Diritto Societario e Registro Imprese
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6318 - pubb. 01/08/2010
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Cassazione civile, sez. IV, lavoro, 21 Giugno 2010, n. 14906. Est. Amoroso.
Lavoro - Lavoro subordinato - Caratteri del rapporto individuale - Rapporto del socio - Società di persone - Rapporto di lavoro subordinato tra la società e uno dei soci - Configurabilità - Condizioni - Fattispecie.
Nelle società di persone è configurabile un rapporto di lavoro subordinato tra la società e uno dei soci sempreché la prestazione del socio non integri un conferimento previsto dal contratto sociale e l'attività lavorativa sia prestata sotto il controllo gerarchico di un altro socio munito di poteri di supremazia. Il compimento di atti di gestione o la partecipazione alle scelte più o meno importanti per la vita della società non sono, in linea di principio, incompatibili con la suddetta configurabilità, sicché, anche quando essi ricorrano, è comunque necessario verificare la sussistenza delle suddette due condizioni. (Nella specie la S.C., nel confermare la sentenza di merito, ha escluso che l'esercizio di mansioni organizzative dell'attività tecnica comportasse la sussistenza di un reale ed effettivo vincolo organizzativo, gerarchico o disciplinare nei confronti di altri o anche di uno solo degli altri soci, richiedendosi al riguardo non semplici enunciazioni di regole o di direttive programmatiche ma atti concreti espressivi di un effettivo potere di supremazia). (massima ufficiale)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSELLI Federico - Presidente -
Dott. AMOROSO Giovanni - rel. Consigliere -
Dott. NOBILE Vittorio - Consigliere -
Dott. NAPOLETANO Giuseppe - Consigliere -
Dott. CURZIO Pietro - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 1346-2007 proposto da:
D'AMATO GIOVANNI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 146, presso lo studio dell'avvocato VERALDI STEFANIA, rappresentato e difeso dall'avvocato IOELE LORENZO, giusta mandato a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
I.N.P.S. - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI ANTONIETTA, CORRERA FABRIZIO, MARITATO LELIO, giusta mandato in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 2029/2005 della CORTE D'APPELLO di SALERNO, depositata il 28/12/2005 r.g.n. 528/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/05/2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI AMOROSO;
udito l'Avvocato LUIGI CALIULO per delega NTONIETTA CORETTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA MARCELLO, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con ricorso al Giudice del lavoro del Tribunale di Nocera Inferiore, depositato in data 27.2.1998, D'Amato Giovanni, dopo aver evidenziato di essere dipendente della s.n.c. Cecom, della quale era anche socio, con mansioni di operaio specializzato - responsabile del settore tecnico - e relativo inquadramento contrattuale (livello A super c.c.n.l. settore grafico piccole e medie imprese) e di aver osservato sempre gli orari di lavoro, attenendosi sempre alle direttive di volta in volta impartitegli dagli amministratori della società, chiedeva, nei confronti dell'Inps, accertarsi la nullità o illegittimità del verbale di accertamento Inps del 12.12.1996 nella parte riguardante il disconoscimento del rapporto di lavoro intercorso tra il ricorrente e la detta società (dal 21,2.86 al 31.10.96), con la conseQuenziale declaratoria di sussistenza del detto rapporto sin dal 21.2.86 (ed ancora in corso), con tutte gli effetti di ordine giuridico ed economico.
Instauratosi il contraddittorio, l'Inps si costituiva in giudizio e, dopo aver richiamato il verbale di accertamento impugnato, che aveva dato corso all'impugnato disconoscimento, ed invocandone il valore probatorio privilegiato, evidenziava la insussistenza della subordinazione.
2. Ammessa ed espletata la prova testimoniale, il giudice con sentenza del 3.10.2003 decideva la causa, rigettando la domanda e compensando tra le parti le spese del giudizio.
A sostegno della decisione, il giudice affermava che, anche se in via di principio vi è la possibilità che un socio possa essere dipendente della società, è necessario che la relativa prova sia rigorosa e, nella specie, tale prova non era stata raggiunta, avendo l'esperita istruttoria escluso la prospettata subordinazione di lavoro, con la conferma di quanto accertato in sede ispettiva dall'Istituto resistente.
3. Avverso tale sentenza, il D'Amato proponeva appello con ricorso del 25.3.2004, censurando la sentenza impugnata, perché motivata in maniera illogica e contraddittoria, in quanto la ricostruzione della subordinazione su cui essa era fondata non era condivisibile. L'istituto appellato, costituendosi in giudizio con memoria depositata il 2.4.2005, deduceva l'infondatezza in fatto e diritto dell'appello.
La Corte d'appello con sentenza del 23.11.2005 rigettava l'appello e compensava per intero tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
4. Avverso questa pronuncia propone ricorso per cassazione l'originario ricorrente.
Resiste con controricorso la parte intimata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. L'odierno ricorrente lamenta, con l'unico motivo di ricorso, la "violazione e falsa applicazione dell'art. 2094 c.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione". Il ricorrente assume che la sentenza pronunciata dalla Corte d'Appello sarebbe illegittima perché i giudici avrebbero erroneamente fondato il proprio convincimento circa la natura autonoma e, quindi, non subordinata del rapporto intercorso tra la società Cecom S.n.c. e lo stesso Sig. Giovanni D'Amato sin dal 21.2.1986.
Nella sostanza - secondo l'assunto del ricorrente - la Corte d'Appello di Salerno avrebbe attribuito agli elementi emersi nel corso della causa un significato del tutto errato e inconciliabile con le emergenze processuali. Pertanto, i giudici d'appello sarebbero giunti a conclusioni che non corrisponderebbero ad un corretto giudizio logico-giuridico.
2. Il ricorso è infondato.
2.1. In diritto deve considerarsi che la giurisprudenza di questa Corte (recentemente v. Cass., sez. lav., 4 maggio 2009, n. 10240) ha affermato che, posto che la L. n. 142 del 2001 ha previsto la possibilità che il socio lavoratore di cooperativa instauri, a latere del rapporto associativo, un ulteriore e diverso rapporto di lavoro, in forma autonoma o subordinata, con cui contribuisce al perseguimento degli scopi sociali, incombe al socio lavoratore fornire la prova dell'esistenza degli indici atti a fare ritenere l'esistenza della subordinazione (nella specie, la suprema corte conferma la sentenza di merito, ritenendo che l'assunto di parte ricorrente circa la sussistenza degli indici di subordinazione si sia palesato apodittico e non suffragato dalle dovute istanze probatorie). In precedenza cfr. Cass., sez. lav., 12-05-1999, n. 4725, che parimenti aveva ritenuto che nelle società di persone che non siano enti giuridici distinti dai singoli soci, un rapporto di lavoro subordinato tra la società ed ad uno dei soci (che, assumendo la veste di dipendente, non perde i diritti connessi alla predetta qualità), è configurabile, in via eccezionale, nella sola ipotesi in cui il socio presti la sua attività lavorativa sotto il controllo gerarchico di un altro socio, e sempre che la predetta prestazione non integri un conferimento previsto dal contratto sociale. Cfr. anche Cass., sez. lav., 11 gennaio 1999, n. 216: Nelle società di persone è configurabile un rapporto di lavoro subordinato tra la società e uno dei soci purché ricorrano due condizioni: a) che la prestazione non integri un conferimento previsto dal contratto speciale: b) che il socio presti la sua attività lavorativa sotto il controllo gerarchico di un altro socio munito di poteri di supremazia; il compimento di atti di gestione o la partecipazione alle scelte più o meno importanti per la vita della società non sono, in linea di principio, incompatibili con la suddetta configurabilità, sicché anche quando esse ricorrano è comunque necessario verificare la sussistenza delle suddette due condizioni. 2.2. Nella specie: ha osservato la Corte d'appello che la prova testimoniale acquisita in prime cure ha posto in luce che a fronte di mansioni dichiarate e di inquadramento come operaio specializzato, è rimasto accertato che il D'Amato espletava in effetti mansioni organizzative dell'attività tecnica come risultante da tutte le testimonianze raccolte.
Puntualmente ha osservato la Corte territoriale che, a prescindere dall'inquadramento dell'attività (se di socio o di lavoratore subordinato), le mansioni di natura operaia (più o meno qualificate) racchiudono in sè elementi attinenti al solo processo produttivo mentre sono quelle impiegatizie che contengono gli elementi della cooperazione al processo tecnico amministrativo dell'impresa. Il sig. D'Amato ha da sempre impartito le direttive agli operai" (teste Bocchino); lo stesso teste ha, poi, affermato che non ha mai avuto modo di vedere le amministratrici della società espletare il potere disciplinare ne' quello direttivo (anche sul D'Amato evidentemente);
Il ricorrente organizzava tutto il personale operaio dando allo stesso le direttive necessarie, nonché operava il controllo sull'attività svolta".
L'attenta e approfondita analisi di tutti gli elementi caratterizzanti l'esplicazione in concreto dell'attività del D'Amato ha escluso la sussistenza (o comunque la prova della sussistenza) di un reale ed effettivo vincolo di organizzativo, gerarchico e disciplinare di altri o anche solo d'uno degli altri soci, potere che deve manifestarsi non in atti meramente ipotetici, ma in ordini specifici, non essendo sufficienti semplici enunciazioni di regole o di direttive programmatiche, richiedendosi invece atti concreti, espressivi di un effettivo potere di supremazia. 3. Il ricorso va quindi rigettato.
Alla soccombenza consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in Euro 12,00 oltre Euro 2.000,00 (duemila) per onorario d'avvocato ed oltre IVA, CPA e spese generali.
Così deciso in Roma, il 6 maggio 2010.
Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2010