Diritto e Procedura Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 1735 - pubb. 25/05/2009

Notifica in proprio dell’avvocato, effetti per il notificante come principio generale

Cassazione civile, sez. III, 01 Aprile 2004, n. 6402. Est. Perconte Licatese.


Procedimento civile - Notificazione - A mezzo posta - Perfezionamento - Nei riguardi del notificante e del destinatario - Distinzione - Estremi - Sentenza Corte Cost. n. 477 del 2002 - Portata - Notifica eseguita a mezzo posta dal difensore ex art. 1, legge n. 53 del 1994 - Applicabilità - Condizioni - Limiti - Fattispecie in tema di ricorso incidentale.



In tema di notificazione a mezzo del servizio postale, a seguito della pronunzia n. 477 del 2002 della Corte Costituzionale, la notificazione a mezzo posta deve ritenersi tempestiva per il notificante al solo compimento delle formalità direttamente impostegli dalla legge, ossia con la consegna dell'atto da notificare all'ufficiale giudiziario, mentre per il destinatario resta fermo il principio del perfezionamento della notificazione soltanto alla data di ricezione dell'atto, attestata dall'avviso di ricevimento del plico postale che lo contiene. Tale principio ha carattere generale, e trova pertanto applicazione anche nell'ipotesi in cui la notifica a mezzo posta venga eseguita, anziché dall'ufficiale giudiziario, dal difensore della parte ai sensi dell'art. 1 legge n. 53 del 1994, irrilevante essendo al riguardo, nei limiti di tale richiamata normativa, il dato soggettivo dell'autore della notificazione, con l'unica differenza che alla data di consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario va in tal caso sostituita la data di spedizione del piego raccomandato.(In applicazione di tale principio la S.C. ha ritenuto tempestivamente proposto un ricorso incidentale spedito entro i quaranta giorni, ma ricevuto dopo tale termine dal destinatario). (fonte CED – Corte di Cassazione)



omissis

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P. C., già conduttrice, nella stagione 1984, dell'albergo "Hotel ***" di ***, premesso che, con sentenza n. 46 del 1993, la Corte d'appello di Venezia aveva stabilito, a carico della locatrice Immobiliare *** s.r.l., l'obbligo di corrisponderle l'indennità di avviamento per detta locazione stagionale, rinviandone la determinazione al pretore, competente a norma dell'art. 45 della legge 27 luglio 1978 n. 392; adiva, a quest'ultimo scopo, il pretore di Venezia, precisando di aver pagato nel 1984 un canone stagionale di lire 14.250.000.

La convenuta, confermando che la locazione aveva avuto vigore nella sola stagione 1984, negava che per le locazioni stagionali spettasse, a norma dell'art. 34 della l. cit., alcun diritto all'indennità di avviamento, e comunque, nel caso contrario, prospettava la necessità di introdurre un'interpretazione perequativa del calcolo. Il Tribunale, subentrato al pretore, con sentenza del 3 novembre 1999, determinava l'indennità in lire 59.850.000 (14.250.000: 5 mensilità x 21, ai sensi dell'art. 34 cit.).

La Corte d'appello di Venezia, con sentenza del 7 novembre 2000, in parziale accoglimento del gravame della società immobiliare, ha ridotto l'indennità a lire 24.937.500 (14.250.000: 12 x 21). Ricorrono per la Cassazione in via principale l'Immobiliare *** e in via incidentale la P., entrambe con un unico motivo. La ricorrente principale ha depositato una memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

È preliminare, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., la riunione dei ricorsi.

Denunciando contraddittoria e insufficiente motivazione e falsa applicazione dell'art. 34 della legge 27 luglio 1978 n. 392, la ricorrente principale critica la decisione della Corte di ritenere rigidamente applicabile il criterio di calcolo dell'ultimo canone moltiplicato per 21 mensilità, sebbene la locazione sia durata un solo anno.

Proprio in considerazione di tale ultima, decisiva circostanza, e per evitare l'irrazionale conclusione che a una locazione stagionale consegua un'indennità di avviamento eguale a quella ordinariamente collegata a una locazione novennale, l'unica interpretazione costituzionalmente orientata della norma surrichiamata (la quale non può che presupporre la costanza del rapporto per un periodo novennale) è che la durata della locazione non sia indifferente, ma riceva un proporzionale riconoscimento economico in termini di indennità di avviamento; la quale, in altri termini, dovrà essere calcolata con un criterio di proporzionalità tra la durata effettiva della locazione e quella tipica prevista dalla legge. Di qui l'esattezza del criterio di calcolo suggerito dall'odierna ricorrente e non accolto dal giudice "a quo", consistente nel moltiplicare la base di calcolo per 21 mensilità, dividendo il prodotto per 9 (14.250.000: 12 x 21 : 9).

La ricorrente incidentale, a sua volta, deduce l'errore commesso dalla Corte col dividere il canone stagionale di lire 14.250.000 per 12 mesi, onde ottenere poi il canone mensile da moltiplicare per 21. Viceversa, in base a una corretta interpretazione dell'art. 34 della legge n. 392 del 1978, il canone stagionale doveva essere diviso per cinque mesi, corrispondenti alla durata effettiva della locazione, di guisa che l'indennità doveva essere di lire 59.850.000 (14.250.000: 5 x 21).

L'eccezione di inammissibilità, per tardività, del ricorso incidentale, sollevata nella memoria dalla ricorrente principale, è infondata.

Invero, notificato il ricorso principale il 6 novembre 2001, il ricorso incidentale è stato notificato, a mezzo del servizio postale, il successivo 13 dicembre, ovvero entro il termine di quaranta giorni (artt. 370 1^ comma e 371 1^ comma c.p.c.), che andava a scadere il 16 dicembre 2001.

Vero che il 13 dicembre 2001 è la data di spedizione del piego raccomandato, ricevuto dal destinatario il 19 dicembre 2001, ma è la prima, non la seconda, la data di cui deve tenersi conto per stabilire la tempestività dell'impugnazione incidentale. Infatti, con la sentenza della Corte costituzionale n. 477 del 26 novembre 2002, è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale del combinato disposto dell'art. 149 c.p.c. e dell'art. 4 3^ comma della legge 20 novembre 1982 n. 890 (notificazioni di atti a mezzo della posta), nella parte in cui prevede che la notificazione si perfeziona, per il notificante, alla data di ricezione dell'atto da parte del destinatario anziché a quella antecedente di consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario.

Non è di ostacolo all'applicazione di questa sentenza, la quale ha sancito il principio della scissione degli effetti della notifica, secondo che gli stessi riguardino il notificante ovvero il destinatario dell'atto, la circostanza che, nella fattispecie, la notifica, invece che dall'ufficiale giudiziario, sia stata eseguita dal procuratore della P., avvocato E. C., a ciò autorizzato, a mezzo del servizio postale, con invio di raccomandata con avviso di ricevimento, ossia secondo le modalità prescritte dalla legge 20 novembre 1982 n. 890, ai sensi dell'art. 1 della legge 21 gennaio 1994 n. 53. Cambia invero un dato soggettivo irrilevante ai fini che qui interessano, ossia l'autore della notificazione, ma questa resta sempre sottoposta alla richiamata normativa del 1982 (incluso quindi l'art. 4 3^ comma dichiarato incostituzionale), cui del resto è fatto espresso rinvio, salve, naturalmente, le specifiche previsioni della predetta legge n. 53 del 1994. L'unica differenza è pertanto che alla data di consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario va sostituita la data di spedizione del piego raccomandato, alla quale soltanto, in definitiva, occorre far capo, nel caso in esame, ai fini del rispetto del termine perentorio per impugnare in via incidentale.

Passando al merito, occorre rilevare, preliminarmente, che, ad avviso della Corte d'appello, sulla spettanza del diritto all'indennità di avviamento si è formato il giudicato, in forza della sentenza n. 46 del 1993, emessa tra le stesse parti dalla medesima Corte veneziana, che l'ha espressamente riconosciuta alla P., rimettendone la sola quantificazione alla competenza del pretore.

Questa statuizione sull'"an debeatur" della sentenza impugnata non forma oggi materia di censura ed è quindi, a sua volta, passata in giudicato; con la conseguenza che, come già ritenuto dal giudice "a quo", la residua controversia attiene unicamente al "quantum debeatur", ovvero alla concreta liquidazione dell'indennità detta. A quest'ultimo proposito, la Corte d'appello, premesso di non poter prescindere, anche per le locazioni alberghiere stagionali, dal disposto normativo, per cui l'indennità è pari a 21 mensilità del canone di locazione, osserva che la stessa, per la sua natura forfettaria, non è correlata rigorosamente alla durata della locazione, come del resto lo stesso onere economico per l'avviamento di un'attività alberghiera; e che la locazione fu rinnovata per un anno, e non solo per la stagione estiva, con una nuova scadenza al 30 settembre 1984, per cui non rileva il minor periodo di effettiva gestione alberghiera nel corso del 1984.

Pertanto, conclude, "la base di calcolo dell'indennità deve essere determinata dividendo per 12 il canone dovuto per l'intero anno, di lire 14.250.000, e moltiplicando per 21 il canone mensile così determinato"; onde risulta dovuta un'indennità di lire 24.937.500 (14.250.000: 12 x 21).

Orbene, a norma dell'art. 34 della legge 27 luglio 1978 n. 392, "in caso di cessazione del rapporto di locazione relativo agli immobili di cui all'art. 27", che non sia dovuta a particolari cause che qui non interessano, "il conduttore ha diritto, per le attività indicate ai numeri 1 e 2 dell'art. 27, ad una indennità pari a 18 mensilità dell'ultimo canone corrisposto; per le attività alberghiere l'indennità è pari a 21 mensilità".

Nel caso di specie, l'indennità per la perdita dell'avviamento è chiesta, in relazione a una locazione stagionale (del tipo previsto dal 6 comma del cit. art. 27), per la sola stagione 1984. Quella dottrina che è incline a riconoscere, pur nel silenzio della legge e dei lavori preparatori, il diritto all'indennità in parola per le locazioni stagionali, nel sottolineare che sarebbe del tutto sproporzionato attribuire al conduttore 18 o 21 mensilità del canone di locazione a fronte del godimento dell'immobile per pochi mesi, ha suggerito una logica e non irrazionale interpretazione della normativa, ovvero l'adozione di un criterio proporzionale, che tenga conto della durata effettiva della locazione stagionale rispetto all'ordinaria durata legale delle locazioni commerciali o alberghiere (rispettivamente 6 e 9 anni).

Una corretta e coerente applicazione del criterio della proporzionalità vuole dunque che, partendo dal canone di lire 14.250.000 pacificamente pagato per l'intera locazione "de qua", se ne accerti l'effettiva durata in mesi; si calcoli poi l'importo del canone rapportato al mese; si moltiplichi quindi questo canone mensile per 21 mensilità e si divida infine il prodotto per 9, parificando, a questo solo effetto, l'anno solare alla stagione. Sono pertanto fondati entrambi i ricorsi: quello principale, nella parte in cui lamenta che il giudice "a quo" non abbia istituito la proporzionalità tra la durata effettiva della locazione (non più di un anno) e quella tipica (9 anni) prevista dalla legge per le locazioni alberghiere, e non abbia diviso dunque il prodotto di lire 24.937.500 (14.250.000: 12 x 21) per 9; quello incidentale, nella parte in cui lamenta che il canone dell'intera stagione (lire 14.250.000) sia stato diviso per 12 mesi, senza tener conto della minore durata effettiva della locazione (asseritamente di 5 mesi). Quanto al primo, è vano, per giustificare il rifiuto della "rigida proporzionalità aritmetica proposta dall'appellante (21 mensilità diviso 9 ove la locazione abbia avuto la durata di un solo anno)", addurre considerazioni più o meno pertinenti sull'entità degli investimenti e sul valore dell'avviamento perso in caso di cessazione della locazione, decisamente inidonee, in assenza di un criterio legale esplicito, a legittimare un'accettabile liquidazione: come è provato proprio dal risultato iniquo cui la Corte di merito perviene, quello di imporre al locatore la restituzione, alla fine della locazione, di un importo quasi doppio rispetto al totale canone percepito.

Quanto al secondo, nella sentenza non è ben chiara la reale durata della locazione "de qua", perché la rinnovazione "per un anno", fino alla scadenza del 30 settembre 1984, non esclude che, con un'espressione impropria, vi sia stata, in realtà, una rinnovazione "per la medesima stagione dell'anno successivo", secondo il meccanismo dell'art. 27 6^ comma cit., e che dunque di vera locazione stagionale si tratti anche per il 1984, per una durata coincidente con quella della particolare stagione presa in considerazione dalle parti; tanto più che la stessa sentenza ipotizza "che l'albergo sia stato gestito dalla P. per cinque o più o meno mesi nel corso del 1984".

La divisione per 12 mesi del canone annuo non è dunque sufficientemente motivata e del resto contrasta con la natura stagionale della locazione, che pure sembra pacifica tra le parti. È appena il caso di chiarire che, se la locazione è stagionale, il canone complessivo è commisurato al periodo di godimento effettivo dell'immobile e in nessun caso può essere assimilato a un canone annuo.

Concludendo, in accoglimento, per quanto di ragione, di entrambi i ricorsi, la causa va rimessa a un diverso giudice, il quale, dopo aver accertato la durata effettiva della locazione alberghiera "de qua", rapporterà al mese il canone complessivo di lire 14.250.000, moltiplicherà questo canone mensile per 21 mensilità e dividerà il prodotto per nove.

Il giudice di rinvio, designato nel dispositivo, provvedere anche alla liquidazione delle spese di questo giudizio.

P.Q.M.

la Corte riunisce i ricorsi e li accoglie entrambi per quanto di ragione, cassa e rinvia, anche per le spese del giudizio di Cassazione, ad altra Sezione della Corte d'Appello di Venezia.
Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2003.

Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2004


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