Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 450 - pubb. 01/01/2007

Recesso del socio e concorso di cause di esclusione

Tribunale Isernia, 28 Dicembre 2006. Est. Penta.


Società di persone – Recesso ed esclusione del socio – Concorso di cause – Criterio di prevalenza – Effetti.

Società di persone – Delibera di esclusione del socio – Addebiti – Eccessiva genericità – Diritto di difesa.



Nelle società di persone, il principio secondo il quale, nel concorso di più cause di scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio, deve ritenersi operante quella che si verifichi per prima, trova applicazione anche nel caso di concorso fra recesso ed esclusione. A tal punto che finanche nel corso del giudizio promosso per conseguire l’esclusione di un socio, è a questi consentito di esercitare il diritto di recesso (insindacabilmente, se la società è a tempo indeterminato, ovvero per giusta causa, se la società è a tempo determinato), e così di determinare lo scioglimento del rapporto dal momento in cui la sua dichiarazione perviene a conoscenza del destinatario, in via prevalente rispetto alla successiva sentenza che ne pronunci l’esclusione di natura costitutiva, e quindi operante solo dal passaggio in giudicato. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

In tema di esclusione del socio di società di persone, gli addebiti di aver posto in essere “gravi inadempienze delle obbligazioni derivanti dal contratto sociale” e di essersi “reso ripetutamente inadempiente delle obbligazioni che derivano dalla legge e dal contratto sociale” sono eccessivamente generici e non consentono al socio escluso l’esercizio del diritto di difesa, tanto più qualora tali categorie sintetiche non vengano neppure ipotizzate come cause di esclusione nell’atto costitutivo o nello statuto. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


 


r.g. n. 207/2006

omissis

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 6.3.2006 T. D., premesso di aver costituito, unitamente a P. E. e P. L., in data 7.2.2000 la S.D., fissando la durata della società al 31.12.2050 e nominando amministratore P. E.; di aver ricevuto in data 4.2.2006 la notifica della delibera del 4.1.2006 con la quale la maggioranza dei soci aveva deciso di escluderlo dalla società, addebitandogli gravi inadempienze delle obbligazioni derivanti dal contratto sociale; di aver comunicato, con nota del 29.6.2004, il proprio recesso dalla società, invitando l’amministratore a provvedere alla liquidazione della stessa per impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale; che l’amministratore della società aveva compiuto gravi violazioni dei doveri di correttezza e diligenza nell’amministrazione (essendo serio il sospetto che avesse utilizzato per scopi personali le risorse finanziarie della società), nonché dei doveri di informativa nei suoi confronti; che i predetti motivi avevano rappresentato giusta causa di recesso; che non gli era stata ancora liquidata la quota pari al 45% del capitale sociale;  di aver subito gravi pregiudizi a causa del comportamento dell’amministratore;

tanto premesso, citava in giudizio la S.D. snc, P. E. e P. L., chiedendo dichiararsi nulla e comunque invalida la delibera per notar V. del 4.1.2006; dichiarare il suo recesso per giusta causa; disporre la liquidazione della quota in suo favore; condannare i soci in proprio al risarcimento dei danni in suo favore per la illegittima adozione della delibera di esclusione; revocare la nomina ad amministratore di P. E.; condannare il P. al risarcimento dei danni per le violazioni rappresentate; con vittoria di spese, competenze ed onorari di giudizio.

Si costituivano in giudizio i convenuti, evidenziando che il T. non aveva mai corrisposto la somma di lire 9.000.000 dovuta al momento della costituzione della società e non aveva mai partecipato alle attività aziendali;  che il T., dopo aver conferito alla società una motrice Iveco 110 di provenienza svizzera, non aveva ultimato le operazioni di nazionalizzazione del veicolo e, impossessatosi del veicolo, si era rifiutato di restituirlo; che nell’ottobre-novembre 2003 il T. aveva convinto gli altri due soci a vendere un trattore stradale Renault 390 a M. G. per la somma di euro 1.000,00, non rappresentando la circostanza che in realtà aveva ricevuto a titolo di corrispettivo un importo superiore a 8.000 euro; di aver scoperto che il T. aveva indirizzato sul proprio conto corrente n.325/31 dei versamenti in realtà spettanti alla società; che il T., dopo aver preso in prestito nel mese di agosto del 2002 un furgone Renault appartenente alla snc, non lo aveva mai restituito; che contrassegni per un importo complessivo di euro 4.407,80, pur risultando apparentemente rimborsati dal T. in data 6.10.2003, in realtà non erano mai stati consegnati materialmente alla S. di Frosinone;  che le predette gravi inadempienze giustificavano l’esclusione dell’attore dalla società ai sensi dell’art.2286 c.c.;

tanto dedotto, chiedevano dichiararsi inefficace l’atto di citazione; nel merito, dichiarare valida ed efficace la delibera di esclusione del 4.1.2006; in via riconvenzionale, condannare l’attore al risarcimento del danno per lite temeraria; con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa.

Le parti si scambiavano memorie di replica ai sensi degli artt.6 e 7 DLgs n.5/2003.

Con istanza depositata il 25.9.2006, l’attore chiedeva la fissazione dell’udienza di discussione.

Indi, all’udienza del 22.12.2006, la causa, sulle conclusioni di cui in epigrafe,  veniva riservata alla decisione del collegio, con concessione dei termini ordinari di legge per il deposito di comparse conclusionali e di eventuali memorie di replica.

MOTIVI DELLA DECISIONE

E’ opportuno far precedere l’analisi nel merito della presente controversia da alcune considerazioni di carattere generale.

Il recesso ai sensi dell’art.2285 c.c., ancorché per giusta causa, è esercizio di un diritto potestativo, integrante una dichiarazione di volontà, oltre che unilaterale, recettizia, da portare a conoscenza degli altri soci, pur non essendo prevista e richiesta la loro accettazione, tanto è vero che produce effetti con la loro presa di conoscenza.

E’ necessaria, o quanto meno ammissibile, la domanda giudiziale per l’esercizio del diritto di recesso per giusta causa, a fronte soprattutto di una situazione di “stallo”, ovvero di incertezza, determinata dalla mancata presa di posizione da parte degli altri soci. E’ evidente che in siffatta evenienza la pronuncia giudiziale che riscontrasse la sussistenza della giusta causa avrebbe natura meramente dichiarativa con efficacia ex tunc.

Nelle società di persone, il principio secondo il quale, nel concorso di più cause di scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio, deve ritenersi operante quella che si verifichi per prima, trova applicazione anche nel caso di concorso fra recesso ed esclusione. A tal punto che finanche nel corso del giudizio promosso per conseguire l’esclusione di un socio, è a questi consentito di esercitare il diritto di recesso (insindacabilmente, se la società è a tempo indeterminato, ovvero per giusta causa, se la società è a tempo determinato), e così di determinare lo scioglimento del rapporto dal momento in cui la sua dichiarazione perviene a conoscenza del destinatario, in via prevalente rispetto alla successiva sentenza che ne pronunci l’esclusione di natura costitutiva, e quindi operante solo dal passaggio in giudicato (cfr., infra alios, Cass. civ. 13.1.1987, n.134).

Un società costituita verso la fine del 1900 con durata prevista oltre il 2050, tacitamente prorogabile di anno in anno, può dirsi contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci (art.2285, primo comma, c.c.), avendo riguardo non soltanto alla vita lavorativa, ma anche alla durata media della vita biologica (Trib. Milano, 7.2.2003). Nel caso di specie, la S.D. s.n.c. è stata costituita il 7.2.2000 e la sua durata era stata fissata al 31.12.2050, tacitamente prorogabile di anno in anno, in assenza di tempestiva disdetta. Orbene, tenuto conto che uno dei tre soci (P. E.) è nato il 16.11.1964, potrebbe in astratto sostenersi la sussistenza dei presupposti per un recesso anche in assenza di una giusta causa. Tuttavia, nella fattispecie in esame il socio T. D. ha posto a fondamento del proprio recesso una (a suo dire) giusta  causa e non la durata indeterminata (o per tutta la durata di uno dei soci) della società.

Nelle società di persone, in materia di controversie riguardanti lo scioglimento particolare del rapporto sociale, e quindi anche in quelle in cui occorra accertare la sussistenza e validità della giusta causa addotta dal socio recedente, la società è priva della legittimazione passiva, dal momento che gli unici soggetti direttamente e necessariamente contraddittori devono considerarsi, in via esclusiva, le altre persone dei soci che restano nella società stessa.

Venendo all’analisi del presente caso, è a rilevarsi che, con missiva datata 29.6.2004 (e ricevuta dagli altri due soci il 2.7.2004), T. D. ha dichiarato formalmente il proprio recesso per giusta causa dalla S.D. s.n.c., fondandolo sulla (a suo dire) “grave violazione dei doveri di correttezza e diligenza nell’amministrazione, nonché nella reiterata omissione dei doveri di informativa, nei suoi confronti, circa la gestione e l’andamento della società, da parte dell’amministratore sig. P. E..”.  
Successivamente, con delibera adottata il 4.1.2006, gli altri due soci P. E. e P. L. hanno deciso l’esclusione dalla società del T. “per gravi inadempienze delle obbligazioni derivanti dal contratto sociale.” In particolare, per non aver collaborato per il raggiungimento degli scopi sociali e non aver partecipato fattivamente alle attività della Società ed essersi reso ripetutamente inadempiente delle obbligazioni che derivano dalla legge e dal contratto sociale”. Tempestivamente, ai sensi dell’art.2287 c.c., il socio escluso ha proposto opposizione davanti all’intestato Tribunale, sostenendo l’insussistenza dei motivi posti a base dell’esclusione ed evidenziando di aver circa un anno e mezzo prima formalizzato il proprio recesso per giusta causa dalla società.

Occorre, pertanto, previamente accertare se ricorre la giusta causa di recesso formalizzata dal socio T., atteso che l’eventuale scioglimento del vincolo sociale per tale motivo prevarrebbe sulla successiva esclusione del medesimo deliberata dagli altri due soci.

A tal riguardo, va rilevato che l’avveramento di una giusta causa di recesso non è sufficiente, di per sé solo, a far venir meno il vincolo associativo, ma occorre che tale causa sia espressamente indicata nella comunicazione di recesso (Corte appello Milano, 25.10.1991). Nel caso di specie, pur avendo il legale del T. solo genericamente enunciato nella missiva del 19.6.2004 i motivi del proprio recesso, è evidente che il socio riteneva che fosse medio tempore venuta meno la fiducia nell’operato del socio amministratore P. E..

Orbene, il recesso per giusta causa da una società in nome collettivo può essere esercitato in presenza di una reiterata violazione da parte del socio-amministratore dell’obbligo di rendere conto al socio recedente della gestione sociale e dell’andamento della società, traducendosi questa in violazione di doveri di fedeltà, diligenza e correttezza (Trib. Pavia, 19.4.1991). In particolare, la giusta causa di recesso del socio di s.n.c. va ricondotta ad una plausibile e giustificabile reazione ad un comportamento degli altri soci che in misura obiettiva, ragionevole ed irreparabile abbia inciso negativamente sul rapporto fiduciario che deve legare ciascun socio all’altro (Cass. civ. 14.2.2000, n.1602). Ad esempio, ricorre una giusta causa di recesso ex art.2285 c.c. ogni qualvolta il socio venga immotivatamente escluso dalla gestione degli  affari sociali o dal controllo sull’attività sociale (Trib. Verona, 25.1.1994; conf. Corte appello Bologna, 20.11.1993).

Nel libello introduttivo T. D. ha sostenuto che l’amministratore della società avrebbe compiuto gravi violazioni dei doveri di correttezza e diligenza nell’amministrazione (essendo serio il sospetto che avesse utilizzato per scopi personali le risorse finanziarie della società), nonché dei doveri di informativa nei suoi confronti. Nella memoria notificata ai sensi dell’art.6 DLgs n.5/2003, l’attore si è limitato a prendere posizione sui rilievi mossigli dai convenuti e posti a fondamento della sua esclusione. 
Infine, agli atti di causa vi sono due lettera di riscontro della Banca Toscana, nelle quali l’istituto di credito, su espressa richiesta del T., rappresenta che l’esposizione debitoria della società è alla data del 15.4.2004 di euro 1.731,53 (quale saldo debitore del c/c ad essa intestato) e in data 27.12.2004 di complessivi euro 24.041,39 (di cui € 10.841,39 per saldo dare c/c ed  €13.200,00 per anticipi su fatture).

Alla stregua della scarna documentazione in atti, il T. non ha idoneamente dimostrato la sussistenza della giusta causa di recesso. Né alla lacuna probatoria egli avrebbe potuto porre rimedio attraverso una ctu contabile (che avrebbe avuto una valenza esplorativa e sarebbe stata finalizzata a colmare un deficit probatorio), acquisendo gli estratti conto di alcuni istituti di credito con i quali la snc intratteneva rapporti (non potendosi a tal fine ritenere sufficiente il “serio sospetto che questi – vale a dire, il socio amministratore P. E. – abbia utilizzato per scopi personali le risorse finanziarie della società.”) o ottenendo l’esibizione delle scritture contabili della società (atteso che nessuna critica specifica ed analitica alla gestione contabile è stata formulata). Da ultimo, non risulta neppure dimostrato un ipotetico intralcio frapposto dall’amministratore P. al controllo sulla gestione della società, atteso che, se è vero che con missiva del 10.5.2006 il T. si è lamentato, per il tramite del proprio legale, dell’impedimento oppostogli alla presa in visione dei libri contabili della società, è altrettanto vero che ciò è avvenuto circa tre mesi dopo la sua esclusione e che per ben due anni non risultano doglianze di siffatto tenore.

Pertanto, le domande dell’attore dirette a dichiarare il proprio recesso per giusta causa dalla S.D. s.n.c., nonché a disporre la liquidazione della quota in suo favore, quale socio uscente, vanno rigettate.

Occorre analizzare la ulteriore domanda finalizzata a conseguire la declaratoria di nullità e, comunque, l’annullamento della delibera di esclusione adottata il 4.1.2006, non senza evidenziare sin da subito che, in ogni caso, non potrebbe, anche qualora la delibera impugnata fosse valida, disporsi la liquidazione della quota spettante al T., in considerazione del fatto che quest’ultima presuppone il previo passaggio in giudicato della eventuale pronuncia giudiziale costitutiva di esclusione del socio.

A tal riguardo, è necessario che nella comunicazione da farsi al socio escluso, ai sensi dell’art.2287 e ai fini della decorrenza del termine per fare opposizione, siano indicati i motivi dell’esclusione, perché il socio abbia la possibilità di far valere le proprie ragioni davanti al tribunale. Nella fattispecie in esame con delibera adottata il 4.1.2006, gli altri due soci P. E. e P. L. hanno deciso l’esclusione dalla società del T. “per gravi inadempienze delle obbligazioni derivanti dal contratto sociale” e, in particolare, per non aver questi “collaborato per il raggiungimento degli scopi sociali e non aver partecipato fattivamente alle attività della Società ed essersi reso ripetutamente inadempiente delle obbligazioni che derivano dalla legge e dal contratto sociale”.

Per giurisprudenza consolidata, nel giudizio di opposizione avverso la deliberazione di esclusione di un socio dalla società ai sensi dell’art.2287, non si può tener conto di motivi di esclusione diversi da quelli enunciati nella delibera adottata dalla maggioranza dei soci (principio consacrato sin da Cass. civ. 16.6.1989, n.2887).

Orbene, il generico addebito rappresentato con la formula “per gravi inadempienze delle obbligazioni derivanti dal contratto sociale” e reiterato con la successiva accusa di essersi (il T.) “reso ripetutamente inadempiente delle obbligazioni che derivano dalla legge e dal contratto sociale” non può essere preso in considerazione, in quanto rappresenta una sorta di “pseudoimputazione” che rende impossibile di fatto l’esercizio del diritto di difesa e che non consiste neppure in una categoria sintetica eventualmente ipotizzata come causa di esclusione in seno all’atto costitutivo o allo statuto (quale potrebbe essere, a titolo esemplificativo, la previsione statutaria dell’esclusione di coloro che abbiano commesso azioni incompatibili con l’interesse della società o con il prestigio della stessa). Invero, nel caso di specie, l’atto costitutivo della S.D. s.n.c. non prevedeva alcuna ipotesi specifica di esclusione dei soci.

D’altra parte, le accuse mosse per la prima volta nella comparsa di costituzione non possono essere prese in considerazione, in quanto rappresentano all’evidenza censure diverse dall’omessa collaborazione o dalla mancata fattiva partecipazione nella gestione sociale, in relazione alla quale ultima non è stata offerto alcun elemento probatorio.

In ogni caso, i rilievi contenuti nella comparsa di costituzione non sono stati idoneamente provati.

In proposito, vanno enunciati i principi generali che seguono.

In primo luogo (e ciò rileva anche ai fini della ripartizione dell’onere probatorio tra le parti), ripetesi, nel giudizio  promosso  dal  socio in opposizione  alla  delibera di esclusione, la società, avendo la veste sostanziale di parte istante per la risoluzione del rapporto, è tenuta a provare il fatto in base al  quale è stata   adottata quella delibera (nella specie, inadempimento del socio), mentre non può invocare a sostegno di essa fatti distinti, ancorchè potenzialmente idonei a giustificare la rescissione del rapporto sociale (Cassazione civile sez. I, 8 luglio 1994, n. 6452, in Giust. civ. Mass. 1994, 938).

In secondo luogo, il  controllo  del giudice  di merito in riguardo alla esclusione del socio di una società in nome  collettivo non può esercitarsi sulla discrezionalità sull'opportunità del provvedimento (posto che l'insindacabilità delle scelte  sociali attiene soltanto alla valutazione discrezionale dell'opportunità del provvedimento in presenza di determinati fatti),  mentre  è consentito sulla sussistenza o meno delle inadempienze del socio che hanno condotto a quella esclusione (Cassazione civile sez. I, 9 agosto 1991 n. 8695, in Dir. fall. 1992, II, 369).  

In terzo luogo, al fine dell'esclusione del socio di una società, secondo la previsione dell'art. 2286 c.c., per inadempimento di obbligazioni che discendano dalla legge o dal  contratto sociale, configurano  requisiti  necessari, sindacabili dal giudice in sede d'impugnazione da parte dell'interessato della deliberazione del competente organo collegiale, la colposità di detto inadempimento, peraltro da presumersi in applicazione della regola generale dell'art. 1218 c.c., e la gravità del medesimo, da riscontrarsi in relazione al pregiudizio arrecato al perseguimento dello scopo sociale (Cassazione civile, sez. I, 14 luglio 1988 n. 4598,  in Giust. civ. Mass. 1988, fasc. 7 Giust. civ. 1988, I, 2536).   
In particolare, quanto al secondo requisito, la gravità dell'inadempimento del socio, che può determinarne l'esclusione dalla società, sussiste anche quando il comportamento contestato, secondo l'insindacabile valutazione del giudice di merito, abbia reso meno agevole il perseguimento dello scopo sociale (Cassazione civile sez. I, 17 settembre 1993, n. 9577, in Giur. it. 1994, I, 1,1548), incidendo in tal guisa negativamente sulla situazione della società. Invero, non occorre che la gravità dell'inadempienza impedisca del tutto il raggiungimento dello scopo sociale, cioè che da essa consegua la paralisi della vita sociale (Cassazione civile, sez. I, 17 aprile 1982 n. 2344, in Dir. fall. 1982, II, 985).

La prima accusa rivolta al T. è stata quella di non aver mai corrisposto la somma di lire 9.000.000, pari alla quota di capitale sottoscritta al momento della costituzione della società, e di non aver mai partecipato alle attività aziendali. Orbene, a prescindere dal fatto che la tesi è contrastante con quanto attestato all’art.VI dell’atto costitutivo della società (“Il capitale sociale è di lire 20.000.000 (ventimilioni) che viene sottoscritto e versato dai soci nella maniera che segue: …”), non vi è agli atti alcuna prova in ordine all’assunto propugnato.

La seconda censura concernerebbe l’operato del T. il quale, dopo aver conferito alla società una motrice Iveco 110 di provenienza svizzera, non avrebbe ultimato le operazioni di nazionalizzazione del veicolo e, impossessatosi del veicolo, si sarebbe rifiutato di restituirlo. In astratto, integra senz’altro grave inadempienza ai sensi dell’art. 2286 c.c. la mancata restituzione da parte del socio di un bene sociale di cui gli era stato in precedenza consentito l’uso privato. La società ha infatti il diritto di disporre e di mutare la destinazione ai beni sociali e l’ingiustificato rifiuto di riconsegnarli dimostra che il socio antepone l’utile personale all’interesse sociale (cfr., in tal senso, Trib. Milano, 28.10.1993). Gli stessi convenuti hanno depositato la copia del libretto di circolazione relativo al predetto veicolo, dalla quale si evince che in realtà quest’ultimo risulta intestato alla “Sesto Trasporti di Cicerone Angelo e C. s.n.c.”. I P. intendevano provare mediante l’escussione di un teste che il T. non aveva provveduto alla nazionalizzazione del veicolo. Tuttavia, la prova orale correttamente non è stata ammessa dal giudice designato, atteso che la predetta circostanza presuppone la prova dell’avvenuto conferimento dello stesso dall’attore alla S.D. snc, circostanza, quest’ultima, giammai provata.

Ancora i convenuti sostengono che nell’ottobre-novembre 2003 il T. li avrebbe convinti a vendere un trattore stradale Renault 390 a tal M. G. per la somma di euro 1.000,00, non rappresentando la circostanza che in realtà egli aveva ricevuto a titolo di corrispettivo un importo superiore a 8.000 euro. In relazione a tale aspetto, era stata ammessa la prova testimoniale diretta a dimostrare che l’importo pagato per la motrice era stato in realtà superiore ad euro 8.000,00. Tuttavia, i convenuti non hanno citato in giudizio il teste Martone Massimiliano, in tal guisa incorrendo nella decadenza sancita dall’art.104 disp. atti. c.p.c.. In ogni caso, il legale dei convenuti ha rinunciato, nel corso dell’udienza collegiale del 22.12.2006 al teste Martone; sul punto, vi è stata l’adesione da parte del legale di controparte.

Altra doglianza è consistita nell’aver scoperto che il T. avrebbe indirizzato sul proprio conto corrente n.325/31 dei versamenti incassati da alcuni contrassegni in realtà spettanti alla società. In astratto, la predetta condotta integrerebbe gli estremi di un grave inadempimento, in quanto si sarebbe realizzata una indebita commistione tra il patrimonio sociale e quello personale del socio. Sul punto, è sufficiente evidenziare, in assenza di ulteriori elementi di carattere probatorio (la prova testimoniale era del tutto irrilevante, in quanto mirante solo a dimostrare che il T. si occupava esclusivamente della gestione operativa, del controllo spedizioni e dell’incasso con relativo rimborso dei contrassegni), che gli assegni che sarebbero stati emessi da clienti, a fronte della consegna di pacchi e di plichi, in realtà risultano intestati alla Dart Express s.r.l., società che non appare collegata né con la S.D. s.n.c. né con il T..

I convenuti hanno altresì sostenuto che il T., dopo aver preso in prestito nel mese di agosto del 2002 un furgone Renault appartenente alla snc, non lo avrebbe mai restituito.  Tuttavia, agli atti vi è solo il dispositivo di una sentenza emessa dal giudice di pace di Campobasso in data 23.11.2005, con la quale veniva dichiarata la perdita di possesso in capo a tal Persichilli Giuseppe (che sarebbe, secondo l’assunto dei convenuti, il dante causa della società) del predetto autocarro ed una nota dell’ACI di non agevole lettura e dagli incerti contenuti. Del resto, in una missiva del 5.6.2006 il legale dell’attore sostiene che il furgone sarebbe stato demolito dalla snc nel 2001.

Infine, anche l’accusa secondo cui contrassegni per un importo complessivo di euro 4.407,80, pur risultando apparentemente rimborsati dal T. in data 6.10.2003, in realtà non sarebbero mai stati consegnati materialmente alla S. di Frosinone è rimasta priva di qualsivoglia riscontro oggettivo.

Per l’effetto, non è stata comunque riscontrata l’effettiva ricorrenza dei casi nei quali la legge consente l’esclusione del socio. L’annullamento della deliberazione di esclusione del T. opera ex tunc e comporta la reintegrazione del socio stesso nella sua posizione anteriore e nella pienezza dei diritti da essa derivati (cfr. Cass. civ. 22.12.2000, n.16150).

Pur potendo comportare in astratto le illegittimità di una delibera di esclusione il sorgere di un credito di natura risarcitoria, è a rilevarsi l’assoluta mancanza di prova, da parte del T., in ordine all’esistenza e all’entità del pregiudizio asseritamene subito.

Da ultimo, l’attore non ha offerto alcun elemento di prova a fondamento della domanda finalizzata ad ottenere la nomina ad amministratore di P. E., tale non potendosi considerare la corrispondenza epistolare intercorsa tra le parti.

In considerazione del parziale accoglimento della domanda attorea, sussistono giusti motivi per compensare nella misura dei due terzi le spese del presente giudizio, ponendo il residuo terzo a carico dei convenuti.

P.Q.M.

Il Tribunale, ogni diversa istanza, deduzione ed eccezione disattesa, definitivamente pronunciando sulle domande proposte da T. D. con atto di citazione notificato in data 3.3.2006, così provvede :

a) annulla la deliberazione per notar V. adottata il 4.1.2006, rep. 53066 (racc. 19898), con la quale era stata decisa l’esclusione del socio T. D. dalla S.D. s.n.c.;

b) rigetta le ulteriori domande proposte dal T.;

c) rigetta la domanda riconvenzionale di condanna per lite temeraria proposta nell’interesse di P. E. e P. L., il primo quale amministratore e socio della S.D. ed il secondo quale socio della stessa s.n.c.;

b) previa compensazione in ragione dei due terzi, condanna i convenuti al pagamento, in favore del T., del restante terzo delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi euro 1.065,00, di cui 65 per esborsi, 405 per diritti e 595 per onorario, oltre IVA, Cpa e rimborso forfetario come per legge.

Così deciso in Isernia il  28.12.2006.