Sovraindebitamento


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 25/03/2024 Scarica PDF

Sovraindebitamento e morte del debitore

Astorre Mancini, Avvocato del Foro di Rimini, Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto Fallimentare all'Università degli Studi di Milano - Bicocca


Tribunale di Vicenza 12 marzo 2024, est. Saltarelli

 

Concordato Minore – Morte del debitore - Assegnazione di un termine agli eredi per l’eventuale prosecuzione - Ammissibilità

 

In caso di decesso del debitore in pendenza della procedura di concordato minore, il giudice assegna un congruo termine a beneficio dei soggetti chiamati all’eredità, idoneo a consentire una valutazione circa se e in quali termini proseguire la procedura di concordato minore instaurata dal de cuius.[1]

 


La pronuncia in commento torna sul tema della prosecuzione o meno delle procedure di sovraindebitamento in conseguenza della morte del debitore, questione attualmente risolta dall’art. 35 CCII solo con riferimento alla liquidazione controllata.

Detto articolo stabilisce infatti la prosecuzione della procedura liquidatoria (controllata o giudiziale) nei confronti degli eredi, anche se hanno accettato con beneficio d'inventario, ovvero nei confronti del curatore dell’eredità giacente se i chiamati non hanno accettato l’eredità (art. 36 CCII).

La legge 3/2012 non disciplinava l'ipotesi della morte del sovraindebitato, per cui ci si è chiesti quale regola applicare alla fattispecie del debitore il cui decesso fosse sopravvenuto dopo il deposito della domanda di accesso alla procedura, sia essa regolatoria (piano del consumatore o accordo di composizione) o liquidatoria (liquidazione del patrimonio).

In vigenza della legge speciale la giurisprudenza prevalente ha optato per la prosecuzione della liquidazione - in linea con l’attuale normativa del Codice che recepisce appunto la regola della legge fallimentare - concludendo per l’applicazione in via analogica della disciplina dell’art. 12 l. fall.,  nel senso della prosecuzione della procedura di liquidazione del patrimonio con gli eredi o con il curatore dell’eredità giacente in caso di rinuncia all’eredità.

Il tentativo della giurisprudenza, ancora una volta, di colmare le vistose lacune della l. 3/2012, ha trovato composizione nella esplicita disciplina degli art. 35 CCII rubricato ‘morte del debitore’ e dell’art. 36 CCII relativo all’‘eredità giacente’, disposizioni che richiamano entrambe quanto contenuto nell’art. 12 l. fall. e consentono, dunque, di dare continuità alla regolamentazione tradizionale della fattispecie adottata dalla giurisprudenza in vigenza della legge fallimentare.

In tal senso, Trib. Vicenza 15.7.2022, ha chiarito che in caso di decesso del debitore in pendenza della procedura di Liquidazione Controllata, l’art. 270 CCII, diversamente dalla l. 3/2012 che nulla prevedeva al riguardo, ha richiamato le norme del procedimento unitario e, dunque, anche l’art. 35 CCII in forza del quale se il debitore muore dopo l'apertura della procedura di liquidazione controllata o giudiziale, questa prosegue nei confronti degli eredi, anche se hanno accettato con beneficio d'inventario.

In merito alla liquidazione del patrimonio, peraltro, nell’ambito della l. 3/2012, veniva da chiedersi se il diverso orientamento giurisprudenziale – nel senso della impossibilità di richiamare analogicamente l’art. 12 l. fall. – muovesse dalla natura personale della procedura aperta diretta a soddisfare interessi primari del debitore, per cui la sua morte farebbe venir meno l'utilità della procedura, con la conseguenza di dichiarare cessata la procedura con restituzione dell'attivo agli eredi o all'eredità giacente.

L’obiezione veniva superata osservando che anche dopo la morte del sovraindebitato permane la situazione oggettiva di sovraindebitamento, alla cui soluzione potrebbero avere interesse anche gli eredi, allo scopo di ottenere, su loro richiesta, la liberazione dei debiti residui, dei quali, come eredi, sarebbero tenuti a rispondere, ove cessasse la procedura.

Gli artt. 35 e 36 CCII, al pari dell'art. 12 l. fall., hanno dunque posto il principio che, in caso di morte del debitore dopo l’apertura della liquidazione, la procedura prosegue nei confronti degli eredi, anche se hanno accettato con beneficio d'inventario, per cui essi sostituiscono il defunto nelle interlocuzioni con il liquidatore, salva l’ipotesi della mancata accettazione dell'eredità in cui sarà il curatore dell'eredità giacente ex art. 36 CCII, sotto il profilo processuale, a svolgere nella procedura liquidatoria i compiti che svolgeva il fallito.

Ciò ha condotto a ritenere che la liquidazione dei beni possa continuare anche prima dell'accettazione del chiamato all'eredità o della nomina di un curatore dell'eredità giacente, considerato che la liquidazione procede con gli organi suoi propri, senza che l’erede o il curatore possa assumere un particolare ruolo d’impulso.

In tema di procedure negoziali (concordato minore e ristrutturazione del consumatore), su cui verte la pronuncia in rassegna, il discorso muta sensibilmente, ove si consideri che il nuovo Codice porta con sé la questione interpretativa relativa al richiamo degli artt. 35 e 36 CCII, considerato, appunto, che essi sono dettati espressamente per le procedure liquidatorie, per cui occorre capire se essi superano il vaglio di compatibilità ex art. 65 c.2 CCII, ai fini della loro applicazione anche alla ristrutturazione dei debiti del consumatore ed al concordato minore.

Circa la compatibilità con la procedura di concordato minore può essere utile il richiamo alla giurisprudenza di legittimità formatasi in tema di concordato preventivo che, preso atto dell’assenza di disciplina per il caso di morte sopravvenuta dell’imprenditore in concordato, ha ritenuto applicabile, in via analogica, l’art. 12 l. fall., dal momento che l’istituto del concordato preventivo, anche dopo la connotazione maggiormente privatistica impressagli a partire dalla novella del 2005, ha conservato quel carattere pubblicistico che lo rende alternativo ma assimilabile, nel suo nucleo funzionale essenziale, alla procedura fallimentare, “sì da poter proseguire senza interruzioni - grazie alla presenza di organi nominati dal tribunale e regole consacrate in un provvedimento giudiziario definitivo - nonostante la morte del debitore che vi si è spontaneamente assoggettato” (Cass.  civ. sez. I, 23 novembre 2020 n. 26567, pres. Genovese, rel. Vella).

Di conseguenza, si è ritenuto che l'esecuzione del concordato preventivo possa proseguire anche dopo la morte dell'imprenditore, poiché “i creditori anteriori continueranno a beneficiare della segregazione tipica dello strumento concorsuale”, e la procedura potrà regolarmente proseguire fino a completa esecuzione, atteso che “della liquidazione si occuperà il commissario liquidatore, precedentemente nominato dal tribunale, il quale svolge il suo compito in favore dei creditori ed in rappresentanza degli eredi o del curatore dell'eredità giacente, senza che vi sia alcuna prevalenza dell'uno o dell'altro istituto”. (Cass. 2020/26567, cit.).

L’applicazione analogica dell’art. 12 l. fall. al concordato preventivo, come stabilita dalla richiamata decisione della Suprema Corte, era già stata oggetto di critica in dottrina, per cui si è osservato come “non sia così agevole individuare una somiglianza rilevante, tale da consentire il ricorso all’analogia, tra la disciplina del fallimento (l’art. 12 l. fall.) e quella relativa all’esecuzione del concordato preventivo (cui sarebbe applicabile analogicamente l’art. 12 l.fall.), anche solo perché, una volta omologato il concordato preventivo, non ci sarebbe più nemmeno una procedura concorsuale”.

Si era concluso dunque che “gli elementi caratterizzanti la fase esecutiva del concordato preventivo paiono assimilabili più che altro ad un patrimonio separato, in quanto costituito da una espressa previsione normativa che conferisce alla separazione efficacia erga omnes, con la previsione di uno scopo coincidente con quello ritenuto meritevole di tutela dal legislatore […] Ci pare preferibile affermare che il legislatore non ha previsto il caso, perché ha ritenuto del tutto irrilevante la morte del debitore concordatario, anche considerata la destinazione impressa al patrimonio oggetto di esecuzione[2].

A tale analoga conclusione dovrebbe pervenirsi sicuramente per il concordato minore liquidatorio, mentre più problematico appare il caso del concordato minore in continuità aziendale, almeno tutte le volte in cui la proposta omologata si caratterizzi dalla continuità c.d. diretta distinta dall’attività peculiare dell’imprenditore, o addirittura dall’attività professionale del sovraindebitato.

Nella giurisprudenza di merito, tuttavia, appare prevalente l’orientamento che esclude l’applicazione diretta del principio codificato dall’art. 12 l. fall. (oggi art. 35 CCII), per cui è emersa come preferita la soluzione di rimettere agli eredi la decisione della eventuale prosecuzione della procedura, anche al fine di apportare, se del caso, modifiche al piano od alla proposta (è la soluzione adottata, appunto, dalla decisione in commento del Tribunale vicentino).

Al pari della pronuncia in commento, Trib. Forlì 28.5.2021, in fattispecie di accordo di composizione ex l. 3/2012, ha ritenuto non applicabile in via analogica la disposizione prevista dall’art. 12 l.fall., per cui ha assegnato un termine agli eredi entro cui valutare se e in quali termini proseguire con la procedura di sovraindebitamento presentata dal defunto.

Nella ristrutturazione dei debiti del consumatore, il discorso non dovrebbe mutare, e dunque dovrà essere vagliato caso per caso: ove si consideri che la maggior parte dei piani del consumatore omologati in vigenza della l.3/2012 prevedono l’esecuzione del piano protratta per alcuni anni con risorse derivanti da una quota del reddito o del trattamento pensionistico del sovraindebitato, è ragionevole ritenere che il decesso del debitore in concreto impedisca la prosecuzione in capo agli eredi della fase esecutiva del piano.

Così Trib. Sassari 4.10.2022, preso atto della morte di uno dei due ricorrenti nel piano del consumatore, ha concluso per l’interruzione del processo nei confronti del debitore defunto, proseguendo la procedura nell’interesse dell’altro ricorrente, senza porsi alcun problema circa la volontà degli eredi, in eventualità, di proseguire la procedura promossa dal congiunto defunto.



[1] La decisione in rassegna è in corso di pubblicazione in questa Rivista.

[2] F.CASA, in “Eredità giacente, morte del debitore, logica e buon senso”, Il Fallimento, 11/2021, 1403,


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