Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6405 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. III, 22 Novembre 2000, n. 15080. Est. Talevi.


Società - Di persone fisiche - Società semplice - Scioglimento - Liquidazione - Liquidatori - Poteri - Divieto di nuove operazioni - Nuove operazione - Nozione - Domanda giudiziale proposta nell'ambito dell'attività volta alla liquidazione - Ammissibilità - Fattispecie.



Il divieto, stabilito dall'art. 2279 cod. civ. a carico dei liquidatori, di nuove operazioni - intendendosi per tali quelle che non si giustificano con lo scopo di liquidazione o di definizione dei rapporti in corso - ha l'evidente ratio d'impedire ai medesimi la prosecuzione dell'attività sociale, consentendo invece solo gli atti necessari per liquidare i risultati della cessata attività sociale. Da ciò consegue che non può considerarsi nuova operazione la proposizione in giudizio di una domanda che, concernendo l'indennità per la perdita dell'avviamento, presuppone la cessazione del rapporto di locazione relativo al locale ove si svolgeva l'attività imprenditoriale della società, e si colloca quindi inequivocabilmente nell'ambito dell'attività volta alla liquidazione. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Giovanni Silvio COCO - Presidente -
Dott. Luigi Francesco DI NANNI - Consigliere -
Dott. Francesco TRIFONE - Consigliere -
Dott. Alberto TALEVI - rel. Consigliere -
Dott. Gianfranco MANZO - Consigliere -
ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
ALFA OMEGA IMMOBILIARE S.R.L., in persona del legale rapp.te. p.t. Romano Ampolo Rella, elettivamente domiciliata in ROMA VIA MARIA CRISTINA 8, presso lo studio dell'avvocato GOFFREDO GOBBI, che la difende unitamente all'avvocato RICCARDO GRAMACCIONI, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
LINEARREDO S.N.C., nella persona del liquidatore Iezzi Renato, elettivamente domiciliato in ROMA P.LE AMMIRAGLIO BERGAMINI 12, presso lo studio dell'avvocato PIERO GENTILI, che lo difende unitamente all'avvocato GIUSEPPE MATURO, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 16/98 del Tribunale di PESCARA, emessa il 15/1/1998, depositata il 24/02/98; RG. 1957/1997;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/06/00 dal Consigliere Dott. Alberto TALEVI;
udito l'Avvocato GOBBI GOFFREDO;
udito l'Avvocato GENTILI PIERO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Orazio FRAZZINI che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 28.11.1995 la s.n.c. Linearredo, in persona del liquidatore lezzi Renato, conveniva in giudizio dinanzi al Pretore di Pescara la s.r.l. Alfa Omega Immobiliare chiedendone la condanna al pagamento dell'indennità di avviamento commerciale nella misura di L 78.502.572 in relazione al contratto di locazione di immobile sito in Montesilvano, Via Verrotti n. 61, cessato a seguito di sfratto e conseguente riconsegna delle chiavi intimato dalla società convenuta.
La società convenuta si costituiva in giudizio e contestava la fondatezza della domanda sotto il profilo della inesistenza dei presupposti di applicabilità dell'art. 34 legge n. 392/780 e in via riconvenzionale chiedeva la condanna dell'attrice al pagamento della somma di L. 34.050.355 a titolo di canoni non corrisposti e di risarcimento del danno.
Il Pretore, con sentenza in data 17.6 - 26.9.97, rilevato che la convenuta non era legittimata, neanche in ordine alla riconvenzionale, rigettava la domanda e dichiarava il difetto di legittimazione della s.r.l. Alfa Omega Immobiliare, compensando le spese del giudizio.
Avverso detta sentenza la società attrice proponeva appello. Resisteva in giudizio la controparte.
Con sentenza 15.1 - 24.2.98, il Tribunale di Pescara accoglieva l'appello e, per l'effetto, in riforma dell'impugnata sentenza, condannava la società convenuta al pagamento in favore della società attrice della complessiva somma di lire 60.845.285, oltre interessi legali dalla domanda al saldo nonché al rimborso delle spese processuali del doppio grado di giudizio. Nella motivazione detto Giudice rilevava tra l'altro quanto segue: "... Nel merito, poi, la domanda è fondata, posto che i numerosi testi escussi in primo grado hanno confermato che la società attrice svolgeva nei locali oggetto della locazione cessata un'attività (laboratorio di falegnameria) comportante (in modo prevalente: cfr., fra gli altri, i testi D'Egidio e Gatto) contatti diretti con il pubblico dei consumatori. Peraltro, la clausola contrattuale diretta ad impedire tale destinazione economica dell'immobile, invocata dalla difesa della convenuta, è, così come tempestivamente eccepito dalla difesa dell'attrice, affetta da nullità ai sensi dell'art. 79 1. n. 392n8, essendo diretta ad attribuire al locatore il vantaggio consistente nell'esclusione del diritto all'indennità di avviamento prevista dall'art. 34 cit. legge....".
Contro questa decisione ricorre per cassazione la Alfa Omega Immobiliare s.r.l. con sei motivi.
Resiste con controricorso la Linearredo s.n.c.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la Alfa Omega Immobiliare s.r.l. denuncia violazione ari. 2697 cc. e 437 cpc esponendo le seguenti doglianze. La Linearredo ha provato la legittimazione passiva della Alfa Omega Immobiliare solo in grado di appello [Dal contesto del ricorso si evince - v. in particolare a pag. 4- che secondo la ricorrente detta prova consisterebbe nel fatto che la Linearredo documentava "... per la prima volta in grado & appello, che l'originaria locatrice si era trasformata in Soc Mobilia De Carlo Maria e poi in Prisma srl e che quest'ultima aveva venduto gli immobili alla Alfa Omega Immobiliare srl la quindi era subentrata nella locazione... "]; avrebbe invece dovuto farlo fin dal primo grado. Spetta infatti all'attore dimostrare le circostanze relative all'individuazione nel convenuto del soggetto passivo del rapporto. Il particolare rito processuale applicabile nella specie, poi, non consente produzione documentale in grado di appello quando trattasi di documenti che potevano o dovevano essere prodotti in primo grado. Conseguentemente il Tribunale doveva dichiarare inammissibile la produzione e respingere l'appello per difetto della prova di una condizione necessaria. La mancata contestazione in primo grado da parte dell'Alfa Omega Immobiliare srl non assume rilievo trattandosi di questione rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del giudizio.
Il motivo non può essere accolto.
La ricorrente Alfa Omega Immobiliare s.r.l., nel motivo in esame non precisa perché secondo la sua tesi dovrebbe trattarsi di una questione concernente la legittimazione passiva; e tale incompiutezza del motivo comporta che il medesimo deve ritenersi inammissibile. Non sembra inutile aggiungere che il motivo avrebbe dovuto comunque essere considerato privo di pregio in base alle seguenti considerazioni. Come questa Corte Suprema ha più volte osservato (v. tra le altre Cass. n. 02224 del 27/02/1995) "La legittimazione ad agire consiste nella titolarità del potere e del dovere rispettivamente per la legittimazione attiva e per quella passiva - di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, secondo la prospettazione offerta dall'attore, indipendentemente dall'effettiva titolarità, dal lato attivo o passivo, del rapporto stesso; con la conseguenza che, ove risulti che, secondo detta prospettazione, l'attore o il convenuto non possono identificarsi con il soggetto, rispettivamente, avente diritto o tenuto a subire la pronunzia giurisdizionale, la domanda deve essere rigettata per difetto di legittimazione attiva o passiva". Nella specie è indubbio e pacifico che la conduttrice ha agito contro l'Alfa Omega Immobiliare in quanto soggetto rivestente nel rapporto di locazione la qualità di locatrice; dunque secondo questa prospettazione della parte attrice sussisteva la legitimatio ad causam di detta Alfa Omega Immobiliare in relazione alla domanda di corresponsione dell'indennità suddetta. Ben diverso problema è quello della effettiva titolarità, dal lato passivo, del rapporto; e cioè, nella specie, il problema consistente nello stabilire se la predetta parte convenuta aveva in concreto effettivamente la veste di locatrice nel rapporto giuridico di locazione in esame. Quest'ultima questione concerne non la legitimatio ad causam ma la titolarità del rapporto; ed in relazione alla questione stessa l'onere probatorio in capo alla parte attrice non sussisteva in assenza di contestazione (cfr. tra le altre Cass. 10843 del 05/11/1997). La stessa parte ricorrente ammette "La mancata contestazione in primo grado da parte" sua (ed inoltre ammette di avere acquistato i tre locali in questione "...subentrando quindi nelle rispettive locazioni..."; v. a pag. 2 del ricorso). Appare pertanto indubbia la mancanza di pregio del motivo in questione.
Con il secondo motivo la Alfa Omega Immobiliare s.r.l. denuncia "Violazione artt. 2278 e 2279 cc art. 99 cpc" esponendo le seguenti doglianze. Esorbita dal potere del liquidatore di una società di persone l'introdurre una domanda del genere di quella oggetto del presente giudizio. Ai sensi degli artt. 2278 e 2279 cc. il liquidatore non può compiere attività differenti da quelle di mera liquidazione. Egli quindi non può compiere atti di gestione dell'impresa sociale. E non v'ha dubbio che l'introduzione di un giudizio che sia finalizzato all'accertamento di un diritto di credito derivante, però, dalla nullità di una clausola contrattuale (quale quello di specie) sia atto integrante nuova operazione, presupponendo la sovrapposizione della volontà del liquidatore a quella originaria della società. Non è certo equiparabile all'azione di recupero di un credito già esistente, certamente di competenza del liquidatore. Peraltro lo sfratto era stato intimato alla società prima della sua liquidazione e la liquidazione era stata deliberata pochi giorni prima della riconsegna, senza che sul punto i soci avessero dato al liquidatore alcun potere (comunque questi non ha provato il suo potere). Non avendo il liquidatore il potere sostanziale di agire in giudizio ed integrando la carenza di potere un vizio rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo, investendo profili sostanziali di rappresentanza, i giudici di merito avrebbero dovuto rilevarlo e rigettare la domanda. Il motivo è privo di pregio.
Occorre rilevare anzitutto che il ricorrente (v. in particolare le parole: "...investendo profili sostanziali di rappresentanza..." non appare voler sollevare (e comunque non solleva ritualmente) una questione di legittimazione o di capacità della società in ordine all'azione in questione, ma semplicemente una questione di legitimatio ad processum dei liquidatori; infatti anche se parla di profili "sostanziali" appare evidente che ciò che è il reale oggetto della doglianza è il potere dei liquidatori di agire in giudizio per far valere il petitum e la causa petendi in questione in rappresentanza della società.
Una volta assodato ciò si osserva che i giudici di merito, nell'esercizio del loro potere-dovere di rilevare d'ufficio la questione, dovevano considerare provata detta legitimatio in quanto non (ritualmente) contestata. Infatti (cfr. tra le altre Cass. n. 1021 del 4/2/1997) colui che agisce in giudizio quale titolare del potere rappresentativo di una persona giuridica ha l'onere di provare tale qualità soltanto allorché questa venga contestata. Anche a prescindere da quanto ora esposto la tesi in esame deve comunque ritenersi errata in diritto.
Va infatti affermato il seguente principio di diritto. Il divieto, stabilito dall'art. 2279 c.c. a carico dei liquidatori, di nuove operazioni (intendendosi per tali quelle che non si giustificano con lo scopo di liquidazione o di definizione dei rapporti in corso), ha l'evidente ratio di impedire ai medesimi la prosecuzione dell'attività sociale consentendo invece solo gli atti necessari per liquidare i risultati della cessata attività sociale (cfr. Cass. n. 01037 del 06/02/1999); da ciò consegue che non può considerarsi nuova operazione l'attività processuale consistente nella proposizione in giudizio di una domanda che, concernendo l'indennità per la perdita dell'avviamento (art. 34 l. 392/78), presuppone la cessazione del rapporto di locazione relativo al locale ove si svolgeva l'attività imprenditoriale della società e si colloca quindi inequivocabilmente nell'ambito dell'attività volta alla liquidazione (e non alla prosecuzione predetta); e proprio a causa della diversità degli scopi dell'attività dei liquidatori rispetto agli scopi della precedente attività sociale, non può ritenersi di ostacolo a tale conclusione l'eventuale diversità delle tesi esposte in giudizio dalla società in liquidazione, rispetto alla volontà contrattuale espressa in precedenza dalla società medesima.
Con il terzo motivo la Alfa Omega Immobiliare s.r.l. denuncia "Omessa ed erronea motivazione Violazione artt. 1321 e 1322 cc., 2697 cc - art. 79 L. 392178" esponendo le seguenti doglianze. Il Tribunale ha classificato come diretta ad attribuire al locatore una utilità non dovuta (e per ciò nulla ex art. 79 legge 392/78), la clausola contrattuale con la quale le parti avevano escluso che la locazione potesse esser destinata ad attività comportante contatti diretti con il pubblico. Il Tribunale non ha motivato tale sua argomentazione o se, per motivazione può intendersi l'inciso "essendo diretta ad attribuire al locatore... .", trattasi di motivazione erronea ed illogica e comunque non supportata da elementi probatori. Che le parti convennero una locazione sottoposta alla condizione, chiaramente espressa, per cui l'immobile doveva esser adibito a laboratorio di ebanisteria senza contratto con il pubblico è pacifico. Che questo fatto possa esser qualificato più esattamente come oggetto della prestazione più che come condizione, è anche possibile. In entrambi i casi è, però, pacifico che limitava legittimamente, per volontà delle parti contraenti, l'uso che il conduttore avrebbe potuto fare della cosa locata. Poiché nulla vieta alla volontà contrattuale di stabilire i limiti oggettivi e modalità e uso dell'oggetto del contratto e non si verte in tema di anticipata rinuncia a diritti legalmente riconosciuti la clausola non pose in essere di per sè un'attività elusiva del divieto di cui all'art. 79 legge 392/78 giacché trattavasi di attività artigianale. Questa (ancor più che quella commerciale) invero può essere esercitata tanto con contatti al minuto quanto con rapporti all'ingrosso o comunque non diretti con il pubblico. Nella specie, pertanto, non era e non è sostenibile, nemmeno in astratto, che la attività di per sè comportasse necessariamente contatti diretti con il pubblico e che quindi necessariamente si sarebbe dovuto concludere che la clausola era stata artatamente pattuita. In sostanza il Tribunale non poteva affermare la nullità della clausola dando per scontato che con essa si era voluto attribuire al locatore una illecita utilità. Doveva invece motivare il perché così egli ritenesse. Se il presupposto di cui sopra è esatto (se cioè la clausola non è di per sè nulla) se ne deve anche dedurre che la conduttrice avrebbe dovuto dare la prova della nullità della clausola (e cioè dei fatti per i quali la clausola era finalizzata all'attribuzione di un utile illecito a favore della locatrice). E poiché parte attrice non aveva dedotto ne' provato alcunché sul punto, come era suo onere, l'errore del Tribunale è stato anche quello di non rilevare tale omessa prova, in violazione di quanto dispone l'art. 2697 cc, e di non rigettare per ciò la domanda. Va da sè che l'utilizzazione dell'immobile in violazione della pattuita clausola, pacificamente non rispettata, costituisce inadempimento il che fa venir meno il presupposto per l'esercizio di un diritto alla indennità per avviamento commerciale non potendo essere un fatto illecito fonte di diritto per la parte inadempiente. Il motivo deve ritenersi fondato sotto il seguente profilo (assorbente rispetto agli altri). È indubbio che i contraenti nel concordare il contenuto del contratto di locazione ben possono stabilire che l'immobile debba essere adibito (nell'ambito dell'uso non abitativo) ad una determinata attività con esclusione delle altre. Ed è solo sulla base dell'attività liberamente determinata dalle parti che deve essere impostata e risolta ogni problematica concernente l'art. 79 cit. Nella specie, poiché era lecita la previsione contrattuale di una attività non comportante contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, e poiché a tale attività è la stessa legge (art. 35 L. 392/78) a ricollegare l'inapplicabilità dell'art. 34 cit., la motivazione sul punto dell'impugnata sentenza deve ritenersi errata in diritto. Per maggior chiarimento si aggiunge quanto segue. Questa Corte già in passato ha affermato i seguenti principi di diritto: - A) (Cass. n. 9789 del 2/10/1998) "Quando è contrattualmente stabilita una destinazione dell'immobile locato ad attività che non comportino il contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori al conduttore che invochi il diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale non è sufficiente dimostrare che nonostante il tenore delle clausole contrattuali nell'immobile è stata svolta un'attività comportante detto contatto, essendo anche necessario che egli provi che sia decorso il termine di tre mesi dalla data in cui il locatore ha avuto conoscenza dell'uso pattuito [rectius: effettivo], ai sensi dell'art. 80 della legge 27 luglio 1978 n. 392". - B) (Cass. n. 9881 del 12/11/1996) "Per il riconoscimento del diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento - parallelo a quelli di prelazione e riscatto per l'applicabilità dei limiti di cui all'art. 35 della legge 27 luglio 1978 n. 392 - occorre l'esistenza dei necessari presupposti. Pertanto il conduttore non può ottenere l'applicazione del regime giuridico corrispondente all'uso effettivo dell'immobile se non sono decorsi tre mesi da quando il locatore ha avuto conoscenza - ancorché desumendolo dall'esercizio del diritto di prelazione - del mutamento da attività di vendita all'ingrosso in quella a diretto contatto con il pubblico dei consumatori finali del prodotto. Infatti ai sensi dell'art. 80 della legge 27 luglio 1978 n. 392 - così come modificato a seguito della sentenza della Corte Costituzionale del 18 febbraio 1988 n. 185 - soltanto dopo la scadenza di detto termine il locatore decade dal diritto di chiedere la risoluzione del contratto per arbitrario mutamento di destinazione dell'immobile (Corte Costituzionale 185/1988)".
Tale indirizzo interpretativo va confermato rilevando, da un punto di vista più generale, che qualora sia contrattualmente stabilita una destinazione dell'immobile locato ad attività che non comportino il contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori, ed il conduttore chieda il riconoscimento del diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, affinché la non corrispondenza tra realtà effettiva ed il contenuto del contratto possa assumere rilevanza giuridica, è necessario che si verifichi una delle due seguenti ipotesi: - A) che il conduttore faccia valere la sussistenza di una simulazione relativa, configurabile nel caso in cui risulti simulata la volontà delle parti di stabilire la destinazione dell'immobile locato ad attività che non comportino il contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori transitoria e dissimulata la volontà contraria (ed in tal caso l'onere di provare l'accordo simulatorio grava sul conduttore, il quale peraltro ha la facoltà di ricorrere anche alla prova per testimoni - e quindi anche a quella per presunzioni - poiché la prova tende a far valere l'illiceità ex art. 79 cit. delle clausola volta ad escludere il diritto all'indennità ex art 34 pur in presenza di una destinazione - in realtà voluta, con volontà dissimulata, da entrambe le parti -che invece ne comporta l'esistenza); - B) ovvero che chieda l'applicazione del regime giuridico corrispondente all'uso effettivo dell'immobile provando la sussistenza dei presupposti previsti dall'art. 80 cit. Qualora non sussista nessuna di tali due ipotesi, la previsione contrattuale di una attività non comportante contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori esclude l'applicabilità dell'art. 34 cit. sulla base di quanto disposto dall'art. 35 L. 392/78.
Con il quarto motivo la ricorrente Alfa Omega Immobiliare denuncia "Illogicità della motivazione - Violazione artt. 2697 c.c. e 244 c.p.c." esponendo le seguenti doglianze. Subordinatamente a quanto sopra, ove la censura non sia ritenuta assorbente, la decisione andrebbe comunque cassata nella parte in cui il Tribunale ha valutato le risultanze istruttorie. Ed infatti, contrariamente a quanto afferma il giudice d'appello, non è poi così pacifico che dalle deposizioni testimoniali consegue la conclusione da lui assunta: vuoi perché i testi non hanno specificato in quale dei due locali (uno locato ad ebanisteria e l'altro a laboratorio, uno restituito coattivamente e l'altro spontaneamente) il preteso contatto con il pubblico si sarebbe operato (nulla esclude che i contatti avvenissero nel locale restituito spontaneamente e prima della scadenza contrattuale per il quale nulla è stato richiesto);
vuoi perché i testi non hanno espresso fatti dai quali dedurre il tipo di attività, ma hanno solo dato giudizi. Tutti invero affermano che l'azienda svolgeva attività comportante contatti con il pubblico e che l'attrice forniva clientela al minuto. L'affermazione del Tribunale è ancor più illogica ove si consideri che l'attrice non aveva suffragata la sua domanda di elementi documentali alcuno che potessero giustificare i giudizi resi dai testimoni. Premesso che l'accoglimento della sopra considerata censura (terzo motivo) non appare assorbente, si osserva che il quarto motivo non può essere accolto. Infatti per la parte (essenziale) che si basa sulle deposizioni dei testi è inammissibile (prima ancora che infondato dato che la motivazione appare sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in questione) in quanto, in violazione del principio dell'autosufficienza del ricorso, non riporta adeguatamente le deposizioni dei vari testi in ordine al punto in questione. Infatti (cfr. tra le altre Cass. n. 5608 del 04/05/2000) il ricorrente per cassazione che si duole della omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per l'asserita mancata o viziata valutazione di risultanze processuali (o per la mancata ammissione di mezzi di prova) ha l'onere di indicare, mediante l'integrale trascrizione delle medesime nel ricorso, le risultanze processuali che egli asserisce decisive e non valutate o valutata in modo viziato (ovvero di indicare specificamente le deduzioni di prova non ammesse) dato che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo della decisività delle deduzioni disattese deve essere consentito senza necessità di indagini integrative.
Per la parte residua il motivo deve ritenersi privo di pregio in quanto (come già rilevato) la motivazione appare immune dai vizi lamentati.
Con il quinto motivo la ricorrente denuncia "Violazione art. 112 cpc. Contraddittorietà della motivazione" esponendo le seguenti argomentazioni. Il Tribunale afferma che il secondo contratto di locazione sarebbe stato accessorio al primo. Tale affermazione, fatta anche dalla attrice, contrasta con il fatto che l'indennità per avviamento commerciale è stata richiesta solo per il primo contratto. Ma a prescindere da ciò, quale che sia il fine per il quale il giudice l'ha fatta, va comunque censurata; specie se ha costituito l'inespresso motivo per non decidere sulla richiesta della convenuta di vedersi riconosciuti, eventualmente in via di compensazione, anche le L 20.825.000 per mancata comunicazione del recesso da parte della Linearredo relativamente al secondo contratto di locazione. Il Tribunale, dopo aver affermato che la Alfa e Omega Immobiliare non aveva proposto appello incidentale avverso la sentenza del Pretore nella parte in cui implicitamente non aveva accolto la sua domanda riconvenzionale, egualmente ha ritenuto possibile compensare l'avviamento commerciale con i crediti della locatrice. Tanto essendo stato chiesto dalla stessa attrice. "....Tra i crediti della locatrice, però, non annovera ne' prende in considerazione i 20.825.000; in ciò quindi il tribunale incorre in vizio di infrapetizione...". Erronea, comunque, è la decisione del Tribunale sia per quel che concerne l'appello incidentale che per quel che riguarda la mancata considerazione delle L 20.825.000. Ed invero, la convenuta ha richiesto nelle conclusioni della propria comparsa di costituzione in secondo grado l'accoglimento della domanda riconvenzionale. Con ciò ha manifestato la propria volontà di impugnare la sentenza, ove necessario, sul punto. In secondo luogo, avendo il tribunale risolto il problema della legittimazione passiva, accogliendo l'appello principale, ha implicitamente riconfermato anche la legittimazione attiva per la riconvenzionale della convenuta. Ma anche a prescindere da ciò, comunque, il Tribunale doveva prendere in considerazione le ragioni di credito della convenuta, giacché come lo stesso giudice afferma, lo aveva chiesto l'attrice. Orbene, se il motivo (inespresso) della mancata considerazione del credito di L 20.825.000 dipende da errore, è evidente il vizio denunciato. Se invece è dipeso dal fatto che si è ritenuto giustificato il recesso dal secondo rapporto di locazione in quanto l'immobile era accessorio a quello locato con il primo contratto per cui si era agito giudizialmente (affermazione però illogica), la decisione del tribunale è erronea e non adeguatamente motivata in quanto non sussisteva agli atti alcun elemento che potesse far ritenere accessorio il secondo contratto al primo, mentre per contro l'autonomia dei due locali e dei due contratti risultava evidente dal fatto che non solo i contratti erano differenti, ma erano anche differenti le destinazioni degli immobili (ebanisteria e laboratorio artigianale) e le loro scadenze, Talché la motivazione del tribunale sul punto è erronea ed ingiustificata in quanto fondata solo sulla vicinanza degli immobili che di per sè nulla poteva voler dire. A parte il fatto che tale autonomia era stata dedotta fin dal primo grado di giudizio (talché è erroneo affermare che si trattò di eccezione tardiva), sta di fatto che proprio per questa autonomia competeva alla Alfa Omega srl il pagamento per l'anticipato e non preavvisato recesso. Quindi il tribunale avrebbe dovuto conteggiare anche il credito in questione. E questo andrà considerato come autonomo credito ove si ritenga non spettare la indennità di avviamento commerciale o come credito da portare in compensazione ove l'indennità risulti dovuta.
Il motivo non può essere accolto. Infatti, premesso che l'affermazione dell'accessorietà suddetta contenuta nell'impugnata sentenza si basa su una motivazione immune dai vizi lamentati (come immune da detti vizi è l'intera motivazione oggetto del motivo in esame), occorre precisare che le argomentazioni del Tribunale appaiono svolte essenzialmente per pervenire alla conclusione che l'indennità di avviamento spettava anche per detta parte accessoria rilasciata spontaneamente; e non riguardano invece la riconvenzionale in relazione alla quale il Giudice di secondo grado ha attribuito solo quanto ammesso dalla parte conduttrice e solo perché ammesso. La decisione impugnata infatti, per ciò che concerne quest'ultimo punto, si basa esclusivamente sulla predetta ammissione della Linearredo dato che la domanda riconvenzionale, essendo stata "...implicitamente disattesa dal Pretore, in difetto di appello incidentale non può essere presa in considerazione dal Tribunale...". La ricorrente non ha dunque ritualmente preso in esame la vera ratio della decisione; ed in particolare non ha impugnato ritualmente, con adeguato supporto argomentativo (esponendo adeguatamente gli estremi - e tra l'altro i motivi - dell'affermato sussistente gravame proposto in secondo grado; e le ragioni della ritualità del medesimo; non sembra infatti inutile aggiungere che la volontà di impugnare, per essere rituale, deve essere - tra l'altro - certa e corredata da un rituale supporto argomentativo) l'affermazione del Tribunale che non vi era stato appello incidentale; di conseguenza il suo assunto deve ritenersi irrilevante e quindi inammissibile.
Quanto alla tesi che "... il Tribunale doveva prendere in considerazione le ragioni di credito della convenuta, giacché come lo stesso giudice afferma, lo aveva chiesto l'attrice...", basta ribadire che trattasi di assunto che non solo non è confortato da quanto "lo stesso giudice afferma", ma appare addirittura incompatibile con le asserzioni del Tribunale il quale ha affermato che la domanda riconvenzionale non poteva essere presa in esame in difetto di appello incidentale sul punto ed ha riconosciuto la compensazione solo nei limiti delle somme implicitamente ammesse come dovute alla controparte dall'attrice con la conseguenza che doveva ritenersi che questa avesse sostanzialmente proceduto ad una corrispondente riduzione di domanda; è evidente che detto Giudice, nel seguire tale percorso argomentativo, se avesse ritenuto sussistente una domanda dell'attrice di prendere in considerazione (tutte) "le ragioni di credito della convenuta" non avrebbe certo mancato di rilevarlo. Dunque la tesi della ricorrente deve ritenersi (prima ancora che infondata in quanto la Lincarredo non ha proposto detta domanda) inammissibile per due ragioni ciascuna delle quali già di per sè decisiva: -A) in quanto l'unica argomentazione esposta a sostegno della stessa si basa su una interpretazione non esatta della sentenza; - B) in quanto la doglianza è inoltre priva di compiutezza e specificità (tra l'altro non viene specificato quando e dove sarebbe stata proposta detta della controparte). Con il sesto motivo la ricorrente denuncia violazione art. 91 cpc. esponendo che: "La condanna della Alfa Omega Immobiliare, srl alle spese dei due gradi di giudizio non è giustificata in quanto la sua soccombenza non è stata totale, ma caso mai solo parziale. Parte delle sue pretese creditorie sono state accolte ed il Pretore aveva giudicato ex sè".
Il motivo è privo di pregio. Infatti (cfr. tra le altre Cass. n. 14576 del 27/12/1999) "La decisione del giudice di merito in materia di spese processuali è censurabile in sede di legittimità, sotto il profilo della violazione di legge, soltanto quando le spese siano state poste, totalmente o parzialmente, a carico della parte totalmente vittoriosa".
L'impugnata sentenza va dunque cassata in relazione al motivo accolto, e la causa va rinviata alla Corte di Appello dell'Aquila in quanto, una volta divenuto efficace il decreto legislativo 19.2.1998 n. 51 sull'istituzione del giudice unico di primo grado, qualora questa Corte Suprema emetta una pronuncia di cassazione con rinvio, il Giudice di rinvio va individuato nella competente Corte di Appello anche nell'ipotesi che la sentenza cassata sia stata emessa (non da una Corte di Appello ma) da un Tribunale (v. tra le altre Cass. n. 6120 del 12/05/2000).
La pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione va rimessa a detto giudice di rinvio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa in relazione l'impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di Appello de L'Aquila. Così deciso in Roma, il 2 giugno 2000.
Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2000