Sovraindebitamento


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 21/12/2021 Scarica PDF

Sovraindebitamento: la prosecuzione del mutuo ipotecario dichiarato risolto dalla banca. Profili sistematici e criticità nella costruzione del piano del consumatore o dell'accordo

Astorre Mancini, Avvocato del Foro di Rimini, Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto Fallimentare all'Università degli Studi di Milano - Bicocca


Tribunale di Bari 27 ottobre 2021[2]. Est. Angarano.

Sovraindebitamento - Piano del consumatore - Mutuo ipotecario sull’abitazione principale - Pregressa decadenza dal beneficio del termine - Prosecuzione del rapporto ex art. 8 comma 1-ter l. 3/2012 - Ammissibilità

 

E’ ammissibile la proposta di piano del consumatore il quale preveda la prosecuzione del mutuo ipotecario sull’abitazione principale del debitore, ancorché alla data di deposito della domanda il mutuo risulti già risolto dalla banca. (Astorre Mancini) (riproduzione riservata)

 

 

Sommario: 1. Il caso deciso dal Tribunale di Bari. 2. La prosecuzione del mutuo ipotecario nel piano del consumatore: una vecchia questione. 3. Il carattere innovativo della decisione in commento: a) La scadenza dei debiti nelle procedure di sovraindebitamento (applicabilità dell’art. 55 comma 2 l. fall.); b) La reviviscenza del contratto di mutuo risolto; c) L’autorizzazione al pagamento dello scaduto. 4. La deroga al principio dell’ordine delle cause legittime di prelazione. 5. Il mutuo ipotecario in prosecuzione: dentro o fuori del piano? 6. (segue) L’applicazione analogica delle norme sui crediti impignorabili: una possibile integrazione della disciplina del mutuo ipotecario in prosecuzione. 7. L'art.120-quinquiesdecies comma 3 Testo Unico Bancario e la rinegoziazione del mutuo ex art. 40-ter l. 69/2021 (cenni). 8. Riferimenti bibliografici.


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Il decreto in rassegna offre l’opportunità di esaminare la fattispecie della “prosecuzione del mutuo ipotecario”, di cui alle norme di recente introduzione previste agli artt. 8 comma 1-ter (abitazione principale del consumatore) e comma 1-quater (bene strumentale d’impresa) della l.3/2012, evidenziandone le criticità sistematiche e le difficoltà applicative[3].

 

1. Il caso deciso dal Tribunale di Bari.

Due giovani coniugi presentavano un piano del consumatore chiedendo di poter proseguire il mutuo ipotecario gravante sulla propria abitazione e contratto nel 2017 - con una durata residua di ulteriori 27 anni - sul presupposto di essere in grado di onorarne le rate secondo l’originario piano di ammortamento.

La banca si costituiva deducendo di aver dichiarato risolto il contratto di mutuo in conseguenza del mancato pagamento delle rate scadute - avendo intimato ai mutuatari, a tal fine, la decadenza del beneficio del termine ex art. 1186 c.c. prima della domanda di sovraindebitamento - e chiedeva di partecipare alla procedura di composizione della crisi per l’intero residuo credito del mutuo, pari ad euro 132.984,25.

Non contestata la intervenuta risoluzione del contratto di mutuo, i debitori ribadivano di voler mantenere in essere il rapporto, proseguendo nella rateizzazione in conformità al piano di ammortamento originario, ed integravano la proposta con la richiesta di essere autorizzati al pagamento delle rate del mutuo nel frattempo scadute, ex art. 8, comma 1-ter, l. 3/2012.

Il giudice omologava la proposta ritenendo soddisfatti i requisiti di ammissibilità, anche con riferimento al trattamento riservato al mutuo ipotecario, osservando che detta disposizione prevede la possibilità di continuare ad adempiere le obbligazioni rateali in scadenza malgrado la decadenza dal beneficio del termine invocata dalla banca, previo integrale pagamento del capitale e degli interessi già scaduti, all’uopo autorizzato dal giudice con la fissazione di un termine entro cui effettuarlo.

Il tribunale osservava in motivazione, infatti, che “se pure in detta fattispecie il debito scaduto è comprensivo dell’intero capitale, un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione - volta ad evitare disparità di trattamento dipendenti dal solo comportamento del creditore che abbia o meno intimato la decadenza - induce a ritenere che, previa autorizzazione del giudice, possa riportarsi il mutuo in condizione di regolare ammortamento, sanando il solo debito relativo alle rate scadute alla data della domanda ed agli interessi, ovvero senza pregiudizio per il creditore”.

Tale interpretazione, prosegue il giudice, è conforme alla incidenza sul piano del consumatore del disposto dell’art. 55 comma 2 l. fall. dettato in tema di fallimento ma richiamato anche nella disciplina del concordato preventivo (art. 169 l.fall.) - ritenuto applicabile per analogia anche alle procedure di sovraindebitamento - secondo cui i debiti pecuniari si considerano scaduti alla data di dichiarazione di fallimento (o di presentazione della domanda di concordato) e quindi, per quanto qui interessa, alla data di deposito della domanda di omologa del piano del consumatore[4].

L’applicabilità al sovraindebitamento dell’art. 55, comma 2, l. fall. comporta che “il debito derivante da un mutuo ipotecario deve comunque considerarsi scaduto nel momento dell’apertura del procedimento” (cfr. Cass. n. 17834/2019), sicché, osserva il giudice, “non vi è titolo per differenziare la posizione del consumatore a seconda che sia stato o meno intimata la decadenza dal beneficio del termine”.

Conclude il tribunale barese - fissando come termine per l’adempimento un mese dall’omologazione del piano - che “poiché l’obiettivo della disposizione è quello di riportare il mutuo in condizione di regolare ammortamento, il debito da saldare, previa autorizzazione del giudice, va integrato delle rate e degli interessi scaduti sino alla data di omologazione del piano, a decorrere dalla quale le rate mensili devono riprendere il loro corso ordinario”.

 

2. La prosecuzione del mutuo ipotecario nel piano del consumatore: una vecchia questione.

Il caso in esame è stato deciso in applicazione della nuova disposizione dell’art. 8 comma 1-ter l. 3/2012[5], di cui viene fornita un’interpretazione peculiare ed innovativa.

La norma ha posto rimedio ad un problema emerso nella prassi fin dall’entrata in vigore della legge, in relazione al disposto dell’art. 8, comma 4, l. 3/2012 che imponeva, e ancora impone, il pagamento del credito assistito da ipoteca (e da privilegio e pegno) entro un anno dall’omologazione, salva la previsione della liquidazione del bene ipotecato[6].

Come noto, nei primi anni di applicazione della legge veniva in evidenza con una certa ricorrenza la fattispecie del consumatore, titolare dell’abitazione gravata da mutuo ipotecario, che chiedeva di poter definire tutti i propri residui debiti dentro la procedura di sovraindebitamento, con eccezione, appunto, del mutuo ipotecario di cui chiedeva la prosecuzione, con sottrazione del bene alle pretese dei creditori.

Tali proposte venivano dichiarate inammissibili proprio per l’ostacolo rappresentato dalla moratoria annuale stabilita dalla legge per il pagamento del credito ipotecario, per cui la giurisprudenza si è peritata di individuare una ‘via d’uscita’ per tenere il debito ipotecario sostanzialmente fuori dal piano, consentendo al sovraindebitato la prosecuzione del mutuo.

A fronte di alcune decisioni che hanno ritenuto insormontabile e dirimente l’ostacolo rappresentato dal divieto di moratoria ultrannuale nel pagamento del credito ipotecario[7], il tribunale di Milano aveva inaugurato la prassi di omologare piani del consumatore in cui si prevedeva la prosecuzione del mutuo ipotecario, a condizione che fosse fino ad allora in regolare ammortamento e fatta salva la verifica dell’alternativa liquidatoria in caso di contestazione del creditore[8], ciò sul presupposto della ritenuta inapplicabilità, alle procedure di sovraindebitamento, dell’art. 55, comma 2, l. fall., che pone il principio della scadenza dei debiti alla data dell’apertura della procedura fallimentare[9].

 

3. Il carattere innovativo della decisione in commento.

Rispetto, dunque, al citato orientamento giurisprudenziale formatosi prima dell’introduzione dell’art. 8 comma 1-ter l. 3/2012, il tribunale barese è pervenuto alla medesima conclusione dell’ammissibilità della prosecuzione del mutuo ipotecario avente ad oggetto l’abitazione del consumatore, fornendo, tuttavia, una motivazione di segno contrario e speculare, e cioè:

a) statuendo in ordine alla possibilità di far rivivere il rapporto di mutuo malgrado la decadenza invocata dalla banca e dunque la sua risoluzione negoziale intervenuta prima dell’accesso alla procedura di sovraindebitamento (mentre per il citato orientamento ‘milanese’ si pretendeva che il rapporto fosse in regolare ammortamento e non risolto);

b) affermando la piena applicabilità dell’art. 55, comma 2, l. fall. alle procedure di sovraindebitamento, dovendosi pertanto ritenere scaduto, al pari degli altri, il residuo debito ipotecario alla data di accesso al piano del consumatore.

E’ chiaro che il diverso iter argomentativo muove dal mutato scenario normativo, e, dunque, dalla fattispecie ad hoc introdotta all’art. 8, comma 1-ter, l. 3/2012, con cui il legislatore, indubbiamente, ha operato una scelta di campo in favore del consumatore ed a tutela del diritto all’abitazione[10], con una evidente compressione dei diritti dei creditori[11] e senza risolvere, peraltro, una serie di criticità conseguenti all’applicazione della norma, su cui si dirà.

 

a) La scadenza dei debiti nelle procedure di sovraindebitamento (applicabilità dell’art. 55, comma 2, l. fall.)

Il giudice barese osserva - quale primo elemento di novità del decreto, di cui è bene dare conto - che il consumatore che intenda mantenere la proprietà dell’abitazione non può subìre un diverso trattamento, dentro la procedura di sovraindebitamento, a seconda del comportamento contrattuale tenuto dalla banca in punto alla decadenza dal beneficio del termine ex art. 1186 c.c., invocata o meno: la discrezionalità dell’ente, peraltro, è sostanzialmente irrilevante ove si consideri, afferma il giudice, che con l’accesso al piano del consumatore opera l’art. 55, comma 2, l. fall. per cui il debito è comunque scaduto ex lege, anche se la banca avesse tollerato il mancato pagamento delle rate del mutuo, senza invocare la risoluzione del contratto[12].

Tale conclusione è condivisibile, essendo ormai pacifica e fuori discussione l’applicazione analogica dell’art. 55, comma 2, l. fall. alle procedure di sovraindebitamento, dettato in tema di fallimento ma richiamato dall’art. 169 l. fall. anche nel concordato preventivo, per cui tutti i debiti del sovraindebitato si intendono scaduti alla data di deposito della domanda (c.d. principio della cristallizzazione del passivo); inoltre, l’argomentazione del giudice barese trova conforto esplicito nella giurisprudenza di legittimità, con la nota sentenza Cass. 2019/17834[13].

Peraltro, la questione è ancora variamente decisa in giurisprudenza e oggetto di discussione in ambito dottrinale, in quanto il legislatore nulla ha disposto nella l. 3/2012[14], omettendo, altresì, il richiamo alla scadenza dei debiti anche nelle norme del concordato minore contenute nel CCII[15].

Malgrado tali evidenti omissioni normative, è indubbio che nelle procedure di sovraindebitamento operi il principio della scadenza anticipata delle obbligazioni, deponendo in tal senso, in primo luogo, la natura di procedure concorsuali, ormai unanimemente riconosciuta agli strumenti della l. 3/2012, destinati a confluire nel nuovo CCII.

Come dato testuale contenuto nel concordato minore appare, altresì, decisivo, il richiamo alle norme del concordato preventivo “in quanto compatibili” contenuto all’art. 74 ult. comma CCII, tra cui deve essere sicuramente annoverato l’art. 100 CCII che prevede la prosecuzione del mutuo ipotecario nel concordato preventivo “in deroga all’art. 154, comma 2”, norma che fissa, appunto, la cristallizzazione del passivo alla data dell’apertura della liquidazione giudiziale e che riproduce esattamente l’attuale art. 55, comma 2, l. fall.

Infine, si dica che ove non operasse nella l. 3/2012 la regola della scadenza dei debiti alla data della domanda non avrebbe avuto senso la previsione espressa, di carattere derogatorio, della fattispecie della prosecuzione del mutuo ipotecario ex art. 8 comma l-ter e comma 1-quater.

In conclusione, considerato che il mutuo non è un contratto pendente di cui si possa predicare la continuazione salvo scioglimento, la conseguenza della scadenza anticipata del debito porta a dire che il sovraindebitato potrebbe mantenere la proprietà dell’abitazione solo a condizione dell’integrale pagamento del residuo mutuo, entro il termine annuale di moratoria nel pagamento dei crediti assistiti da ipoteca, ex art. 8, comma 4, l. 3/2012[16]; appare dunque quantomai opportuno l’innesto di una norma espressa sulla prosecuzione del mutuo ipotecario, proprio al fine di non rimanere intrappolati tra le maglie delle disposizioni ora richiamate, negando tutela al consumatore sovraindebitato, che, magari, avesse sempre onorato il pagamento delle rate del mutuo, pur maturando altre posizioni debitorie.

 

b) La reviviscenza del contratto di mutuo risolto

Il secondo elemento di novità della decisione del tribunale pugliese si riscontra nella statuita reviviscenza del rapporto di mutuo ipotecario, dichiarato risolto dalla banca prima dell’avvio della procedura di sovraindebitamento da parte del mutuatario.

Il giudice dichiara espressamente di voler “riportare il mutuo in condizione di regolare ammortamento”, accordando al debitore - dentro il piano del consumatore che, come noto, non prevede la votazione dei creditori - non semplicemente una dilazione nel pagamento del residuo debito ma un vero e proprio ripristino del contratto, e, dunque, del piano di ammortamento originariamente negoziato e delle condizioni contrattuali pattuite.

La decisione ha, ovviamente, un impatto significativo sulla prassi professionale, ove si consideri che è numerosa la casistica di consumatori sovraindebitati che accedono con ritardo alle procedure di sovraindebitamento, quando è già pervenuta la lettera di decadenza e messa in mora da parte della banca mutuante.

Far tornare in vita il mutuo dichiarato risolto, tuttavia, è fattispecie tutt’altro che ricorrente in giurisprudenza - peraltro, non constano, a chi scrive, decisioni analoghe[17] - e comunque per nulla pacifica in dottrina.

La norma non è precisa al riguardo, giacché stabilisce che è possibile prevedere il rimborso delle rate del mutuo garantito da ipoteca iscritta sulla abitazione principale del debitore, ma solo se “lo stesso, alla data del deposito della domanda, ha adempiuto le proprie obbligazioni o se il giudice lo autorizza al pagamento del debito per capitale ed interessi scaduto a tale data”.

In particolare, la disposizione richiama la fattispecie del mutuo in regolare ammortamento ovvero con “debito scaduto”, senza porre in modo esplicito, tuttavia, come condizione ulteriore ai fini dell’autorizzazione giudiziale al pagamento, che lo scaduto sia relativo ad un rapporto ancora in corso e non dichiarato risolto[18].

Nell’incertezza oggettiva della norma, sarà la prassi giurisprudenziale, a declinare la disposizione normativa in un senso o nell’altro, per ora ci limitiamo ad esporre alcuni argomenti a sostegno delle singole opzioni interpretative.

a) A favore dell’applicabilità della norma anche al contratto di mutuo già risolto, depone, indubbiamente, il già visto richiamo analogico all’art. 55, comma 2, l. fall. (per cui, alla data del deposito del piano o dell’accordo il debito è comunque scaduto e non più assistito dal beneficio del termine) e il fatto che, come noto, la fattispecie del mutuo ipotecario è ritenuta esclusa dal perimetro dei ‘contratti pendenti’ - per i quali opera di regola la prosecuzione salvo scioglimento - residuando, in tal caso, solo l'obbligo restitutorio del mutuatario[19].

Inoltre, la possibilità della reviviscenza del contratto risolto, ove ritenuta ammissibile, pone la questione del termine ultimo entro cui il giudice possa disporre in tal senso: non v’è ragione, sul piano teorico, per escludere che il ripristino del mutuo venga disposto anche quando la banca abbia già avviato l’esecuzione con la trascrizione dell’atto di pignoramento sul bene immobile, nei limiti della capacità del sovraindebitato di sanare integralmente il debito scaduto, ottemperando così al provvedimento autorizzatorio del giudice.

In tal caso, il giudice potrà disporre la sospensione dell’azione esecutiva ex art. 12-bis, comma 2, l. 3/2012, che diventerà improcedibile con l’omologazione del piano.

Un ulteriore profilo critico di detto orientamento attiene alle garanzie di terzi, eventualmente escusse dalla banca dopo aver dichiarato decaduto il mutuatario: viene da chiedersi se il ritorno in bonis del contratto di mutuo, disposto con il provvedimento di omologazione del piano, vada a beneficio anche dei garanti, che avrebbero diritto, a quel punto, di ottenere una pronuncia di improcedibilità delle azioni esecutive eventualmente avviate a loro danno, ovvero, se osta a tale soluzione il disposto dell’art. 12, comma 3 ter, l. 3/2012 per cui “l'omologazione del piano non pregiudica i diritti dei creditori nei confronti dei coobbligati, fideiussori del debitore e obbligati in via di regresso”.

La prima opzione appare più convincente, certamente la banca manterrà impregiudicate le garanzie di terzi, ma se il contratto di mutuo prosegue regolarmente, anche con il pagamento dello scaduto, e il piano viene omologato, non c’è ragione per ritenere che i garanti non possano beneficiare del rientro in bonis del rapporto.

b) Veniamo alla seconda possibile interpretazione. Malgrado lo scarno dettato normativo, è forse preferibile l’orientamento per cui l’art. 8, comma 1-ter, l. 3/2012 può trovare applicazione solo laddove il mutuo non sia già stato risolto dalla banca[20], anche in ragione del carattere eccezionale della disposizione e del fatto che, a quanto ci consta, l’intero sistema concorsuale non conosce strumenti normativi così incisivi sulle norme contrattuali di diritto comune, tali da coartare la volontà negoziale del contraente in bonis - che legittimamente ha agito per la risoluzione negoziale - e far rivivere un contratto che ha esaurito i propri effetti, magari a seguito della risoluzione invocata dall’ente finanziario in forza di una specifica ‘clausola risolutiva espressa’.

Si osserva inoltre che:

a) la disposizione ha carattere indubbiamente eccezionale, ponendo il debito di restituzione fuori dalle regole del concorso, per cui dovrebbe essere privilegiata un’interpretazione restrittiva della stessa, nel senso di ritenerla applicabile, appunto, solo in presenza di un contratto non ancora risolto;

b) il riferimento alle “rate a scadere del contratto” ed al pagamento delle stesse “alla scadenza convenuta”, lascia intendere la vigenza del vincolo contrattuale al momento del deposito del piano o dell’accordo, per cui, giustamente, si definisce la fattispecie, in dottrina, come ‘prosecuzione del mutuo’, con allusione evidente ad un rapporto in corso;

c) altresì, il riferimento alle “rate a scadere del contratto” ed al pagamento delle stesse “alla scadenza convenuta”, richiama, indubbiamente, l’originario piano di ammortamento negoziato e sottoscritto dai contraenti, che, dunque, si assume implicitamente come ancora vigente tra le parti e solo passibile di ripristino mediante la ‘sanatoria’ rappresentata dal pagamento dello scaduto;

d) né la proposta né il giudice possono prevedere - se non ponendosi ‘fuori’ dal perimetro della fattispecie normativa in commento - una prosecuzione del contratto di mutuo su basi diverse da quelle pattuite, proponendo, ad es., un diverso tasso di interesse, ovvero una modulazione difforme della scadenza del rapporto (allungando, per es., gli anni di durata) o, ancora, una quantificazione della rata e/o una periodicità della stessa in contrasto con quanto convenuto tra i contraenti, salvo, ovviamente, un accordo a latere con la banca.

 

c) L’autorizzazione al pagamento dello scaduto

La pronuncia in rassegna viene, altresì, in evidenza sotto un ulteriore profilo, rappresentato dalla fissazione di un termine per il pagamento delle rate scadute[21].

Il giudice stabilisce in decreto che il pagamento del debito pregresso deve essere effettuato entro un mese dall’omologazione del piano e deve riguardare anche le rate e gli interessi in scadenza, relative al periodo intercorrente dal deposito del piano alla sua omologazione, “a decorrere dalla quale le rate mensili devono riprendere il loro corso ordinario[22].

Viene, dunque, accordato al debitore il beneficio della prosecuzione del mutuo a condizione che le rate scadute siano onorate integralmente ed in un’unica soluzione nel termine fissato; a ben vedere, tuttavia, la norma non pretende tanto, ma si limita a prescrivere la necessità di una specifica autorizzazione “al pagamento del debito per capitale ed interessi scaduto a tale data”, lasciando intendere che il pagamento - debitamente autorizzato - dovrà riguardare l’intero importo delle rate scadute, per capitale e interessi, non anche che detto pagamento debba avvenire immediatamente ovvero entro una data fissata dal giudice.

In altri termini, la formulazione della norma non sembra vietare l’omologazione di un piano del consumatore prevedente il saldo del pregresso debito ipotecario con tempistiche diverse, compatibili con il caso concreto (per es., mediante ulteriore rateizzazione sostenibile con i redditi futuri, o con una tempistica differita, legata al verificarsi di un determinato evento, come l’incasso di un credito certo o il maturare del TFR spettante al debitore)[23].

Diversamente, la norma troverebbe facile applicazione solo in quei casi in cui il debitore avesse a disposizione somme immesse nel piano come ‘finanza esterna’, tale da consentirgli un pagamento immediato delle rate pregresse, spesso per importi non irrisori, ove si consideri che, dall’istanza di nomina del gestore della crisi al deposito del piano ed alla sua omologazione possono decorrere diversi mesi, per cui lo scaduto potrebbe riguardare numerose rate del mutuo[24].

Infine, un ulteriore aspetto riguarda il momento in cui può essere reso il provvedimento di autorizzazione, che, nel caso in esame, è contestuale all’emissione del decreto di omologa del piano, ex art. 12 bis, comma 3, l. 3/2012.

Certamente, quello dell’omologa è il momento più appropriato per rendere l’autorizzazione al pagamento dello scaduto, avendo il giudice esaminato in modo approfondito il piano e risolto ogni profilo circa l’ammissibilità della proposta, anche all’esito delle deduzioni o contestazioni svolte dai creditori all’udienza all’uopo fissata.

Tuttavia, ancora una volta, la norma non impedisce che l’autorizzazione intervenga al momento dell’apertura della procedura, ex art. 12 bis comma 1, dietro specifica istanza del debitore, contestualmente non all’omologa bensì alla fissazione dell’udienza per eventuali deduzioni dei creditori, quando il giudice ha comunque verificato l'assenza di atti in frode ai creditori e che “la proposta soddisfa i requisiti previsti dagli articoli 7, 8 e 9”.

Ciò potrà succedere, per es., ogni qualvolta il debitore abbia la disponibilità di ‘finanza esterna’ la cui erogazione non è condizionata all’omologazione del piano, ed intenda anticipare il saldo delle rate scadute per non aggravare il debito, per es., con ulteriori interessi moratori.

 

4. La deroga al principio dell’ordine delle cause legittime di prelazione.

La fattispecie del mutuo ipotecario in prosecuzione porta con sé anche la deroga implicita all’ordine delle prelazioni sancito dall’art. 2741 c.c., principio che sovrintende il riparto ai creditori delle risorse del piano.

Codificando la fattispecie, evidentemente, il legislatore ha ritenuto di porre un’eccezione al predetto criterio, stabilendo, prima ancora, una deroga al principio generale della responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c., per cui “il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri”, se è vero che la disposizione consente al debitore di sottrarre il bene immobile al soddisfacimento del ceto creditorio.

Come noto, la l. 3/2012 non dispone nulla in merito al rispetto delle cause di prelazione, anche se la prevalente giurisprudenza di merito ha ritenuto che il relativo obbligo, con le eccezioni previste dalla legge, sia immanente e trasversale al sistema concorsuale, applicabile, dunque, anche alle procedure di sovraindebitamento[25].

La deroga nel pagamento dell’ordine dei privilegi viene in evidenza nei numerosi casi in cui la debitoria del sovraindebitato risulti composta anche da crediti assistiti da privilegio generale mobiliare (per tributi erariali o locali, ovvero verso professionisti, locatori, artigiani, ecc…), ove si consideri che, al fine di adempiere al pagamento delle rate a scadere, il debitore dovrà utilizzare i proventi della propria attività lavorativa (e/o professionale o imprenditoriale), normalmente destinati, prima di tutto, al pagamento dei creditori assistiti da privilegio generale mobiliare, secondo l’ordine di questi.

In altri termini è intuitivo che, fuori dalla previsione normativa in commento, la provvista prodotta dal debitore (quota di stipendio, ecc…) e destinabile ai creditori andrebbe prima, per legge, a soddisfo dei privilegiati generali, non certo a beneficio del creditore ipotecario, titolare di un privilegio non generale, ma speciale, sul bene immobile che, tuttavia, rimarrà nella titolarità del debitore e non sarà liquidato; mentre, pur in assenza di liquidazione del bene su cui insiste la prelazione, la norma ad hoc di cui all’art. 8, comma 1-ter, l. 3/2012 consente, al contrario, di ‘dirottare’ detta provvista al pagamento della rata di mutuo, sottraendola ai creditori con privilegio generale mobiliare[26].

Ciò in forza dell’espressa disposizione di legge, che pone il debito ipotecario “sottratto alle regole del concorso”, e dunque anche alle regole che sovraintendono i criteri di riparto.

 

5. Il mutuo ipotecario in prosecuzione: dentro o fuori del piano?

La decisione del Tribunale di Bari si segnala, altresì, per un ulteriore profilo meritevole di attenzione, relativo alla formale esclusione del mutuo ipotecario dal piano omologato, mutuo la cui durata residua viene indicata in 27 anni[27].

L’advisor ha opportunamente documentato che gli stipendi del nucleo famigliare del debitore, al netto delle esigenze di sostentamento, avrebbero consentito da un lato di proseguire il pagamento delle rate del mutuo alla scadenza, e dall’altro di definire a stralcio la residua debitoria maturata, nell’ambito di un piano di pagamento della durata di sei anni.

Il gestore della crisi prima, ed il giudice poi, in sede di omologa, hanno formulato il giudizio di fattibilità del piano, evidentemente, con riferimento all’impegno assunto dai debitori verso i creditori ulteriori e diversi rispetto alla banca mutuante[28], ritenendo il mutuo ipotecario fuori dal piano.


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Il tema della inclusione o meno del debito ipotecario nel piano non è di poco conto, avendo incidenza su numerosi aspetti processuali e sostanziali, su cui torneremo, ma non risulta affrontato compiutamente in dottrina, ed ancor meno, in giurisprudenza.

Gli studiosi sono prevalentemente orientati a ritenere che la fattispecie del mutuo ipotecario in prosecuzione sia stata ipotizzata dal legislatore come estranea al piano, sia come debito (“sottratto alle regole del concorso”) che in riferimento al bene immobile gravato[29], ma tale assunto non appare sorretto da valide argomentazioni di carattere sistematico, quanto, piuttosto, dall’esigenza di evitare criticità, apparentemente insanabili, in ordine alla ‘durata del piano’ ed al ‘giudizio di fattibilità’.

Infatti, a sostegno di detto convincimento si è argomentato che l’inclusione del mutuo ipotecario nel piano renderebbe questo di durata ‘irragionevole’ e oggettivamente non attestabile[30], non potendo il gestore formulare un giudizio prognostico di fattibilità del piano che vada oltre un orizzonte temporale massimo di tre o cinque anni, come nelle procedure maggiori, ovvero, a tutto concedere, di cinque o sette anni, durata solitamente ammessa nel piano del consumatore.

In giurisprudenza non constano provvedimenti specifici - le note decisioni Cass. 2019/17834 e Cass. 2019/27544 che hanno ammesso piani e accordi di durata ultradecennale sono state rese ante riforma[31]-, essendo davvero scarsa la casistica di mutui ipotecari di lunga durata espressamente inseriti in piano o accordi ex art. 8, comma 1-ter, l. 3/2012, proposti senza il preventivo accordo con la banca, la cui difficoltà viene riscontrata, in primo luogo, proprio in ordine al giudizio di fattibilità[32].

In realtà numerosi elementi, anche testuali, consentono di revocare in dubbio l’asserto per cui il mutuo ipotecario resta fuori dal piano:

a) l’art. 8, comma 1-ter, l. 3/2012 recita testualmente che “la proposta di piano del consumatore e la proposta di accordo formulata dal consumatore possono prevedere […]” la prosecuzione del mutuo ipotecario; la norma non si esprime dicendo che la proposta può escludere il debito e il bene dal perimetro del piano, ma stabilisce solo una deroga alla scadenza del debito ipotecario, consentendo “il rimborso, alla scadenza convenuta, delle rate a scadere del contratto di mutuo garantito da ipoteca”, quale particolare modalità di soddisfo dell’ipotecario, il cui credito è implicitamente ricondotto, tuttavia, all’ambito della proposta;

b) il giudizio di fattibilità del piano non può prescindere dalla valutazione dell’impatto finanziario del mutuo ipotecario sul debitore; in particolare, ogni qualvolta il piano o l’accordo non sia sorretto da ‘finanza esterna’, è chiaro che il gestore prima ed il giudice dopo, dovrà valutare la sostenibilità di tutti gli impegni finanziari del sovraindebitato, sia riguardo le risorse da porre a disposizione degli altri creditori, sia quelle necessarie per onorare nel tempo il mutuo ipotecario[33], almeno in riferimento, ovviamente, ad un periodo ragionevole e rapportato alla durata del piano riguardante il soddisfacimento degli ulteriori creditori;

c) inoltre, il confronto con la disciplina della fattispecie, pressoché identica, del mutuo ipotecario su bene strumentale all’esercizio dell’impresa, di cui al successivo comma (art. 8 comma 1-quater), contraddistinta dall’obbligo di attestazione del piano[34], rende difficoltoso ipotizzare il mutuo ipotecario del consumatore al di fuori del piano ed estraneo al perimetro del giudizio di fattibilità;

d) che il giudizio di fattibilità involga anche il mutuo ipotecario in prosecuzione, trova, peraltro, una conferma nell’art. 12-bis, comma 3, l. 3/2012, contenente il riferimento ai crediti impignorabili[35]: il legislatore della miniriforma non ha ritenuto di intervenire su tale norma, ma - per coerenza sistematica - in via interpretativa è ragionevole ritenere che il giudizio di idoneità espressamente previsto per i predetti crediti (avente ad oggetto, appunto, il “regolare pagamento dei titolari di crediti impignorabili”, art. 7, comma 1, l. 3/2012), vada esteso anche al credito relativo alle rate a scadere del mutuo ipotecario; posizioni creditorie che beneficiano entrambe della previsione del loro pagamento integrale (di qui il giudizio di idoneità da formulare in ordine al loro adempimento), di cui si dirà nel successivo paragrafo.

 

6. L’applicazione analogica delle norme sui crediti impignorabili: una possibile integrazione della disciplina del mutuo ipotecario in prosecuzione (segue).

Le considerazioni sopra esposte conducono a dire che l’inclusione o meno del mutuo nel piano non è questione solo teorica.

Si è già osservato che le opposte opzioni hanno incidenza, infatti, su questioni quali la durata del piano, il giudizio di fattibilità del piano o dell’accordo e l’operatività del principio delle cause legittime di prelazione.

Ma il tema porta con sé altre criticità - su cui non possiamo indugiare, per i limiti del presente contributo - quali gli effetti propri del decreto di omologa[36]; il riconoscimento del diritto di voto, nell’accordo, in favore del creditore ipotecario[37]; l’azione di risoluzione del piano o dell’accordo omologato in caso di inadempimento successivo al contratto di mutuo[38]; la classificazione bancaria del sovraindebitato in pendenza della fase esecutiva dell’accordo o del piano omologato[39]; non ultimo il permanere delle funzioni di sorveglianza dell’adempimento dell’accordo o del piano proprie del gestore della crisi[40], tutte questioni non espressamente regolate dal legislatore in riferimento alla fattispecie che ci occupa, essendosi limitato - va ribadito - ad introdurre due commi relativi al mutuo ipotecario in prosecuzione, senza fornire alcun ulteriore elemento circa la disciplina applicabile.

Malgrado le criticità cui si è fatto cenno, la questione dell’inclusione o meno del mutuo ipotecario nel piano o nell’accordo potrebbe, tuttavia, essere meno decisiva e rilevante, ove si consideri che il legislatore ha regolato nella l., 3/2012 una specifica categoria di crediti, i crediti impignorabili, di cui è previsto il pagamento integrale ma non anche la loro inclusione nel piano o nell’accordo[41].

In altri termini, la predetta questione non appare forse così dirimente, in quanto la legge regola espressamente una categoria particolare di crediti, non compresi nel piano ma al contempo interferenti con esso.

Proprio in ordine alla disciplina dei crediti impignorabili cui si è fatto più sopra cenno, dunque, potrebbe proporsi una sua lettura estensiva alla fattispecie del mutuo ipotecario in prosecuzione, diretta a colmare il vuoto normativo creato dalla introduzione dell’art. 8, commi 1-ter e 1-quater, l. 3/2012 ed a fornire all’interprete un appiglio normativo con cui disciplinare in via analogica tali fattispecie.

Invero, pur nella loro ovvia diversità, credito ipotecario (nelle fattispecie ex art. 8, commi 1-ter e1-quater) e credito impignorabile sono entrambi crediti a scadere e condividono lo stesso destino di sostanziale estraneità al piano o all’accordo, malgrado per essi il legislatore abbia previsto il loro integrale pagamento: indubbiamente, anche se non facenti parte del piano, essi affiancano in modo parallelo la ristrutturazione dell’ulteriore debitoria ‘ordinaria’ maturata dal sovraindebitato.

Il legislatore ha, dunque, disseminato la l. 3/2012 di alcune disposizioni in tema di crediti impignorabili che - a nostro sommesso avviso - potrebbero essere invocate per regolare la fattispecie in commento, stante la loro assimilabilità nel sistema della l. 3/2012, o quantomeno per avere un orizzonte normativo di riferimento.

Statuendo in modo particolare che:

a) il debitore può proporre un accordo o un piano prevedente la ristrutturazione dei propri debiti, ma che assicuri il “regolare pagamento dei titolari di crediti impignorabili” (art. 7, comma 1, l. 3/2012);

b) l’automatic stay (a richiesta del debitore nel piano del consumatore, automatico nell’accordo), ovvero l’inibitoria delle azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore, “non opera nei confronti dei titolari di crediti impignorabili” (art. 10, comma, 2 lett.c);

c) il giudice omologa l'accordo previa verifica, tra l’altro, dell’”idoneità del piano ad assicurare il pagamento integrale dei crediti impignorabili” (art. 12 comma 2);

d) il giudice omologa il piano del consumatore verificate l'ammissibilità e la fattibilità dello stesso nonché l'idoneità dello stesso ad assicurare il pagamento dei crediti impignorabili (art. 12 -bis comma 3);

e) l’accordo è obbligatorio per tutti i creditori anteriori […] I creditori con causa o titolo posteriore non possono procedere esecutivamente sui beni oggetto del piano (art. 12 comma 3): il successivo comma dispone, tuttavia, che tale effetto viene meno “in caso di risoluzione dell'accordo o di mancato pagamento dei crediti impignorabili”, e l’accertamento del mancato pagamento di tali crediti è chiesto al tribunale con ricorso (art. 12 comma 4);

f) analogamente, dalla data dell'omologazione del piano del consumatore i creditori con causa o titolo anteriore non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali; ad iniziativa dei medesimi non possono essere iniziate o proseguite azioni cautelari né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di piano (art. 12-ter comma 1): l’art. 12-ter comma 4 stabilisce, tuttavia, che “gli effetti di cui al comma 1 vengono meno in caso di mancato pagamento dei titolari di crediti impignorabili […] l'accertamento del mancato pagamento di tali crediti è chiesto al tribunale”;

g) il giudice, sentito il liquidatore e verificata la conformità dell'atto dispositivo all'accordo o al piano del consumatore, “anche con riferimento alla possibilità di pagamento dei crediti impignorabili”, autorizza lo svincolo delle somme e ordina la cancellazione della trascrizione del pignoramento e delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione (art. 13 comma 3).

Da una lettura anche sommaria delle norme richiamate, pare evidente lo sforzo del legislatore di regolare le possibili interferenze, con il piano o l’accordo, di una particolare tipologia di crediti, quali i crediti impignorabili, volutamente posti all’esterno dello stesso.

Detti creditori, dunque,

i. non votano l’accordo perché è previsto il loro pagamento integrale;

ii. sono titolari di crediti non rientranti nella proposta, ma di essi il debitore deve prevedere il pagamento non solo integrale ma anche regolare;

iii. nello stesso senso, detti crediti non fanno parte del piano sottoposto al giudizio di fattibilità, ma è richiesto al giudice la formulazione di un giudizio di idoneità del piano ad assicurarne il pagamento integrale;

iv. fino alla data dell’omologazione i creditori impignorabili non sono soggetti all’inibitoria delle azioni esecutive avviate o proseguite;

v. subiscono l’efficacia obbligatoria dell’omologa del piano o dell’accordo, ma in caso di mancato pagamento - senza che ciò determini la risoluzione dell’accordo[42] o la revoca del piano del consumatore - possono agire esecutivamente (anche sui beni oggetto del piano)[43], previo accertamento da parte del tribunale della condizione del mancato pagamento;

vi. la possibilità del loro soddisfacimento è valutata dal giudice all’atto della cancellazione dei gravami sul bene ceduto in adempimento del piano o dell’accordo.

Ad analoga disciplina potrebbe soggiacere, dunque, il credito a scadere derivante dalla prosecuzione del mutuo ipotecario, nei termini in cui, come credo, si ritengano compatibili e applicabili gli assunti sopra indicati sub i., ii, iii, iv., v. e vi.

In particolare, potrebbe ritenersi che:

1) non si pone un problema di durata ragionevole del piano, perchè il gestore ed il giudice non dovranno formulare un giudizio di fattibilità ma solo di idoneità del piano circa la ragionevole prosecuzione del mutuo, da formularsi sulla base dell’attuale condizione economica in cui versa il debitore o della presumibile condizione in cui verrà a trovarsi, in riferimento non già alla durata delle rate residue ma, quantomeno, al minor periodo di durata del piano;

2) rispetto alle rate a scadere del mutuo, od alle rate scadute il cui pagamento è stato autorizzato, l’inadempimento successivo non consentirà alla banca di invocare la risoluzione dell’accordo o la revoca del piano, ben potendo, tuttavia, agire sui beni oggetto del piano, eventualmente, previo accertamento dell’inadempimento da parte del tribunale, ovvero dichiarando risolto il mutuo ipotecario in caso di grave inadempimento, con escussione della garanzia ipotecaria.

 

7. L'art. 120-quinquiesdecies, comma 3, Testo Unico Bancario e la rinegoziazione del mutuo ex art. 40-ter l. 69/2021 (cenni)

A conclusione di queste note, merita di essere evidenziato che il legislatore ha definito due ulteriori strumenti a tutela del consumatore moroso nel pagamento delle rate del mutuo ipotecario sull’abitazione principale, destinati, inevitabilmente, ad interferire con la disciplina della l.3/2012.

 

a)

L'articolo 120-quinquiesdecies, comma 3, t.u.b. stabilisce che i contraenti possono prevedere espressamente, al momento della conclusione del contratto di mutuo o successivamente, che in caso di inadempimento del consumatore, la restituzione o il trasferimento del bene immobile ipotecato - o dei proventi della vendita del medesimo - comporta l'estinzione dell’intero debito a carico del consumatore, anche se il valore del bene immobile restituito o trasferito ovvero l’ammontare dei proventi della vendita è inferiore al debito residuo, fermo restando il diritto del consumatore ad ottenere l’eventuale eccedenza derivante dalla vendita. Il valore della garanzia è stimato con una perizia successivamente all'inadempimento, da parte di un perito scelto dalle parti di comune accordo.

La norma mira a snellire ed abbreviare le procedure nel caso di inadempimento del debitore, senza dover far ricorso, necessariamente, a procedure esecutive giudiziali che si dimostrano molto lunghe e complesse, riducendo pertanto il rischio e i costi esecutivi gravanti sul finanziatore in caso di inadempimento del debitore[44].

 

Viene da chiedersi in che modo tale specifica fattispecie interferisca con l’eventuale presentazione di una domanda di sovraindebitamento contenente la richiesta di prosecuzione del mutuo ipotecario ex art. 8, comma 1-ter, l. 3/2012.

E’ forse ragionevole ritenere che,

- in caso di inadempimento per un numero inferiore alle diciotto rate, l’accesso alla procedura di sovraindebitamento non dovrebbe trovare ostacoli;

- nel caso in cui la morosità fosse superiore alle diciotto rate, e dunque il debitore fosse incorso nell’inadempimento ‘qualificato’ ex art. 120 quinquiesdecies, comma 3, t.u.b., la banca potrebbe aver azionato, medio tempore, il patto contrattuale in via di autotutela: in tal caso, azzardo una conclusione, l’accesso alla l. 3/2012 da parte del consumatore dovrebbe, comunque, prevalere, sia in ragione del carattere concorsuale della procedura di sovraindebitamento (e del maggior beneficio accordato dalla l. 3/2012 con l’esdebitazione totale del consumatore, non limitata al solo debito ipotecario ex art. 120 quinquiesdecies, comma 3, t.u.b.), sia, soprattutto, perché l’accesso allo strumento della prosecuzione del mutuo ipotecario prevede la sanatoria di tutte le rate impagate, come visto, previa autorizzazione del giudice, e dunque alcun effettivo pregiudizio può derivare all’ente finanziario.

 

b)

L’art. 40-ter l. 69/2021 (di conv. del c.d. Decreto Sostegni) riconosce al consumatore inadempiente il diritto alla rinegoziazione del mutuo ipotecario sull’abitazione principale - da esercitare con istanza da presentare entro il 31.12.2022 - a condizione che abbia rimborsato almeno il 5% della quota capitale, che sia pendente una procedura esecutiva immobiliare sul bene, con pignoramento notificato entro il 21.03.2021 e che il credito complessivo della banca non superi l’importo di euro 250.000,00.

In presenza delle predette condizioni, il debitore può offrire 1) il prezzo base d’asta ridotto del 25% se l’immobile è già all’asta; 2) il prezzo corrispondente alla stima, se l’immobile è stimato ma non sono fissate ancora le aste; 3) l’intero importo del debito residuo, comprensivo di spese di pignoramento e di interessi, se questo è inferiore al valore dell’immobile anche con la riduzione del 25%.

Il nuovo mutuo derivante dalla rinegoziazione non deve essere inferiore a 10 anni né superare i 30 anni o gli 80 anni di età del debitore; in ipotesi di istanza congiunta del debitore e del creditore, il giudice è tenuto a sospendere l’esecuzione forzata per un periodo massimo di sei mesi[45].

Ancora una volta, la peculiarità della disposizione di favore per il consumatore sta nella espressa previsione per cui “il debito rinegoziato o il finanziamento del terzo […] possono godere del beneficio dell'esdebitazione per il debito residuo” (art.40-ter comma 1).

Ai fini che ci occupano, si osserva che il legislatore si è preoccupato di porre alcune norme di coordinamento con le procedure di sovraindebitamento; assumono rilievo in tal senso,

- il comma 8 per cui “la rinegoziazione […] può altresì essere contenuta nella proposta di accordo o di piano del consumatore ex l. 3/2012”;

- il comma 9, alla stregua del quale il “piano del consumatore e la proposta di accordo di cui alla l.3/2012, possono prevedere che un soggetto finanziatore tra quelli indicati al comma 1 conceda al debitore un finanziamento, con surroga nella garanzia ipotecaria esistente, il cui ricavato deve essere utilizzato per estinguere il mutuo in essere”.

Si può ritenere che la rinegoziazione richiesta dal debitore ex art. 40-ter l. 69/2021 integri un pre-accordo, idoneo a sostituire l’istanza del debitore ex art. 8, comma 1-ter, l. 3/2012, ogni qualvolta la banca risulti aver agito con pignoramento, rendendo di fatto particolarmente difficile il ripristino contrattuale del rapporto di mutuo.

Parimenti, la rinegoziazione potrebbe essere preferita laddove vi siano oggettive difficoltà del debitore a mettersi in pari con le rate scadute o a sostenere finanziariamente l’originario piano di ammortamento, potendo la banca accordare ex art. 40-ter lo stralcio del pregresso, ovvero una modulazione differente del predetto piano.

Malgrado l’espressa previsione normativa del comma 8 dell’art. 40-ter l. 69/2021, sopra richiamato, maggiore perplessità desta la possibilità del debitore di proporre unilateralmente la rinegoziazione nell’ambito del piano del consumatore che, come noto, non è sottoposto alla votazione dei creditori ma omologato dal giudice.

Ciò in ragione del fatto che la rinegoziazione è strutturata come frutto di accordo bilaterale e che il comma 5 onera la banca di una valutazione del ‘merito creditizio’ del debitore, “all'esito della quale può accettare la richiesta di rinegoziazione o di finanziamento”[46].

Non si comprende, dunque, come la rinegoziazione possa essere imposta alla banca all’interno del piano del consumatore, salvo ammettere che il ‘merito creditizio’ sia accertato dall’OCC e dal giudice, con giudizio favorevole rimesso al contraddittorio con la banca in sede di contestazione ex art. 12-bis, comma 4, l. 3/2012.

 

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[2] La decisione è pubblicata in questa Rivista, all’indirizzo: https://www.ilcaso.it/sentenze/ultime/26316. Ringrazio i colleghi avv. Viviana Pepe e Costantino Morena del foro di Bari per avermi fornito gli atti del procedimento concluso con la pronuncia in rassegna.

[3] Il presente contributo si limiterà all’esame della fattispecie del mutuo ipotecario sull’abitazione principale del consumatore, ex art. 8 comma 1-ter l. 3/2012, di cui al provvedimento in commento, che ha anticipato la disposizione dell’art. 67 comma 4 CCII.

La c.d. miniriforma di Natale, di cui al d.l. 137/2020 conv. l. 176/2020, ha introdotto nella l. 3/2012 due previsioni di detta fattispecie, in riferimento all’abitazione principale del debitore ed al bene strumentale all’esercizio dell’impresa, di cui all’art. 8 rubricato “Contenuto dell’accordo o del piano del consumatore”:

Art. 8 comma 1-ter l. 3/2012: “La proposta di piano del consumatore e la proposta di accordo formulata dal consumatore possono prevedere anche il rimborso, alla scadenza convenuta, delle rate a scadere del contratto di mutuo garantito da ipoteca iscritta sull'abitazione principale del debitore se lo stesso, alla data del deposito della proposta, ha adempiuto le proprie obbligazioni o se il giudice lo autorizza al pagamento del debito per capitale ed interessi scaduto a tale data”

Art. 8 comma 1-quater l. 3/2012: Quando l'accordo è proposto da un soggetto che non è consumatore e contempla la continuazione dell'attività aziendale, è possibile prevedere il rimborso, alla scadenza convenuta, delle rate a scadere del contratto di mutuo con garanzia reale gravante su beni strumentali all'esercizio dell'impresa se il debitore, alla data della presentazione della proposta di accordo, ha adempiuto le proprie obbligazioni o se il giudice lo autorizza al pagamento del debito per capitale ed interessi scaduto a tale data. L'organismo di composizione della crisi attesta che il credito garantito potrebbe essere soddisfatto integralmente con il ricavato della liquidazione del bene effettuata a valore di mercato e che il rimborso delle rate a scadere non lede i diritti degli altri creditori.”

[4] L’art. 55 comma 2 l. fall., non richiamato da alcuna disposizione della l. 3/2012, è la norma che fissa il principio della c.d. cristallizzazione del passivo; essa stabilisce che “i debiti pecuniari del fallito si considerano scaduti, agli effetti del concorso, alla data di dichiarazione del fallimento”.

[5] E’ appena il caso di osservare che nelle procedure maggiori (concordato preventivo e accordi di ristrutturazione) analoga disposizione è stata inserita, dal d.l. 118 del 24 agosto 2021, al sesto comma dell’art. 182 quinquies l. fall. - non a caso dopo il comma 5 che dispone in ordine all’autorizzazione al pagamento di crediti anteriori - norma che prevede espressamente che “quando è prevista la continuazione dell'attività aziendale, la disciplina di cui al comma 5 si applica, in deroga al disposto dell'art.55, comma 2, al rimborso, alla scadenza convenuta, delle rate a scadere del contratto di mutuo con garanzia reale gravante su beni strumentali all'esercizio dell'impresa, se il debitore, alla data della presentazione della domanda di ammissione al concordato, ha adempiuto le proprie obbligazioni o se il tribunale lo autorizza al pagamento del debito per capitale ed interessi scaduto a tale data. Il professionista in possesso dei requisiti di cui all'art.67, comma 3, lett. d), attesta anche che il credito garantito potrebbe essere soddisfatto integralmente con il ricavato della liquidazione del bene effettuata a valore di mercato e che il rimborso delle rate a scadere non lede i diritti degli altri creditori” .

[6] L’art. 8 comma 4 l. 3/2012 stabilisce la moratoria annuale nel pagamento dei crediti privilegiati, prevedendo che “La proposta di accordo con continuazione dell'attività d'impresa e il piano del consumatore possono prevedere una moratoria fino ad un anno dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione”.

[7] Così Tribunale di Rovigo 13 dicembre 2016 (in questa Rivista https://www.ilcaso.it/sentenze/ultime/16453) ha osservato che “Il legislatore ha imposto al debitore che depositi il piano del consumatore, la necessaria soddisfazione entro un anno dei creditori che vantino un diritto di prelazione su un bene non oggetto di cessione. Si è consapevoli che la disposizione pone un limite rigido alle ragioni del consumatore, spesso focalizzate al mantenimento dell’immobile familiare; tuttavia il contenuto della disposizione è vincolante e solo attraverso una modificazione legislativa è possibile immaginare un diverso contenuto del piano”.

[8] In tal senso Tribunale di Milano 18 ottobre 2017ha osservato cheNon esiste nella legge 3/2012 una fattispecie analoga a quella prevista dall’art. 55, comma 2, l.f. che prevede che agli effetti del concorso i debiti del fallito si considerano scaduti dalla data del fallimento. […] Deve ritenersi che la fattispecie di cui all’art. 8, comma 4, trovi applicazione solo nell’ipotesi in cui il contratto di mutuo ipotecario si sia risolto, mentre, nel caso in cui il contratto non si sia risolto e il consumatore si proponga di onorare il mutuo secondo le ordinarie scadenze, la citata disposizione non osti all’omologa del piano”.

[9] Torneremo nel prosieguo sull’art. 55 l. fall., per ora basti dire che nel solco della decisione del Tribunale di Milano sono state numerose le pronunce rese in tal senso, come Tribunale di Padova 13 aprile 2018 (in questa Rivista http://mobile.ilcaso.it/sentenze/ultime/19763) per cui “Il principio contenuto nell’art. 55, comma 2, l. fall. secondo il quale “i debiti pecuniari del fallito si considerano scaduti, agli effetti del concorso, alla data di dichiarazione del fallimento” non trova spazio nelle procedure di sovraindebitamento, trattandosi di norma, di carattere eccezionale non richiamata dalla Legge n. 3/2012 (art. 9, comma 3-quater l. 3/2012; art. 55, comma 2 l. fall.)”

[10] Circa la scelta, netta e decisa, operata dal legislatore in favore del mantenimento dell’abitazione in capo al debitore, merita di essere richiamato il pensiero di V.ZANICHELLI, in “Il corposo restyling della legge sul sovraindebitamento”, Il Fallimento, 4/2021, per cui “l’operazione può essere autorizzata anche in danno agli altri creditori, in quanto non vi è nessun cenno alla capienza dell’immobile o ad altro limite”.

Potrebbe, dunque, predicarsi l’ammissibilità di un piano del consumatore con prosecuzione del mutuo ipotecario sull’abitazione principale anche ove questa risultasse di valore ben inferiore al residuo debito ipotecario; in tale ipotesi la banca otterrebbe un soddisfo integrale del credito ipotecario che, in ipotesi di liquidazione del bene, sarebbe degradato in chirografo a seguito della dichiarazione di incapienza ex art. 7 comma 1, secondo periodo, l. 3/2012.

Peraltro, in dottrina si è rilevato come tale danno ai creditori si verifichi anche nell’ipotesi opposta, ove l’immobile abitativo fosse di valore ben superiore al residuo debito ipotecario; per cui, oggettivamente, la mancata liquidazione del bene sarebbe in danno degli altri creditori, che non potrebbero soddisfarsi sul surplus di valore immobiliare (così F.CESARE - A.FERRI - F.TOMBOLINI in occasione della tavola rotonda virtuale organizzata in data 17.5.2021 dall’Ass.ne Riminese dei Concorsualisti, dal titolo “Sovraindebitamento: a che punto siamo? Nuove norme, prassi giurisprudenziali e questioni aperte”).

[11] Ancora V.ZANICHELLI (“Il corposo restyling della legge sul sovraindebitamento”, cit.) si chiede se a tutela dei creditori “resta il limite generale dato dall’obbligo del giudice di verificare, a richiesta, la convenienza per i creditori della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria?”, ipotizzando un favor così netto per il consumatore e il diritto all’abitazione, da ritenere superato “il dettato degli artt. 12 comma 2 e art. 12-bis comma 4 che consentono al creditore di contestare la convenienza rispetto alla liquidazione” (cit.).

Il dato normativo, del resto, sembra non lasciare spazio ad interpretazioni diverse, con la conseguenza che “nessuna doglianza e/o impugnazione possa essere validamente dedotta, in tal senso, dagli altri creditori” (F.M. COCCO, “Adempimento del mutuo ipotecario nel piano del consumatore”, in Crisi e Risanamento, agosto 2021).

Di contrario avviso S.LEUZZI, per cui “il giudice rimane obbligato a verificare, ai sensi dell’art. 12-bis, comma 4, l. n. 3/2012, la convenienza per i creditori della proposta rispetto all'alternativa liquidatoria, non essendo il giudizio in parola escluso dalla norma” (così in “Attualità e prospettive del piano del consumatore sovraindebitato”, www.dirittodellacrisi.it, luglio 2021).

[12] Si sofferma sui diversi effetti dell’art. 55 comma2 l. fall. e art. 1186 c.c. in ordine alla scadenza del debito ipotecario, G. DOMINICI, in “L’accordo di composizione della crisi”, in AA.VV., “La nuova disciplina del sovraindebitamento – Le riforme del diritto italiano”, diretto da M. Irrera e Stefano Cerrato, Torino, settembre 2021, cui si rinvia.

[13] Nella prima pronuncia in cui affronta il tema dell’applicazione dell’art. 55 comma 2 l. fall. alle procedure di sovraindebitamento, la Cassazione osserva che “ sebbene la l.3/2012 non contenga un esplicito richiamo all’art. 55 comma 2 l. fall., resta che la regola per cui tutti i crediti anteriori si considerano scaduti alla data dell'apertura della procedura deve trovare applicazione anche rispetto all'accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento (ovvero al piano del consumatore), attesa la comune natura di procedura caratterizzata dal crisma della concorsualità. Questo comporta che anche il debito derivante da un mutuo ipotecario deve considerarsi infine scaduto nel momento dell'apertura del procedimento, così da dover essere soddisfatto per intero senza rilevanza dell'ammortamento originario. E ben vero giova dire che tale conclusione resisterebbe anche se si ipotizzasse l'inestensibilità all'accordo di composizione dell’art. 55 comma 2 l. fall., in base all'omesso richiamo di tale norma nella legge speciale. Rileverebbe pur sempre l’art. 1186 c.c., secondo cui, anche se il termine di pagamento è stabilito nell'interesse del debitore, esso si considera scaduto ove il debitore sia divenuto insolvente” (così Cass. I sez. 3 luglio 2019 n.17834, rel. Terrusi).

[14] Invero, l’art. 9 comma 3-quater l. 3/2012 ha ripreso solo il primo comma dell’art. 55 l. fall. relativo alla sospensione del corso degli interessi sui crediti chirografari, non anche il secondo comma riguardante, appunto, la scadenza dei debiti.

[15] Anche l’art. 76 comma 5 CCII, al pari dell’art. 9 l. 3/2012, dispone, infatti, in ordine alla sospensione degli interessi ma non riprende la formula dell’art. 55 comma 2 l. fall. circa la scadenza dei debiti.

Ulteriore elemento di incertezza è dato dall’intervento del legislatore con il d.l. 118 del 24 agosto 2021 - conv. con la l. 147/2021 - sull’art. 182 quinquies l. fall., con l’introduzione del sesto comma contenente la previsione esplicita, anche nelle procedure maggiori, della medesima fattispecie di prosecuzione del mutuo ipotecario su beni strumentali all'esercizio dell'impresa, in cui si chiarisce che detta disciplina si applica “in deroga al disposto dell'articolo 55, secondo comma, l. fall.”.

[16] In tal senso si è espressa la Corte di Appello di Milano con la decisione 8 giugno 2016, citata in Cass. 16 luglio 2021 n.20375.

[17] In vigenza della precedente formulazione dell’art. 8 l. 3/2012, risulta solo la decisione Tribunale di Livorno 3 maggio 2017, in questa Rivista, che ha omologato un piano del consumatore statuendo sulla prosecuzione del mutuo ipotecario già dichiarato risolto dalla banca, mediante, tuttavia, un riscadenziamento delle rate residue (con posticipazione delle rate scadute al termine dell’originario piano di ammortamento).

Tribunale di Avellino 21 ottobre 2019, (in questa Rivista https://www.ilcaso.it/sentenze/ultime/23243), sempre con la disposizione vigente ratione temporis, ha dichiarato l’inammissibilità di un piano del consumatore osservando che “verificatasi l’ipotesi di cui all’art. 1186 c.c. per insolvenza del debitore, al tribunale non è consentito, in mancanza di espressa previsione normativa, sindacare sul piano economico il regolamento negoziale voluto dai contraenti del mutuo ipotecario ripristinandone la vigenza (ed addirittura modificandone il contenuto), salvo il caso, nella specie neppure prospettato, di intervenuto recesso “brutale” e di abuso del diritto da parte del contraente forte (Cass. 18 settembre 2009, n. 20106)”.

In vigenza della nuova norma, Tribunale di Caltanissetta 1° giugno 2021, inedita, ha statuito sulla prosecuzione del mutuo ipotecario nell’ambito di un piano del consumatore sul presupposto, tuttavia, che “il debitore, alla data del deposito della proposta, ha adempiuto le proprie obbligazioni”.

[18] Sul punto la Relazione Illustrativa, in riferimento all’art. 67 CCII che pone la medesima disposizione dell’art. 8 comma 1-ter l. 3/2012, non fornisce alcun chiarimento, limitandosi ad osservare che “la modifica è volta a favorire l'accesso del consumatore alle procedure di sovraindebitamento e chiarisce, considerata l'esistenza, in materia, di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, come il debito per il rimborso del mutuo ipotecario contratto per l'acquisto della casa destinata a costituire la sua abitazione principale sia sottratto alle regole del concorso”.

[19] Cfr. Tribunale di Milano 30 ottobre 2014, e Tribunale di Treviso 29 ottobre 2014, entrambe in questa Rivista; Tribunale di Vicenza 25 giugno 2013, in www.dejure.it.

Va chiarito, peraltro, che nella l. 3/2012 non esiste una disciplina sui rapporti pendenti, mentre nel concordato preventivo il legislatore ha ritenuto di disciplinare gli effetti della pendenza della procedura concorsuale sui “contratti in corso”, tra i quali, tuttavia, devono intendersi esclusi i rapporti già risolti prima della presentazione della domanda di concordato - per risoluzione consensuale, o per la preesistente domanda giudiziale di risoluzione, ovvero per l’operatività di una clausola risolutiva espressa o di una diffida ad adempiere - contratti non più in essere, di cui viene in evidenza, quindi, non più il contenuto negoziale quanto, eventualmente, il debito o credito residuato.

I contratti di finanziamento, tuttavia, non vengono annoverati tra quelli pendenti o in corso, attesa la loro particolarità, come evidenziato da autorevole dottrina, per cui “il mutuo, a prescindere dal nesso commutativo che può sussistere tra erogazione del prestito pecuniario e corresponsione di interessi corrispettivi (in aggiunta alla restituzione del tantundem ex art. 1813 c.c.), resta inequivocabilmente un contratto reale unilaterale, nel quale, cioè, la prestazione del mutuante è già interamente adempiuta al momento della consegna della res, che è contestuale alla stipula e allo scambio del consenso, residuando solo l'obbligazione restitutoria (e di pagamento degli interessi) del mutuatario, il che esclude che tale contratto possa rientrare nella categoria dei contratti pendenti, almeno se si condivide l'idea – peraltro di gran lunga più convincente e comunque maggioritaria - che in questa categoria possano rientrare, in modo identico che per il fallimento (art. 72 l. fall.), solo i contratti a prestazioni corrispettive ancora bilateralmente inseguiti, del tutto o parzialmente”. (F. LAMANNA, “Mutui ipotecari pendenti nel concordato con continuità aziendale e scadenza immediata del debito di restituzione ex art. 55 l. fall.”, in  Il Fallimentarista, febbraio 2015).

Peraltro, detto articolo si inseriva nel dibattito dottrinario avviato da chi adombrava, al contrario, l’inclusione dei contratti di finanziamento nel perimetro dell’art. 72 l. fall. (D.GALLETTI, “La disciplina dei rapporti in corso di esecuzione si applica anche ai contratti di finanziamento”,   Il Fallimentarista, febbraio 2015).

Nel senso suggerito da LAMANNA ha concluso anche un altro autorevole Autore, per cui “il mutuo è un contratto reale con effetti reali. La traditio della somma ne comporta il passaggio di proprietà. A sopravanzare non è un contratto pendente, ma una mera controprestazione restitutoria, cioè nulla di più che un debito di denaro da adempiere” (S. LEUZZI, “Attualità e prospettive del piano del consumatore sovraindebitato”, cit.).

[20] In dottrina, nei primi commenti resi all’indomani dell’analoga previsione normativa contenuta nel CCII, e poi a seguito dell’introduzione della norma nella l. 3/2012, la questione non risulta essere stata affrontata in modo diretto, anche se prevale, forse, l’orientamento per cui la norma operi laddove il contratto non sia stato ancora risolto.

Ad es., A. CRIVELLI osserva che l’autorizzazione del giudice al pagamento del debito scaduto rappresenterebbe una sorta di “sanatoria dell’inadempimento” e si chiede se ciò “impedirà una domanda ordinaria di risoluzione del contratto ove il ritardo sia di non scarsa importanza”, lasciando, forse, intendere che il rapporto non debba essere già risolto (A.CRIVELLI, “Il piano e la proposta nelle procedure di componimento della crisi da sovraindebitamento nella L. n. 3/2012 e nel CCII”, Il Fallimento, 6/2019); altri hanno preso atto che “la legge non dice se il giudice possa autorizzare il debitore a pagare le rate scadute anche nel caso in cui il contratto sia già risolto. Al riguardo la norma sembrerebbe volersi allineare allo spirito della legge che predica il tempestivo ricorso alle procedure di regolazione della crisi stimolando, dunque, il debitore ad un’attivazione celere fin dai primi inadempimenti delle rate scadute senza attendere effetti irreparabili per la sopravvivenza del contratto” (così G.BENVENUTO “La ristrutturazione dei debiti del consumatore”, nel volume di F.CESARE – C. VALCEPINA, “Sovraindebitamento, dalla tutela del debitore al recupero del credito”, Torino, dicembre 2020); S.MIGLIETTA, con riferimento all’analoga norma dell’art. 67 comma 5 CCII, richiede che la norma trovi applicazione quando il rapporto “non sia in sofferenza” (AA.VV., “Sovraindebitamento del consumatore e crisi di impresa. Lezioni del corso di alta formazione dell’Università del Piemonte Orientale”, a cura di CRACOLICI-CURLETTI-GARDELLA TEDESCHI, Milano, aprile 2021).

[21] Il provvedimento in rassegna, nella parte dispositiva, dispone: “PQM omologa il piano del consumatore proposto da X. Autorizza il ricorrente al pagamento in favore di X Banca, entro trenta giorni dalla data odierna, delle rate sino ad allora maturate secondo l’originario piano di ammortamento e degli interessi sulle stesse ed al pagamento di quelle successive alle relative scadenze”.

[22] La disposizione evoca l’autorizzazione al pagamento di un credito anteriore di cui all’art. 182 quinquies comma 5 l. fall. nell’ambito delle procedure maggiori, che richiede, tuttavia, una specifica attestazione che le prestazioni saldate sono essenziali per la prosecuzione della attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori.

[23] In realtà, è ragionevole ritenere che il meccanismo autorizzatorio previsto dal legislatore sia imposto più dalla necessità di derogare in modo espresso al divieto di pagamento dei crediti anteriori, che non a fissare tempi e modalità precise di adempimento.

[24] Mi pare aderiscano a tale orientamento M.BIANCHI – A.MICCIO, in “La moratoria nel sovraindebitamento”, www.dirittodellacrisi.it, aprile 2021, che si pongono, appunto, il “quesito se l’istanza in oggetto e la relativa autorizzazione giudiziale possano prevedere un termine, anche ampio per il pagamento dell’arretrato, oppure anche un suo pagamento rateale, magari in linea con il pagamento delle restanti rate del mutuo ipotecario”.

Detti Autori ritengono che “diversamente, ritorneremmo a formalizzare una pesante limitazione alla procedura, che andrebbe a limitare fortemente l’accesso alla medesima, dal momento che, nella stragrande maggioranza dei casi, il debitore giunge ad accedere al sovraindebitamento proprio perché in arretrato con il pagamento delle rate dei debiti contratti e, difficilmente, soprattutto nella fase iniziale della procedura, sarà in grado di pagare in un’unica soluzione ed immediatamente l’arretrato maturato.

Non dare la possibilità al debitore di avere il tempo, ragionevolmente inteso, di riallineare la prospettazione dei propri flussi attivi e passivi, che vanno riequilibrati proprio per mezzo della procedura, significa rendere fattibile, nella maggior parte dei casi, la sola liquidazione di tutto il proprio patrimonio”.

[25] Ex multis, Tribunale di Rimini 19 aprile 2018 (http://mobile.ilcaso.it/sentenze/ultime/20675) e 17 dicembre 2018 (http://mobile.ilcaso.it/sentenze/ultime/21050), est. Silvia Rossi, in questa Rivista; va segnalata, peraltro, la risalente decisione del Tribunale di Ascoli Piceno 4 aprile 2014, est. Agostini (http://mobile.ilcaso.it/sentenze/ultime/13731), ivi pubblicata, che ha ritenuto detto principio non applicabile al sovraindebitamento, in assenza di una norma specifica di legge.

In dottrina, si è affermato che l’applicazione di detto principio “non necessità di espliciti richiami testuali, poiché costituisce un carattere immanente e inderogabile della concorsualità” (C. AVOLIO, “Il nuovo piano del consumatore” in AA.VV., “La nuova disciplina del sovraindebitamento – Le riforme del diritto italiano”, diretto da M. Irrera e Stefano Cerrato, Torino, settembre 2021).

Nel nuovo CCII sorprende che il legislatore, malgrado l’assimilazione della disciplina del sovraindebitamento alle procedure negoziali maggiori, non abbia ritenuto di richiamare il divieto di alterazione delle cause legittime di prelazione, come invece stabilito espressamente nel concordato preventivo.

Ai nostri fini, si è tuttavia ribadito che “la proposta deve in ogni caso, rispettare l’ordine delle cause di prelazione tra creditori. Malgrado il silenzio legislativo sul punto, l’applicazione di questa regola alla ristrutturazione dei debiti del consumatore si ricava dalla natura concorsuale della procedura, che porta con sé l’applicazione delle regole che presiedono alla c.d. distribuzione verticale del patrimonio del debitore in procedura” (così D’ATTORRE, “Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza”, Torino, 2021, pag.345).

[26] E’ appena il caso di osservare che, nella vicenda al vaglio del Tribunale di Bari, la violazione dell’ordine dei privilegi in realtà non sussiste, trattandosi di una debitoria integralmente chirografaria (cui si aggiungono le prededuzioni di procedura e il credito privilegiato ipotecario); nel caso de quo, dunque, la destinazione di una quota dello stipendio al pagamento delle rate di mutuo non sottrae massa mobiliare interna al soddisfo di creditori assistiti da privilegio generale mobiliare.

[27] La proposta economica del piano esaminato dal giudice barese si fondava esclusivamente sui redditi futuri dei due coniugi, da lavoro dipendente; con essa i debitori si impegnavano a pagare, mediante il versamento mensile di una quota dello stipendio, il 100% delle spese prededucibili e il 35% dell’intera debitoria chirografaria (in prevalenza, credito al consumo), nell’ambito di una durata del piano indicata in sei anni.

A latere del predetto piano, la proposta prevedeva anche il pagamento della rata del mutuo ipotecario secondo l’originario piano di ammortamento con durata di 27 anni, sempre con provvista derivante dagli stipendi mensili dei debitori, avendo il gestore, evidentemente, accertato la sostenibilità di entrambe le rate, in relazione al fabbisogno mensile per il sostentamento della famiglia (composta anche da due figli minori).

[28] Il giudice in sede di omologa, osserva, infatti, che “il piano supera il giudizio di fattibilità di cui all’art. 12 bis l. cit. in quanto appare ragionevole la previsione di una durata di sei anni in quanto contenuta in un orizzonte temporale rispetto al quale può ragionevolmente esprimersi una valutazione positiva della capacità dei ricorrenti di farvi fronte, pur con le limitate risorse a disposizione”.

[29] Per cui “la disposizione in commento consente l’esclusione dal piano del creditore e del bene su cui cade la prelazione, in aderenza alla caratteristica della possibile non universalità delle procedure concordatarie a differenza della liquidazione controllata, la quale deve comprendere l’intero patrimonio del debitore” (A. CRIVELLI, “Il piano e la proposta nelle procedure di componimento della crisi da sovraindebitamento nella L. n. 3/2012 e nel CCII”, cit.).

[30] Almeno ogni qualvolta, come nel caso deciso dal giudice di Bari, la durata residua del mutuo ipotecario fosse di numerosi anni, prevalentemente oltre il decennio.

[31] In riferimento al piano del consumatore ed all’accordo, con dette pronunce la Cassazione ha ritenuto ammissibili piani di durata ultradecennale, essendo la questione della durata “suscettibile di esser compresa nella valutazione di convenienza, notoriamente riservata ai creditori, cui va data, in tal caso, la possibilità di esprimersi in merito alla proposta del debitore” (così Cass. 2019/27544, Cass. 2019/17834).

[32] Nella giurisprudenza di merito, sul tema va segnalata la decisione Tribunale di Rimini 10 giugno 2021, pres. Miconi, est. Rossi, inedita, resa in sede di reclamo in fattispecie, peraltro, non riguardante l’art. 8 1-ter l. 3/2012, che ha affrontato il tema del rapporto tra fattibilità e convenienza.

Il caso riguardava un mutuo ipotecario avente ad oggetto un bene immobile di proprietà del coniuge del sovraindebitato, di cui il debitore sarebbe rimasto garante fino al completamento dei pagamenti del piano di ammortamento, di durata di 25 anni.

Il Tribunale, nel dichiarare inammissibile la proposta confermando la valutazione di ‘durata irragionevole’ del piano formulata dal primo giudice, osservava che l’orizzonte temporale proposto, infatti, sottrae il piano da qualsiasi ragionevole giudizio prospettico di adempimento, posto che è scienza comune che archi temporali superiori al quinquennio siano non ponderabili nella loro verosimiglianza”.

Il Tribunale è giunto a tale conclusione pur “consapevole dell’orientamento di legittimità e di merito richiamato in atti dal reclamante (cfr. Cass. 17834/2019) dal quale, tuttavia, intende discostarsi in considerazione della diversità di ambiti della convenienza economica, da un lato, e della fattibilità economica, dall’altra.

Ad avviso del Collegio la convenienza economica - concetto in sé relativo in quanto da porsi in correlazione con i vantaggi per i creditori di cui all’alternativa liquidatoria - intanto può essere invocata quale sfera di autonoma valutazione riservata ai creditori in quanto la proposta sia economicamente fattibile. In altri termini, solo una proposta attuabile può essere messa al voto al fine di far esprimere al ceto creditorio la propria preferenza in ordine alla soluzione della crisi più confacente ai propri interessi.

E’ chiaro, allora, che il giudizio di fattibilità economica, riservato al giudice in fase di ammissione prima e di omologazione poi, debba precedere il giudizio di convenienza economica, riservato ai soggetti economici interessati dalla procedura. Non può dubitarsi, del resto, pur al cospetto di una disciplina lacunosa come quella della l. n. 3/12, che il giudice debba d’ufficio procedere a una tale verifica.

Nel caso di specie deve, peraltro, evidenziarsi che l’adempimento dell’accordo è affidato ad una sorta di finanza esterna rateale: il pagamento del piano di rimborso ultraventennale, infatti, è previsto non in capo al proponente ma in capo a soggetto diverso, delle cui condizioni economiche e delle prospettive lavorative manca una disamina approfondita in atti.

Ciò premesso, il Collegio ritiene che la previsione di un arco temporale di adempimento di circa 25 anni non consenta di effettuare un giudizio di attendibilità delle previsioni economiche indicate in atti e, dunque, della “tenuta” del piano. L’orizzonte temporale proposto, infatti, sottrae il piano da qualsiasi ragionevole giudizio prospettico di adempimento.”

[33] Al contrario, nel caso deciso dal Tribunale di Bari, come già osservato, il giudice ha omologato il piano osservando che esso “supera il giudizio di fattibilità di cui all’art. 12 bis l. cit. in quanto appare ragionevole la previsione di una durata di sei anni in quanto contenuta in un orizzonte temporale rispetto al quale può ragionevolmente esprimersi una valutazione positiva della capacità dei ricorrenti di farvi fronte, pur con le limitate risorse a disposizione”.

Tuttavia, considerato che il piano non prevede l’apporto di finanza esterna, è evidente che i coniugi dovranno provvedere alle rate mensili del mutuo in prosecuzione sempre accedendo ad una quota dei propri stipendi, al pari della quota destinata agli altri creditori, per cui anche detto impegno finanziario deve soggiacere all’unico giudizio di fattibilità del giudice, altrimenti viziato da irragionevolezza.

[34] Per cui l’OCC è onerato di attestare espressamente “che il credito garantito potrebbe essere soddisfatto integralmente con il ricavato della liquidazione del bene effettuata a valore di mercato e che il rimborso delle rate a scadere non lede i diritti degli altri creditori”

In dottrina si è chiarito che “si tratta di un’attestazione circa l’insussistenza di un difetto di convenienza che non esclude certamente l’eventuale richiesta di controllo da parte di un creditore dissenziente ma che è necessaria ai fini dell’ammissibilità stessa della proposta e che dev’essere quindi valutata d’ufficio dal giudice sotto il profilo della congruità della motivazione della relazione” (V.ZANICHELLI, “Uno sguardo sull’aggiornamento della disciplina sul sovraindebitamento”, in AA.VV. “Le crisi d’impresa e del consumatore dopo il d.l. 118/2021”, diretto da S.Ambrosini, Bologna, novembre 2021).

[35] La norma statuisce che, “verificate l'ammissibilità e la fattibilità del piano nonché l'idoneità dello stesso ad assicurare il pagamento dei crediti impignorabili e risolta ogni altra contestazione anche in ordine all'effettivo ammontare dei crediti, il giudice omologa il piano” (art. 12 -bis comma 3, l. 3/2012).

[36] Ci si chiede se, ipotizzando il mutuo ipotecario fuori dal piano, gli effetti propri del decreto di omologa, di cui agli art. 12-ter comma 2 e art. 13 comma 4, si estendano anche a tale rapporto ed al creditore prelazionario.

[37] In punto al diritto di voto, si pone il problema se riconoscere o meno il diritto di voto alla banca che subisce obtorto collo la prosecuzione del mutuo, spesso dopo un giudizio negativo sul merito creditizio che l’hanno indotta ad invocare la decadenza dal beneficio del termine; ciò alla luce del consolidato orientamento che consente accordi di lunga durata, prevedenti la moratoria ultrannuale nel pagamento dei crediti prelatizi, a condizione del riconoscimento del diritto di voto per la “perdita economica” connessa alla dilazione (Cass.17834/2019).

[38] L’inclusione del mutuo in prosecuzione nel piano o nell’accordo potrebbe condurre a riconoscere alla banca, in caso di inadempimento successivo del debitore nel pagamento delle rate, la possibilità di invocarne la risoluzione; piano o accordo che, dunque, si intenderà formalmente adempiuto solo al termine del lungo piano di ammortamento, ingenerando una situazione di oggettiva incertezza sull’esito della procedura, anche ai fini dell’esdebitazione.

Tale criticità è stata rilevata da Tribunale di Rimini 10 giugno 2021, cit., che ha argomentato osservando: “Occorre, allora, chiedersi quale siano le conseguenze di un eventuale mancato rispetto del piano per inadempimento […] La risposta è data dalla stessa l. n. 3/12 che all’art. 14 co. 2 consente a ciascun creditore, entro un anno dal termine dall’ultima scadenza prevista nel piano, di chiedere la risoluzione. […] Che la risoluzione non possa che avere natura retroattiva è evidente dal testo stesso della norma che fa salvi i soli diritti dei terzi medio tempore acquistati in buona fede (e non si dubita che i creditori non siano “terzi” ma “parti contraenti” dell’accordo raggiunto a maggioranza); […] sino al momento di adempimento integrale dell’accordo non decorre il diritto a richiedere la risoluzione dell’accordo medesimo. Dunque, è evidente come un adempimento previsto in un termine superiore al ventennio esponga tutto il ceto creditorio a instabilità e provvisorietà nella definizione dei rapporti giuridici ed economici”.

[39] MI permetto di rinviare al mio contributo sul tema, “Procedure di sovraindebitamento e classificazione dei crediti: il ritorno del debitore nel circuito bancario”, in questa Rivista, 4/2021, in cui richiamo il fatto che le regole bancarie consentono alla banca di mantenere la classificazione del credito come deteriorato (UTP) o addirittura a sofferenza anche dopo l’omologa del piano o dell’accordo, e ciò fino all’integrale adempimento dello stesso, cui consegue il mancato recupero di una piena agibilità bancaria del debitore malgrado l’intervenuta omologazione.

[40] L’art. 13 comma 2 l. 3/2012 stabilisce che l’OCC “vigila sull'esatto adempimento dell’accordo”, per cui si pone il tema del permanere delle funzioni in capo all’OCC per un notevole lasso di tempo, coincidente con il residuo piano di ammortamento del mutuo. La questione, peraltro, è stata affrontata incidentalmente, e apparentemente risolta, dalla Suprema Corte, per cui “la durata della procedura va computata con riguardo al decreto di omologa, non potendosi ricomprendere la fase esecutiva della stessa” (Cass. 2019/27544), decisione che richiama l’orientamento della stessa Cassazione per cui “in tema di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, deve escludersi la responsabilità dello Stato, con riferimento alla protrazione nel tempo dell'attività dei liquidatori nominati con la sentenza di omologazione del concordato preventivo, poiché, chiudendosi questo con il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione, ed essendo i liquidatori non organi della procedura pubblica, bensì mandatari dei creditori per il compimento di tutti gli atti necessari alla liquidazione dei beni ceduti, detta attività non rientra nell'organizzazione del servizio pubblico della giustizia” (cfr. Cass. n. 7021 del 2012).

[41] In dottrina, anche recentemente, riguardo i crediti impignorabili si è ribadito “l’evidente estraneità di questi creditori alla procedura” (così P.RUSSOLILLO, “La fase dell’esecuzione e le patologie nelle procedure di accordo di composizione della crisi e piano del consumatore”, in www.dirittodellecrisi.it, giugno 2021).

[42] Osservo che la legge prevede la risoluzione dell’accordo o la cessazione degli effetti del piano del consumatore, nei soli casi in cui a) il proponente non adempie agli obblighi derivanti dall'accordo, b) le garanzie promesse non vengono costituite, c) l'esecuzione dell'accordo diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore, non anche per il mancato pagamento dei crediti impignorabili; mentre l’art. 12 comma 4 prevede la cessazione degli effetti obbligatori dell’accordo omologato “in caso di risoluzione dell'accordo o di mancato pagamento dei crediti impignorabili”; la locuzione “o” lascia intendere l’esclusione dai casi di risoluzione di tale particolare inadempimento.

[43] Mi pare che a tale conclusione si pervenga in forza del combinato disposto dell’art. 12 comma 3 e art. 12 comma 4. In riferimento alle corrispondenti norme del CCII, in dottrina ci si è posti il quesito “Ma – è da chiedersi – cosa accadrebbe qualora il debitore, guadagnata l’omologazione del piano, in seguito non dovesse pagare le rate? Se il debitore è adempiente al piano di ristrutturazione, il creditore ipotecario potrebbe certamente promuovere l’esecuzione individuale, nella quale gli altri creditori non potrebbero intervenire, nemmeno al fine di conseguire il sopravanzo sul ricavato della vendita” (così S. LEUZZI, “Attualità e prospettive del piano del consumatore sovraindebitato”, cit.).

[44] Affinché si possa parlare di inadempimento la legge precisa che occorre il mancato pagamento di un ammontare equivalente a diciotto rate mensili e chiarisce che non costituiscono inadempimento i ritardati pagamenti che consentono la risoluzione del contratto ai sensi dell'articolo 40, comma 2 del T.U.B., ovvero le ipotesi di ritardato pagamento verificatosi almeno sette volte, anche non consecutive.

La fattispecie qui delineata sembra rivestire un'ipotesi di cd. patto marciano che, pur non avendo al momento ancora un riconoscimento legislativo codificato, è ritenuto legittimo dalla prevalente giurisprudenza. In tal senso appare dunque compatibile con il codice civile sotto il profilo del rispetto del divieto di patto commissorio, di cui all’articolo 2744 c.c., il quale dispone la nullità del patto col quale si conviene che “in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore”.

Nel cd. patto marciano, infatti, il creditore diventa proprietario della cosa ricevuta in garanzia, allorché il debitore non adempie, ma con determinate garanzie, rappresentata, appunto, dall’obbligo di stimare il bene e di versare al debitore l’eventuale eccedenza rispetto al debito residuo. Tale previsione può essere vantaggiosa anche per il debitore, dal momento che l'espropriazione e la vendita coattiva del bene realizzano, di regola, un valore inferiore a quello effettivo del bene stesso.

[45] In tal senso, Tribunale di Cagliari 4 gennaio 2021, in www.altalex.it.

[46] Ci si chiede, peraltro, ai fini della rinegoziazione o della concessione del nuovo finanziamento, quante chance effettive possa avere il debitore pignorato di superare il giudizio di ‘merito creditizio’ della banca … Autorevole dottrina ha giustamente osservato che “il merito creditizio – il rilievo appare perfino ovvio – in questa peculiare fattispecie non può essere interpretato alla stregua di un qualsiasi finanziamento, bensì deve essere inteso alla luce della ratio nella norma (ispirata al sostegno di debitori che hanno avuto pignorata la casa di abitazione) e tenuto conto della garanzia statale che assisterà il nuovo finanziamento, rinegoziato o in surroga” (A. DIDONE, “Note minime sull’art. 40 ter del decreto sostegni: prime applicazioni di una nuova esdebitazione”, in Crisi e Risanamento, 21 ottobre 2021).


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