Sovraindebitamento


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 14/07/2021 Scarica PDF

Le azioni del liquidatore nella liquidazione del sovraindebitato (Artt. 14 decies l. 3/2012 e 274 CCII)

Astorre Mancini, Avvocato del Foro di Rimini, Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto Fallimentare all'Università degli Studi di Milano - Bicocca


Sommario: 1. La norma riformata. 2. La revocatoria ordinaria nella liquidazione: criticità. 3. Effetti della procedura sui giudizi pendenti. 4. L’accertamento dei crediti al di fuori della liquidazione. 5. Natura della legittimazione del liquidatore. 6. Riferimenti bibliografici e giurisprudenziali.

 

Alcune recenti pronunce di merito offrono lo spunto per una ricognizione del tema della legittimazione processuale del liquidatore nella procedura di liquidazione dei beni[1].

   

1. La norma riformata.

Come noto, la miniriforma di dicembre 2020 (l. 176/2020) ha apportato significative modifiche all’art. 14 decies l. 3/2012 rubricato “azioni del liquidatore”, anticipando sostanzialmente la stessa formulazione adottata all’art. 274 CCII nell’ambito della liquidazione controllata del sovraindebitato[2], fugando così numerose incertezze interpretative.

Prima della miniriforma la norma consentiva l’esercizio delle sole azioni di recupero dei crediti, di rivendicazione o restituzione dei beni del sovraindebitato da liquidare (la norma si riferiva, appunto, alle azioni “finalizzate a conseguire la disponibilità dei beni compresi nel patrimonio”) e si dibatteva in dottrina se il liquidatore fosse legittimato all’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria prevista dal codice civile, con un maggior favore per la soluzione che negava detta legittimazione[3]; la riforma chiarisce ora che anche l’azione revocatoria rientra tra le iniziative giudiziali espressamente demandate al liquidatore.

La norma attuale assegna al liquidatore, dunque, poteri di legittimazione più ampi, un ampio novero di azioni finalizzate al recupero od al conseguimento di utilità per la procedura[4], che si aggiungono alle previsioni normative ad hoc in tema di potere espressamente riconosciuto al liquidatore di subentrare nelle esecuzioni pendenti e di avviare o proseguire le azioni per consegna o rilascio, di cui rispettivamente agli artt. 14 novies e quinquies l. 3/2012.

Novità interessante, peraltro, è il regime autorizzatorio introdotto con la riforma dell’art. 14 decies , considerato che per l’esercizio delle azioni ivi previste è ora necessaria l’autorizzazione del giudice, mentre nella precedente formulazione della norma detto esercizio era svincolato dalla preventiva autorizzazione giudiziale[5].

Ancora, la riforma ha introdotto (per la prima volta nella l. 3/2012) il criterio del “miglior soddisfacimento dei creditori”, alla stregua del quale il giudice formerà il proprio convincimento ai fini dell’autorizzazione[6].

 

2. La revocatoria ordinaria nella liquidazione: criticità.

Con la nuova formulazione dell’articolo in commento, dunque, viene prevista espressamente la possibilità per il liquidatore di esercitare l’azione revocatoria ordinaria, con il chiaro riferimento al codice civile che esclude ogni rinvio alla revocatoria “fallimentare”, al pari di quanto previsto nell’art. 274 CCII[7].

A ben vedere, tuttavia, il codice civile prevede anche un’altra azione diretta, in qualche modo, “a far dichiarare inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori”, rappresentata dallo strumento ora fornito dall’art. 2929 bis c.c.[8], per cui non v’è ragione per escludere tale opportunità dal novero delle azioni esperibili dal liquidatore ex art. 14 decies l. 3/2012, ancorché l’azione sia più propriamente esecutiva che revocatoria.

L’esperibilità della sola revocatoria “ordinaria”, peraltro, evidenzia alcuni problemi applicativi concreti, sia in ragione delle peculiarità della procedura liquidatoria, sia perché restano al di fuori del perimetro di detta azione giudiziale una serie di atti del debitore non diversamente aggredibili.

Basti dire che il liquidatore, in assenza dei rimedi propri della revocatoria fallimentare, non potrà revocare il pagamento di debiti scaduti che il sovraindebitato avesse effettuato nell’imminenza dell’apertura della liquidazione, a ciò ostando il disposto del c.3 dell’art. 2901 c.c.

Allo stesso modo, a) l’atto a titolo gratuito posto in essere dal sovraindebitato nel biennio anteriore o b) il pagamento di debiti non ancora scaduti alla data dell’apertura della liquidazione[9], non saranno per ciò solo colpiti da inefficacia ma restano assoggettati al più rigoroso regime probatorio dell’azione revocatoria ordinaria, che impone al liquidatore la prova della conoscenza del pregiudizio e della mala fede del terzo [10].

Inoltre, è ragionevole ritenere che il liquidatore andrà incontro alle medesime difficoltà già emerse nelle procedure fallimentari in applicazione dell’art. 66 l. fall., in qualche modo risolte in sede giurisprudenziale[11].

In altri termini, l’azione revocatoria ordinaria, come strutturata dal codice civile, dovrà subìre i necessari adattamenti imposti dalla natura concorsuale della liquidazione del patrimonio, al pari di quanto avviene in ambito fallimentare:a titolo esemplificativo, ove il liquidatore dovesse “proseguire” ex art. 14 decies l’azione revocatoria ordinaria avviata da un singolo creditore prima della liquidazione, questa avrà effetto sostanzialmente recuperatorio, non potendo trovare applicazione il disposto dell’art. 2902 c.1 c.c.[12]; allo stesso modo, è ragionevole ritenere che non potrà operare il meccanismo di postergazione delle ragioni creditorie del terzo soccombente, di cui al c.2 dell’art. 2902 c.c.[13], che dovrebbe concorrere al passivo della liquidazione al pari degli altri creditori[14].

 

3. Effetti della procedura sui giudizi pendenti.

Se, dunque, l’art. 14 decies è chiaro nel prevedere che il liquidatore ha facoltà di proseguire o avviare le azioni volte ad acquisire i beni del patrimonio del sovraindebitato, nondimeno residuano margini di incertezza in ordine al tipo di successione dello stesso nella legittimazione del debitore.

La prima difficoltà deriva dal fatto che, malgrado il nuovo art. 14 decies risulti modellato sull’art. 274 CCII, il legislatore della miniriforma della l. 3/2012 non ha disposto nulla in ordine agli effetti dell’apertura della liquidazione sui giudizi pendenti, in particolare circa l’interruzione degli stessi, mentre opportunamente il CCII prevede all’art. 270 c.2 CCII che alla liquidazione controllata “si applicano l’art. 143 in quanto compatibile e gli articoli 150 e 151”[15].

Ciò significa che, nell’attuale vigenza della l. 3/2012, all’apertura della liquidazione del patrimonio ex art. 14 ter non consegue alcuna interruzione dei giudizi in corso che vedono convenuto o attore il sovraindebitato ammesso alla procedura[16].

L’accesso alla liquidazione determina dunque la prosecuzione del giudizio promosso dal terzo nei confronti del sovraindebitato prima della procedura, se è vero che il divieto di cui all’art. 14 quinquies, c. 2, lett. b), deve ritenersi esteso esclusivamente alle azioni esecutive e a quelle cautelari, ma non anche alle domande introduttive di giudizi di cognizione, analogamente a quanto avviene per la procedura di concordato preventivo, ove è pacifico che nonostante la disposizione di cui all’art. 168 l. fall. - di tenore analogo a quella di cui alla predetta lett. b) - ogni eventuale pretesa verso il debitore deve essere accertata con le forme ordinarie[17] [18].

 

4. L’accertamento dei crediti al di fuori della liquidazione.

Se è, quindi, opinione comune che l’accesso alla liquidazione del patrimonio non determini l’interruzione dei giudizi in corso - nel silenzio della l. 3/2012 ed attesa l’impossibilità di richiamo della normativa fallimentare – ci si chiede se l’accertamento del passivo possa avvenire al di fuori della procedura liquidatoria (nell’ambito, per esempio, di una normale azione monitoria o di cognizione ordinaria che, abbiamo visto, proseguirà anche una volta aperta la liquidazione), o se il procedimento ‘semplificato’ previsto dalla l. 3/2012 per l’accertamento dei crediti attrae a sé in via esclusiva la verifica del passivo.

Ancora una volta l’orientamento prevalente di dottrina e giurisprudenza prende atto che nell’attuale configurazione della l. 3/2012 manca ogni riferimento o rinvio ad una disposizione analoga all’art. 52 l. fall.[19], la cui applicazione analogica al sovraindebitamento risulta inammissibile atteso il carattere eccezionale della disposizione[20].

Ciò significa, ragionevolmente, che il terzo potrà chiedere l’accertamento del proprio credito al di fuori della liquidazione ex art. 14 ter, al pari di quanto avviene nel concordato preventivo[21], essendo, peraltro, molto ricorrente la fattispecie del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dalla banca mutuante, promosso dal sovraindebitato ed ancora pendente alla data di apertura della procedura di liquidazione[22].

Inoltre, per le stesse ragioni può affermarsi che non operano nella procedura di liquidazione le regole vigenti nel fallimento per cui il credito deve essere fondato su documentazione avente data certa anteriore alla dichiarazione di apertura della procedura, ai fini dell’opponibilità del titolo alla stessa[23].

 

5. Natura della legittimazione del liquidatore.

L’orientamento che esclude l’applicazione alla liquidazione dei beni del sovraindebitato dei principi dell’interruzione dei giudizi pendenti e dell’esclusività dell’accertamento dello stato passivo, valevoli in ambito fallimentare, porta con sé la questione della natura della legittimazione prevista dalla l. 3/2012 in capo al liquidatore.

E’ chiaro fin da subito che l’art. 14 decies gli attribuisce una legittimazione attiva, con riferimento a specifiche azioni, ma nulla dispone in ordine alla legittimazione passiva, ancorché anche nella liquidazione ex art. 14 ter operi l’effetto dello spossessamento dei beni in favore del liquidatore (art. 14 quinquies, c. 2, lett. e)[24].

Limitando queste note ad una ricognizione delle posizioni espresse dalla giurisprudenza[25], si osserva che gli orientamenti non sono univoci e si riscontrano decisioni con accenti diversi. L’opinione maggioritaria è, comunque, nel senso per cui la legittimazione del liquidatore va riconosciuta solo dal lato attivo e per l’esercizio circoscritto di determinate azioni[26], cosicché “il liquidatore non subentra nei rapporti passivi (di tipo patrimoniale) del debitore, che ne rimane pienamente titolare”[27].

In ordine alla tipologia di legittimazione ritenuta attribuita al liquidatore, il disposto del citato art. 14 decies va coordinato con la norma che assegna al liquidatore l’amministrazione dei beni del debitore, contenuta nell’art. 14 novies c.2 primo periodo l. 3/2012. Dal coordinamento di queste due disposizioni si è ravvisata una peculiare fattispecie di sostituzione processuale a norma dell'art. 81 c.p.c., che legittima il liquidatore a fare valere nel processo in nome proprio i diritti patrimoniali del soggetto sovraindebitato, ovvero i diritti che riguardano esclusivamente la gestione del suo patrimonio[28].

Non mancano, peraltro, opinioni differenti che hanno ritenuto che il liquidatore sia titolare di una legittimazione di carattere straordinario e surrogatorio, per cui nei giudizi attivi diretti all’acquisizione del patrimonio destinato alla liquidazione il debitore è ritenuto litisconsorte necessario[29].

Per quanto esposto, il quadro innanzi descritto è destinato a mutare con l’entrata in vigore del Codice della Crisi che, come già osservato, prevede espressamente anche per la liquidazione controllata l’interruzione dei giudizi in corso e l’esclusività del procedimento di verifica dello stato passivo, così operando un ulteriore allineamento del sovraindebitamento alle procedure maggiori, con la semplificazione dei profili di legittimazione su cui ci siamo soffermati.

   

6. Riferimenti bibliografici e giurisprudenziali

 

a) Giurisprudenza

Cass. 27 settembre 2017 n. 22596, in

http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/

Tribunale di Verona 13 gennaio 2020, in questa Rivista

Tribunale di Mantova 23 gennaio 2020, in questa Rivista

Tribunale di Firenze 11 giugno 2020, in www.quotidianogiuridico.it

 

Sono in corso di pubblicazione su questa Rivista le seguenti decisioni:

Tribunale di Udine 20 febbraio 2021

Tribunale di La Spezia 2 aprile 2021,

Tribunale di Milano 31 maggio 2021

Tribunale di Bologna 15 giugno 2021


b) Dottrina

D’ATTORRE, “Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza”, Torino, febbraio 2021

DONZELLI, in “Il procedimento di liquidazione del patrimonio”, in Il Civilista, Milano, 2013

LAMANNA, “Il nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza”, Il civilista, giugno2019

LEUZZI, “La liquidazione del patrimonio dei soggetti sovraindebitati tra presente e futuro”, Ilcaso.it, marzo 2019

MAFFEI ALBERTI, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013

TRENTINI, “Le procedure di sovraindebitamento l. 3/2012 e Codice della crisi d’impresa”, Milano, 2021

VITIELLO, “Atti in frode ai creditori e procedura di liquidazione del sovraindebitato”,Il Fallimentarista,settembre 2017

ZANICHELLI, “Il corposo restyling della legge sul sovraindebitamento”, Il Fallimento, 4/2021



[1] Ci riferiamo a Tribunale di Milano 31 maggio 2021, est. dr. Barbieri; Tribunale di La Spezia 2 aprile 2021, est. dr. Gaggioli; Tribunale di Udine 20 febbraio 2021, est. dr. Zuliani; in corso di pubblicazione su questa Rivista, su cui torneremo nel presente lavoro.

[2] La norma dell’art. 14 decies l. 3/2012ricalca pressoché l’art. 274 CCII disponendo che: “1. Il liquidatore, autorizzato dal giudice, esercita o, se pendente, prosegue ogni azione prevista dalla legge finalizzata a conseguire la disponibilità dei beni compresi nel patrimonio del debitore e ogni azione diretta al recupero dei crediti. 

2. Il liquidatore, autorizzato dal giudice, esercita o, se pendenti, prosegue le azioni dirette a far dichiarare inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile. 

3. Il giudice autorizza il liquidatore ad esercitare o proseguire le azioni di cui ai commi 1 e 2, quando è utile per il miglior soddisfacimento dei creditori”. 

La disposizione nella formulazione precedente recitava :

“1. Il liquidatore esercita ogni azione prevista dalla legge finalizzata a conseguire la disponibilità dei beni compresi nel patrimonio da liquidare e comunque correlata con lo svolgimento dell'attività di amministrazione di cui all'articolo 14-novies, c.2. Il liquidatore può altresì esercitare le azioni volte al recupero dei crediti compresi nella liquidazione”.

[3] Già VITIELLO, in “Atti in frode ai creditori e procedura di liquidazione del sovraindebitato”, in Il Fallimentarista, 21.09.2017, osservava che “l’art. 14 decies l. 3/2012 riserva al liquidatore nominato dal giudice la legittimazione ad agire in giudizio in luogo del debitore nelle sole cause recuperatorie, o restitutorie e di rivendicazione, in cui la sostituzione processuale del liquidatore al debitore discenda dallo spossessamento di quest’ultimo. Tra queste cause non è compresa quella revocatoria prevista dagli artt. 2901 ss.cc., né esiste nella legge n. 3/2012 una norma equivalente a quella di cui all’art. 66 l. fall., che conferisce al curatore fallimentarela legittimazione a proseguire o iniziare in luogo dei creditori concorsuali una causa revocatoria ordinaria”. Nello stesso senso, cfr. LAMANNA, “Il nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza”, Il civilista, giugno2019.

La criticità di tale orientamento poteva rinvenirsi nel carattere concorsuale della procedura, incompatibile con la previsione della prosecuzione dell’azione revocatoria ordinaria a vantaggio del singolo creditore procedente.

Contra, nel senso della legittimazione del liquidatore all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria anche in vigenza della precedente formulazione dell’art. 14 decies, si era affermato che malgrado la l. 3/2012 non contenesse una disciplina specifica, non vi era alcun dubbio che il liquidatore, in presenza dei presupposti, potesse esperire l’azione revocatoria ordinaria ai sensi dell’art. 2901 c.c. (MAFFEI ALBERTI, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013, 2072).

Così anche LEUZZI, in “Liquidazione del patrimonio dei soggetti sovraindebitati tra presente e futuro”, in questa Rivista, marzo 2019, per cui “pur in difetto di una disposizione specifica come quella contenuta nell'art. 66 l.fall., l'art. 14 decies riconosce al liquidatore la legittimazione a promuovere ogni azione mirata a conseguire la disponibilità dei beni oggetto di liquidazione o che comunque si palesi correlata con lo svolgimento dell'attività di amministrazione. L’ampiezza del riferimento permette di reputare incluse nel suo campionario tutte le azioni reintegrative del patrimonio del debitore, comprese, oltre alle revocatorie ordinarie, le azioni di simulazione(pag.54).

[4] Tribunale di Udine 20 febbraio 2021, est. dr. Zuliani, ha aperto una procedura di liquidazione mandando al liquidatore “di procedere anche alla liquidazione del patrimonio immobiliare attribuibile iure hereditatis a X e di esperire le azioni necessarie all’acquisizione del valore della quota di legittima a lei spettante (v. art. 14-decies)”.

[5] Peraltro, mi pare condivisibile l’opinione di chi ritiene che la nomina del legale spetti al liquidatore e non al giudice, in analogia alla disciplina fallimentare (così ZANICHELLI, “Il corposo restyling della legge sul sovraindebitamento”, Il Fallimento, 4/2021, p.457).

[6] Interessante, in tal senso, quanto previsto dal Tribunale di Bergamo con l’Ordine di Servizio n.2/2021 emanato in data 17 maggio 2021, per cui, ai fini dell’autorizzazione alle azioni, “il liquidatore nell’istanza dovrà sempre riportare la natura dell’azione, i riscontri probatori a disposizione, il valore della richiesta e criteri di quantificazione della medesima, l’eventuale parere del legale incaricato (se acquisito), l’illustrazione delle concrete prospettive di recupero anche in relazione ai tempi che si prognosticano necessari, la stima delle spese legali, le condizioni patrimoniali della controparte” (la circolare si legge in www.dirittodellacrisi.it).

[7] A commento dell’art. 274 CCII si è osservato, infatti, che “l’apertura della procedura controllata non produce specifici effetti nei confronti degli atti pregiudizievoli ai creditori compiuti dal debitore prima della procedura. La disciplina delle azioni revocatorie [fallimentari, n.d.r.] non è richiamata e non è applicabile in via analogica. Vi è solo la possibilità per il liquidatore di avviare o, se pendenti, proseguire le azioni revocatorie ordinarie ex art. 2901 c.c., che prima della procedura i singoli creditori potevano esercitare contro gli atti dei debitori” (D’ATTORRE, “Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza”, Giappichelli Editore, febbraio 2021, pag.376).

[8] La norma, entrata in vigore nel giugno 2015, prevede che “il creditore che sia pregiudicato da un atto del debitore, di costituzione di vincolo di indisponibilità o di alienazione, che ha per oggetto beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri, compiuto a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito, può procedere, munito di titolo esecutivo, a esecuzione forzata, ancorchè non abbia preventivamente ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia, se trascrive il pignoramento nel termine di un anno dalla data in cui l'atto è stato trascritto”.

[9] Sono le fattispecie di inefficacia previste espressamente dagli artt. 64 e 66 l. fall., trasfusi negli artt. 163 e 164 CCII, in alcun modo disciplinate nella l. 3/2012.

[10] Problemi analoghi si pongono in riferimento agli atti pregiudizievoli posti in esseredal sovraindebitato e rientranti nella previsione della revocatoria fallimentare, quali il pagamento con mezzi anormali, la conclusione di un contratto con evidente squilibrio del sinallagma, la dazione di garanzia per un credito che ne era in origine sprovvisto, tutti atti per i quali non opera in favore del liquidatore il ribaltamento dell’onere della prova di cui beneficia invece il curatore con l’azione revocatoria “fallimentare”.

[11] Si consideri, ad esempio, la graduazione dell’elemento soggettivo ex art.2901 c.c. in relazione all’anteriorità o posteriorità dell’atto in relazione al credito; come noto, la giurisprudenza ha sfumato questa distinzione osservando che in ambito fallimentare “vige il principio secondo cui il risultato utile dell'azione revocatoria ordinaria esercitata dal curatore ai sensi dell'art 66 legge fall. giova indistintamente a tutti i creditori ammessi al passivo, compresi quelli il cui credito sia sorto posteriormente all'atto revocato, senza che, riguardo a questi ultimi, il curatore sia tenuto a dimostrare la dolosa preordinazione di cui alla seconda parte dell'art 2901, n 2, cod. civ.” (Cass. I sez. 27 settembre 2017 n. 22596, est. Terrusi); peraltro, la stessa S.C. ha precisato che il Curatore che esercita l’azione ex art. 66 l. fall. ha l’onere di dimostrare che almeno alcuni dei creditori ammessi al passivo fossero già tali al momento del compimento dell’atto pregiudizievole (Cass. 2008/26331).

[12] Per cui “il creditore, ottenuta la dichiarazione di inefficacia, può promuovere nei confronti dei terzi acquirenti le azioni esecutive o conservative sui beni che formano oggetto dell'atto impugnato”.

[13] Che stabilisce che“il terzo contraente, che abbia verso il debitore ragioni di credito dipendenti dall'esercizio dell'azione revocatoria, non può concorrere sul ricavato dei beni che sono stati oggetto dell'atto dichiarato inefficace, se non dopo che il creditore è stato soddisfatto”.

[14] Il condizionale è d’obbligo ove si consideri che la riforma dell’art. 14 decies– come pure, ad onor del vero, il nuovo CCII -nulla dispone in ordine alla deroga della regola della postergazione del terzo revocato ex art. 2902 c.2 c.c., non avendo il legislatore richiamato l’attuale disciplina fallimentare dell’art. 70 c.2 l. fall. (futuro art. 171 c.2 CCII) in forza del quale “colui che, per effetto della revoca prevista dalle disposizioni precedenti, ha restituito quanto aveva ricevuto è ammesso al passivo fallimentare per il suo eventuale credito”.

[15] Ai nostri fini, l’art. 143 c.3 CCII – richiamato espressamente nella liquidazione controllata del sovraindebitato, appunto, dall’art. 270 CCII- dispone che “l’apertura della liquidazione giudiziale determina l’interruzione del processo”, in modo del tutto analogo all’attuale art. 43 c.3 l. fall., previsione assente nella l.3/2012.

[16] Sul carattere eccezionale dell’art. 43 l. fall. dettato in tema di interruzione dei giudizi, tra le prime si segnala Tribunale di Verona 13 gennaio 2020, est. dr. Pagliuca, in questa Rivista, per cui “la disciplina della l. 3/2012 non contempla disposizioni analoghe a quelle previste in sede fallimentare come l’art. 43 l. fall., che impone l’interruzione delle cause con subentro del liquidatore, di cui non può predicarsi l’applicazione analogica alla procedura di liquidazione del patrimonio”; nello stesso senso, Tribunale di Milano 31 maggio 2021, est. dr. Barbieri, in corso di pubblicazione su questa Rivista.

[17] Si dica che nella prassi professionale spesso si riscontrano situazioni in cui il liquidatore nominato deve fare i conti con un giudizio civile pendente in cui è parte il sovraindebitato, essendo numerose le statuizioni al riguardo della giurisprudenza di merito.

Per esempio, Tribunale di Mantova 23 gennaio 2020, in questa Rivista, in sede di reclamo promosso da un terzo creditore avverso il decreto di apertura della liquidazione ex art. 14 ter l. 3/2012, ha deciso una vicenda in cui all’avvio della procedura risultava pendente una causa civile di cognizione ordinaria, che vedeva convenuto il sovraindebitato ammesso alla procedura, ed in particolare una domanda di risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c. avente ad oggetto un contratto di compravendita di beni strumentali aziendali.

Il creditore istante, attore nel giudizio di risoluzione, affermando di avere diritto alla restituzione dei cespiti venduti, aveva dedotto che la proposta di liquidazione non sarebbe stata realizzabile nei termini proposti, prevedendo essa un soddisfo dei creditori con il ricavato della liquidazione di benireclamati dal medesimo creditore, che agiva per il diritto alla restituzione.

Il tribunale ha quindi accolto il reclamo dichiarando inammissibile la procedura di liquidazione, in quanto la predetta domanda giudiziale “ha effetto retroattivo ai sensi dell’art. 1458 c.c. e non vi è dubbio che la pronuncia di definizione del giudizio in questione sarebbe opponibile al debitore ammesso alla procedura di liquidazione del patrimonio essendo stata la domanda giudiziale instaurata anteriormente alla proposizione del ricorso e, d’altro canto, non comportando l’apertura del procedimento ai sensi della legge n. 3/2012 un effetto interruttivo dei giudizi di cognizione in corso”.

[18] In questi termini mi pare concluda anche Tribunale di Milano 31 maggio 2021, cit., percui “l’azione di convalida di sfratto per morosità proposta contro il sovraindebitato prima dell’introduzione della domanda introduttiva della procedura di liquidazione giudiziale rimane procedibile anche successivamente all’apertura della medesima procedura da sovraindebitamento”.

[19] L’art. 52 l. fall. stabilisce il principio dell’esclusività dell’accertamento del passivo, disponendo che ogni credito, anche se munito di diritto di prelazione o trattato ai sensi dell’art.111 c.1, n. 1), nonché ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare, deve essere accertato secondo le norme stabilite dal Capo V, salvo diverse disposizioni della legge”.

[20] In giurisprudenza, oltre alle pronunce già citate, si è pronunciato in tal senso il Tribunale di La Spezia con la decisione 2 aprile 2021, est. Gaggioli.

[21] Mi pare questo l’orientamento seguito dal Tribunale di La Spezia nella citata decisione, di cuinon è inutile trascrivere parte della motivazione, in considerazione della valenza generale del ragionamento svolto dal giudicante :

Con riferimento alla procedura di liquidazione del patrimonio non sussiste norma analoga a quella prevista per la procedura fallimentare dall’art. 52 co. 2 RD 267/142 in punto di necessario accertamento in sede endo-fallimentare, tramite la formazione del passivo, dei crediti nei confronti del fallito.

In primo luogo il creditore ha l’onere di formulare domanda di partecipazione alla liquidazione ex art. 14septies l. 3/2012 al fine dell'accertamento del proprio credito in sede endo-procedurale secondo i canoni della cognizione sommaria, nelle forme previste dall’art. 14octies l. 3/2012.

In secondo luogo il creditore può ottenere l’accertamento del proprio credito anche in sede eso-procedurale, ed in specie tramite processi di cognizione ordinaria già pendenti alla data dell'apertura della procedura di liquidazione e proseguiti nelle more della medesima procedura oppure instaurati successivamente alla data dell'apertura della procedura di liquidazione.

L'accertamento del credito in sede eso-procedurale può essere richiesto anche dal liquidatore oppure da altri creditori diversi dal titolare del credito di cui si chiede l'accertamento.

I rapporti tra l'accertamento endo-procedurale e l'accertamento eso-procedurale, in ragione della cognizione sommaria che connota l'accertamento endo-procedurale e della cognizione ordinaria che connota l'accertamento eso-procedurale, comportano la prevalenza dell'accertamento eso-procedurale anche se contenuto in sentenza non ancora passata in giudicato.

L'esito dell'accertamento del credito in sede endo-procedurale non è vincolante rispetto al successivo accertamento del credito in sede eso-procedurale ove il credito può essere accertato in misura diversa (inferiore o superiore) rispetto a quella pregressa.

L'esito dell'accertamento del credito in sede eso-procedurale è vincolante rispetto al successivo accertamento del credito in sede endo-procedurale ove l'accertamento si uniforma necessariamente a quello pregresso.

L'esito dell'accertamento del credito in sede eso-procedurale, qualora successivo all'accertamento del credito in sede endo-procedurale, ne comporta la rettifica (tramite provvedimento del Giudice della procedura di sovraindebitamento ad istanza di parte o del liquidatore) al fine di uniformare il pregresso accertamento endo-procedurale al successivo accertamento eso-procedurale”.

[22] Nello stesso senso del giudice ligure, in riferimento alla decisione citata in nota 21, si è pronunciato Tribunale di Verona 13 gennaio 2020, cit., in un caso in cui all’atto dell’apertura della procedura di liquidazione risultava pendente un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto da una banca a carico del sovraindebitato, munito di provvisoria esecutorietà e titolo in base al quale era stata iscritta ipoteca giudiziale sui beni dell’ingiunto. Il liquidatore aveva riconosciuto il credito ma in chirografo, ritenendo non opponibile alla procedura la prelazione ipotecaria ottenuta su titolo non passato in giudicato.

Il tribunale veronese, nell’accogliere la doglianza della banca, ha osservato che “in assenza di disposizioni espresse di senso contrario, deve ritenersi (analogamente a quanto avviene nell’ambito del concordato preventivo, ove è pacifico che ogni eventuale pretesa creditoria verso il debitore in procedura deve essere accertata con le forme ordinarie dinanzi al giudice ordinario) che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo possa legittimamente proseguire (come in effetto è avvenuto) e che quanto sarà statuito in quella sede con efficacia di giudicato avrà carattere vincolante anche nella presente procedura, ai fini dell’ammissione della pretesa al passivo e quindi ai fini della partecipazione al concorso sui beni del sovraindebitato.

E, di conseguenza, deve ritenersi che anche l’ipoteca iscritta in forza del d.i. provvisoriamente esecutivo, nel caso in cui il giudizio dovesse concludersi con la conferma della pretesa creditoria della ricorrente, si consoliderà definitivamente e sarà quindi opponibile e pienamente efficace nei confronti della procedura.

Piuttosto, proprio in ragione dell’efficacia vincolante che avrà l’esito del predetto giudizio anche nella presente procedura, appare corretto in questa sede procedere all’ammissione dell’intero credito, in via ipotecaria, come richiesto, ma subordinatamente alla condizione che, all’esito della definizione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo con statuizione definitiva, la pretesa creditoria della banca sia integralmente confermata, con conseguente consolidamento definitivo anche dell’ipoteca giudiziale già iscritta”.

In senso contrario, a favore dell’applicazione analogica al sovraindebitamento del principio dell’esclusività dell’accertamento del passivo, si rinviene il parere reso in data 17.6.2021 dalla Redazione di Fallco, nell’apposita sezione Forum, su fattispecie del tutto identica, per cui “la prima domanda da porsi è se quel giudizio di opposizione può continuare o la banca creditrice debba far valere il suo credito al passivo in forza del principio della esclusività dell'accertamento del passivo; la difficoltà sta nel fatto che la l.3/2012 non contiene una norma analoga a quella di cui al c.2 dell'art. 52 l.f.

Tuttavia, a nostro avviso, poiché la legge regola un procedimento per l'accertamento del passivo con sue peculiari caratteristiche, è da ritenere che questo sia lo strumento unico da utilizzare da parte dei creditori per partecipare alla distribuzione dei beni del debitore, che comunque subisce uno spossessamento.

Ossia il legislatore ha previsto un rito speciale per l'accertamento del passivo (abbastanza ibrido che si avvicina più a sistema della liquidazione coatta che a quello fallimento), che non avrebbe senso ove non dovesse essere obbligatoriamente utilizzato per chi vuol partecipare al concorso sui beni del debitore, avendo evidentemente ritenuto che solo quel rito sia idoneo nella peculiarità della procedura in questione a selezionare i creditori che vi possono partecipare.

Se è così, si deve applicare la stessa soluzione offerta dalla giurisprudenza al trattamento del D.I. opposto al momento della dichiarazione di fallimento dell'ingiunto e cioè che quel procedimento non può continuare e il creditore che disponga di un decreto ingiuntivo non dichiarato definitivamente esecutivo prima dell'apertura della procedura deve formulare domanda di ammissione al passivo, ove non può avvalersi di tale titolo, che è come se non esistesse, per dimostrare il proprio credito”.

Il parere si legge all’indirizzo web :

https://www.fallcoweb.it/forum/discussione.php?argomento_id=pyYKJ79l8W&discussione_id=Dr9qYoE9EA&filter=testi|art.%2052%20l.f.^

[23] Così Tribunale di Firenze 11 giugno 2020, in www.dejure.it, per cui nella liquidazione ex art. 14 ter l. 3/2012, proprio per il mancato richiamo dell’art. 52 l. fall., non opera il principio valevole in ambito fallimentare secondo il quale è inopponibile alla procedura il decreto ingiuntivo non munito, prima della dichiarazione di fallimento, di decreto di esecutorietà ex art. 647 c.p.c., dovendo il credito essere accertato nel concorso dei creditori, secondo le regole stabilite dagli artt.92 ss. l. fall., in sede di accertamento del passivo, attraverso la disamina della documentazione sulla base della quale si fonda il credito.

[24] In giurisprudenza, recentemente, ritiene che nella liquidazione dei beni ex art 14 ter l. 3/2012 si determini un effetto di spossessamento del tutto analogo al fallimento, Tribunale di Bologna 15 giugno 2021, est. Rimondini, inedita.

[25] In merito alle posizioni assunte dalla dottrina, oscillanti tra coloro che ritengono che la legittimazione passiva permanga integralmente in capo al debitore e chi invece la consideri trasferita al liquidatore, si rinvia all’ottimo lavoro di TRENTINI, “Le procedure di sovraindebitamento l. 3/2012 e Codice della crisi d’impresa”, Milano, 2021, pag. 592.

[26] In detti termini, Tribunale di Milano 31 maggio 2021, cit.

Per una lettura, invece, in senso ampio del novero delle azioni cui è legittimato il liquidatore, TRENTINI, in “Le procedure di sovraindebitamento – L. 3/2012 e Codice della crisi d’impresa”, p.630, cit. L’A. osserva che “ancorché, in sé e per sé, la delimitazione dell’ambito delle azioni non sembri ricomprendere indistintamente tutte, le azioni che possano portare liquidità, va verosimilmente condivisa la tesi espressa in dottrina, ancorché prima della riforma del 2020, secondo cui sono attribuite alla legittimazione del liquidatore tutte le azioni che abbiano come finalità quella della preservazione del patrimonio e della sua liquidazione finale: così, ad esempio, oltre alle azioni di rivendica e di restituzione, recuperatorie di crediti e d’inefficacia, espressamente menzionate, anche quelle risarcitorie, le azioni ex art. 2932 c.c., le azioni possessorie, di nunciazione, etc…”.

In giurisprudenza, v. Tribunale di Udine 20 febbraio 2021, cit. in nota 4, che si è espresso in favore dell’esercizio delle azioni successorie da parte del liquidatore.

[27] Così Tribunale di Firenze 11 giugno 2020, cit., che osserva, peraltro, che “nella liquidazione del patrimonio si realizza l'effetto di spossessamento del debitore (in parallelo di quanto accade nel fallimento)” concludendo però che “il liquidatore - a differenza del curatore - non subentra in tutte le controversie del diritto patrimoniale del sovraindebitato, bensì esclusivamente nelle cause attive, volte al recupero dei beni e dei crediti compresi nella liquidazione (art. 14-decies, L. n. 3 del 2012) mentre, al contrario, lo stesso non risulta avere legittimazione passiva nelle cause passive.

Contra, in dottrina, LEUZZI in “La liquidazione del patrimonio dei soggetti sovraindebitati tra presente e futuro”, in questa Rivista, marzo 2019, argomenta che “per effetto dello ‘spossessamento’ il debitore perde la legittimazione processuale nelle controversie a carattere patrimoniale, relative a beni e rapporti compresi nel patrimonio liquidabile. Essa viene espressamente attribuita al liquidatore ex art. 14 decies. La legittimazione passiva di detto organo tecnico non è menzionata dalla legge, ma è ricavabile dai principi generali di governo delle procedure collettive”.

[28] Così Tribunale di La Spezia 2 aprile 2021, cit., per il quale “occorre distinguere le azioni giudiziarie (con oggetto diritti patrimoniali) pendenti alla data di apertura della liquidazione e le azioni giudiziarie (con oggetto diritti patrimoniali) non ancora pendenti alla data di apertura della liquidazione.

In riferimento alle azioni giudiziarie pendenti alla data di apertura della liquidazione è applicabile il disposto dell'art. 111 co. 1 c.p.c. in punto di successione nel corso del processo del diritto controverso per atto tra vivi, conseguendone che il liquidatore ha facoltà di intervenire nel processo (ed eventualmente di rinunciare agli atti del giudizio ex art. 306 c.p.c. qualora la prosecuzione non appaia conveniente).

In riferimento alle azioni giudiziarie (con oggetto diritti patrimoniali) non ancora pendenti alla data di apertura della liquidazione il liquidatore ha legittimazione esclusiva a promuovere le stesse”.

Parla di “legittimazione processuale sostitutiva di carattere straordinario (vds. art. 81 c.p.c.)” in riferimento alla fattispecie del liquidatore che prosegue l’azione revocatoria promossa da un creditore e ancora pendente al momento dell’apertura della liquidazione, FAROLFI, in “La frode nel sovraindebitamento dopo la l. 176/2020”, in www.dirittodellacrisi.it, giugno 2021.

[29] Così DONZELLI, ante riforma, in “Il procedimento di liquidazione del patrimonio”, in Il Civilista, Milano, 2013; TRENTINI, cit., afferma che “per le azioni di recupero dei crediti il liquidatore ha una legittimazione concorrente con quella del debitore; nel caso in cui prosegua un’azione promossa dal debitore, quest’ultimo assume la qualità di litisconsorte necessario” (cit, pag.619).

Si osserva, infine, che il Tribunale di La Spezia, nella decisione innanzi richiamata, ha ravvisato la fattispecie del litisconsorzio necessario tra liquidatore e debitore dal lato attivo in riferimento ad azioni del tutto peculiari, quali quelle “vertenti su diritti personali il cui accertamento è produttivo altresì di effetti patrimoniali (ad esempio l'azione di riconoscimento giudiziale della paternità o maternità ex artt. 269 ss. c.c. rilevante ai fini della successiva divisione giudiziale della pertinente massa ereditaria ex art. 713 c.p.c.), operando una scissione tra profili patrimoniali (rispetto ai quali la legittimazione compete al liquidatore) e profili personali (rispetto ai quali la legittimazione compete al soggetto sovraindebitato)”.


Scarica Articolo PDF