Persone e Misure di Protezione


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 14101 - pubb. 02/02/2016

Sul concetto di “conflitto armato interno” / Rapporti delle organizzazioni come prova

Tribunale Milano, 19 Giugno 2012. Est. Martina Flamini.


Protezione internazionale – Protezione sussidiaria – “Conflitto armato interno” – Nozione – Lettura alla luce del diritto internazionale – Sussiste (nel caso di specie: Mali)

Protezione internazionale – Prove – Rapporti elaborati dalle organizzazioni non governative – Sussiste



In via generale, le esigenze di protezione internazionale derivanti da violenza indiscriminata non sono limitate a situazioni di guerra dichiarata o a conflitti internazionali riconosciuti. La definizione del termine “conflitto armato interno” non può essere troppo esigente. La lettura del corretto significato da attribuire al “conflitto armato interno”, in assenza di una definizione legale o un’interpretazione unanimemente riconosciuta dovrà ispirarsi al diritto internazionale umanitario, in particolare all’art. 1 del Protocollo II della Convenzione del 1949. In base a questa disposizione, per stabilire la sussistenza di un conflitto armato interno, dovrebbero essere considerati quali requisiti sufficienti l’esistenza di chiare strutture di comando tra le parti in conflitto ed un controllo sul territorio tali da soddisfare quanto indicato nel Protocollo II. Ancora in via generale, nei casi di violenza indiscriminata nel Paese di origine causata da un conflitto armato, colui che richiede la protezione sussidiaria in uno Stato membro non deve provare di essere minacciato personalmente proprio a causa dell'eccezionalità della situazione che di per sé fa supporre l'esistenza di un rischio effettivo per l'individuo di subire minacce gravi e individuali, nel caso di rientro nello Stato di origine, proprio a causa dell'elevato livello di violenza. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

Il giudice nazionale, dovendo decidere se accordare o meno la protezione internazionale, può fondare la propria decisione in ordine all’esistenza di violazioni dei diritti umani elaborati nel Paese richiedente anche sulla base di documenti e rapporti elaborati da organizzazioni non governative (quali ad esempio Amnesty International e Human Rights Watch). Si tratta di una impostazione interpretativa che risponde a un principio di ordine generale e trova, del resto, le proprie radici nella giurisprudenza della Corte Europea dei diritti umani che ormai da tempo riconosce la piena rilevanza ed utilizzabilità dei rapporti informativi redatti da organizzazioni internazionali impegnate nella tutela dei diritti umani (cfr. Corte Europea dei diritti dell’uomo, 28.2.2008, Saadi c. Italia). (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


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