruments.

Ed invero.

a) Premesso che tra le “passività ammissibili”, come si è visto, sono esclusi gli strumenti di capitale computabili nel patrimonio di vigilanza[10] e premesso, altresì, che nel d.lgs. n. 180/2015 le passività ammissibili vengono individuate per sottrazione, stabilendo l’art. 49 che «Sono soggette al bail-in tutte le passività, ad eccezione delle seguenti (...)», va osservato come tra i criteri utilizzati dalla disposizione testé menzionata per escludere alcune passività dal perimetro del bail-in vi sia quello fondato sul rango del credito vantato nei confronti dell’ente in dissesto, non potendo subire gli effetti del bail-in i crediti assistiti da garanzia reale (nei limiti del valore dei beni sui quali la stessa insiste) e quelli, vantati dall’amministrazione tributaria o dagli enti previdenziali, che godono di privilegio o di altra causa legittima di prelazione (art. 49, co. 1, lett. b), con ciò implicitamente ammettendo che non soltanto i subordinati ed i chirografari, ma anche – come si anticipava – i creditori privilegiati possono teoricamente contribuire al salvataggio interno[11].

b) Vi è poi una seconda macrocategoria di passività eccezionalmente esonerabili dal bail-in, dal perimetro assai più fluido e modellabile all’occorrenza dall’Autorità di risoluzione, la cui individuazione non risponde ad alcun criterio definito ex ante, essendo per l’esclusione sufficiente che si realizzi almeno una delle condizioni poste dall’art. 49, co. 2[12].

L’eccezione deve comunque essere tale da rispettare il principio secondo il quale i creditori possono essere chiamati ad assorbire le perdite dell’ente solo dopo che vi sia stato il contributo degli azionisti; non è invece necessario che si rispetti la par condicio creditorum, nel senso che i titolari delle passività escluse possono ricevere un trattamento migliore di quello che riceverebbero (e che verosimilmente ricevono, per effetto del bail-in) i creditori di pari o di più alto rango in caso di apertura della l.c.a. [art. 49, co. 3, lett. a)][13].

c) Problemi infine scaturiscono (o possono scaturire) con riferimento alle passività ammissibili riconosciute contrattualmente come tali, rispetto a titoli (da svalutare o convertire) soggetti alla legge di una Stato terzo: tema particolarmente delicato, attese le implicazioni politiche che dallo stesso possono scaturire[14].

C. Il quadro normativo di riferimento così sinteticamente descritto ha mostrato, nell’attuazione pratica, non poche debolezze.

In particolare, i fattori di criticità concernono: la discrezionalità riconosciuta all’Autorità di risoluzione nel delimitare l’ambito delle passività ammissibili e la conseguente incertezza giuridica che da essa ne deriva; l’attuale non allineamento dei requisiti MREL e TLAC; la possibilità che tra i bail-inable instruments siano compresi anche quelli non contrassegnati, ex ante, da alcuna forma esplicita di postergazione, ciò che può determinare (ed in punto di fatto ha determinato) un elevato numero di cause risarcitorie e/o ripristinatorie e comunque una non indifferente tensione sociale; la potenziale disparità di trattamento che, soprattutto per le banche ad operatività cross-border, l’attuale disciplina può generare tra soggetti che ricoprono la medesima posizione giuridica; gli effetti distorsivi della concorrenza che tale disparità può innescare all’interno del mercato unionale.

Le criticità emerse nell’attuazione della misura del bail-in hanno indotto le istituzioni europee ad elaborare, nell’ambito del c.d. “Pacchetto bancario europeo”, una proposta di Direttiva che modifica la Direttiva 2014/59/UE per quel che riguarda la classificazione degli strumenti di debito non garantiti nella gerarchia dei crediti in caso di insolvenza della banca[15]. La proposta, in estrema sintesi, intende operare l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri in materia di gerarchia dei crediti vantati nei confronti degli enti bancari in dissesto, introducendo una nuova classe di strumenti di finanziamento, definiti “di primo rango non privilegiato”, da sottoporre a bail-in durante la risoluzione, subito dopo gli strumenti di fondi propri, ma prima delle altre passività di “primo rango”[16].

Con l’espressione credito di primo rango (non garantito) viene fatto riferimento, nella proposta, alla categoria dei crediti che non vantano alcuna causa di prelazione (ossia ai chirografari)[17]; categoria alla quale appartengono anche quelli dalla stessa proposta di direttiva definiti “non privilegiati”, in quanto junior rispetto ai restanti crediti chirografari, ma senior rispetto ai fondi propri.

L’introduzione della clausola di subordinazione “intraclasse” (quella dei chirografari, appunto) avvicina così i requisiti fissati a livello europeo per il MREL a quelli elaborati a livello internazionale per la norma TLAC, la quale, come si diceva, pone la clausola di postergazione come caratteristica imprescindibile delle passività ad alta capacità di assorbimento delle perdite.

 

2. Sulla base delle indicazioni provenienti dai mercati internazionali e prendendo spunto dalle esperienze già maturate negli ordinamenti a noi più vicini[18], con la legge di bilancio 2018 il legislatore domestico ha (per una volta) voluto anticipare gli organi unionali, muovendosi – seppure, come si vedrà, solo di riflesso – proprio sul terreno delle passività ammissibili, introducendo gli “strumenti di debito chirografario di secondo livello” (conosciuti all’estero con l’espressione “senior non preferred debt” o “notes”), traduzione italiana della “classe di debito di primo rango non privilegiata” di cui alla proposta di direttiva[19], con il dichiarato fine di rendere più immediatamente percepibile il rapporto patrimoniale tra il finanziato ed il finanziatore, in caso di dissesto del primo, e dunque maggiormente trasparente il mercato del credito alle banche.

Più in particolare, l’art. 1, co. 1103, lett. b) l. 27 dicembre 2017, n. 205 introduce nel Testo Unico Bancario l’art. 12-bis, ai sensi del quale: «1. Sono strumenti di debito chirografario di secondo livello le obbligazioni e gli altri titoli di debito, emessi da una banca o da una società del gruppo bancario, aventi le seguenti caratteristiche: a) la durata originaria degli strumenti di debito è pari ad almeno dodici mesi; b) gli strumenti di debito non sono strumenti finanziari derivati, come definiti dall’articolo 1, comma 3 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, non sono collegati a strumenti finanziari derivati, né includono caratteristiche ad essi proprie; c) la documentazione contrattuale e, se previsto, il prospetto di offerta o di ammissione a quotazione degli strumenti di debito indicano che il rimborso del capitale e il pagamento degli interessi e di eventuali altri importi dovuti ai titolari sono disciplinati secondo quanto previsto dall’articolo 91, comma 1-bis, lettera c-bis).

2. L’applicazione dell’articolo 91, comma 1-bis, lettera c-bis), è subordinata al rispetto delle condizioni di cui al comma 1. Le clausole che prevedono diversamente sono nulle e la loro nullità non comporta la nullità del contratto.

3. Una volta emessi, gli strumenti di debito chirografario di secondo livello non possono essere modificati in maniera tale da far venire meno le caratteristiche indicate al comma 1. E’ nulla ogni pattuizione difforme.

4. La Banca d’Italia può disciplinare l’emissione e le caratteristiche degli strumenti di debito chirografario di secondo livello».

La lett. c) della medesima disposizione, poi, inserisce nell’ordine di distribuzione dell’attivo nella liquidazione coatta amministrativa bancaria recato dall’art. 91, co. 1-bis, la nuova lett. c-bis), ai sensi della quale: «i crediti per il rimborso del capitale e il pagamento degli interessi e di eventuali altri importi dovuti ai titolari degli strumenti di debito chirografario di secondo livello indicati dall’articolo 12-bis sono soddisfatti dopo tutti gli altri crediti chirografari e con preferenza rispetto ai crediti subordinati alla soddisfazione dei diritti di tutti i creditori non subordinati della società»[20].

La disciplina dedicata ai nuovi strumenti di debito si chiude con l’art. 1, co. 1105, ai sensi del quale: «Il valore nominale unitario degli strumenti di debito chirografario di secondo livello previsti dall’art. 12-bis del Testo unico bancario è pari ad almeno 25.000 euro. I medesimi strumenti di debito possono essere oggetto di collocamento, in qualsiasi forma realizzato, rivolto ai soli investitori qualificati».

L’intervento del legislatore domestico, come si diceva, anticipa quello che sembra sarà il nuovo assetto della disciplina unionale in punto di passività ammissibili, dettando regole che solo apparentemente riguardano la struttura finanziaria della banca ed i criteri di ripartizione endoconcorsuale tra i creditori dell’ente sottoposto a l.c.a., ma che, com’è facilmente intuibile, rilevano ai fini dell’applicazione del meccanismo del bail-in. Tale strumento, invero, è retto dal principio generalissimo del “no creditors worse-off than liquidation”, la decisione in ordine al suo utilizzo dovendo di conseguenza fare i conti con lo scenario che ai singoli interessati si presenterebbe in caso di apertura della l.c.a. dell’intermediario in dissesto[21], risultando così del tutto evidente che qualunque modifica che riguardi i diritti dei creditori nell’ambito della procedura concorsuale – come quella introdotta, appunto, dalla legge n. 205/2017 – produca effetti, di riflesso, proprio sul processo di allocazione delle perdite innescato dall’adozione del bail-in[22].

Va peraltro sin d’ora detto, anticipando le osservazioni che verranno più compiutamente svolte nel prossimo paragrafo, che l’intervento normativo risulta tutt’altro che convincente, sia che lo si riguardi dal punto di vista della tecnica legislativa nella specie impiegata, sia che lo si riguardi dal punto di vista della funzionalità dello stesso al raggiungimento dell’obiettivo della trasparenza del (e nel) mercato del credito alle banche, che per effetto della novella sembra ora, in realtà e viceversa, più opaco. 

 

3. Chiarite nei paragrafi precedenti le ragioni che hanno spinto il legislatore domestico ad introdurre nell’ordinamento i nuovi strumenti di finanziamento, si può ora passare ad analizzarne le caratteristiche tipologiche e funzionali.

A. Si può iniziare dalle prime, concentrando l’attenzione sul rango del credito[23].

Sul punto, occorre sgombrare sin da subito il campo da possibili equivoci chiarendo, a dispetto del nome che a tali strumenti è stato assegnato in ambito nazionale ed internazionale, che si tratta di titoli di debito subordinati; se si vuole, subordinati di primo livello, ma comunque caratterizzati dalla clausola di postergazione rispetto a tutti gli altri crediti chirografari (ed a quelli che vantano cause legittime di prelazione sul patrimonio dell’intermediario).

A pensar male si potrebbe anche sostenere che con la novella si sia voluto utilizzare un mero espediente linguistico per celare la vera natura dei nuovi strumenti di finanziamento, non essendovi dubbio che, se non altro esteticamente, per gli emittenti, il mercato e, soprattutto, i portatori dei titoli suoni meglio “strumenti chirografari di secondo livello” oppure “senior non preferred debt”, piuttosto che “strumenti subordinati”; se però si considera il posto che i crediti vantati dai portatori dei titoli occupano nell’ordine verticale di distribuzione del patrimonio responsabile, il richiamo al rango chirografario o addirittura al termine senior – non accompagnato da “subordinated”, nella specie mascherato da “non preferred” – non può che ritenersi decettivo.

a) Ciò premesso, va subito detto che si tratta di un’ipotesi di subordinazione convenzionale tipica[24]– e, più in particolare, di una “ab initio subordination[25] – , in quanto tale presentante tratti in comune con le obbligazioni subordinate ex art. 2411, co. 1 c.c. e 12, co. 7 TUB.

La natura volontaria della postergazione va affermata nonostante il nuovo art. 12-bis, co. 4, per un verso, contempli la stessa come elemento tipologico della fattispecie e, per altro verso, consenta alla Banca d’Italia di dettare norme specifiche in ordine alle caratteristiche – compresa, deve ritenersi, la clausola di subordinazione – di tali strumenti di debito. Ciò in quanto alla base del rapporto obbligatorio tra il portatore del titolo e la banca v’è sempre un atto di accettazione della clausola di subordinazione da parte del primo, manifestato attraverso l’acquisto o la sottoscrizione del titolo medesimo, a nulla rilevando – ai fini classificatori – che le condizioni del credito, compresa la postergazione, siano prefissate, rispetto alla conclusione dell’accordo medesimo.

b) Dal punto di vista dell’estensione, si tratta di una subordinazione assoluta (o generale o universale o public subordination) e non relativa (anche detta private subordination), la postergazione nel soddisfacimento del credito vantato dai portatori di tali titoli operando nei confronti di tutti gli altri crediti (non ugualmente subordinati), anche futuri, vantati nei confronti dell’ente in crisi[26]. Ciò significa che in caso di l.c.a. dell’intermediario la postergazione in discorso produce un arretramento del rango del credito, che nella specie si colloca tra i crediti chirografari (quelli che da oggi in poi dovrebbero, a rigore, chiamarsi “chirografari di primo livello”) ed i subordinati propriamente detti. In sintesi, una sorta di “mezzanine finance”.

c) Come stabilito dalla lett. c-bis) dell’art. 91, co. 1-bis TUB, la postergazione coinvolge non soltanto il credito in linea capitale, ma anche la parte relativa agli interessi maturati e le altre somme comunque dovute ai titolari degli strumenti ex art. 12-bis TUB: si tratta, dunque, di una subordinazione c.d. totale.

d) Per quel che concerne, poi, il momento a partire del quale scatta la subordinazione, non v’è dubbio che la stessa operi in caso di apertura della procedura concorsuale nei confronti della banca in dissesto. Stando a quanto stabilito dalle disposizioni di rango primario, prima dell’apertura della l.c.a. il portatore del titolo può esercitare tutti i diritti connessi allo status di creditore (ossia, il diritto di percepire il pagamento degli interessi maturati, secondo quanto previsto dalle clausole contrattuali; il diritto, alla scadenza, di ottenere la restituzione della somma dovuta; il diritto di esercitare le azioni a tutela del proprio credito, ecc.); aperta la procedura, invece, il soddisfacimento del credito – che è e rimane credito concorsuale – è subordinato all’integrale pagamento dei crediti chirografari di primo livello (e prima, ovviamente, dei privilegiati e dei prededucibili). E’ peraltro possibile che nella normativa secondaria il trigger event della subordinazione venga anticipato ad un momento precedente l’apertura del concorso (ad esempio, in caso di liquidazione volontaria dell’ente)[27].

e) Guardando, infine, al grado di “tenuta” della postergazione rispetto sia alle vicende circolatorie del credito che ne è contraddistinto, sia ai possibili comportamenti delle parti del rapporto di subordinazione volti a depotenziarne l’efficacia, si può concludere nel senso di ritenere quella che caratterizza i titoli ex art. 12-bis TUB un’ipotesi di subordinazione “forte”.

i. Con riferimento alla vicenda circolatoria, pur trattandosi di una forma di postergazione volontaria – ché, se fosse di tipo legale non vi sarebbe, sul punto, alcuna incertezza[28] –, come tale non rappresentante una qualità intrinseca del credito oggetto di cessione, è il fatto stesso che risulti dal titolo di debito emesso dalla società finanziata che fa sì che essa “segua” il credito negli eventuali successivi passaggi del titolo che lo incorpora (arg. ex art. 1993 c.c.)[29].

ii. Rispetto, poi, a quelli che vengono chiamati gli “accordi di de-subordinazione”, con i quali le parti originarie, facendo leva sull’autonomia privata e sulla efficacia relativa dei contratti, mutano in un secondo momento i termini della postergazione, potendo anche escluderla del tutto[30], la tutela per i terzi (cioè di coloro che beneficiano della postergazione) è nella specie assicurata direttamente dalla legge, il co. 3 dell’art. 12-bis TUB espressamente escludendo la possibilità di modifiche, successive all’emissione, delle caratteristiche essenziali – quelle dettate dal comma 1 della medesima disposizione, tra cui, appunto, quella che attiene al rango – degli strumenti di credito chirografario di secondo livello.

B. Passando alle caratteristiche funzionali.

Se si dovesse ragionare tenendo esclusivamente in considerazione gli stretti ambiti sui quali è direttamente intervenuta la riforma, ossia la struttura finanziaria degli enti creditizi e i meccanismi di riparto endoconcorsuale in ipotesi di apertura della l.c.a. bancaria, si potrebbe tranquillamente dire che di questi strumenti di credito chirografario di secondo livello si sarebbe potuto fare a meno, tanto più che, come si è detto, gli stessi contribuiscono a rendere ancor più caotica la già ingarbugliata disciplina recata dall’art. 91 TUB.

La vera partita, però, ed anche questo si è detto sin dalle prime battute, tali strumenti la giocano sul tavolo, parallelo a quello concorsuale, della risoluzione.

La clausola di postergazione nei confronti degli altri crediti chirografari dovrebbe invero rendere a tutti evidente la loro inclusione tra le “passività ammissibili”: i detentori dei titoli – e ci si riferisce, in particolare, ai successivi acquirenti, visto che i sottoscrittori sono necessariamente investitori qualificati – non potrebbero, dunque, dolersi della svalutazione e/o conversione dei titoli posseduti, in ipotesi di bail-in dell’istituto emittente, proprio perché, verosimilmente, nulla di più potrebbero ottenere dalla l.c.a. D’altra parte, quando il sistema europeo entrerà a regime (quando cioè verrà modificata la Direttiva n. 2014/59), tutti coloro che operano nel mercato dell’Unione si ritiene saranno in grado di comprendere il grado di rischiosità dei senior non-preferred debt; non vi saranno, sempre in ipotesi, disparità di trattamento tra i possessori dei medesimi titoli; né vi sarà la possibilità, per i singoli ordinamenti nazionali e per gli intermediari che sono ivi stabiliti, di godere di indebiti vantaggi competitivi.

Eppure, anche volendo considerare gli aspetti testé menzionati, i dubbi in ordine alla funzione assolta da tali strumenti permangono.

L’idea di fondo alla base della novella è che gli strumenti di credito chirografario di secondo livello, in quanto contrassegnati da una sorta di “lettera scarlatta” che ne rende immediatamente chiara la loro natura postergata, evitano che in caso di risoluzione dell’intermediario si generino tensioni sociali e si scateni una “corsa al contenzioso” da parte degli investitori per ottenere una qualche forma di ristoro, magari nei confronti degli stessi governi nazionali, venendo così meno – o sfumando grandemente – i vantaggi per la collettività connessi al risanamento interno.

Ma se così è, viene naturale domandarsi perché mai non si sia modificata la direttiva stabilendo, ad esempio e più semplicemente, che per essere considerata nel MREL la passività deve recare espressamente la parola “subordinata” o “postergata”. In altri termini, che bisogno c’era di introdurre uno scalino intermedio tra gli già esistenti strumenti propriamente subordinati (quali, per intenderci, i prestiti postergati ex art. 12, co. 7 TUB) e quelli chirografari (che da oggi dovremmo definire “di primo livello”)?

Torna il dubbio che si tratti di una sorta di alchimia linguistica, che forse gioverà agli intermediari, per i quali il collocamento di “strumenti di credito chirografario di secondo livello” costerà probabilmente meno rispetto a quanto occorrerebbe per il collocamento di “prestiti subordinati di primo livello”, ma che certo sembra andare in tutt’altra direzione rispetto all’obiettivo (a questo punto più sbandierato, che realmente perseguito) della trasparenza del mercato bancario.



[1] Sulla quale molto si è scritto, nonostante essa sia stata introdotta relativamente di recente nell’ordinamento dell’Unione europea ed in quello domestico. E cfr., tra gli altri, Binder, The position of creditors under the BRRD, 2016, paper consultabile on line sul sito http://ssrn.com/abstract=2698086; Blandini, How to overcome crisis (and onself) without getting overcome: la fiducia ed il bail-in dal punto di vista del creditore, 2017, consultabile on line sul sito www.orizzontideldirittocommerciale.it; Capizzi-Cappiello, Prime considerazioni sullo strumento del bail-in: la conversione forzosa di debito in capitale, 2014, paper consultabile on line sul sito www.orizzontideldirittocommerciale.it; Carmassi-Di Giorgio, L’impatto del bail-in sulla rete di protezione finanziaria, in AGE, 2016, p. 297; Carrascosa Morales-Delgado Alfaro, El bail-in en la reestructuración bancaria en España, in ICE, n. 874, 2013, p. 81; Chennells-Wingfield, Bank failure and bail-in: an introduction, in Quaterly Bulletin, 2015 Q3, Bank of England, p. 228; Cihák-Nier, The Need for Special Resolution Regimes for Financial Institutions – The Case of the European Union, in 2 Harv. 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[2] In tal modo assicurando «un maggior incentivo a vigilare sul buon funzionamento dell’ente in circostanze normali» (Considerando 67, Direttiva n. 2014/59/UE). Il meccanismo così introdotto sembra essere in ideale continuità con gli auspici di inizio secolo scorso, dove nelle Relazioni annuali della Banca d’Italia si faceva osservare, per un verso, come dovesse ritenersi: «ovvio che spetta esclusivamente al depositante l’accorgimento di riporre la propria fiducia in organismi che ne siano meritevoli, e dieno affidamento di un’amministrazione sagace, oculata, prudente; e di non lasciarsi con facilità adescare dall’allettamento di forti ragioni d’interesse o di vantaggi d’altro genere» (Relazione per l’anno 1926); e, per altro verso, che non «si deve pensare da alcuno, come talvolta erroneamente avviene, alla possibilità di interventi finanziari risanatori, solo per il fatto che gli è demandata la vigilanza, da parte dell’Istituto di Emissione (...) le disposizioni di legge, che si riferiscono alla tutela del risparmio, mentre tendono ad accrescere il senso del dovere in chi amministra l’altrui, non diminuiscono nei singoli depositanti l’obbligo di rendersi conto, nell’esclusivo loro interesse della solidità degli enti ai quali credono di affidare i loro averi» (Relazione per l’anno 1931). I passi delle Relazioni sono ripresi da Vattermoli, Le cessioni «aggregate» nella liquidazione coatta amministrativa delle banche, Milano, 2001, p. 257.

[3] Che riprende quanto stabilito dall’art. 2, paragrafo 1, n. 71) della Direttiva 2014/59/UE, ai sensi del quale, per “passività ammissibili” si intendono: «le passività e gli strumenti di capitale che non rientrano negli strumenti del capitale primario di classe 1, nel capitale aggiuntivo di classe 1 o di classe 2 di un ente o entità di cui all’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), c) o d), che non sono escluse dall’ambito di applicazione dello strumento del bail-in in virtù dell’articolo 44, paragrafo 2».

[4] Nel Considerando n. 3 della proposta di modifica della Direttiva 2014/59/UE del 23 novembre 2016, di cui si parlerà più diffusamente nel prosieguo, si evidenzia come: «Gli Stati membri dovrebbero garantire che gli enti creditizi e le imprese di investimento dispongano di una sufficiente capacità di assorbimento delle perdite e di ricapitalizzazione per assicurare un assorbimento delle perdite e una ricapitalizzazione agevoli e rapidi nelle procedure di risoluzione con un impatto minimo sulla stabilità finanziaria e i contribuenti».

[5] Sul quale v. i Regulatory Technical Standards, elaborati dall’EBA, “On criteria for determining the minimum requirement for own funds and eligible liabilities under Directive 2014/59/UE”, del 3 luglio 2015 e, soprattutto, il Regolamento delegato (UE) 2016/1450, del 23 maggio 2016. Tale requisito è di importo variabile ed è determinato per ciascun intermediario dalla Banca d’Italia, tenendo in conto – oltre ovviamente le dimensioni, le caratteristiche operative e il profilo di rischio della banca – la necessità, tra l’altro, che la procedura di bail-in possa essere efficacemente disposta, consentendo all’intermediario di assorbire le perdite e di rispettare il requisito del capitale primario di classe 1, nonché, a salvataggio interno avvenuto, di «ingenerare nel mercato una fiducia sufficiente» in esso (art. 50, co. 2, lett. b), ai fini, è da ritenere, della continuità aziendale.

Certo è che pensare che il criterio della “fiducia sufficiente”, già di per sé estremamente vago e che comunque dovrebbe essere testato a bail-in avvenuto, possa servire per determinare ex ante l’importo minimo di passività ammissibili dell’ente, non sembra un’idea particolarmente felice; così come utopistica, d’altra parte, è l’idea stessa che l’applicazione in sé della svalutazione e/o conversione non incida negativamente proprio sulla fiducia del mercato nei confronti (almeno) dell’ente sottoposto a risoluzione. Sul punto cfr., per tutti, V. Santoro, Crisi bancarie, cit., p. 548.

[6] Com’è noto, nello svolgimento della loro attività gli enti creditizi debbono costantemente rispettare un determinato requisito patrimoniale, al fine di potere adeguatamente fronteggiare i rischi (di credito, di controparte, di mercato e operativi) tipici dell’impresa bancaria, la cui disciplina si ricava essenzialmente dal Regolamento (UE) n. 575/2013 e dalla Direttiva 2013/36/UE. Nel sistema disegnato dal Regolamento i fondi propri dell’ente creditizio vengono calcolati sommando al capitale di classe 1 (Tier 1 capital) il capitale di classe 2 (Tier 2 capital); a sua volta, il capitale di classe 1 si scompone in capitale primario (Common EquityTier 1 capital) e capitale aggiuntivo (Additional Tier 1 capital). Ciascuna di tali componenti deve rispettare dei coefficienti minimi, calcolati sull’importo complessivo dell’esposizione al rischio dell’ente: in ciò si risolve, semplificando al massimo, il requisito prudenziale del c.d. regulatory capital.

[7] Cfr. FSB, Total Loss-Absorbing Capacity (TLAC) Principles and Term Sheet, 9 novembre 2015.

[8] Cfr. BCBS, TLAC holdings, Amendments to the Basel III standard on the definition of capital, ottobre 2016.

[9] A livello operativo, il livello minimo armonizzato della norma TLAC per gli enti a rilevanza sistemica globale dovrebbe essere introdotto nella legislazione dell’Unione europea attraverso alcune modifiche al summenzionato regolamento (UE) n. 575/2013.

[10] Il che, tuttavia, non significa che le componenti dei fondi propri non partecipino al salvataggio interno. La mancata inclusione deriva, al contrario, dalla loro naturale destinazione alla copertura delle perdite, a cui le passività ammissibili partecipano, dunque, in via aggiuntiva (e cfr. art. 52, d.lgs. n. 180/2015). Ai fini che qui specificamente interessano occorre osservare come in ambito bancario il concetto di “fondi propri” abbia un’estensione sconosciuta al diritto societario comune, atteso che in esso confluiscono anche elementi estranei al c.d. passivo ideale (capitale sociale; utili non distribuiti; riserve), come ad esempio i prestiti caratterizzati dalla clausola di subordinazione. In tale settore, ciò che sembra rilevare, ai fini della computabilità nei fondi propri, è l’attitudine dello strumento (di capitale o di debito) ad assorbire le perdite registrate dall’intermediario e, dunque, la più o meno accentuata partecipazione al rischio di impresa assunta dal sottoscrittore del titolo. Può anche dirsi che nel settore de quo lo «sgretolamento della linea di distinzione tra capitale di rischio e capitale di credito, tra pretesa residuale e pretese fisse» (così Presti, Il bail-in, cit., p. 347), precede l’ingresso dell’ente nella fase patologica.

Così, mentre nel capitale primario sono computati gli strumenti caratterizzati, tra l’altro, dall’essere rimborsabili, in caso di insolvenza o liquidazione dell’ente, solo dopo tutti gli altri crediti [art. 28.1, lett. j), Reg. n. 575/2013] e, fuori dalla procedura, dall’assorbire per primi le perdite registrate dall’intermediario (lett. i); in quello aggiuntivo figurano gli strumenti che, tra l’altro, prevedono la riduzione permanente del valore nominale del credito o la conversione in strumenti di capitale primario di classe 1 al verificarsi del trigger event dedotto nel regolamento sottostante la loro emissione (art. 52.1, Reg. n. 575/2013); e in quello di classe 2, infine, sono ricompresi i prestiti subordinati, il cui rimborso è pienamente postergato al soddisfacimento di tutti gli altri creditori dell’ente non ugualmente subordinati [art. 63, lett. d), Reg. n. 575/2013].

[11] Gli altri criteri utilizzati attengono alla qualifica soggettiva del creditore [lavoratori dipendenti, per la parte relativa alla retribuzione fissa; fornitori di beni e servizi necessari per il normale funzionamento dell’ente sottoposto a risoluzione; sistemi di garanzia dei depositanti, per i contributi dovuti dall’ente in dissesto per l’adesione al sistema (lett. g)]; e al titolo dal quale nasce il credito [es.: obblighi derivanti dalla detenzione da parte dell’ente di disponibilità dei clienti e quelli sorti per effetto di un rapporto fiduciario: lett. c) e d)].

Una menzione a parte meritano i depositi protetti, espressamente esclusi dalle passività ammissibili, ex art. 49, co. 1, lett. a).

Nonostante l’espressa esclusione di cui si è detto, e nonostante il fatto che tra i principi a cui si conforma la risoluzione (e, dunque, il bail-in) vi sia quello per il quale «i depositi protetti non subiscono perdite», occorre sottolineare come, seppure indirettamente, anch’essi entrino nel complessivo meccanismo del salvataggio interno. Ed invero, ai sensi dell’art. 86, il fondo di garanzia dei depositanti è tenuto a corrispondere all’ente sottoposto a risoluzione una somma di denaro pari all’ammontare «di cui i depositi protetti sarebbero stati ridotti ai fini dell’assorbimento delle perdite se a quei depositi fosse stato applicato il bail-in» (mentre nessun intervento è previsto per la ricapitalizzazione dell’ente); tale esborso, inoltre, deve soddisfare il principio del minor onere, da valutare rispetto al rimborso diretto ed endoconcorsuale dei depositanti (anche per il fondo, cioè, deve valere la regola del no creditor worse off: Hadjiemmanuil, Bank Stakeholders’, cit., p. 11). Osservando il meccanismo dalla parte del fondo di garanzia non è vero, dunque ed a ben vedere, che i depositi protetti sono esclusi dalle passività ammissibili (sui rapporti tra salvataggi bancari e intervento dei fondi di garanzia dei depositanti cfr., da ultimo e per tutti, Maccarone, Il ruolo e l’ambito di intervento, cit., p. 187).

[12] Ovvero: impossibilità di applicare la misura in tempi ragionevoli; necessità di assicurare la continuità delle funzioni essenziali e delle principali linee di operatività dell’ente o di evitare un contagio che perturberebbe gravemente il funzionamento dei mercati finanziari; “distruzione di valore” a danno degli altri creditori che determinerebbe l’applicazione del bail-in nei confronti di quelle passività. Altri elementi rilevanti ai fini dell’esclusione sono, per un verso, l’impatto che avrebbe l’esclusione sulla capacità di assorbimento delle perdite dell’ente (lett. b) e, per altro verso, la qualità soggettiva dei titolari delle passività, la norma richiamando espressamente i crediti per depositi (per la parte che eccede la protezione accordata dai sistemi di garanzia) vantati da persone fisiche, microimprese, piccole e medie imprese (lett. e).

L’esclusione “supplementare” di alcune poste dal bail-in genera evidentemente un fabbisogno per la copertura delle perdite e per la ricapitalizzazione dell’ente che può essere soddisfatto, o attraverso l’allocazione di maggiori oneri in capo alle passività ammissibili (sempre però rispettando il principio del worse-off); oppure, e sembra l’opzione maggiormente realizzabile nella pratica, mediante l’intervento “esterno” del Fondo di risoluzione sul capitale dell’ente, che riporti (almeno) a zero il patrimonio netto o che ripristini il coefficiente di capitale primario di classe 1 richiesto per continuare ad operare come banca (art. 49, co. 5). Peraltro, il coinvolgimento del Fondo di risoluzione è, per un verso, subordinato ad un “contributo minimo” al salvataggio da parte degli azionisti e dei creditori (pari almeno all’8% delle passività totali, salva la deroga ex co. 8) e, per altro verso, contenuto in un tetto massimo (5% delle passività totali, salva anche qui la possibilità di una deroga, di cui al co. 10). In casi del tutto eccezionali e rispettando le condizioni poste dal co. 9, si può infine ricorrere a finanziamenti provenienti da fonti alternative al Fondo, che se pubbliche debbono comunque rispettare la disciplina in tema di aiuti di Stato (sul punto cfr., tra gli altri, Dewatripont, European banking, cit., p. 37).

[13] La discrezionalità dell’Autorità di risoluzione nello scegliere le passività eccezionalmente esonerabili dalla misura del bail-in è oggi limitata dal Regolamento delegato (UE) n. 2016/860, del 4 febbraio 2016, che impone alla stessa Autorità di fornire una solida spiegazione delle ragioni del trattamento di favore eventualmente riservato a determinate passività dell’ente. Sul punto cfr. Speranzin, Bail-in, cit., p. 44.

[14] Ciò che, non a caso, ha giustificato l’intervento specifico, sul punto, del Financial Stability Board, con il documento “Cross-border recognition of resolution action”, del 29 settembre 2014. In particolare, ai sensi dell’art. 59, co. 1 d.lgs. n. 180/2015, se una passività rientrante tra quelle ammissibili, ex art. 49, è disciplinata dalla legge di uno Stato terzo, la banca deve inserire nel regolamento negoziale la clausola in forza della quale il creditore accetta che, in caso di applicazione del bail-in, il suo diritto di credito potrebbe subire la svalutazione e/o la conversione in quote di capitale di rischio; in difetto di tale clausola, prosegue la norma, la stessa «si considera in ogni caso inserita di diritto nel contratto, anche in sostituzione di clausole difformi eventualmente apposte dalle parti, senza che sia dovuto alcun indennizzo per la sua mancata previsione». Tale disposizione genera più di un dubbio: se le parti hanno (legittimamente) scelto come applicabile al titolo la legge di uno Stato terzo, la quale non prevede la svalutazione o la conversione del diritto di credito ad opera di un provvedimento di un’Autorità amministrativa (per di più di uno Stato diverso), come può imporsi alla parte creditrice questo nuovo criterio di collegamento, che di fatto conduce all’applicazione della legge italiana? D’altronde, quando l’art. 50, co. 6 d.lgs. 180/2015, assegna alla Banca d’Italia il potere di disciplinare le caratteristiche che debbono possedere le passività ammissibili, aggiunge, con riferimento a quelle disciplinate dal diritto di uno Stato terzo, che esse sono computabili «a condizione che la società interessata abbia dimostrato (...) che l’eventuale applicazione del bail-in alle passività sarebbe efficace nell’ordinamento di quello Stato»; e l’art. 59, co. 3, da parte sua, consente alla stessa Banca d’Italia di «chiedere all’emittente di fornire un parere legale relativo all’applicabilità e all’efficacia della clausola contrattuale inserita».

[15] COM(2016) 853 final, del 23 novembre 2016. La modifica concerne, in particolare, l’art. 108 della direttiva 2014/59.

[16] Le espressioni nella specie utilizzate dal legislatore unionale risentono, in negativo, delle difficoltà connesse alla traduzione dei testi giuridici, non esistendo nel nostro ordinamento la categoria del credito di “primo rango”, e men che meno del credito di “primo rango non privilegiato” o, viceversa, “privilegiato”.

Sulle questioni legate alla traduzione/interpretazione dei testi giuridici (questioni che sono al centro della scienza conosciuta come “giurilinguismo”) cfr., da ultimo e per tutti, Zappacosta, Il giurilinguista nel diritto del commercio internazionale, Repères DoRiF Les voix/vois de la traduction – volet n. 2, DoRiF Università, Roma fèvrier 2016, http://www.dorif.it/ezine/ezine_articles.php?id=283.

[17] Nel Considerando n. 9 si legge: «Al fine di ridurre al minimo i costi sostenuti dagli enti creditizi e dalle imprese di investimento per conformarsi al requisito di subordinazione come pure l'eventuale impatto negativo sui loro costi di finanziamento, la presente direttiva dovrebbe consentire agli Stati membri di mantenere l'attuale classe di debito di primo rango non garantito, che presenta il più elevato rango in caso di insolvenza tra gli strumenti di debito ed è meno costosa da emettere per gli enti creditizi e le imprese di investimento rispetto a qualsiasi altra passività subordinata. Essa dovrebbe tuttavia imporre agli Stati membri di creare una nuova classe di attività del debito di primo rango “non privilegiato” da sottoporre a bail-in durante la risoluzione solo dopo gli strumenti di fondi propri, ma prima delle altre passività di primo rango. Gli enti creditizi e le imprese di investimento dovrebbero conservare la facoltà di emettere debito in entrambe le classi, mentre solo la classe di primo rango “non privilegiata” dovrebbe essere ammissibile ai fini del soddisfacimento del requisito di subordinazione del regolamento (UE) n. 575/2013 e della direttiva 2014/59/UE. Ciò dovrebbe consentire agli enti creditizi e alle imprese di investimento di utilizzare per il loro finanziamento o per altre ragioni operative il debito di primo rango meno costoso e di emettere la nuova classe di primo rango “non privilegiata” ai fini della conformità al requisito di subordinazione».

[18] In Spagna, in particolare, il Real Decreto Ley n. 11, del 23 giugno 2017, ha introdotto in quell’ordinamento i “créditos ordinarios no preferentes”, la disciplina dei quali ricalca esattamente quanto stabilito dalla proposta di direttiva europea e dalla legge di bilancio 2018 italiana. Su tali nuovi strumenti di finanziamento cfr. Tapia Hermida, Reforma de la regulación financiera por el Real Decreto-Ley 11/2017: Cooperativas de crédito y concurso de entidades financieras, 6 luglio 2017, disponibile on line http://ajtapia.com/2017/07/reforma-la-regulacion-financiera-real-decreto-ley-112017-cooperativas-credito-concursos-entidades-financieras/. Discipline simili erano state altresì introdotte in Belgio ed in Francia.

[19] Il primo “Senior Non-Preferred Bond” italiano è quello da poco emesso, con scadenza a 5 anni e per un importo complessivo pari a 1.5 miliardi di euro, da Unicredit.

[20] L’art. 1, co. 1104, l. n. 205/2017, estende la disciplina recata dal co. 1103 anche alle società di intermediazione mobiliare, introducendo un nuovo art. 60-bis.4-bis TUF.

[21] Il confronto con la procedura concorsuale amministrativa serve invero per fissare la soglia massima delle perdite che ciascun azionista o creditore della banca in dissesto può subire per effetto de bail-in: «nessun azionista e creditore subisce perdite maggiori di quelle che subirebbe se l’ente sottoposto a risoluzione fosse liquidato, secondo la liquidazione coatta amministrativa disciplinata dal TUB o altra analoga procedura concorsuale applicabile» (art. 22, co. 1, lett. c). In tale norma si fa riferimento alle perdite subite dagli azionisti e, eventualmente, dai creditori, per effetto della misura di risoluzione, che vengono poste in relazione con quelle che gli stessi soggetti avrebbero sopportato in caso di apertura della l.c.a.; il bail-in si riduce dunque ad un meccanismo che consente di allocare perdite, non già di soddisfare crediti (e, più in generale, interessi economici). E’ per tale motivo che, come si diceva nel testo, la concreta operatività del bail-in deve fare i conti con un modello “virtuale” di l.c.a., che rappresenti ciò che sarebbe accaduto (in termini, occorre ribadire, di perdite), in ipotesi di apertura della procedura concorsuale.

[22] Rimanendo sul terreno propriamente concorsuale, non v’è dubbio che la novella contribuisca a rendere ancora più caotica la situazione dei riparti nella l.c.a. bancaria, essendo ora ben quattro le sottocategorie di chirografari caratterizzati da diversi livelli di seniority; alle quali si aggiungono, per un versante, le varie tipologie di subordinati e gli ibridi di patrimonializzazione e, sul versante opposto, i privilegiati, coloro che vantano garanzie reali e, infine, i prededucibili.

[23] Le altre caratteristiche essenziali, come si è visto, concernono: la durata, non potendo questa essere inferiore ai 12 mesi; la stabilità nominale, non essendo (né avendo le caratteristiche degli) strumenti finanziari derivati, né potendo a questi essere collegati; l’importo minimo del taglio, pari a 250.000 euro; il collocamento selettivo, essendo rivolto ai soli investitori qualificati.

[24] Accanto alle ipotesi tipiche di subordinazione volontaria, vi sono anche quelle atipiche, nelle quali l’individuazione dei confini (ossia dei presupposti, delle condizioni, degli effetti e dell’estensione oggettiva, soggettiva e temporale) della subordinazione è lasciata all’autonomia dei paciscenti. La libertà di cui godono le parti nel modellare il patto di subordinazione fa sì che nella pratica degli affari si registrino clausole di subordinazione dal contenuto più vario: per una rassegna delle diverse ipotesi di subordinazione volontaria cfr. Vattermoli, Crediti subordinati e concorso tra creditori, Milano, 2012, pp. 6 ss.

[25] Ed invero, dal punto di vista cronologico, il patto di subordinazione può essere contestuale (ab initio subordination) alla nascita del credito oppure successivo (subsequent subordination), in questo secondo caso «dando vita ad un autonomo negozio destinato a modificare il preesistente regolamento del credito»: così, G.F. Campobasso, I prestiti subordinati nel diritto italiano, in Portale (a cura di), Ricapitalizzazione delle banche e nuovi strumenti di ricorso al mercato, Milano, 1983, p. 356. Sul punto cfr., altresì, Bruyneel, Les prêts subordonnés, in Rev. banque, 1976/77, 530: «L’engagement de subordination peut être pris par le créancier tantôt au moment où il consent un prêt ou conclut un contrat qui va le rendre créancier, tantôt ultérieurement».

[26] In tal caso, la subordinazione può definirsi ad oggetto elastico o variabile, atteso che soltanto nel momento in cui si realizza l’evento che rende operante la subordinazione sarà possibile individuare gli effettivi beneficiari della postergazione.

[27] Sembra tuttavia difficile immaginare che si possa giungere a delineare i contorni della clausola di postergazione in modo tale da rendere la stessa incondizionata (anche detta “complete” o “standstill subordination”), così impedendo il soddisfacimento del credito che ne è caratterizzato fintanto che vi siano crediti non ugualmente subordinati da soddisfare. Su di un piano generale, infatti, la subordinazione assoluta – come quella che viene qui in considerazione – è di norma condizionata; sempre sul piano generale, poi, quella involontaria è altresì concorsuale, scattando solo in caso di apertura del concorso sul patrimonio del debitore comune. Su questi aspetti cfr., in generale, Ryan, The Subordinated World of Junk Bonds, in 105 Bank. L.J., 1988, p. 5; Seberger, Subordination and Inter-Creditor Agreements, IICLE Press, 2007, 11, disponibile on line sul sito www.iicle.com, «The standstill subordination, sometimes referred to as a “standby” subordination, is the most protective of the senior lender. As its name implies, under the standstill subordination, the junior creditor may not receive or accept any payment from the borrower and is obligated to stand still or stand by until all amounts (principal and interest) owing to the senior lender are paid in full»; G.F. Campobasso, I prestiti subordinati, cit., p. 356; Otis Rodner, La subordinación del crédito, Caracas, 1981, p. 21; Lopes, Contractual Subordinations and Bankruptcy, in 97 Banking L.J., 1980, p. 206-207; Goldenberg, La subordinación voluntaria de créditos, Cizur Menor, 2011, p. 35.

[28] Nella subordinazione involontaria, invero, la legge opera una valutazione ex ante del credito, ritenendolo non meritevole di partecipare, nella ripartizione del patrimonio del debitore comune, su un piano di uguaglianza con gli altri crediti concorrenti. E’ il credito ad essere subordinato, non il creditore, anche qualora la retrocessione del rango creditizio sia fatta dipendere dalle condizioni personali di quest’ultimo: il cambio nella titolarità del medesimo non può, dunque, reagire su tale caratteristica o qualità. Sul punto cfr., tra gli altri, Carroll, Priorities and Subordination in the Bankruptcy Reform Act of 1978, in 17 Hous. L. Rev., 1980, p. 249; Baird-Rasmussen, Anti-Bankruptcy, University of Southern California Law, Legal Studies Research Paper Series Paper No. 09-9, 2009, disponibile on line sul sito http://papers.ssrn.com; Fortgang-Moers Mayer,Trading Claims and Taking Control of Corporation in Chapter 11, in 12 Cardozo L. Rev., 1990, p. 1 ss.; Berman, District court decides that equitable subordination runs with claimant, not with claim, in Bankruptcy Law Alert, settembre 2007, p. 1-2.

[29] Nello stesso senso, in un’ottica più generale, G.F. Campobasso, I prestiti subordinati, cit., p. 372.

[30] In generale, sui problemi generati dai “de-subordination agreements” cfr., tra gli altri, Wood, Subordination Agreements, Bankruptcy and the PPSA, in 49 Canadian Business Law Journal, 2010, p. 72; Levin, Subordination, Priorities and Super-Priorities: An Update, 2008, disponibile on line sul sito www.fasken.com, p. 4: «It is uncommon in corporate finance for subordination arrangements to be put in place between a borrower and certain subordinating creditors in circumstances where senior creditors are not made party to the relevant subordination agreement. A question arises as to whether this lack of privity will impair the enforceability of the subordination arrangements in the event of an insolvency of the borrower as between unsecured creditors». Per la dottrina francese cfr., per tutti, Retout, Les Titres subordonnés, Paris, 1995, p. 19: «Une difficulté pourrait ce pendant apparaître du fait que les créanciers subordonnés (les stipulants) conservent le droit de révoquer la subordination faite au profit des autres créanciers (les bénéficiaires) tant que ceux-ci n’ont pas déclaré vouloir en profiter».


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