Diritto Societario e Registro Imprese
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6438 - pubb. 01/08/2010
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Cassazione civile, sez. I, 01 Marzo 2010, n. 4865. Est. Ragonesi.
Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Società e consorzi - Società con soci a responsabilità illimitata - Fallimento dei soci - Recesso del socio prima del fallimento - Opponibilità ai terzi - Condizioni - Pubblicità ex art. 2290, secondo comma, cod. civ. - Necessità - Modalità - Mutamento della ragione sociale - Inidoneità.
Società - Di persone fisiche - Società semplice - Scioglimento del rapporto sociale limitatamente a un socio - Recesso del socio - Recesso del socio prima del fallimento - Opponibilità ai terzi - Condizioni - Pubblicità ex art. 2290, secondo comma, cod. civ. - Necessità - Modalità - Mutamento della ragione sociale - Inidoneità.
Il recesso del socio di società di persone, di cui non sia stata data pubblicità, ai sensi dell'art. 2290, secondo comma, cod. civ., non è opponibile ai terzi, non producendo esso i suoi effetti al di fuori dell'ambito societario; conseguentemente, il recesso non adeguatamente pubblicizzato non è idoneo ad escludere l'estensione del fallimento al socio ai sensi dell'art. 147 della legge fall., né assume rilievo il fatto che il recesso sia avvenuto oltre un anno prima della sentenza dichiarativa di fallimento, posto che il rapporto societario, per quanto concerne i terzi, a quel momento è ancora in atto. In particolare, non costituisce mezzo idoneo a portare il predetto recesso a conoscenza dei terzi il mero mutamento della ragione sociale della società di persone, con la eliminazione da essa del nome del socio receduto, potendo tale mutamento giustificarsi con altre ragioni. (massima ufficiale)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PROTO Vincenzo - Presidente -
Dott. FIORETTI Francesco Maria - Consigliere -
Dott. PICCININNI Carlo - Consigliere -
Dott. BERNABAI Renato - Consigliere -
Dott. RAGONESI Vittorio - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 3488-2005 proposto da:
FALLIMENTO NI.SAL. DI NIBALI SALVATORE & C. E DEI SOCI ILLIMITATAMENTE RESPONSABILI NIBALI SALVATORE (c.f. 03993100720), FINOCCHIO MATTEO E MONFORTE GIOVANNI, in persona del Curatore Avv. MANZI COSTANZA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SILLA 7, presso l'avvocato OLIVIERI MANUELA, rappresentato e difeso dall'avvocato MONTERISI DOMENICO ROSARIO, giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
FERRETTI MATTEO (c.f. FRRMTT64C25H175T), già FINOCCHIO MATTEO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 1, presso l'avvocato ANGLANI ANGELO (STUDIO UGHI E NUNZIANTE), rappresentato e difeso dall'avvocato SCHIAVONI ANTONIO, giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
contro
ITALTEX S.R.L., LOCONTE IGNAZIO;
- intimati -
avverso la sentenza n. 771/2 004 della CORTE D'APPELLO di BARI, depositata il 14/09/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/12/2009 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;
udito, per il ricorrente, l'Avvocato DOMENICO MONTERISI che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito, per il controricorrente, l'Avvocato ANGELO ANGLANI che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del 6.2.2003 Finocchio Matteo proponeva appello nei confronti della Curatela del Fallimento della NI.SAL. di Nibali Salvatore & C. S.n.c. e dei soci illimitatamente responsabili Nibali Salvatore e Finocchio Matteo nonché del creditori Italtex S.r.l. e Loconte Ignazio, avverso la sentenza n. 181/02 resa in data 16.12.1992 con cui il Tribunale di Trani aveva rigettato l'opposizione da lui avanzata con atto di citazione dell'11 2 1993, intesa a conseguire la revoca della sentenza con cui lo stesso Tribunale in data 15.12.1992 aveva dichiarato il fallimento della società NI.SAL. di Nibali Salvatore & C. S.n.c., nonché dei soci illimitatamente responsabili Nibali Salvatore e Finocchio Matteo, in quanto pronunciata in violazione dell'art. 15, L. Fall. e del suo diritto di difesa, non essendosi proceduto alla sua audizione preventiva in camera di consiglio, e, prima di tutto, per essere egli fuoriuscito dalla società sin dal gennaio 1990, ben prima della manifestazione dello stato di insolvenza.
Gli appellati non si costituivano in giudizio.
La Corte d'appello di Bari accoglieva l'appello, con sentenza n. 771/04, ritenendo fondato il secondo mezzo d'impugnazione. Non poteva infatti - secondo il giudice di seconde cure - discutersi della veridicità e della realtà storica della scrittura del 18.1.1990 per notar Guzzardi a far capo dalla quale l'appellante aveva cessato di essere socio.
Riteneva il giudice di secondo grado che il Tribunale aveva anche omesso di considerare "la radicale trasformazione societaria prima cennata (infatti con il subentro del socio Manforte e soci Finocchio Matteo, Nibali Salvatore non rivestiva più la funzione di amministratore della società e la sede sociale era stata trasferita in altro sito)" e perciò aveva erroneamente omesso di considerare che l'appellante "era completamente estraneo alla seconda compagine sociale e alle attività che avevano condotto alla pronuncia di fallimento". Avverso la detta sentenza ricorre per cassazione il fallimento Ni.Sal e dei soci illimitatamente responsabili sulla base di due motivi, illustrati con memoria, cui resiste con controricorso Ferretti Matteo (il cui originario cognome Finocchio è stato modificato con decreto del prefetto della provincia di Catania).
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con i due motivi di ricorso il fallimento ricorrente deduce, sotto il profilo delle violazione di legge e del vizio motivazionale, che il fallimento era stato erroneamente revocato in quanto il Ferretti non aveva portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei il proprio recesso dalla società onde lo stesso era suscettibile di essere dichiarato fallito, anche se era trascorso un anno dall'asserito recesso. Soggiunge che non può considerarsi forma idonea di comunicazione al pubblico la modifica della ragione sociale, essendo l'unica forma idonea quella della iscrizione nel registro delle imprese.
Va premesso che la questione concernete la mancanza di adeguata pubblicità del recesso costituisce un mera difesa e non già una eccezione trattandosi di una deduzione volta alla contestazione dei fatti costitutivi e giustificati allegati dalla parte a sostegno della propria pretesa (ex plurimis da ultimo Cass. 4545/09) onde il motivo di ricorso sul punto risulta ammissibile.
Ciò premesso,i due motivi possono essere esaminati congiuntamente e gli stessi si rivelano fondati.
La sentenza impugnata ha escluso la fallibilità del resistente in base a due considerazioni. La prima è consistita nel dire che, avendo il Ferretti ceduto la propria quota, ed essendo stata tale cessione pubblicizzata tramite la modifica della ragione sociale che aveva comportato la sostituzione del nome del predetto con quello del socio subentrato, il resistente non poteva essere dichiarato fallito essendo passato oltre un anno dalla avvenuta cessione. La seconda ratio è consistita nell'affermare che il socio receduto non può essere dichiarato fallito se l'insolvenza della società non sia riconducibile ad obbligazione contratte dalla stessa nel periodo in cui il socio fallendo faceva ancora parte della società. La prima ratio decidendi è erronea.
La giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che il recesso del socio di società di persone, di cui non sia stata data pubblicità, ai sensi dell'art. 2290 c.c., comma 2, è inopponibile ai terzi, con ciò dovendosi intendere che non produce i suoi effetti al di fuori dell'ambito societario; conseguentemente, il recesso non adeguatamente pubblicizzato non è idoneo ad escludere l'estensione del fallimento pronunciata ai sensi dell'art. 147, L. Fall., ne' assume rilievo il fatto che il recesso sia avvenuto oltre un anno prima della sentenza dichiarativa di fallimento, posto che il rapporto societario, per quanto riguarda i terzi, a quel momento è ancora in atto (Cass. 19304/06 Cass. 18927/05; Cass. 14962/04). È ben vero che la medesima giurisprudenza ha affermato che l'apprezzamento compiuto dal giudice di merito circa la idoneità del mezzo usato per portare a conoscenza dei terzi il recesso di un socio dalla società di persone è incensurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici (Cass. 14962/04), ma nel caso di specie la valutazione effettuata dalla Corte d'appello appare erronea in punto di diritto e non adeguatamente espressa sotto il profilo motivazionale. Non è dubbio che lo strumento previsto dal codice civile per portare i terzi a conoscenza delle vicende societarie è costituito dalle annotazioni delle vicende societarie rilevanti nel registro delle imprese ai sensi dell'art. 2290 c.c..
In casi eccezionali sono possibili altre forme di messa a conoscenza dei terzi che devono tuttavia risultare effettive ed adeguate. Nel caso di specie non può ritenersi che il mutamento di ragione sociale con cancellazione del nome del socio receduto costituisca valida messa a conoscenza dei terzi. Basta, infatti osservare che la cancellazione in esame non necessariamente comporta che il socio sia receduto dalla società ma può essere giustificata da molte altre ragioni come, ad esempio, la circostanza che il socio sia divenuto di minoranza anziché di maggioranza, con conseguente modificazione della ragione sociale per evidenziare il nome del nuovo socio di maggioranza.
In senso analogo, in riferimento alla adeguatezza del mezzo pubblicitario adottato per portare i terzi a conoscenza dell'avvenuto recesso ai fini della tutela dell'affidamento degli enti creditori, questa Corte ha ritenuto che non costituiva mezzo idoneo la cancellazione del socio dagli elenchi della Camera di commercio e l'avvenuta registrazione della scrittura privata di recesso dalla società (Cass. 2639/01).
In conclusione, deve ritenersi che, non essendo stata portata in modo adeguato a conoscenza dei terzi l'avvenuta cessione delle quote da parte del ricorrente e, quindi, la sua uscita dalla compagine sociale, lo stesso, ai fini della dichiarazione di fallimento, è come se fosse restato socio della società con tutte le conseguenze. In tal senso, appare irrilevante ai fini del decidere la seconda ratio decidendi prospettata dalla Corte d'appello poiché nel caso di specie, dovendosi il Ferretti considerare nei confronti dei terzi ancora socio al momento del suo fallimento, le obbligazioni facenti capo alla società a quella data restano imputabili anche ad esso. Il ricorso, va pertanto accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e, sussistendo i presupposti di cui all'art 384 c.p.c. la causa può essere decisa nel merito con il rigetto dell'opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento e la condanna del resistente al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e Recidendo nel merito, rigetta l'opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento e condanna il resistente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 2000,00 per onorari oltre Euro 100,00 per esborsi, nonché al pagamento delle spese del giudizio di appello liquidate in Euro 1500,00 per onorari, Euro 700,00 per diritti ed Euro 250,00. Nulla per le spese del giudizio di primo grado. Alle spese tutte vanno aggiunte le spese generali e gli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2010