Diritto Civile
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 81 - pubb. 01/01/2007
Responsabilità del notaio e danno morale
Tribunale Pescara, 27 Giugno 2005. Est. Falco.
Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale – Principio di causalità – Criteri della causalità implicita e della causalità efficiente – Responsabilità del notaio per omessa verifica delle visure catastali – Danno morale – Sussistenza.
In materia di responsabilità sia contrattuale sia extracontrattuale ed in ragione delle norme di cui agli artt. 1223/2056 c.c. sulla causalità normativa, un evento dannoso può essere considerato dal punto di vista giuridico “conseguenza diretta ed immediata” di una data condotta illecita soltanto in presenza della duplice condizione che, nel caso concreto e ferme restando le altre condizioni, risulti che il primo non si sarebbe verificato, sul piano fenomenico, in assenza della seconda (criterio cd. della condicio sine qua non) ed inoltre che lo stesso evento dannoso non appaia, nel momento in cui si produce la condotta causante e secondo un giudizio di natura probabilistica fondato sul principio della c.d. “regolarità causale”, effetto eccezionale, atipico ed inverosimile della condotta medesima (criterio cd. della “causalità efficiente”). Pertanto in mancanza della seconda di dette condizioni l’evento dannoso- ancorché prodottosi in concreto per effetto di un dato comportamento- può essere imputato all’autore di quest’ultimo soltanto sul piano “naturalistico” ma non anche “giuridico”, restando così a carico del danneggiato le conseguenze dannose eccezionali ed indirette che abbiano trovato in quel comportamento una mera occasione di insorgenza (in applicazione di tali principi il Tribunale ha escluso che potesse imputarsi giuridicamente quale “conseguenza diretta ed immediata” a due notai –ritenuti responsabili per omessa verifica, all’atto della stipula da parte dell’attrice di un contratto di compravendita immobiliare, delle visure catastali dell’immobile in cui risultava una trascrizione pregiudizievole per la attrice acquirente - una gravissima forma di danno psichico permanente [Disturbo Bipolare I con recupero interepisodico incompleto, presenza cronica di episodi maniacali con manifestazioni psicotiche ed episodi depressivi crescenti] che la esperita CTU medico-legale aveva ritenuto essere connesso sul piano scientifico al trauma emotivo subito dalla acquirente al momento della scoperta della trascrizione immobiliare di terzi sul bene da ella acquistato; il Tribunale ha invece ritenuto giuridicamente imputabile ai due notai il connesso danno morale subito dalla donna per la preoccupazione di perdere la proprietà del bene, in quanto danno costituente conseguenza prevedibile della negligente prestazione notarile).
N° 276/1997 R.G.
FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del 3.2.1997, ritualmente notificato, A conveniva in giudizio i notai B eC assumendo che:
· In data 31.3.1992 aveva stipulato con la R.C. Ruggieri Costruzioni S.r.l. un contratto preliminare di compravendita di un immobile sito in Città S. Angelo (PE) che la società promittente venditrice aveva garantito essere libero da ogni onere e trascrizione pregiudizievole.
· Nel mese di aprile del 1992 il Notaio B, incaricato della stipula del contratto di trasferimento immobiliare e delle attività propedeutiche, aveva preparato formalmente l’atto pubblico ma tuttavia non aveva provveduto ad aggiornare le visure ipo-catastali dell’immobile già effettuate in epoca prossima al ricevimento dell’incarico.
· In data 27.7.1992 si era proceduto alla stipula dell’atto pubblico a ministero del notaio C il quale era stato incaricato all’uopo dal notaio B che nella seconda metà del mese di luglio si era dovuto allontanare da Pescara per motivi di lavoro; anche il notaio C aveva omesso tuttavia di effettuare le dovute visure ipo-catastali dell’immobile oggetto del contratto di vendita, nel quale il bene medesimo veniva comunque dichiarato dalla società alienante come libero da diritti, oneri, trascrizioni pregiudizievoli.
· In data 9.3.1993 l’esponente aveva accertato tramite la competente Conservatoria dei Registri Immobiliari che l’appartamento da lei acquistato era invece gravato sin dal 4.6.1992 da una trascrizione di una domanda pregiudiziale- nella specie di esecuzione in forma specifica di un preliminare di vendita- proposta davanti al Tribunale di Pescara da un terzo (società Castelluccio S.r.l.) contro la società Ruggieri.
· Una tale trascrizione pregiudizievole veniva peraltro cancellata soltanto a seguito della sentenza del 23.3.1995 con la quale il Tribunale di Pescara aveva rigettato la predetta domanda proposta dalla terza società Castelluccio S.r.l. contro la società Ruggieri.
· Sussisteva la evidente responsabilità contrattuale solidale dei due notai i quali- non adempiendo alle specifiche obbligazioni derivanti dall’intercorso contratto d’opera- avevano colposamente omesso di compiere le dovute visure ipocatastali dell’immobile.
· Per effetto di una tale colpevole omissione, l’esponente “aveva subito notevoli danni patrimoniali per avere sottoscritto un contratto a condizioni assolutamente svantaggiose perché avente ad oggetto un immobile gravato da vincoli che- se fosse stata edotta della esistenza della precedente trascrizione- non avrebbe mai acquistato ovvero avrebbe acquistato a condizioni diverse”.
· Il pregiudizio subito dall’esponente “per effetto della lesione della libera disponibilità economica dell’immobile in questione si era concretizzato in un danno patrimoniale pari a £. 70.000.000 di cui £. 46.000.000 per interessi di mutuo ECU dal marzo ‘93 al maggio 96, £. 13.600.000 per interessi legali su detta somma per anni tre, £.400.000 per spese di cancellazione delle ipoteche in data 10.1.96, £. 10.000.000 quale deposito vincolato a garanzia della ripartizione arretrato rata 31.12.1991 derivante dal mutuo originario, oltre spese legali ed altri esborsi da specificare in corso di causa”.
· Una tale vicenda aveva determinato a carico della esponente “una grave patologia psico-fisica di tale intensità da indurla a continui ricoveri presso Case di Cura”.
· In ogni caso l’entità sia dei danni patrimoniali sia dei danni morali subiti dall’attrice ed indissolubilmente legati ex art. 1223 c.c. da un nesso di causalità con l’inadempimento contrattuale dei due notai, sarebbe stata “meglio stabilita da apposite CTU tecnico contabile e medico legale”.
· Era rimasto vano ogni tentativo di definizione bonaria della controversia.
Tanto premesso, l’attrice chiedeva la declaratoria giudiziale “della responsabilità da inadempimento contrattuale” dei due convenuti per le causali sopra descritte, con conseguente condanna degli stessi in solido al risarcimento di tutti i “danni patrimoniali” subiti e quantificati nella predetta misura di £. 70.000.000, ovvero in quella diversa misura accertata in corso di causa, nonché di tutti i “danni morali” dalla stessa sofferti e da quantificarsi nel corso del giudizio, con interessi dalla domanda al soddisfo. Con vittoria di spese processuali.
Con comparsa di risposta depositata in Cancelleria in data 2.4.1997 si costituiva in giudizio il Notaio B il quale, contestando la fondatezza della domanda attorea e chiedendone il rigetto, deduceva:
· Il proprio difetto di legittimazione passiva posto che- secondo la stessa prospettazione attorea- egli si era limitato a compiere soltanto “l’attività preparatoria a lui commissionata fino a redigere il testo dell’atto”, onde il mancato aggiornamento delle visure “era ascrivibile esclusivamente a responsabilità del Notaio C che ebbe a stipulare l’atto”.
· L’infondatezza della richiesta avversa di risarcimento dei danni, sia per l’irrisarcibilità dei dedotti danni morali, in mancanza di un fatto di reato, sia per la incompletezza e confusione delle cause allegate dalla controparte dell’asserita produzione del dedotto danno patrimoniale, sia per l’inesistenza di un nesso di causalità diretto ed immediato tra il denunziato inadempimento e i lamentati danni neuro- psichici, sia per l’inammissibilità delle richieste consulenze tecniche volte a colmare le carenze ed incertezze probatorie della parte.
Tanto premesso, il Notaio B concludeva chiedendo il rigetto della domanda attorea e la vittoria delle spese del giudizio.
Con comparsa di risposta depositata in Cancelleria in data 10.4.1997 si costituiva in giudizio il Notaio C il quale, contestando la fondatezza della domanda attorea e chiedendone il rigetto, deduceva a sua volta:
· Il proprio difetto di legittimazione passiva per essersi egli limitato- su espresso incarico del collega B- a dare regolare e diligente “attuazione formale al rogito dell’atto, già completamente predisposto da quest’ultimo”; onde nulla avrebbe potuto imputarsi all’esponente per i danni lamentati dall’attrice i quali, se fondati, avrebbero dovuto ascriversi ad esclusiva responsabilità del notaio B.
· L’illegittimità della pretesa risarcitoria attorea, per inammissibilità quanto ai dedotti danni morali- non risarcibili nell’ambito della esperita azione di responsabilità contrattuale- per inesistenza quanto ai dedotti danni patrimoniali, anche in considerazione dei limiti normativi imposti a fini fiscali nel caso concreto alla disponibilità dell’immobile nei confronti di A.
Tanto premesso, il Notaio C concludeva in via principale per il rigetto delle pretese attoree, in via subordinata per il riconoscimento del proprio diritto di essere manlevato dal notaio B nei confronti del quale spiegava- previa richiesta di spostamento della prima udienza (invero non necessaria essendo stato quello già citato in giudizio dall’attrice) apposita domanda di garanzia. Con vittoria delle spese processuali.
Acquisita la documentazione prodotta dalle parti, espletate la trattazione ed istruzione orale della causa, effettuata una CTU medico legale per accertare la sussistenza o meno di un nesso causale tra i fatti di causa ed i danni alla salute lamentati dall’attrice, trattenuta una prima volta la causa in decisione e rimessa poi la stessa causa in istruttoria per una integrazione peritale, il processo proseguiva all’udienza del 10.3.2005, nella quale le parti concludevano come in atti.
All’esito il Giudice tratteneva la causa in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda risarcitoria proposta da A risulta fondata soltanto nella misura di seguito precisata.
Si perviene a siffatta conclusione in ragione delle considerazioni in fatto ed in diritto che seguono.
In primo luogo deve sottolinearsi come la domanda risarcitoria spiegata in giudizio da A debba essere giuridicamente interpretata come (legittimo) esercizio cumulativo di un’azione contrattuale e di un’azione extracontrattuale contro i due convenuti in quanto:
· È noto che l'acclaramento della natura giuridica dell'azione di responsabilità in concreto proposta e, precisamente, se contrattuale o extra contrattuale, si traduce nell'interpretazione della domanda, da condursi sul paradigma di specifici criteri, imposti dalla particolarità del tema e dalla finalità dell'indagine, già enunciati in plurime pronunce della Corte Suprema (Cass. Sez. U, Sentenza n.7470 del 2002;. Cass., sez. un., 16 gennaio 1987, n. 304; Id., 2 agosto 1995, 8459, cit.; Id., 4 novembre 1996, n. 9522, cit.; Id., 28 luglio 1998, n. 7394, cit.), nei termini che seguono: stante la autonoma e prioritaria tutela del diritto assoluto alla vita ed all'integrità fisica, si deve ritenere proposta l'azione di responsabilità extracontrattuale tutte le volte che non emerga una precisa scelta del danneggiato in favore di quella contrattuale; quindi, ad esempio, quando il danneggiato invochi la responsabilità aquiliana, oppure chieda, genericamente, il risarcimento del danno alla propria integrità fisica, il che implica la mancata deduzione di una specifica obbligazione contrattuale. Correlativamente, si può ritenere proposta l'azione di responsabilità contrattuale, solo quando la domanda di risarcimento danni sia espressamente fondata sull'inosservanza di una precisa obbligazione contrattuale (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n.291 del 1999; Cass. Sez. U, Sentenza n.7470 del 2002; Sez. U, Sentenza n. 7503 del 15/05/2003; Sez. U, Ordinanza n. 2064 del 11/02/2003).
· Al riguardo si osserva che le richieste di risarcimento del danno morale e di quello biologico contenute negli atti introduttivi del giudizio qualificano la domanda come extracontrattuale, senza che rilevi in senso contrario l'opposta ed erronea qualificazione risultante dagli stessi atti: tali richieste- infatti- appaiono decisive per la qualificazione della domanda come proposta ai sensi degli artt. 2043 e ss. c.c., poichè mentre il ristoro del danno patrimoniale può conseguire all'accertamento della responsabilità sia contrattuale che extracontrattuale (art. 1223/2056 c.c.), soltanto a quest'ultima possono essere invece ricondotte le domande di risarcimento delle altre voci suindicate (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n.291 del 1999; Cass. Sez. U, Sentenza n.7470 del 2002; Sez. U, Sentenza n. 7503 del 15/05/2003; Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2064 del 11/02/2003)
· Invero, per costante giurisprudenza ( cfr. Cass. n. 15330 del 2000 e nn. 589, 4113 e 7075 del 2001) il danno morale subiettivo è risarcibile ai sensi degli artt. 2043/2059 c.c. (norme dettate espressamente per il fatto illecito aquiliano) e non è contemplato nell’art. 1223 c.c. (che limita il risarcimento per responsabilità contrattuale al danno patrimoniale emergente ed al lucro cessante) talché tale risarcimento non è dovuto allorquando la responsabilità sia affermata sulla base del riconoscimento di una responsabilità solo contrattuale (così testualmente Cass. Sez. U, Sentenza n.7470 del 2002 in motivazione).
· Quanto al danno biologico, con sentenza del 14 luglio 1986 n. 184 la Corte costituzionale affermò che esso trova la propria disciplina nell'art. 2043 c.c., in relazione all'art. 32 cost.: indirizzo, questo, seguito dalla successiva giurisprudenza di legittimità (tra le altre Cass. n. 8599 del 2001). Si è bensì osservato (Cass. nn. 9198/99 e 12195/98, ma in fattispecie del tutto diverse) che l'obbligazione di risarcimento, derivante dalla responsabilità contrattuale, può estendersi anche al danno biologico, e, tuttavia, non può non rilevarsi che, a differenza di quanto previsto in via generale dai citati artt. 2043 c.c. e 32 cost., tale estensione è soltanto eventuale perché in tanto può ricorrere in quanto correlata al tipo di contratto intervenuto tra le parti o prevista da particolari clausole contrattuali alle quali, nella specie, ne' la sentenza impugnata ne' le parti si richiamano minimamente ( cfr. ancora testualmente Cass. Sez. U, Sentenza n.7470 del 2002 ).
· È altrettanto noto che è del tutto legittima, rientrando nel potere dispositivo della parte, la proposizione cumulativa dell'azione contrattuale e di quella extracontrattuale, qualora si assuma che, con un unico comportamento, sono stati violati sia gli obblighi derivanti dal contratto, sia il generale dovere del "neminem laedere" (cfr. ex multis, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6233 del 21/06/1999; Cass. N. 418 del 1996; Cass. N. 7768 del 1995; Cass. N. 8090/94).
Orbene, applicando i superiori principi al caso di specie è agevole rilevare quanto segue:
· L’attrice ha dedotto come titolo della domanda risarcitoria l’inadempimento da parte dei due notai dell’obbligazione contrattuale di esecuzione delle dovute visure catastali dell’immobile.
· L’attrice ha allegato di avere subito per effetto di siffatto inadempimento sia danni patrimoniali, sia danni morali, sia gravi patologie psico-fisiche.
· L’attrice ha quindi chiesto- nelle proprie conclusioni introduttive- l’accertamento della “responsabilità contrattuale” dei due convenuti con la condanna dei medesimi al risarcimento dei predetti danni patrimoniale e morale.
· Al di là del tenore delle espressioni qualficatorie usate dall’attrice, trattasi con evidenza di domanda da intepretarsi- per le ragioni sopra esposte- come fondata su un fatto prospettato sia come inadempimento contrattuale, sia come fonte della lesione del principio del neminem laedere e come domanda funzionale al ristoro di danni sia patrimoniali, sia non patrimoniali e morali e, quindi, come cumulativa delle azioni contrattuale ed aquiliana.
Deve in secondo luogo riconoscersi nella (incontestata) omissione della effettuazione delle visure camerali notarili “subita” dalla attrice (prescindendo per un attimo dalla consequenziale questione della individuazione del soggetto giuridicamente responsabile) un grave inadempimento delle obbligazioni contrattuali gravanti sul notaio incaricato delle relative formalità, in quanto:
· E’ noto che per il notaio richiesto della preparazione e stesura di un atto pubblico di trasferimento immobiliare, la preventiva verifica della libertà e disponibilità del bene e, più in generale, delle risultanze dei registri immobiliari attraverso la loro visura, nonché l'informativa al cliente sul suo esito e, nell'ipotesi di constatazione di presenza di iscrizioni pregiudizievoli, la dissuasione del cliente dalla stipula dell'atto, costituiscono, salva l'espressa dispensa degli interessati dalla suddetta verifica, obblighi derivanti dall'incarico conferitogli dal cliente e, quindi, fanno parte dell'oggetto della prestazione d'opera professionale, poiché, pur essendo il notaio tenuto, quale professionista, ad una prestazione di mezzi e comportamenti e non di risultato, l'opera di cui è richiesto non si riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti e di direzione della compilazione dell'atto, ma si estende a quelle attività preparatorie e successive, necessarie perché sia assicurata la serietà e certezza dell'atto giuridico da rogarsi ed in particolare la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti dell'atto (cfr. ex multis Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4427 del 02/03/2005; Cass. N. 1330 del 2004; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1228 del 28/01/2003; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5946 del 15/06/1999).
· Ne consegue che l'inosservanza di detti obblighi dà luogo a responsabilità contrattuale per inadempimento del contratto di prestazione d'opera professionale, a nulla rilevando che la legge professionale non faccia riferimento a tale responsabilità, posto che essa si fonda sul contratto di prestazione d'opera professionale e sulle norme che disciplinano tale rapporto privatistico (cfr. da ultimo la già citata Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4427 del 02/03/2005).
· In relazione alla suddetta inosservanza il notaio-peraltro- non può invocare la limitazione di responsabilità prevista per il professionista dall'art. 2236 cod. civ. con riferimento al caso di prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, in quanto tale inosservanza non è riconducibile ad imperizia, cui trova applicazione quella limitazione, ma a negligenza o imprudenza, cioè alla violazione del dovere della normale diligenza professionale media esigibile ai sensi del secondo comma dell'art. 1176 cod. civ., rispetto alla quale rileva anche la colpa lieve, essendo inapplicabile l'art. 2236 cod. civ. (cfr. ex multis ancora Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4427 del 02/03/2005 Sez. 2, Sentenza n. 1228 del 28/01/2003 Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5946 del 15/06/1999).
· La già segnalata prospettazione attorea di siffatto inadempimento contrattuale come fonte di danni contrattuali ed extracontrattuali impone allora la verifica delle conseguenze di siffatto inadempimento/illecito.
In terzo luogo, deve imputarsi la responsabilità di siffatto inadempimento esclusivamente al Notaio B, con esclusione di qualsivoglia concorrente o esclusiva responsabilità del Notaio C, per le seguenti ragioni:
· La A e la società venditrice si rivolsero al notaio B per la preparazione e redazione dell’atto pubblico di vendita e per le connesse formalità (circostanza pacifica).
· Il contratto d’opera intellettuale intercorse quindi tra le predette parti.
· Il notaio B ha riconosciuto, nel presente giudizio, di avere compiuto “l’attività preparatoria a lui commissionata fino a redigere il testo dell’atto”, ha altresì riconosciuto di non avere provveduto ad un aggiornamento della verifica delle visure, ma ha preteso che l’omissione di un tale aggiornamento fosse “ascrivibile esclusivamente a responsabilità del Notaio C che, su suo incarico ed a causa della sua necessità di allontanarsi da Pescara, ebbe a stipulare l’atto” (cfr. la comparsa di risposta e gli altri atti processuali).
· Nel giudizio penale instauratosi per truffa contro il promittente venditore immobiliare, il notaio B- ivi escusso come testimone- aveva già riconosciuto di avere preparato l’atto pubblico, di avere fatto le visure soltanto agli inizi dell’anno 1992, di non averle rinnovate all’atto della definizione del predetto atto, che il notaio C aveva solo letto l’atto in sua sostituzione e che il mancato aggiornamento delle visure all’atto della stipula del rogito era stato dovuto ad un “equivoco con il Notaio C” perché il “collega che lo aveva sostituito pensava che provvedesse lo studio di B”, mentre lo studio di B aveva pensato che provvedesse il collega” (cfr. le testimonianze dibattimentali del B allegate agli atti e quivi- ovviamente, pienamente utilizzabili come prova; per il principio per cui il giudice può utilizzare come fonte del proprio convincimento anche prove raccolte in un diverso giudizio fra le stesse parti o altre parti, e, quindi, anche prove raccolte in giudizio penale, esaminandone direttamente il contenuto ovvero ricavandolo dalla sentenza o dagli atti del processo penale ed effettuando la relativa valutazione con ampio potere discrezionale, senza essere vincolato dalla valutazione che ne abbia fatto il giudice penale, cfr. Cass. Sez. L, Sentenza n.12666 del 2003 in motivazione; Cass. 16 maggio 2000 n.6347).
· Nella stessa sede penale il notaio B dichiarava di riconoscere l’errore e di avere già garantito ad A “la propria piena responsabilità professionale per l’accaduto e la propria disponibilità ad onorare i propri impegni, anche se l’atto era stato stipulato dal notaio C” (cfr. la relativa testimonianza dibattimentale).
· Tale ricostruzione dei fatti è stata confermata nella stessa sede penale dal notaio C, ivi al pari sentito come teste, nonché nel presente giudizio dalla teste Ciferni dello studio C.
· In realtà, ogni ulteriore approfondimento del riparto di compiti tra i due notai appare irrilevante nella specie posto che è noto che l'attività, che il notaio svolge come libero professionista, si inquadra nel genus del lavoro autonomo e, precisamente, nell'esercizio delle professioni intellettuali. All'attività notarile, pertanto, si applicano, tra le altre, le disposizioni di cui all'art. 2232 cod. civ., che impone al prestatore intellettuale dell'opera di eseguire “personalmente” l'incarico assunto, anche avvalendosi di sostituti ed ausiliari, sotto la propria direzione e responsabilità. Essendo la prestazione del professionista una prestazione di facere infungibile, gli ausiliari sono legati dal rapporto contrattuale con il notaio, il quale risponde dei loro eventuali fatti colposi ex art. 1228 cod. civ. Il notaio è obbligato ad eseguire personalmente l'incarico assunto - ed è perciò responsabile, ai sensi dell'art. 1228 cod. civ., dei sostituti ed ausiliari di cui si avvale - con la specifica diligenza e perizia dovute per la professione che esercita, avuto riguardo al raggiungimento del risultato pratico perseguito dal cliente; pertanto se egli (nella specie il B) è incaricato della redazione e della stipula di un atto di trasferimento immobiliare e delle connesse necessarie formalità, sussiste il suo difetto di diligenza professionale ed imperizia per inosservanza di regole tecniche se non segue personalmente e sollecitamente l'esecuzione della relativa procedura, indipendentemente dalla solerzia di un collega richiesto di collaborare (nella specie il C), con conseguente responsabilità esclusiva nei confronti del cliente danneggiato dal non compimento dell'incarico (cfr. testualmente Cass. Sez. 2, Sentenza n.11284 del 1998 anche in motivazione).
· Solo la sua attenta cura e la sua premurosa sollecitudine nel seguire passo per passo l'attuazione dell’incarico “sub-conferito” al collega collaboratore (sollecitudine nella specie né dedotta né provata ma smentita dal suo allontanamento da Pescara e dal suo disinteressamento per gli sviluppi della pratica) eliminerebbe la sua esclusiva responsabilità per il comportamento del collega, del quale aveva richiesto la collaborazione (art. 2232 cod. civ. cit.: cfr. ancora testualmente Cass. Sez. 2, Sentenza n.11284 del 1998).
· Nessuna colpa concorrente può quindi rinvenirsi in capo al Notaio C il quale poteva fare legittimo affidamento- in base alle risultanze ed alle considerazioni sopra esposte- sulla completezza della doverosa attività pregressa del notaio B preparatoria rispetto alla stipula definitiva del rogito.
Una volta individuata la esclusiva responsabilità del notaio B per l’inadempimento di cui è processo, deve a questo punto passarsi alla diversa questione della esatta individuazione- nell’ambito della pretesa “riparatoria” di A - dei danni a questa risarcibili.
Al riguardo non può riconoscersi in capo all’attrice- per difetto di valida allegazione e di prova- alcun risarcimento dei pur dedotti danni patrimoniali in quanto:
· In caso di omessa verifica, da parte di un notaio rogante una compravendita, in ordine all'eventuale sussistenza di iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli, e di omessa segnalazione all'acquirente di un vincolo ipotecario gravante sull'immobile, la sola esistenza - in sè - del vincolo non costituisce un concreto pregiudizio atto a sorreggere da solo la domanda risarcitoria per l'acquirente dell'immobile (cfr. da ultimo Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18376 del 13/09/2004; Cass. N. 8470 del 2002; Cass. N. 309 del 2003; Cass. N. 1228 del 2003).
· Infatti, il mancato accertamento d'un vincolo pignoratizio od ipotecario gravante sull'immobile ed il consequenziale mancato avvertimento all'acquirente da parte del notaio rogante la compravendita non possono considerarsi produttivi d'un danno in re ipsa e tali, pertanto, da legittimare, di per se stessi, una pretesa risarcitoria dell'acquirente nei confronti del notaio indipendentemente dalla dimostrazione d'un qualsivoglia effettivo pregiudizio subito dal primo a causa del comportamento del secondo (cfr. ancora testualmente la già citata Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18376 del 13/09/2004).
· Il danno risarcibile non è infatti- per il principio generale della risarcibilità del (solo) danno effettivo che permea il nostro sistema di responsabilità civile e contrattuale (artt. 1223/2056 c.c.)- nella mera esistenza dell'ipoteca ovvero di altra trascrizione (solo) potenzialmente pregiudizievole, giacché l’acquirente può lamentare un danno risarcibile soltanto dall'eventuale espropriazione che lo stesso subisca con conseguente perdita del bene, ovvero, in mancanza d'espropriazione, dall'impossibilità di conseguire taluni vantaggi quali quelli derivanti da una vendita vantaggiosa o alla fine, quanto meno, dalla necessità della purgazione dell'ipoteca ex art. 2889 CC" (così testualmente Cass. Sez. 2, Sentenza n.18376 del 2004 anche in motivazione).
· Pertanto l'evento lesivo produttivo del danno risarcibile - a parte la peculiare ipotesi (non ricorrente nella specie) della spesa necessaria per la purgazione dell'ipoteca o la cancellazione della trascrizione del pignoramento a seguito dell'estinzione del debito per il quale l'una era stata iscritta o l'altro era stato eseguito - deve essere ravvisato nella perdita o del bene, ove ne abbia avuto luogo l'espropriazione, o di vantaggi determinati, ove l'esistenza del vincolo abbia impedito la rivendita (ipotesi parimenti non ricorrenti nella specie); quanto a quest'ultima ipotesi, con l'ulteriore precisazione (cfr. la riguardo anche Cass. 28.8.00 n. 11207), che non l'impedimento alla vendita di per se stesso costituisce causa di danno - in quanto l'impossibilità di realizzare la vendita non assume alcun carattere di definitività si da determinare un corrispondente definitivo depauperamento del patrimonio del proprietario, questi mantenendo la disponibilità dell'immobile nel suo concreto valore e potendo, anzi, anche conseguire un eventuale vantaggio per effetto dell'incremento dei valori immobiliari in genere o di quello specifico immobile in ispecie - quanto piuttosto la mancata disponibilità del numerario conseguibile attraverso la vendita ed utilizzabile in impieghi vantaggiosi (cfr. ancora in questi esatti termini da ultimo Cass. Sez. 2, Sentenza n.18376 del 2004; Cass. 3.1.94 n. 6).
· In ogni caso, il danno, attuale e determinato, da espropriazione, o da mancata vendita nei termini sopra indicati, dev'essere provato, ex art. 2697 CC, dalla parte che lo deduce e ne chiede il risarcimento (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 566 del 19/01/2000).
· Nel caso in esame, invece, la attrice non ha subito né un’espropriazione, né alcun procedimento esecutivo, né ha allegato e di conseguenza provato di avere perso vantaggiose occasioni di rivendita del bene, né di averle cercate, né di avere affrontato spese di purgazione di eventuali ipoteche apposte a tutela della precedente trascrizione.
· Parte attrice ha conservato integri i propri diritti dominicali sull’immobile (diritti certamente originariamente minacciati dalla potiore trascrizione) per effetto della successiva cancellazione “giudiziale” della ignorata trascrizione.
· Né ella può pretendere quivi il ristoro delle “spese” del mutuo contratto per l’acquisto (perfezionatosi e definitivamente consolidatosi) dell’immobile, posto che quelle spese sono state il giusto e dovuto onere del prestito di cui ella ha beneficiato, né a fronte dell’accertato inadempimento notarile, nonostante il quale ha comunque acquisito la piena e definitiva proprietà del bene, ella può pretendere che quel mutuo diventi ora gratuito.
Parimenti, non merita accoglimento la ulteriore domanda di risarcimento del danno biologico rivendicato da A, per mancanza di un nesso causale giuridicamente rilevante tra detto danno e l’illecito ascritto ai convenuti.
In particolare, prescindendo da un approccio formalistico ancorché giuridicamente corretto che rivelerebbe agevolmente come la domanda introduttiva del giudizio sia in realtà priva del petitum in ordine a siffatta voce di danno (cfr. le conclusioni della citazione: “[…] risarcire tutti i danni patrimoniali […] nonché tutti i danni morali”) posto che il danno alla salute non può qualificarsi (neanche all’epoca della domanda) né come danno patrimoniale né come danno morale e che per ciò solo renderebbe inammissibile- anche d’ufficio (cfr. Cass. N. 4376/2000)- il riconoscimento in sentenza di una tale nuova pretesa, e pur volendo riconoscere piena attendibilità scientifica alla relazione tecnica del CTU (nonostante i dubbi che permangono in merito alle possibili eterogenee interpretazioni del contenuto della scheda di accesso ospedaliero del 7.11.94 sottoscritta dal dott. Troiani, della cui testimonianza nel presente processo l’attrice avrebbe fatto bene ad avvalersi, trattandosi del suo medico curante la cui deposizione nel giudizio sarebbe stata certamente preziosa in relazione al contrasto processuale sulla eziologia della depressione della donna) che ha riconosciuto sussistere nel caso concreto e sul piano scientifico una correlazione causale diretta tra la scoperta da parte di A della preesistenza della trascrizione di terzi sul bene ed il danno psichico da quest’ultima subito- deve in ogni caso escludersi sul piano (non scientifico ma) giuridico- come già parzialmente anticipato- la imputabilità eziologica di una tale patologia agli addebiti del notaio B.
Si perviene a siffatta conclusione in ragione delle considerazioni che seguono.
È bene premettere che nella domanda introduttiva la A aveva espressamente denunziato che i fatti illeciti/inadempimenti addebitati ai due notai e di cui quivi si discute le avevano determinato, oltre ai denunziati danni patrimoniali, anche “una grave patologia psico-fisica di tale intensità da indurla a continui ricoveri presso Case di Cura” (cfr. la citazione).
Si è visto che l’illecito in questione è stato compiuto dal Notaio B, responsabile- come detto- dell’accaduto, nel corso del 1992; in particolare la omissione del controllo delle visure immobiliari si consumò definitivamente in sede di stipula del definitivo (27.7.1992).
Parte attrice ha dedotto e documentato di essere venuta a conoscenza della preesistenza della potiore trascrizione in data 9.3.1993 attraverso una casuale verifica effettuata presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari (cfr. la relativa documentazione in atti).
La esperita CTU- attraverso l’esame diretto di A, la verifica della documentazione clinica agli atti e l’acquisizione di informazioni presso terzi- ha rilevato le seguenti circostanze:
1) esistenza in capo alla donna di una patologia psichica ormai cronica di Disturbo Bipolare I con recupero interepisodico incompleto; trattasi di patologia connotata nella specie da presenza cronica di episodi maniacali con manifestazioni psicotiche ed episodi depressivi crescenti ed integrante, sul piano medico-legale, un danno biologico permanente del 70% ed una perdita della capacità di lavoro generica pari al 75%;
2) esistenza di un nesso di causalità diretta tra l’insorgenza di siffatta grave e permanente patologia e la scoperta della esistenza di una trascrizione potiore sull’immobile acquistato;
3) produzione conseguente di una ITT di giorni 318 e di una ITP al 50% di giorni 50;
4) congruità delle spese mediche sostenute ( €. 1650,00) rispetto all’entità del pregiudizio nonché la previsione dell’ammontare delle spese mediche future in € 8640,00 (cfr. la CTU).
Orbene, i predetti danni- ancorché conseguenti sul piano materiale (fattuale) e scientifico all’illecito/inadempimento di cui è processo, non possono ascriversi sul piano della causalità giuridica (rectius, della imputazione normativa) al Notaio convenuto in quanto:
· In tema di responsabilità contrattuale, l’art. 1223 c.c.(“Risarcimento del danno”) stabilisce che il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, “in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”.
· Lo stesso principio di causalità opera anche in tema di responsabilità extracontrattuale in cui l’art. 2056 c.c. (“Valutazione dei danni”) richiama espressamente l’art. 1223 c.c.
· Orbene, a parte la dibattuta questione se le norme di cui agli artt. 1223/2056 c.c. c.c. regolino il nesso di causalità giuridica, mentre il nesso di causalità materiale sia regolato esclusivamente dai principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p., con conseguente distinzione tra causalità di fatto (contenuta nella struttura dell'illecito ed avente come referenti le predette norme penali) e causalità giuridica (contenuta nella struttura della valutazione del danno, di cui agli artt. 2056 - 1223 c.c.), sta di fatto che per giurisprudenza pacifica il criterio in base al quale sono risarcibili i danni conseguiti dal fatto illecito aquiliano o dall'inadempimento in tema di responsabilità contrattuale, deve intendersi, ai fini della sussistenza del nesso di causalità, in modo da comprendere nel risarcimento i danni indiretti e mediati, che si presentino come “effetto normale” di un tale fatto illecito o di un tale inadempimento, secondo il principio della c.d. “regolarità causale” (Sez. 3, Sentenza n. 15789 del 22/10/2003; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5962 del 10/05/2000; Cass. 6.3.1997, n. 2009; Cass. 10.11.1993, n. 11087; Cass. 11.1.1989, n.65; Cass. 18.7.1987, n. 6325; Cass. 20.5.1986, n. 3353; Cass. 16.6.1984, n. 3609).
· Il canone della normalità cui ci si riferisce si esprime nella individuazione dell'imputabilità dell'evento dannoso- ai fini di una selezione ordinamentale del danno imputabile- secondo un criterio della prevedibilità: ed in ciò, in effetti, la normalità consiste.
· In particolare, il criterio della regolarità causale di cui si discute- che attribuisce significato giuridico alle conseguenze che possono verificarsi quando lo svolgimento causale ha andamento “regolare”- viene identificato con il criterio della prevedibilità di cui all'art. 1225 cod. civ. il quale costituisce- in materia di responsabilità contrattuale- uno dei criteri di determinazione dell'ambito del danno risarcibile: esso - avendo una funzione "moderatrice" dell'entità del risarcimento del danno- opera successivamente al giudizio sull'esistenza del danno e consistente in un giudizio di probabilità del verificarsi di un futuro danno espresso in astratto, secondo l'apprezzamento della normale diligenza del soggetto responsabile, che deve tenere peraltro conto di circostanze di fatto concretamente conosciute (così testualmente, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18239 del 28/11/2003; Cass. Sez. 3, Sentenza n.15559 del 2004) .
· Infatti, la giurisprudenza di legittimità, prendendo definitivamente le distanze da numerose teorie formulate in dottrina sul nesso eziologico tra condotta ed evento (teoria della equivalenza di cause o della conditio sine qua non, secondo cui causa è la totalità degli elementi indispensabili per il verificarsi dell'effetto; teoria della causalità adeguata, secondo cui causa non è ogni condizione dell'evento ma solo quella condizione in generale idonea a determinarlo, cioè adeguata all'evento; teoria della causa prossima o della prevalenza, secondo cui causa dell'evento deve considerarsi quella forza ultima, che prevalendo su tutte le altre, produce un cambiamento nella situazione fattuale esistente; teoria dello scopo della norma, che ravvisa i invece il nesso di causalità fra un fatto e quelle conseguenze dannose che rientrano nello scopo protettivo della norma) ha con numerose decisioni seguito, sulla scia del disposto dell'art. 41 c.p., quello che è stato definito il principio della causalità umana, in base al quale per ritenere sussistente il nesso eziologico tra una condotta e l'evento è richiesto che l'uomo con la sua azione ponga in essere un fattore causale del risultato e che tale risultato non sia dovuto al concorso di circostanze le quali, rispetto ad esso, si presentino con carattere di “eccezionalità o atipicità”. Così si è statuito che, in tema di nesso eziologico, tutti gli antecedenti - diretti o indiretti, prossimi o remoti - senza i quali l'evento dannoso non si sarebbe verificato, vanno considerati causa di esso, eccettuando la sola ipotesi - sulla base del principio di causalità efficiente di cui all'art. 41 c.p.c. - in cui sia individuabile, nella sequenza causale, un antecedente prossimo (costituito da un antecedente eccezionale ed imprevedibile), idoneo da sè solo a determinare l'evento, e che esclude, di conseguenza, l'efficacia causale degli antecedenti più remoti, retrocessi al rango di mere occasioni (cfr. in questi esatti termini: Cass. 8 gennaio 1981 n. 170; cfr. ex plurimis Cass. 10 dicembre 1996 n. 10987; Cass. 7 ottobre 1987 n. 7467; ed, in materia di infortuni sul lavoro, Cass. penale, sez IV, 12 dicembre 1985, imp. Rinaldi).
· Pertanto un evento dannoso è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (cd. teoria dellacondicio sine qua non): ma nel contempo non è sufficiente tale relazione causale per determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi, all'interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a quelle soltanto che, nel momento in cui si produce l'evento causante non appaiono “del tutto inverosimili” (cd. teoria della causalità adeguata o della regolarità causale, la quale in realtà, come è stato esattamente osservato, oltre che una teoria causale, è anche una teoria dell'imputazione del danno: cfr. per tutte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5962 del 10/05/2000 anche in motivazione).
· Ed allora un ragionamento giudiziale sul rapporto causale ex artt. 1223/2056 c.c., adeguato e logicamente coerente, deve necessariamente basarsi su regole di natura probabilistica tali da consentire una generalizzazione sul nesso di condizionamento condotta - evento, tale da legittimare una imputazione (non solo naturalistica ma anche) giuridica (causalità normativa) alla condotta del danneggiante che, così, viene a costituire l'antecedente necessario, diretto ed immediato, dell'evento rilevante ex artt.1223/2056 c.c.. citate ( cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n.21894 del2004 anche in motivazione).
· Più in particolare l'incidenza eziologica delle "cause antecedenti", va valutata, per un verso, nel quadro dei presupposti condizionanti (per cui deve trattarsi in particolare di "antecedente necessario" dell'evento dannoso, a questo legato da un rapporto di causazione normale e non straordinario) e, per altro verso, in coordinazione con il principio della "causalità efficiente", che temperando la regola della "equivalenza causale", espunge appunto le cause antecedenti dalla serie causale rispetto a cui i dedotti effetti si pongano come esito inverosimile, anomalo, eccezionale ed imprevedibile secondo un criterio di normalità/regolarità causale e rispetto a cui quindi le prime degradano giuridicamente al rango di mere occasioni ( per la combinazione, nei termini sopra riportati, della teoria della "condicio sine qua non" con la teoria della "causalità adeguata". cfr Cass. N. 5962/00 già citata; Sez. 3, Sentenza n. 5913 del 09/05/2000 Cass. 20.2.1998, n. 1857; Cass. nn. 65/89; 6172/91; 7358/93).
· In altri termini l'autore del comportamento imputabile è responsabile per intero di tutte le conseguenza del proprio illecito/inadempimento da esso scaturenti “secondo normalità”, valutato secondo i principi della regolarità causale sopra detti (cfr. Cass. Sez. L, Sentenza n. 5539 del 09/04/2003 Sez. 3, Sentenza n. 2335 del 16/02/2001).
· Le considerazioni sinora svolte hanno ad esempio indotto la Cassazione (cfr. Cass. Sez. L, Sentenza n. 2037 del 23/02/2000) a condividere l'assunto che il suicidio non rappresenta un evento idoneo ad interrompere il nesso di causalità tutte le volte che l'illecito subito sia stato di tale gravità ( fattispecie relativa alle conseguenze di una grave intossicazione da monossido di carbonio con esiti gravemente invalidanti subita da un lavoratore in occasione di un infortunio sul lavoro ascrivibile a responsabilità penale del datore di lavoro) da determinare nel soggetto leso dei gravi processi di infermità psichica, concretizzantisi in psicosi depressive o in altre gravi forme di alterazioni dell'umore e del sistema nervoso e di autocontrollo. Rispetto a tali infermità il suicidio non si configura, infatti, quale evento straordinario o atipico tale da risultare estraneo alla sequela causale ricollegabile all'iniziale condotta illecita.
· Per le stesse considerazioni la Cassazione in precedenza era già pervenuta alla conclusione che il suicidio del danneggiato da un grave fatto illecito, avvenuto nella immediatezza ed in conseguenza di quest'ultimo, non è evento idoneo ad interrompere il nesso di causalità fra fatto antigiuridico ed evento-morte, osservando al riguardo - in una fattispecie in cui il soggetto leso ( un militare del corpo della guardia di finanza aveva subito lesioni gravi per un incidente stradale -frattura ed, a partire dal terzo medio, lo sfracellamento della gamba sinistra - che per la particolare struttura psicoreattiva del soggetto leso "il dolore fisico, la immediata consapevolezza della gravità della lesione e la subitanea prefigurazione della futura menomazione avevano causato in lui una reazione psicogena abnorme di trasformazione degli impulsi etero- aggressivi in impulsi auto-aggressivi, così da determinarlo, in modo incoercibile, al suicidio": cfr. in questi termini Cass. 7 febbraio 1996 n. 969; cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n.21894 del 2004).
· Nel caso in esame, la tardiva scoperta- imputabile al Notaio B- da parte di A dell’esistenza della trascrizione astrattamente pregiudizievole dei suoi interessi è stata riconosciuta dal CTU essere stata, in concreto e sul piano scientifico, la causa diretta della insorgenza delle gravissime patologie psichiche della donna, onde può allo stato dirsi- sulla base delle risultanze della CTU- che queste ultime, sul piano meramente “fenomenico” non si sarebbero verificate in mancanza della prima (teoria della conditio sine qua non).
· Tuttavia non appare discutibile il fatto che gli eventi dannosi prodottisi in capo alla donna (insorgenza di una patologia psichica ormai cronica ed irreversibile di Disturbo Bipolare I con recupero interepisodico incompleto; conseguente presenza cronica di episodi maniacali con manifestazioni psicotiche ed episodi depressivi crescenti; conseguente danno biologico psichico permanente del 70%; conseguente perdita definitiva della capacità di lavoro generica pari al 75%; produzione conseguente di una ITT di giorni 318 e di una ITP al 50% di giorni 50) non possano essere ritenuti l’effetto di una serie causale normale, prevedibile al momento dell’illecito.
· In altri termini, la sostanziale ed irrevesibile pressoché totale “distruzione” della personalità e della psiche subite di A non può ritenersi, secondo quanto ampiamente esposto, un “effetto normale e perciò prevedibile” dell’illecito/inadempimento notarile di cui è processo, posto che dall’acquisto inconsapevole di un immobile legittimamente ritenuto sgravato da oneri potenzialmente pregiudizievoli della acquisita proprietà immobiliare e dalla successiva scoperta di una avversa trascrizione potenzialmente lesiva dei propri acquisiti diritti dominicali può certo prevedersi la derivazione in capo all’inconsapevole e “tradito” acquirente- secondo un criterio di normalità causale- di un patema d’animo, di una sofferenza, di uno stress emotivo, di una anche acuta preoccupazione, di uno sconforto (ossia, in una parola, di un danno “morale”, secondo quanto appresso si dirà) ma non certo anche l’insorgenza in capo al medesimo incolpevole acquirente di una malattia psichica di tale gravità ed irreversibilità e dagli esiti e dalle conseguenze così definitivamente disastrose come avvenuto nel caso concreto di cui è processo..
· La domanda di risarcimento delle voci di danno in discorso va pertanto integralmente rigettata.
A diversa conclusione deve invece pervenirsi, per quanto poc’anzi già anticipato, in merito alla domanda di risarcimento del dedotto danno morale di cui all’art. 2059 c.c.. In particolare:
· È noto che - secondo il nostro sistema di responsabilità civile per danni alla persona come definitivamente interpretato, secondo gli ultimi fondamentali arresti giurisprudenziali, come un sistema bipolare di risarcibilità del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale (C.Cost. sent. N. 233 del 30.6.2003; Cass. n. 8827/2003; Cass. 8828/2003)- un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. deve necessariamente ricomprendere nella astratta previsione della norma ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona: e dunque sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima, sia il danno biologico in senso stretto, lesivo del diritto alla salute ex art.32 Cost., sia il danno ( da taluni definito esistenziale) derivante dalla lesione di ( altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona ( C.Cost. sent. N. 233 del 30.6.2003)
· Pertanto- tutte le volte in cui vengano in considerazione (come nella specie in ordine alla sofferenza morale patita per la vicenda da A) valori personali di rilievo costituzionale- deve escludersi che il risarcimento del danno non patrimoniale, ai sensi dell’art. 2059 c.c., sia soggetto al limite derivante dalla riserva di legge correlata all’art.185 c.p.: ciò rileva ai fini dell’ammissione a risarcimento in riferimento all’art. 2059 c.c. è infatti l’ingiusta lesione di un interesse alla persona, dal quale conseguano pregiudizi non suscettibili di valutazione economica, in quanto una lettura della norma costituzionalmente orientata impone di ritenere inoperante il detto limite, se la lesione ha riguardato valori della persona costituzionalmente garantiti ( Cass. n. 8828/2003).
· In particolare e con riferimento al caso di specie, alla risarcibilità del danno non patrimoniale da patema d’animo ex artt. 2059 c.c./185 c.p. non osta la non configurabilità in capo al notaio B di una concorrente fattispecie di reato.
· La considerazione della peculiarità della vicenda, della “insidiosità” dell’impatto che con la scoperta causale della potiore trascrizione ha indubbiamente “vissuto” la donna, della legittimità ed intensità dell’affidamento che la stessa aveva riposto nella “libertà” dell’immobile come garantitogli in sede notarile, del conseguente stress emotivo e psicologico sofferto dalla attrice per i potenziali effetti pregiudizievoli che quella trascrizione avrebbe potuto produrre sul proprio diritto dominicale acquisito con indubbi sacrifici economici (cfr. la documentazione relativa al mutuo fondiario), della lungaggine della vicenda conclusasi soltanto con la cancellazione giudiziale della trascrizione avvenuta dopo due anni dalla triste scoperta, rende incontestabile il riconoscimento di una eziologia diretta ed immediata tra la predetta lesione (conseguente all’ “illecito notarile” di cui è causa) ed il dedotto danno morale.
· Trattasi di lesione connessa all’illecito in discorso da un criterio di indubbia normalità, prevedibilità e verosimiglianza ex art. 2056 c.c., secondo quanto prima ampiamente esposto.
· Trattasi di danno che può essere liquidato in via equitativa in una misura che appare equo quantificare nel caso in esame- in ragione delle caratteristiche e della durata temporale della lesione appena menzionate e prescindendo ovviamente dalla considerazione del danno psichico (non imputabile giuridicamente al “debitore/danneggiante”)– nella somma di €. 10.000,00 con valutazione all’attualità, oltre interessi legali dalla data della pubblicazione della sentenza al saldo.
Le spese processuali sono integralmente compensate tra tutte le parti del giudizio per giusti motivi, in ragione della delicatezza e peculiarità della vicenda e- quanto ai rapporti tra l’attrice ed il notaio C- anche per la loro parziale reciproca soccombenza.
Le spese vive di CTU si pongono invece definitivamente a carico della attrice, in ragione del notevole ridimensionamento delle sue pretese risarcitorie, con conseguente obbligo per la stessa di restituire gli importi alla patte che li abbia eventualmente anticipati.
Si precisa infine- vista l’esorbitanza di alcune delle parcelle presentate in giudizio- che il valore della presente controversia, da determinarsi dalla domanda (cfr. l’art. 10 c.p.c.), è “ di particolare importanza ed indeterminabile” (£. 70.000.000 + danno morale e danno biologico non predeterminati né predeterminabili) e sulla base di una tale classificazione tariffaria – secondo le diverse tariffe forensi succedutesi nelle more del giudizio- queste avrebbe dovuto avanzarsi nella richiesta di liquidazione giudiziale.
P.Q.M.
il Tribunale di Pescara, in persona del Giudice Unico Dott. Gianluca Falco, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al R.G. N. 276/97 promossa con atto di citazione del 3.2.1997 da A nei confronti di B e C, così decide :
DICHIARA
La esclusiva responsabilità contrattuale ed extracontrattuale di B per l’illecito negoziale e aquiliano di cui è causa.
Per l’effetto
CONDANNA
B al risarcimento in favore di A della somma di € 10.000,00 già valutata all’attualità alla data della presente sentenza, a titolo di danno morale, oltre interessi legali su detta somma dalla data di pubblicazione della sentenza al saldo.
RIGETTA
Tutte le altre domande di parte attrice perché infondate nel merito.
RIGETTA
Tutte le altre domande ed eccezioni.
COMPENSA
Integralmente tra le parti le spese di giudizio, ad eccezione delle spese della CTU che pone definitivamente a carico dell’attrice, con conseguente obbligo della stessa di restituire gli importi alla parte che li abbia eventualmente anticipati nel corso del giudizio.