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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 10/10/2019 Scarica PDF

Controllo dei sindaci e perdita della continuità aziendale nel nuovo Codice della Crisi

Astorre Mancini, Avvocato del Foro di Rimini, Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto Fallimentare all'Università degli Studi di Milano - Bicocca


Una recente decisione di merito[1] offre lo spunto per tornare sugli obblighi di vigilanza e controllo gravanti sul collegio sindacale alla luce del principio della continuità aziendale, già cogente nel nostro ordinamento ma ulteriormente valorizzato dal recente Codice della Crisi (CCI).

Con tale pronuncia, ancorchè resa in sede di opposizione allo stato passivo ed in carenza di una cognizione piena, il tribunale ha censurato il comportamento del sindaco che, malgrado avesse assunto l’incarico in pendenza di una soluzione negoziale della crisi tentata dalla società debitrice, non si era attivato “per accertare l’effettiva possibilità di uscire dalla crisi in tempi ragionevoli, verificando tempo per tempo il permanere del necessario requisito della continuità aziendale”.

La situazione di perdita della continuità aziendale esprime dunque una realtà dinamica da sottoporre a costante verifica, ed attesta l’impossibilità per la società, mediante lo svolgimento della propria attività caratteristica, di generare un flusso di entrate ed uscite tale da rendere prevedibile il prosieguo dell'attività aziendale in un determinato arco temporale, crisi che può manifestarsi mediante indici di carattere economico, patrimoniale o finanziario oggi precisati e codificati dall’art. 13 CCI, tali da denotare “squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore, tenuto conto della data di costituzione e di inizio dell’attività”.

Come noto, il venir meno della continuità aziendale non rappresenta una causa legale di scioglimento della società ma integra senz’altro una situazione di crisi (financo, di insolvenza) che la nuova normativa pone alla base delle varie procedure di regolazione disciplinate dal CCI.

Il venir meno della continuità aziendale deve quindi essere prontamente accertato dall’organo amministrativo - la cui tempestività è appunto oggetto di riscontro da parte dei sindaci -  in primo luogo perché ciò rileva ai fini della redazione del bilancio, per cui l’art. 2423-bis primo comma n. 1) c.c. impone che esso sia formato “nella prospettiva della continuazione dell'attività” mentre, in caso di perdita della continuità, i principi di redazione del bilancio mutano rispetto ai criteri stabiliti dall’art. 2426 c.c. e divengono quelli conseguenti allo scenario liquidatorio verso cui tende ormai la società, anche prima del suo formale scioglimento (in tal senso, a titolo esemplificativo, si imporrà una diversa valutazione dei cespiti dell’attivo patrimoniale a valori di presumibile realizzo, come pure il bilancio non potrà contenere quelle poste divenute incompatibili con la liquidazione).

Alla luce dunque del principio codificato nell'art. 2423 bis cod. civ., amministratori e sindaci sono chiamati a svolgere regolari verifiche circa il permanere della continuità aziendale, "non solo nel momento della preparazione del bilancio, ma anche in corso di esercizio in quanto emerga un evento che possa far seriamente dubitare della sua esistenza in un arco temporale di dodici mesi" (così Tribunale di Milano, sez. specializzata imprese, 6 luglio 2016, in questa Rivista).

Con specifico riferimento ai sindaci, il nuovo art. 14 CCI impone espressamente “l’obbligo di verificare che l’organo amministrativo valuti costantemente, assumendo le conseguenti idonee iniziative, se l’assetto organizzativo dell’impresa è adeguato, se sussiste l’equilibrio economico finanziario e quale è il prevedibile andamento della gestione, nonché di segnalare immediatamente allo stesso organo amministrativo l’esistenza di fondati indizi della crisi”.

La continuità aziendale entra dunque nel raggio ispettivo dell’organo di controllo sotto un duplice profilo : in primo luogo essa rappresenta il criterio di giudizio dell’adeguatezza degli assetti organizzativi prescelti dagli amministratori ed in secondo luogo, è alla stregua della continuità che si accerta la sussistenza dell’equilibrio economico finanziario.

Quanto al primo punto, la necessità di dotare l’impresa di adeguati assetti organizzativi era già prevista dal codice civile  all’art. 2403 c.c., in ordine al quale il CNDCEC ha reso specifiche norme di comportamento nell’ambito delle proprie linee guida, qualificando detto assetto come il complesso delle direttive e delle procedure stabilite per garantire che il potere decisionale dell’impresa sia assegnato ed effettivamente esercitato ad un appropriato livello di competenza e responsabilità; di conseguenza, l'assetto organizzativo è adeguato se presenta una struttura compatibile con le dimensioni della società, nonché con la natura e le modalità di conseguimento dell'oggetto sociale dell’impresa.

Il collegio sindacale dovrà quindi concentrare la propria analisi e verifica sulla presenza di un organigramma e di un sistema di deleghe e competenze, con le varie funzioni d’impresa separate ed assistite da protocolli e procedure codificate, finalizzate anche alla gestione dei rischi ed al controllo interno; dal punto di vista amministrativo il sistema adottato dall’impresa sarà adeguato nella misura in cui le prassi operative garantiranno la completezza, la correttezza e la tempestività delle informazioni finanziarie relative all’impresa, alla stregua dei principi contabili adottati dall'impresa.

Riguardo l’equilibrio economico finanziario, sono noti gli eventi e le circostanze da analizzare per comprendere l’esistenza della continuità aziendale o di fattori di rischio, raggruppati per tipologie di indici che sono solitamente qualificati come :

- indicatori di tipo finanziario quali la presenza riscontrata di un accentuato deficit patrimoniale o di un circolante negativo, la persistente o anche solo occasionale incapacità di pagare i debiti alla scadenza con puntualità, il restringimento o la chiusura dei canali bancari, la formazione di cash flow negativo conseguenza di consistenti e perduranti perdite;

- indicatori di tipo gestionale quali, ad esempio, la perdita di quote di mercato, di clienti importanti, la crescita costante delle rimanenze di magazzino in presenza di medesimi livelli di ricavi, con conseguente invecchiamento dei beni che lo compongono;

- indicatori di altro tipo quali quelli di carattere economico e patrimoniale e, più nello specifico, la riduzione di capitale al di sotto dei limiti legali.

La puntuale verifica dell’equilibrio economico e finanziario della società rappresenta dunque uno degli aspetti principali di verifica da parte dell’organo sindacale; nella fase ordinaria di vita dell’impresa gli effetti del disequilibrio economico potrebbero essere annullati dal ricorso al capitale, proprio o di terzi, per cui in presenza sostanziale di cash flow positivo, il collegio sindacale potrà limitarsi ad accertare che la società sia in grado di far fronte con le proprie entrate, sia ai debiti pregressi (seppur secondo le tempistiche e la misura indicata nell’accordo con i creditori) che ai debiti correnti e derivanti dalla gestione in continuità; in tal senso, può rivelarsi sufficiente un controllo di tesoreria che consenta di verificare che le entrate a breve siano sufficienti a fronteggiare le uscite a breve, tenendosi, pertanto, conto dell’andamento della posizione finanziaria netta dell’impresa.

Invece nella fase pre-concorsuale della vita dell’ente, e dunque in situazione di evidente crisi aziendale, si impone una costante verifica della continuità correlata alla gravità del disequilibrio economico, avuto riguardo al limite minimo legale del patrimonio netto dell’ente, affinchè le soluzioni di composizione della crisi individuate dall’organo amministrativo all’uopo allertato non siano accompagnate dall’aggravamento del livello generale di indebitamento della società.

Il nuovo CCI disciplina in modo analitico l’iter che dovrà seguire l’organo di controllo una volta accertata una situazione di crisi aziendale : dopo la formale segnalazione della situazione agli amministratori, detto iter prevede l’apposita attivazione delle procedure di allerta previste dall’art. 14, mediante l’interessamento dell’organismo di composizione della crisi (OCRI) affinchè, se necessario, si proceda alla composizione assistita della crisi (o direttamente ad una procedura alternativa alla liquidazione), e ciò una volta che l’organo amministrativo non abbia fornito adeguate riscontri alla segnalazione.

Il codice introduce altresì una misura premiale a favore degli organi di controllo disponendo che la tempestiva segnalazione all’organismo di composizione della crisi costituisce causa di esonero dalla responsabilità solidale per le conseguenze pregiudizievoli delle omissioni o azioni successivamente poste in essere dall’organo amministrativo in difformità dalle prescrizioni ricevute, che non siano conseguenza diretta di decisioni assunte prima della segnalazione.

Ove la perdita della continuità aziendale imponga l’immediata adozione di una procedura di composizione della crisi che l’organo amministrativo dell’ente non è tuttavia in grado di avviare o proporre, l’art. 37 CCI, con una novità di indubbio interesse rispetto alla disciplina attuale, stabilisce come extrema ratio che la domanda di apertura della liquidazione giudiziale possa essere proposta anche dagli organi che hanno funzioni di controllo e vigilanza sull’impresa.



[1] Tribunale di Rimini 23 luglio 2019, in questa Rivista.


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