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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 02/02/2023 Scarica PDF

Liquidazione controllata del sovraindebitato: è ammissibile in carenza di beni o redditi futuri? (Note intorno a Tribunale di Milano 12 gennaio 2023)

Astorre Mancini, Avvocato del Foro di Rimini, Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto Fallimentare all'Università degli Studi di Milano - Bicocca


Tribunale di Milano 12 gennaio 2023. Pres. Macchi. Est. Pipicelli.

Liquidazione Controllata - Istanza di apertura del creditore - Assenza di beni e redditi, anche futuri - Ammissibilità

E’ ammissibile l’apertura della liquidazione controllata (nella specie, ad istanza del creditore, ex art.268, comma 2, CCII) in carenza di beni o redditi futuri.

 

 

Sommario: 1. Un breve excursus: ammissibilità della liquidazione in presenza di soli redditi futuri. 2. Liquidazione del patrimonio in presenza di sola finanza esterna: il principio di economicità ed efficienza della procedura. 3. segue: antieconomicità della liquidazione ed esdebitazione dell’incapiente.4. La procedura liquidatoria del sovraindebitato in assenza di beni o redditi: il caso deciso dal Tribunale di Milano. 4. Gli argomenti a sostegno della tesi dell’ammissibilità

 

 

1. Un breve excursus: ammissibilità della liquidazione in presenza di soli di redditi futuri

Prima dell’entrata in vigore del Codice della Crisi, sul presupposto che non si potesse accordare l’ammissione alla procedura, ed il successivo beneficio dell’esdebitazione, al soggetto che non fosse in grado di mettere alcunché a disposizione dei creditori[2], la giurisprudenza si era trovata ben presto ad esaminare numerose domande di liquidazione in cui il debitore sovraindebitato, in assenza di un patrimonio da liquidare, aveva precisato di voler devolvere al ceto creditorio parte dei futuri redditi derivanti dalla propria attività lavorativa o professionale, al netto di quanto necessario al mantenimento personale, per l’intera durata della procedura.

Un’interpretazione restrittiva e letterale fondata sull’art. 14 ter l. 3/2012 pareva escludere l’ammissibilità di tale ipotesi, richiedendo l’esistenza di beni da liquidare al momento della domanda, dovendosi escludere tra questi le somme già liquide, peraltro di futuro (e incerto) realizzo[3].

La giurisprudenza del Tribunale di Milano aveva inaugurato l’orientamento più liberale[4], osservando che non può ritenersi inammissibile la domanda di liquidazione avanzata dal debitore sovraindebitato privo di beni mobili e immobili, ove lo stesso fosse titolare di un reddito da lavoro da utilizzare anche solo per un soddisfo parziale dei creditori, almeno ogni qualvolta il maturare di redditi di lavoro risultasse ragionevolmente certo.

Numerose altre decisioni di merito avevano statuito nel senso dell’ammissibilità di una tale ‘proposta’ del debitore, sulla base di argomentazioni testuali e di ordine sistematico nel senso del favor debitoris.

Più in generale, si era ritenuto che l’istituto della liquidazione fosse strutturato secondo lo schema del fallimento; posto che la dichiarazione di fallimento non è preclusa dall’assenza o dall’esiguità di attività in capo al fallito, per analogia si deve ritenere che la liquidazione del patrimonio non possa ritenersi preclusa in capo al sovraindebitato privo di beni mobili o immobili, ma titolare di redditi con cui poter garantire un minimo soddisfacimento dei creditori[5].

Se è vero che il beneficio dell’esdebitazione, nella l. 3/2012, conseguiva solo a condizione che i creditori avessero ottenuto un soddisfo minimo e non irrisorio dei loro crediti, appariva irragionevole ritenere che detto soddisfo non potesse conseguire dal riparto di una parte dei redditi futuri del debitore, ogni qualvolta essi non fossero assorbiti dalle esigenze di mantenimento del debitore e dei suoi famigliari.

L’ammissibilità della liquidazione del patrimonio con la sola messa a disposizione dei redditi futuri trovava, peraltro, un riconoscimento di diritto positivo nella previsione dell’art. 14 quater l. 3/2012, che disciplina la conversione in liquidazione della procedura di accordo o piano del consumatore, nell’ipotesi di annullamento o di cessazione degli effetti dell'omologazione: poiché, dunque, nelle procedure alternative alla liquidazione era possibile la cessione di parte dei redditi futuri, doveva concludersi, per analogia, l’ammissibilità dell’accesso diretto alla liquidazione con messa a disposizione, a favore dei creditori, solo di tale componente di patrimonio futuro[6].

Detto orientamento giurisprudenziale, volto ad ammettere l’apertura della liquidazione del patrimonio del debitore in presenza anche solo di redditi o trattamenti pensionistici futuri, si è, dunque, consolidato negli ultimi due anni[7] e risulta ribadito anche nell’ambito della procedura di liquidazione controllata, vigente il nuovo CCII[8].

   

2. Liquidazione del patrimonio in presenza di sola finanza esterna: il principio di economicità ed efficienza della procedura

Ancora controversa in giurisprudenza, invece, l’ammissibilità della domanda di accesso alla procedura fondata sulla previsione di finanza esterna messa a disposizione, il più delle volte, da familiari del sovraindebitato[9].

Prima dell’entrata in vigore del nuovo art. 14 quaterdecies l. 3/2012 che ammette la liquidazione del ‘debitore incapiente’, sono emersi diversi orientamenti: favorevole all’ammissibilità della finanza esterna nella liquidazione - affermata prendendo a riferimento la finalità del beneficio dell’esdebitazione, che richiedeva un soddisfo, almeno parziale, dei creditori – la giurisprudenza ha argomentato partendo dalla disposizione dell’art. 8 comma 2 l. 3/2012[10], per cui si è ritenuto “ammissibile l’apporto esterno nella procedura di liquidazione del patrimonio proprio sulla base dell’art. 8 comma 2 l. 3/2012, dettato per le altre procedure di sovraindebitamento, ma da reputare applicabile anche alla liquidazione del patrimonio”[11].

La soluzione negativa, a favore dell’inammissibilità, prendeva le mosse, invece, dal dato letterale di cui all’art. 14 ter l. 3/2012, per cui, appunto, la procedura può aprirsi nella misura in cui è diretta alla “liquidazione dei beni”, beni la cui assenza rende l’accesso a detta procedura inammissibile[12].

Si è osservato che la procedura di liquidazione del patrimonio fondata solo sul contributo di un soggetto esterno, “in carenza di beni e redditi futuri del ricorrente”, va negata “in quanto la finanza esterna non può essere considerata come bene proprio del debitore istante, sicché non vi è alcun patrimonio (nemmeno futuro) da liquidare”[13].

Sotto diverso profilo, ma sempre nel senso dell’inammissibilità della procedura liquidatoria minore senza beni, è emersa una giurisprudenza che ha valorizzato i principi di efficienza e di economicità che devono ispirare l’attività processuale esecutiva o concorsuale, rispetto ai quali va senz’altro ritenuta contraria “l’apertura di una liquidazione senza beni, neppure in prospettiva”[14].

Del resto, l’introduzione dell’art 14 quaterdecies l. 3/2012 riguardante il debitore ‘incapiente’ - afferma tale giurisprudenza - conferma l’opinione espressa e muove nel senso di evitare il passaggio obbligato del debitore impossidente attraverso una procedura liquidatoria non utile, per assenza di beni da liquidare e scarsità di risorse da distribuire, e tale da assorbire in costi professionali gran parte, se non tutte, le esigue risorse disponibili.

La valutazione di antieconomicità della procedura di liquidazione del patrimonio, ai fini della declaratoria di inammissibilità della domanda, è stata ripresa in numerose pronunce, sia in vigenza della l. 3/2012 che del nuovo Codice[15], pur non apparendo - è opinione di chi scrive - un argomento solido e decisivo, per le ragioni che si diranno in prosieguo, specie ove si abbia a riferimento le esigenze di coordinamento sistematico con la procedura liquidatoria maggiore.

In ogni caso, per concludere sul tema della finanza esterna, ferme le valutazioni di merito circa la consistenza del contributo di terzi, nel nuovo scenario normativo introdotto dal CCII, la questione dell’ammissibilità della liquidazione controllata in presenza di sola finanza esterna resta controversa e non univocamente decisa dalla giurisprudenza[16].

 

3. segue: antieconomicità della liquidazione ed esdebitazione dell’incapiente

Nelle stessa giurisprudenza che nega la liquidazione senza beni facendo leva sulla antieconomicità della procedura, si rinviene, sovente, l’argomento per cui, per il debitore privo di beni o redditi futuri, il legislatore avrebbe previsto il diverso strumento dell’esdebitazione dell’incapiente[17].

Si osserva, tuttavia, che le due procedure non vanno intese come complementari tra loro – e quindi i soggetti privi di beni o redditi non rientrano per ciò solo nel perimetro dell’incapiente – se è vero che, liquidazione controllata ed esdebitazione dell’incapiente, non sono strumenti idonei a ‘coprire’ e regolare tutte le situazioni di crisi da sovraindebitamento.

Al contrario, si deve prendere atto che esiste un’ampia categoria di soggetti sovraindebitati, privi di beni o redditi, ritenuti immeritevoli, i quali, dunque, non potranno beneficiare né dell’esdebitazione immediata né dell’accesso alla liquidazione controllata, anche in ragione dell’approccio tendenzialmente restrittivo adottato dalla giurisprudenza in applicazione del nuovo istituto[18].

Del resto, partendo dalla “differenza teleologica e strutturale tra il procedimento di cui all’art. 283 CCII e quello di liquidazione controllata” (Tribunale di Milano 30 settembre 2022, cit.), occorre considerare che il Codice all’art. 2 lett. c) CCII impone di includere nel sovraindebitamento “ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero alla liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedura liquidatorie”, per cui a tutti coloro che, per una ragione o per l’altra, non viene accordato il beneficio dell’immediata esdebitazione, deve essere consentito di accedere al procedimento liquidatorio, che, non a caso, per la sua apertura non richiede più una preventiva valutazione della genesi dell’indebitamento, e dunque della meritevolezza del debitore, ben potendo, questi, decidere di richiedere la liquidazione a prescindere dalla finalità dell’esdebitazione (futura e accordata con decreto motivato), anche solo - come spesso accade - per evitare lo stillicidio di singole iniziative esecutive dei creditori ed accedere, invece, ad una definizione concorsuale della proprio condizione di sovraindebitamento.

 

4. La procedura liquidatoria del sovraindebitato in assenza di beni o redditi: il caso deciso dal Tribunale di Milano

La pronuncia in rassegna è resa su istanza del creditore (nella specie, una procedura fallimentare) che ha chiesto l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale a carico di imprenditore individuale cancellato dal Registro delle Imprese.

Il tribunale, verificati i presupposti dell’art. 268, comma 2, CCII (in ordine all’ammontare minimo dei debiti scaduti), e il mancato superamento dei limiti dimensionali dell’impresa, ha respinto l’istanza di liquidazione giudiziale del creditore procedente, disponendo, invece, l’apertura della liquidazione controllata, malgrado la debitrice, ritualmente convocata, avesse ribadito di essere disoccupata e priva di beni e redditi.

Si legge in sentenza che il tribunale ha informato la debitrice della “possibilità di chiedere una procedura di esdebitazione dell’incapiente” - rispetto alla quale la stessa “dichiara di non volersene valere”-, per cui il giudice lombardo, opportunamente, ha chiarito alla debitrice “il funzionamento della liquidazione controllata e l’eventuale facoltà di chiedere l’esdebitazione”, prendendo atto, tuttavia, della volontà di non opporsi all’apertura della procedura di liquidazione controllata.

Il tribunale, inoltre, ha riscontrato che “la debitrice non ha inteso valersi, senza che sia intervenuta specifica richiesta, dell’eccezione impeditiva ex art. 268 co. 3 CCII”, con riferimento alla possibilità del debitore di paralizzare l’apertura della procedura chiedendo la specifica attestazione dell’OCC, “che non è possibile acquisire attivo da distribuire ai creditori neppure mediante l’esercizio delle azioni giudiziarie”.

Nel quadro giurisprudenziale sopra descritto, la decisione in commento, certamente peculiare in quanto resa su istanza del creditore, è destinata ad alimentare il dibattito, anche in sede dottrinale, circa l’ammissibilità della liquidazione controllata senza beni.

In realtà, all’indomani dell’entrata in vigore del Codice della Crisi, qualche voce in dottrina si era levata sulla questione. Si è ritenuto, infatti, che, al pari della liquidazione giudiziale, sia ammissibile l’apertura della liquidazione controllata senza beni o redditi futuri, anche ad istanza del debitore stesso[19], dovendosi riconoscere un interesse pubblico all’apertura del concorso e un altrettanto interesse privato del debitore a pervenire al decorso del termine di legge (triennale) necessario per beneficiare dell’esdebitazione.

 

5. Gli argomenti a sostegno della tesi dell’ammissibilità

Gli argomenti messi in campo dalla citata dottrina, addotti a favore dell’ammissibilità, hanno il pregio di fornire una lettura coordinata e sistematica delle due procedure liquidatorie, e sono evocati anche dal tribunale milanese nella sentenza in commento:

a) in primo luogo si è ritenuto che la legittimazione del creditore introdotta dall’art. 268, comma 2, CCII, non presente nella l. 3/2012, muta sostanzialmente il quadro sistematico, attraendo la liquidazione del sovraindebitato alla procedura liquidatoria maggiore, essendo evidente che - al pari della liquidazione giudiziale – la liquidazione controllata possa essere aperta senza che il creditore sia tenuto ad indagare la consistenza patrimoniale del debitore, né tantomeno la sua possibilità di mettere a disposizione dei creditori quote di reddito attuali o future;

b) in secondo luogo la facoltatività dell’eccezione di incapienza qualificabile come eccezione in senso stretto, potendo essere sollevata ex art. 268, comma 3, CCII, solo su istanza del debitore e non d’ufficio, conferma che in assenza di eccezione (come nel caso deciso con la sentenza in rassegna) il tribunale sia tenuto ad aprire la liquidazione anche senza attivo da distribuire, mentre la liquidazione del patrimonio ex l. 3/2012, come abbiamo visto, non era considerata ammissibile senza alcuna prospettiva di realizzo;

c) l’art. 271 CCII, rubricato ‘concorso di procedure’, assegna al sovraindebitato, a carico del quale il creditore chiede l’apertura della procedura liquidatoria, la facoltà di paralizzare l’istanza con la richiesta di concessione di un termine per accedere, in alternativa, ad una procedura negoziale di composizione della crisi da sovraindebitamento (ristrutturazione del consumatore o concordato minore), ma sempre ad iniziativa del debitore stesso, con la conseguenza che in carenza di detto esercizio l’apertura della liquidazione controllata, ancora una volta, avviene a prescindere dalla presenza di beni o redditi;

d) infine, va segnalato che la procedura di liquidazione controllata si arresta laddove non vi sia la possibilità di pagare i creditori in alcun modo, in virtù del richiamo all’art. 233 CCII operato dall’art. 276 CCII: ciò confermerebbe che la liquidazione a carico del sovraindebitato può essere aperta anche senza beni da liquidare e senza diritti da esercitare, salvo poi doversi procedere alla sua chiusura per il combinato disposto dei citati articoli, al pari di quanto avviene con la liquidazione giudiziale.

E’ chiaro, dunque, per quanto sopra esposto, che la totale carenza di attivo distribuibile ai creditori impedisce l’apertura della procedura solo a seguito dell’eccezione di incapienza, proponibile esclusivamente dal debitore, mentre la verifica di detta carenza dopo l’apertura non determina l’inammissibilità originaria della domanda o alcun annullamento della procedura, ma solo la sua chiusura, fermo, quindi, l’effetto esdebitatorio in favore del debitore conseguente al decorso del triennio dalla sua apertura (effetto, infatti, che nel nuovo scenario normativo prescinde dal minimo soddisfo dei creditori).

Pertanto, con riferimento alla citata giurisprudenza che ha valorizzato il principio di economicità, va chiarito che detto principio deve essere allineato tra le due procedure liquidatorie: come visto, nella procedura maggiore esso opera nella fase successiva all’apertura, ed è presidiato dalle disposizioni che ne determinano una definizione anticipata: come visto, la mancanza di attivo nella liquidazione giudiziale non impedisce l’apertura ma provoca, al più, l’omissione della fase di verificazione dei crediti (art. 102 l. fall., ora art. 209 CCII) e la chiusura successiva della procedura (art. 118, c.1, n.4, l. fall., ora art. 233, c.1,lett. d) CCII).

Analogamente, nella liquidazione controllata, tale principio deve poter operare nelle stesse modalità: per questo la nuova disposizione dell’art. 233  lett. d)  CCII (richiamato dall’art. 276 CCII) prevede la chiusura della procedura per mancanza di attivo, e non l’inammissibilità della domanda, sul presupposto dunque della sua preventiva apertura.

Del resto è proprio il Codice a specificare, nella disposizione richiamata, che la procedura si chiude laddove non siano disponibili risorse per pagare nemmeno in parte ‘le spese della procedura’: anche letteralmente, è evidente che il legislatore ha inteso ammettere l’apertura della procedura in totale assenza di beni, nel senso accolto dal tribunale milanese, salvo prevederne la chiusura anticipata nel caso in cui si appalesi antieconomica, fermi gli effetti che ne conseguono.

Si è, peraltro, consapevoli, in riferimento all’orientamento espresso dalla decisione in rassegna, dei possibili effetti derivanti sull’intero sistema concorsuale e giudiziario, che portano a ritenere che l’interpretazione restrittiva, che nega l’apertura della liquidazione controllata per carenza di beni, risponda anche ad esigenze deflattive più che giustificate, soprattutto alla luce della introdotta legittimazione del creditore alla domanda di apertura della procedura.

Nondimeno, si deve prendere atto che l’interpretazione ‘liberale’ di cui si è dato conto appare più rispondente al nuovo scenario normativo, sia perché la liquidazione controllata, ancorché semplificata, è strutturata sulla falsariga della procedura maggiore[20], sia perché la ratio sottesa al nuovo Codice, in linea con quanto prescritto in sede europea dalla Direttiva Insolvency, è (anche) quella di ampliare il perimetro di applicazione del beneficio dell’esdebitazione, come dimostra l’inclusione in detto perimetro della persona giuridica e l’eliminazione del requisito del parziale soddisfo dei creditori[21].



[1] La decisione è in corso di pubblicazione su questa Rivista.

* L’Autore è avvocato in Rimini e Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto Fallimentare all’Università degli Studi di Milano – Bicocca.

[2] Si consideri che l’art. 14 terdecies l. 3/2012 disponeva al primo comma che “Il debitore persona fisica è ammesso al beneficio della liberazione dei debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali e non soddisfatti a condizione che: […] f) siano stati soddisfatti, almeno in parte, i creditori per titolo e causa anteriore al decreto di apertura della liquidazione”. Il CCII, agli artt. 278 e ss., ha, invece, omesso ogni riferimento al ‘soddisfacimento parziale’ dei creditori, recependo la più recente e liberale giurisprudenza di legittimità (da ultimo, Cass. 2022/15246).

In dottrina, proprio in forza di tale disposizione dell’art. 14 terdecies l. 3/2012, si era ritenuto che la liquidazione del patrimonio si potesse aprire anche in carenza di beni o redditi, “diversamente non si spiegherebbe per quale ragione l’art. 14 terdecies c. 1 lett. f) richiede che per l’esdebitazione debbano essere soddisfatti, in qualche misura, i creditori concorrenti (presupponendo che essi possano non essere soddisfatti per l’assenza di attivo nella liquidazione)”, CESARE – VALCEPINA, “Sovraindebitamento, dalla tutela del debitore al recupero del credito”, Giappichelli, dicembre 2020, pag. 138.

[3] In tal senso si era osservato autorevolmente che riguardo “alla questione del soggetto che si prefigge di liquidare il proprio patrimonio avendo solo il proprio reddito da lavoro, parrebbe poco convincente un approccio tanto inclusivo al concetto di liquidazione, da comprendervi ciò che liquido per definizione lo è già; la retribuzione da lavoro non va liquidata, ma semplicemente spesa e nei limiti del possibile ripartita. […] Nel caso dei redditi vi è che gli stessi nascono già liquidi, né nella nozione di beni può farsi rientrare il reddito, che bene in senso proprio non lo è affatto. Ed allora è più ragionevole immaginare che il nullatenente, percettore di salario o di stipendio, componga i propri debiti passando per la procedura del piano del consumatore o di quello che, nel work in progress della riforma, si chiamerà ristrutturazione dei debiti” (così LEUZZI, in “La liquidazione del patrimonio dei soggetti sovraindebitati tra presente e futuro”, in questa Rivista, marzo 2019).

[4] Tribunale di Milano 16 novembre 2017, in questa Rivista.

[5] In tal senso Tribunale di Bologna 4 agosto 2020, in questa Rivista, nel ritenere ammissibile la domanda di liquidazione del patrimonio presentata da un consumatore, pur in assenza di beni mobili o immobili e in sola presenza di crediti futuri derivanti dal rapporto di lavoro, ha osservato che “la liquidazione del patrimonio del sovraindebitato appare sostanzialmente mutuata dalla procedura fallimentare, potendosi facilmente confrontare la simmetria terminologica e funzionale”.

[6] Hanno così argomentato Tribunale di Ancona 8 ottobre 2020 e Tribunale di Verona 21 dicembre 2018, entrambe in questa Rivista.

[7] Ex multis, Tribunale di Busto Arsizio 7 marzo 2022, Tribunale di Reggio Emilia 5 febbraio 2021, Tribunale di Rimini 11 giugno 2021, in questa Rivista.

[8] In tal senso, Tribunale di Reggio Emilia 12 dicembre 2022, Tribunale di Forlì 22 novembre 2022, Tribunale di Padova 20 ottobre 2022, Tribunale di Bologna 27 settembre 2022, Tribunale di Verona 20 settembre 2022, in questa Rivista.

[9] In senso favorevole, Tribunale di Bergamo 3 aprile 2021, inedita, ha aperto la procedura di liquidazione di soggetto privo di beni ma con la disponibilità di finanza esterna immessa dalla moglie;  Tribunale di Varese 20 aprile 2020, inedita, ha ammesso la liquidazione richiesta da coniugi sovraindebitati, osservando che “sarà possibile la soddisfazione parziale del ceto ipotecario e chirografario soltanto grazie alla finanza esterna messa a disposizione dai figli dei ricorrenti e da un terzo”; Tribunale di Ancona 25 marzo 2021, parimenti, ha aperto la procedura di liquidazione osservando che la proposta avanzata prevede “la messa a disposizione come finanza esterna di un dipinto ‘San Giuseppe e Gesù Bambino’ del pittore X risalente alla seconda metà del ‘400 che i genitori del ricorrente, preoccupati per la situazione del figlio, mettono a disposizione”.

[10] In tema di accordo o piano del consumatore, l’art. 8 c. 2 l. 3/2012 recitava che “nei casi in cui i beni e i redditi del debitore non siano sufficienti a garantire la fattibilità dell'accordo o del piano del consumatore, la proposta deve essere sottoscritta da uno o più terzi che consentono il conferimento, anche in garanzia, di redditi o beni sufficienti per assicurarne l'attuabilità”.

[11] Negli esatti termini, Tribunale di Roma 22 luglio 2019, inedita. Numerose altre pronunce hanno ammesso la liquidazione del patrimonio in presenza di finanza esterna, ma in fattispecie in cui il soggetto sovraindebitato era, comunque, in condizioni di mettere a disposizione anche beni propri, rappresentati da quote di reddito (cfr. Tribunale di Arezzo 26 ottobre 2022, Tribunale di Padova 26 settembre 2022, www.portalecreditori.it).

[12] Nel senso dell’inammissibilità, Tribunale di Rimini 8 dicembre 2020, in questa Rivista, (conforme, Tribunale di Rimini 15 gennaio 2021, inedita, confermata in sede di reclamo), ha ritenuto che “seppure l’accesso alla procedura di liquidazione non sia precluso al soggetto che risulti privo di beni immobili e di mobili, si deve ritenere che sia indispensabile che il debitore, per poter avere accesso a quella procedura, possa disporre di una qualche propria risorsa economica da ”liquidare“ e destinare ai creditori,  quindi  almeno di  un reddito da lavoro o di pensione o di un qualche sussidio da mettere a disposizione dei creditori e che la “ finanza esterna” non possa avere spazio in quella particolare procedura di composizione della crisi, ma solo in quelle negoziali di sovraindebitamento, cioè l’accordo ed il piano del consumatore [nella vicenda ilTribunale ha ritenuto che la somma messa a disposizione da un congiunto del debitore, non potesse essere considerata bene proprio del debitore come tale rientrante nella nozione di “beni” di cui all’art. 14 ter l. 3/2012 ed ha, perciò rigettato la domanda da questi proposta non disponendo lo stesso di alcun bene liquidabile].

[13] Così Tribunale di Mantova 23 giugno 2022, in questa Rivista.

[14] Tale orientamento è stato inaugurato, a quanto ci consta, da Tribunale di Rimini 22 aprile 2021, in questa Rivista. Osserva il giudice riminese che, pur in presenza di una disponibilità finanziaria minima, la liquidazione non possa aprirsi, considerato che “anche nella procedura di liquidazione del sovraindebitato deve tenersi conto, ai fini della ammissibilità, della economicità della procedura, cioè della sua utilità prospettica rispetto allo scopo, che è quello di distribuire ai creditori un qualche attivo di liquidazione, in relazione ai costi professionali che l’attività liquidatoria e distributiva comporta”.

[15] Tribunale di Piacenza 20 giugno 2022, in questa Rivista, ha richiamato espressamente il precedente riminese, osservando che “non possono essere aperte procedure di sovraindebitamento che, di fatto, comportino unicamente la maturazione di debiti prededucibili, in evidente pregiudizio delle ragioni dei creditori ed in violazione dei principi di efficienza e di economicità che devono ispirare l'attività processuale, anche esecutiva/concorsuale”.

Tribunale di Palermo 30 settembre 2022, in questa Rivista, in fattispecie di liquidazione controllata ex art. 268 CCII, ha ribadito che “l’apertura di una liquidazione controllata che riguardi un debitore del tutto impossidente e che non possa neanche offrire beni o crediti futuri da liquidare a beneficio del ceto creditorio, costituirebbe una procedura del tutto priva di utilità, tanto per i creditori quanto per  il debitore: invero, i primi, in mancanza di attivo da realizzare e distribuire in loro favore, non conseguirebbero alcun vantaggio dall’apertura della procedura, assistendo piuttosto alla maturazione di spese prededucibili  e quindi di ulteriore passività di grado poziore, a carico del proprio debitore”.

[16] Recentemente, Tribunale di Bolzano 13 gennaio 2023, in corso di pubblicazione su questa Rivista, si è pronunciato nel senso dell’ammissibilità, ammettendo “la possibilità di aprire la procedura di liquidazione controllata pur in presenza di sola finanza esterna, che nel caso in esame appare sufficiente a coprire le spese prededucibili della procedura ed a soddisfare parte del passivo”.

[17] Come già osservato, si è ritenuto che l’introduzione della speciale procedura del ‘debitore incapiente’ “muove nel senso di evitare il passaggio obbligato del debitore impossidente attraverso una procedura liquidatoria non utile” (Tribunale di Rimini 22 aprile 2021, cit.); per cui  - si legge in Tribunale di Palermo 30 settembre 2022, cit. - “non a caso, le disposizioni in materia di esdebitazione del soggetto sovraindebitato distinguono tra esdebitazione di diritto (art. 282 CCII), che segue l’apertura della procedura di liquidazione controllata, ed esdebitazione c.d. senza utilità (art. 283 CCII), rivolta proprio al debitore persona fisica che ‘non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura’: il che conferma l’intento del Legislatore di evitare il passaggio obbligato del debitore impossidente attraverso una procedura liquidatoria non utile per assenza di beni da liquidare e tale da assorbire in costi professionali tutte le esigue risorse disponibili”.

[18] Numerose sono le pronunce di rigetto dell’istanza di esdebitazione dell’incapiente, fondate sia sulla ritenuta carenza di meritevolezza, motivata dal rilascio di fideiussioni senza la ragionevole prospettiva di poterle onorare (Tribunale di Rimini 6 ottobre 2021, in questa Rivista), ovvero per eccessivo ricorso al credito (Tribunale di Brescia 6 ottobre 2022, in questa Rivista), od ancora, per non avere “comprovato compiutamente la genesi del proprio indebitamento” (Tribunale di Milano 30 settembre 2022, inedita), infine, in base a letture interpretative piuttosto stringenti del requisito della incapacità di offrire utilità “in prospettiva futura”, ritenuta integrata “esclusivamente qualora l’istante dimostri di essere privo di capacità lavorativa ovvero versi in stato di disoccupazione nonostante abbia continuativamente posto in essere delle condotte proattive di ricerca di un'occupazione e non abbia rifiutato, senza giustificato motivo, proposte di impiego  (Tribunale di Milano 30 settembre 2022, cit.).

[19] Ha sostenuto l’ammissibilità della liquidazione controllata senza beni, con le argomentazioni sulle quali torneremo, F.CESARE, “La liquidazione controllata”, www.IlFallimentarista.it, 2022. Si veda anche, dello stesso Autore, “Primi orientamenti in tema di liquidazione controllata”¸ nella stessa Rivista, 2023.

[20] In tal senso Tribunale di Bologna 4 agosto 2020, in questa Rivista, ammessa la domanda di liquidazione del patrimonio presentata da un consumatore, pur in assenza di beni mobili o immobili ed in presenza di redditi futuri, ha osservato che “la liquidazione del patrimonio del sovraindebitato appare sostanzialmente mutuata dalla procedura fallimentare, potendosi facilmente confrontare la simmetria terminologica e funzionale”.

[21] Nel senso di un’interpretazione estensiva delle possibilità di conseguire l’esdebitazione, appaiono del tutto condivisibili le considerazioni svolte dal dr. A.FAROLFI, magistrato del Massimario della Corte di Cassazione, nella Relazione dell’Ufficio sulle novità normative licenziata in data 15 settembre 2022, riguardo l’esdebitazione del sovraindebitato incapiente ex art. 283 CCII.  

Scrive il Magistrato: “A parere dello scrivente la circostanza che l’art. 283 c.c.i. riconosca la possibilità di esdebitazione anche al debitore “non liquidabile” incapiente, deve portare a ritenere applicabile tale possibilità – salva una possibile lettura incostituzionale dell’istituto – anche al caso di liquidazione giudiziale: si potrà pertanto cercare di ottenere il beneficio anche per il soggetto liquidato la cui procedura era priva di attivo, pur se in tal caso i presupposti oggettivi e soggettivi dovranno essere valutati con maggior rigore, in particolare accertando che l’imprenditore non si fosse posto volontariamente in una situazione di incapienza prima dell’apertura della liquidazione, al fine di danneggiare o frodare i creditori.

Il ricorso sarà così possibile – almeno secondo la lettura che si è ritenuto di adottare – anche laddove allo scadere del triennio non siano stati eseguiti per nulla riparti, neppure parziali, a favore dei creditori, purché sussista una situazione di meritevolezza del debitore, ed una conferma in questo senso sembra trarsi anche dall’art. 281, comma 5 c.c.i. Resta aperto il problema se possa altresì mutuarsi dall’art. 283 c.c.i. la necessità di destinare ai creditori anteriori le utilità sopravvenute nell’arco di quattro anni dalla concessione del beneficio, aspetto che concretandosi in un vincolo di soddisfacimento sui beni ed opponibile erga omnes, non sembra facile desumere in via puramente interpretativa”.


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