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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 01/03/2021 Scarica PDF

L'accesso in proprio del socio illimitatamente responsabile alla liquidazione del patrimonio ex l. 3/2012. Profili sistematici e criticità di coordinamento

Astorre Mancini, Avvocato del Foro di Rimini, Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto Fallimentare all'Università degli Studi di Milano - Bicocca


Sommario: 1. Ambito del presente contributo. 2. La peculiarità della procedura di Liquidazione del Patrimonio ex art. 14 ter l. 3/2012: le difficoltà dell’accesso in proprio da parte del socio illimitatamente responsabile. 3. Ammissibilità della Liquidazione del Patrimonio del socio illimitatamente responsabile di società non fallibile. 4. La Liquidazione del Patrimonio del socio illimitatamente responsabile di società  fallibile: un caso concreto. 5.  segue: Le motivazioni della  giurisprudenza a favore della tesi dell’inammissibilità. 6. segue: Il richiamo all’art. 2288 c.c. come argomento a favore dell’ammissibilità. 7. Analogia con la fattispecie del socio illimitatamente responsabile fallibile in proprio. 8. La novella della l. 3/2012 e il CCII: verso un riallineamento sistematico tra le procedure. 9. Conclusioni. 10. Riferimenti bibliografici.

   

1. Il presente contributo prende le mosse dalle criticità emerse nella giurisprudenza di merito chiamata a decidere l’accesso del socio illimitatamente responsabile alla procedura di Liquidazione del Patrimonio ex art. 14 ter l. 3/2012 (“LP”), quando è il socio stesso a chiedere l’apertura della procedura e non anche la società partecipata.

 

2. In effetti la procedura di LP si atteggia diversamente rispetto alle altre procedure di sovraindebitamento: fin dall’entrata in vigore della l. 3/2012 è stata unanime la considerazione per cui la LP si caratterizza, diversamente dal piano del consumatore e dall’accordo di composizione della crisi, per la sua  natura “concorsuale”, riconosciuta fin dalle prime applicazioni della normativa, attesa l’evidente analogia con la procedura maggiore fallimentare; numerosi elementi hanno deposto in tal senso, come l’universalità dei beni del sovraindebitato inclusi nel perimetro della procedura, la  sua formale apertura disposta dal giudice, lo spossessamento del debitore e l’inibitoria delle iniziative individuali dei creditori, infine, la nomina di un organo che redige un programma di liquidazione, raccoglie le insinuazioni dei creditori,  amministra e liquida il patrimonio del debitore al fine di ripartirne il ricavato tra gli stessi [1].

Se da un lato dunque la giurisprudenza ha generalmente ammesso la possibilità di accesso del socio illimitatamente responsabile alle procedura di accordo e piano del consumatore[2], più complessa è apparsa fin da subito la questione dell’ammissibilità di accesso alla procedura di LP, proprio per gli effetti anche estensivi ed “universali” di tale procedura nonché per le inevitabili ripercussioni sull’ente sociale e sulla natura della responsabilità dei soci, potendosi prefigurare uno scenario-limite in cui tutti i soci otterrebbero l’esdebitazione anche in ordine ai debiti sociali, senza tuttavia l’estensione di detto beneficio alla società partecipata.

Una recentissima produzione giurisprudenziale ha quindi posto giustamente l’accento sulle criticità di carattere sistematico che vengono in evidenza ogni qualvolta il socio illimitatamente responsabile (che non sia fallibile come imprenditore commerciale in proprio) richieda l’apertura della LP senza che ad essa si accompagni un progetto di soluzione della crisi della società debitrice, difficoltà indotte dalla scarsità originaria di disposizioni normative specifiche della l. 3/2012 idonee a creare un opportuno collegamento tra le procedure dei soci e della società [3].

 

3. La giurisprudenza di merito, pur nella diversità di interpretazioni, è prevalentemente orientata nel senso dell’ammissibilità di detto accesso alla LP, ma a condizione che la società partecipata non sia a sua volta assoggettabile a fallimento, così da ritenere la LP ex l. 3/2012 effettivamente l’unica possibilità di liquidazione concorsuale del socio [4].


4. Ben più problematico per la giurisprudenza è il caso del socio illimitatamente responsabile che chiede l’accesso alla LP dando atto della fallibilità della società partecipata.

In un caso recentemente deciso, un socio illimitatamente responsabile di s.n.c. chiedeva al giudice l’accesso in proprio alla procedura di LP deducendo di aver maturato debiti quale socio e fideiussore della società, nonché ulteriori debiti quale fideiussore di una s.r.l. già dichiarata fallita.

Si dava atto in ricorso che la s.n.c. partecipata era assoggettabile a fallimento, ancorchè non insolvente, per cui il socio, autonomamente ed in proprio, chiedeva di accedere alla liquidazione; analogo  ricorso era stato proposto da un altro socio, mentre i restanti due soci non avevano avviato alcuna procedura volta alla propria esdebitazione personale.

Veniva altresì dedotto che, malgrado l’assenza dello stato di decozione, la società era assoggettata a procedura esecutiva immobiliare avente ad oggetto un proprio bene immobile di cospicuo valore, che lasciava intendere che non vi fosse interesse alcuno dei creditori sociali all’apertura del fallimento sociale, anche in ragione del patrimonio personale detenuto dagli altri soci tenuti alla responsabilità patrimoniale ed utilmente aggredibile con azioni esecutive individuali.

Il giudice delegato negava l’accesso alla procedura dichiarando l’inammissibilità della LP del socio illimitatamente responsabile, tenuto conto appunto della fallibilità della società.

Proposto reclamo, il ricorrente osservava che la qualità di socio illimitatamente responsabile di società fallibile non esclude la possibilità di accedere alle procedure di sovraindebitamento, non essendo il socio imprenditore e considerato che in sede di fallimento per estensione ex art. 147 l. fall. non viene valutata la sua insolvenza, dunque, non sarebbe necessario attendere il fallimento sociale per poter accedere alla procedura da sovraindebitamento; deduceva inoltre che la società non era in stato di decozione, per cui non vi era alcuna esigenza effettiva di coordinamento fra la procedura da sovraindebitamento e la procedura fallimentare.

In sede di reclamo, il tribunale confermava il decreto del primo giudice dichiarando l’inammissibilità della procedura di LP del socio illimitamente responsabile di società fallibile [5].

 

5. Con la prima decisione il giudice delegato, preso atto della fallibilità della società, ha ritenuto inammissibile la LP del socio illimitatamente responsabile disgiunto dalla liquidazione fallimentare del patrimonio della società, tenuto (anche) conto che, una volta dichiarato il fallimento della s.n.c., i creditori della stessa dovranno essere soddisfatti prima col ricavato della vendita dei beni sociali, poi con il ricavato della vendita dei beni di tuttii soci illimitatamente responsabili, i quali verrebbero dichiarati falliti in estensione, in concorso peraltro con i creditori personali di ciascuno[6]; in altri termini, si è ritenuto inaccettabile che una parte dei beni del socio fosse destinata esclusivamente ai suoi creditori particolari, “in diversa sede”, ovvero attraverso una procedura separata e prima della liquidazione concorsuale della società.

In sostanza il giudice ha individuato nel fallimento sociale (cui consegue il fallimento dei soci) la “sede naturale” nel cui ambito svolgere la liquidazione concorsuale, secondo i principi che informano la legge fallimentare e la l. 3/2012, sia dei creditori sociali sia dei creditori particolari dei soci [7].

Il giudice del reclamo, nel confermare la decisione del primo giudice, ha osservato che la procedura di LP è del tutto particolare e non può essere assimilata alle altre due procedure, essendo caratterizzata dalla devoluzione dell’intero patrimonio del sovraindebitato; in tal senso, l’accordo e il piano del consumatore, da un lato, e gli strumenti negoziali della crisi sociale, dall’altro, consentono di “selezionare” i beni da destinare ai creditori con ciò prestandosi ad una risoluzione complessivamente unitaria della crisi. Per contro, la LP, da un lato, e il fallimento, dell’altro, sono procedure caratterizzate sul piano oggettivo dalla universalità dei beni da mettere a disposizione dei creditori concorsuali, ai sensi e per gli effetti degli art. 14 ter l. n. 3/2012 e 42 l. fall.

La conseguenza, tratta dal giudice del reclamo, è che le due procedure non possono coesistere, così come la liquidazione del patrimonio del singolo socio non può preesistere alla liquidazione della società; se, infatti, si consentisse al socio una liquidazione dei beni anticipata rispetto al fallimento della società si andrebbe poi a privare di significato la previsione legislativa di cui all’art. 147 l.fall. (oltre che svuotare la società di persone delle risorse apportate dai soci) [8].

Il Tribunale non ha quindi compiuto una valutazione tout court di inammissibilità della procedura per il solo fatto che il richiedente riveste la qualità di socio illimitatamente responsabile di una società fallibile, ma ha evidenziato come la LP non possa che seguire (e non precedere) la procedura di liquidazione della società, mentre è ammissibile che il socio di società di persone presenti un accordo o un piano del consumatore nell’ipotesi in cui contemporaneamente la società presenti uno strumento di regolazione negoziale della propria crisi, in tal modo sistemando parallelamente sia i debiti sociali che particolari del socio, senza alcuna indebita sottrazione di risorse del socio a danno dei creditori della società [9].

In sostanza, il Tribunale ha operato una ferma distinzione tra le procedure della l. 3/2012, ravvisando che il coordinamento fra procedura minore e maggiore nell’ambito della liquidazione e del fallimento non possa essere regolato nella stessa maniera delle procedure di accordo o piano [10].

 

6. Pur consapevole delle difficoltà di carattere sistematico, un diverso orientamento giurisprudenziale[11]  ha preso le mosse dal disposto dell’art. 2288 c.c. in forza del quale la dichiarazione di fallimento del socio illimitatamente responsabile di società di persone determina la sua esclusione di diritto dalla società, norma, questa, dettata per la società semplice ma pacificamente applicabile, ex art. 2293 c.c., alla società in nome collettivo (Cass. 2020/3863) nonché, ex art. 2315 c.c. alle società in accomandita semplice (Cass. 2015/5449) [12] [13].

Se la ratio della disposizione è dunque quella di “schermare” la società partecipata dalla vicenda concorsuale che vede coinvolto il socio illimitatamente responsabile - che infatti è escluso di diritto dall’ente verso cui la curatela maturerà solo un diritto alla liquidazione della quota - significa che l’ordinamento riconosce la possibilità astratta di una procedura concorsuale che vede coinvolto l’intero patrimonio del socio in assenza di analogo concorso sociale,  dunque senza effetti distorsivi sulla società partecipata, le cui difficoltà di coordinamento con l’eventuale liquidazione concorsuale dell’ente sono risolte dal combinato disposto degli artt. 2288 c.c. e art. 147 l. fall. [14].

 

7. Mutatis mutandis, la fattispecie del socio illimitatamente responsabile che chiede l’accesso alla LP, in quanto soggetto non fallibile in proprio, in presenza di società assoggettabile a fallimento, non appare dissimile dalla fattispecie “maggiore” regolata dalle disposizioni prima richiamate, in cui il socio è “fallibile” autonomamente.

In tal senso non appare stridente, ad avviso di chi scrive, l’applicazione analogica del disposto normativo di cui all’art. 2288 c.c.[15], ancorchè non riprodotto nella l. 3/2012, ogni qualvolta il socio illimitatamente responsabile richieda l’accesso in proprio alla LP dando atto della fallibilità della società partecipata [16].

Il socio illimitatamente responsabile di società fallibile, in conseguenza dell’apertura in proprio della procedura di LP,  potrebbe dunque essere ritenuto escluso di diritto dall’ente senza che a ciò consegua un pregiudizio delle ragioni dei creditori sociali, che parteciperebbero comunque ad eventuali riparti nell’ambito della LP del socio - concorrendo con i creditori particolari di questi - dopo aver escusso il patrimonio sociale (se la società è in bonis)[17], ovvero dopo aver determinato l’apertura del fallimento sociale attraendo così alla procedura maggiore anche la liquidazione del socio, ai sensi dell’ex art. 147 l. fall. [18].

 

8. Nel contesto descritto resta da capire se le opzioni interpretative sopra richiamate escono accreditate dalle modifiche apportate di recente alla l. 3/2012 e soprattutto dalle previsioni del CCII di prossima vigenza.

Emerge subito che il legislatore ha operato un riallineamento sistematico delle procedure di liquidazione mediante la previsione dell’art. 382 CCII rubricato “cause di scioglimento delle società di persone” - nella nuova formulazione introdotta dal c.d. Correttivo - il cui secondo comma prevede che “all’articolo 2288 del codice civile, il primo comma è sostituito dal seguente: ‘È escluso di diritto il socio nei confronti del quale è stata aperta o al quale è stata estesa la procedura di liquidazione giudiziale o di liquidazione controllata’”, norma che dovrebbe quindi risolvere in radice il tema della possibilità per il socio illimitatamente responsabile di accedere in proprio alla procedura liquidatoria, senza effetti distorsivi sulla società partecipata, da cui sarà ritenuto escluso di diritto e titolare esclusivamente del credito eventualmente derivante dalla liquidazione della quota sociale.

L’art. 268 secondo comma CCII introduce, d’altro canto, la possibilità che la liquidazione del debitore sovraindebitato (dunque anche della società non fallibile o del singolo socio illimitatamente responsabile) sia richiesta ad iniziativa del “creditore anche in pendenza di procedure esecutive individuali e, se l’insolvenza riguarda un imprenditore, del Pubblico Ministero”, con ciò uniformando la disciplina della liquidazione controllata alla liquidazione giudiziale.

Già con la miniriforma della l. 3/2012, tuttavia, il legislatore ha posto le basi di detto allineamento della disciplina, introducendo alcune disposizioni che colmano alcuni vuoti normativi ed offrono ulteriori argomenti nel senso dell’applicazione analogica del disposto normativo di cui all’art. 2288 c.c.:

· il nuovo art. 6 comma 2 lett. b) l. 3/2012 stabilisce che è “consumatore” anche il “socio di una delle società appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile per i debiti estranei a quelli sociali”;

· il nuovo comma 7-bis dell’art. 14-ter l. 3/2012 stabilisce che “il decreto di apertura della liquidazione della società produce i suoi effetti anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili”.

Il primo intervento sulla nozione di ‘consumatore’ - a tacere della congerie di problemi che pone, ancora una volta, circa il coordinamento con le procedure di composizione promosse dalla società di persone - depone indubbiamente nel senso di una piena autonomia di accesso del socio illimitatamente responsabile alle procedure regolate dalla l. 3/2012, trovando ora un aggancio normativo la fattispecie del piano del consumatore proposto dal socio illimitatamente responsabile di società fallibile, per quanto tale opportunità possa ritenersi in concreto poco appetibile [19].

In ordine al secondo intervento normativo, l’espressa previsione di cui all’art. 14-ter comma 7-bis l. 3/2012 circa l’estensione degli effetti della LP della società sui soci illimitatamente responsabili corrisponde a quanto stabilito dall’art. 147 l. fall. per la procedura maggiore, per cui esce rafforzato il coordinamento tra l’eventuale LP del socio illimitatamente responsabile e la procedura di liquidazione concorsuale intrapresa dalla società.

 

9. Le posizioni assunte dalla giurisprudenza in commento hanno l’indubbio pregio di ricercare una faticosa armonia sistematica, tra il favore riconosciuto dal legislatore alle c.d. procedure maggiori e la permanente esigenza di  allargare il più possibile la platea dei soggetti beneficiari della l. 3/2012, se è vero che la finalità dell’attuale normativa è quella di soddisfare quel “bisogno di concorsualità” proprio di tutti i debitori, richiamato dal legislatore in sede di varo della l. 3/2012, che dovrebbe incontrare soluzioni praticabili ed “estensive” alla composizione della crisi del socio illimitatamente responsabile, non potendo detto bisogno del socio uscire frustrato o condizionato dall’assoggettabilità o meno al fallimento della società partecipata.

Anche nell’attuale assetto normativo è ragionevole ricercare un approccio ermeneutico che offra una lettura delle disposizioni nel senso del favor debitoris, da contemperare tuttavia con pur presenti effetti distorsivi che alcune applicazioni rischiano di determinare sull’intero  sistema concorsuale.

Il CCII non richiama le nobili finalità sottese alla normativa attuale sul sovraindebitamento (antiusura, c.d. refresh start, ecc…) tuttavia da più parti si osserva che, anche nel nuovo scenario normativo, l’accesso a dette procedure resterà uno strumento imprescindibile di contrasto al diffuso disagio sociale ed economico che mantiene ai margini un numero altissimo di soggetti ed operatori economici, come dimostrato dalla anticipata entrata in vigore di norme specifiche contenute nel CCII tra cui quella sul debitore incapiente.

 

10. Riferimenti bibliografici

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[1] In tal senso cfr. F. MICHELOTTI, in Osservazioni in tema di procedure di sovraindebitamento di cui alla L. n. 3/2012 e ss. modifiche, in Fallimento, 2015, p. 1230. Anche D. VATTERMOLI, in La procedura di liquidazione del patrimonio del debitore alla luce del diritto «oggettivamente» concorsuale, in Dir. fall., 2013, I, pp. 762, a ridosso dell’entrata vigore della legge, osservava che nel sistema delineato dalla l. n. 3/2012 la liquidazione del patrimonio assume una funzione per tutto simile a quella della procedura fallimentare, ancorchè diverga da questa per il carattere “volontario” della liquidazione, la cui apertura (ferme le fattispecie di conversione) è rimessa all’iniziativa esclusiva del debitore e sia dichiaratamente finalizzata, al pari delle altre procedure della l. 3/2012, al beneficio dell’esdebitazione del sovraindebitato. In giurisprudenza, sulla natura “concorsuale” della liquidazione ex art. 14-ter l. n. 3/2012, tra le prime v. Tribunale di Massa 20 febbraio 2015, in Fallimento, 2015, p. 1222.

[2] Le argomentazioni di coloro i quali hanno ritenuto ammissibile l’accesso alla l. 3/2012 del socio illimitatamente responsabile muovono dalla considerazione, come noto,  che questi non è per ciò solo imprenditore né può accedere autonomamente alle procedure c.d. maggiori; egli non può dunque essere dichiarato fallito in via diretta e autonoma in forza della sua qualità di imprenditore commerciale medio-grande, ma solo “in via di estensione” in forza del disposto di cui all’art. 147 l. fall.

Come osservato da N. RONDINONE, in “Il presupposto soggettivo delle procedure di sovraindebitamento quale espressione della nuova concorsualità debtor oriented”, contributo inserito in FIMMANO-D’ATTORRE, in “Le nuove procedure di sovraindebitamento”, Universitas Mercatorum, nov. 2017, pag.42,  l’elemento differenziale della soggezione solo ‘di rimbalzo’ è stato ritenuto da alcuni di per sé solo giustificativo della facoltà per i soci illimitatamente responsabili di accedere alle procedure di cui al Capo II della legge n. 3/2012”, a superamento del tenore letterale dell’art. 6 l. 3/2012, che circoscrive le procedure di sovraindebitamento  espressamente alle situazione di crisi “non soggette né assoggettabili a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dal presente capo” e dell’art.7, lett. a) che impone al giudice, ai fini dell'ammissibilità della procedura, il riscontro che il debitore non sia "soggetto a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dal presente capo".

In giurisprudenza, Tribunale di Pistoia, 19 novembre 2014, in Dir. banc. merc. fin., 2015, 145 ss.; Tribunale di Prato, 16 novembre 2016, in Fall., 2017, 197; Tribunale di Rimini 27 giugno 2019, in Il Fallimento, 3/2020, pag. 413 ss. Nello stesso senso, più recentemente, Tribunale di Lecco 5 gennaio 2021, in questa Rivista, ha osservato che “il socio illimitatamente responsabile di società di persone (o il socio accomandatario di società in accomandita per azioni) non ha facoltà di accedere direttamente agli strumenti di regolazione della crisi e/o dell’insolvenza contemplati dalla legge fallimentare ma può accedervi soltanto di riflesso, per estensione della (meramente) eventuale dichiarazione di fallimento pronunciata nei confronti della società insolvente, ai sensi dell’art. 147 L.F., cosicché al socio illimitatamente responsabile e a lui soltanto (ma non all’imprenditore individuale, al professionista, al lavoratore e al consumatore) sarebbe paradossalmente precluso nel nostro ordinamento l’utilizzo di strumenti di regolazione della situazione di crisi o d’insolvenza con effetti esdebitatori”.

Peraltro, la posizione prevalente della giurisprudenza è nel senso di ritenere certamente ammissibile  l’accesso al piano o all’accordo per il socio illimitatamente responsabile di società “fallibile”, ma a condizione che anche la società promuova una procedura per la composizione del proprio stato di crisi, quando ovviamente sussistente; in tal senso Tribunale di Rimini, 15 ottobre 2020, resa anteriforma l. 176/2020, ha chiarito che è ammissibile che il socio di società di persone presenti un accordo di composizione (anche per includervi i debiti sociali) o un piano del consumatore nell’ipotesi però in cui contemporaneamente la società presenti uno strumento di regolazione negoziale della propria crisi; in questo modo “si procede parallelamente alla sistemazione sia dei debiti sociali sia dei debiti particolari senza alcuna sottrazione indebita di risorse del socio a danno dei creditori della società”.

Altri tribunali sono invece fermi nel continuare a ritenere che la fallibilità della società partecipata comporti sempre e comunque l’impossibilità per il socio di accedere a tutte le procedure previste dalla l. 3/2012 (così il Tribunale di Cosenza nel proprio “Aggiornamento delle linee guida per le procedure ex l. 3/2012”, in www.tribunale.cosenza.giustizia.it,  ribadisce che “il Tribunale ritiene che debba essere operata una valutazione in concreto sulla fallibilità della società di cui è socio illimitatamente responsabile il ricorrente: in caso di socio illimitatamente responsabile di società non fallibile non pare doversi dubitare della possibilità per il ricorrente di accedere alla procedura di sovraindebitamento. Nelle ipotesi in cui all’esito della valutazione concreta - cui è tenuto in primo luogo l’OCC - dovesse emergere la fallibilità della società, allora deve ritenersi precluso l’uso degli strumenti di cui alla l.3/2012”).

[3] Si rammenta che fino alla riforma della l. 176/2020 la l. 3/2012 non disponeva nulla circa gli effetti della procedura di LP della società nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, sul modello dell’art. 147 l. fall., ora  espressamente prevista dal nuovo comma 7-bis all’art. 14-ter per cui “il decreto di apertura della liquidazione della società produce i suoi effetti anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili”; al contempo la normativa continua a non prevedere alcuna disposizione che regoli espressamente il coordinamento tra le procedure di LP del socio e della società.

[4] Sono numerose le pronunce di merito che hanno ritenuto ammissibile l’apertura della LP a favore del socio illimitatamente responsabile di società di persone, in assenza di procedura della società, ma a condizione che l’ente fosse sotto-soglia ex art. 1 l. fall. e dunque non fallibile ovvero fosse cancellata dal Registro delle Imprese da oltre un anno, ex art. 10 l. fall.; in tal senso si veda la già citata Tribunale di Lecco 5.1.2021, Tribunale di Forlì 21.11.2020 e 17.10.2020, Tribunale di Mantova 18.3.2020, Tribunale di Trieste 17.2.2020, Tribunale di Rimini 12.9.2019 resa in sede di reclamo, Tribunale di Roma 29.4.2019, in questa Rivista. 

Alcune pronunce ammettono in tal caso la LP argomentando che diversamente opererebbe il disposto dell’art. 147 l. fall. con estensione automatica della procedura maggiore a carico del socio richiedente, argomento di per sé non più decisivo dopo l’introduzione di analoga disposizione con il nuovo comma 7-bis dell’art. 14-ter l. 3/2012 per cui “il decreto di apertura della liquidazione della società produce i suoi effetti anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili” (cfr. Tribunale di Trieste 17.2.2020).

Altre decisioni giurisprudenziali, infine, giustificano tale orientamento osservando che diversamente si creerebbe una “disparità di trattamento” tra creditori personali e sociali, nella devoluzione del patrimonio del socio sovraindebitato; anche detto argomento non appare tuttavia decisivo; al riguardo N. RONDINONE, in “Il presupposto soggettivo delle procedure di sovraindebitamento quale espressione della nuova concorsualità debtor oriented”, cit., ha giustamente osservato che “quanto al rischio che la procedura fallimentare della società e per estensione dei suoi soci illimitatamente responsabili sopravvenga dopo che si fossero consolidati gli effetti della procedura di sovraindebitamento a favore dei creditori personali, non pare si tratti di un rischio diverso da quello che ogni titolare di crediti non scaduti corre in rapporto alle più tempestive aggressioni degli altri creditori al patrimonio del debitore mediante azioni esecutive individuali o nel caso del fallimento in proprio di questo. Lo stesso legislatore ha del resto regolamentato la successione fra le due tipologie di procedure, curandosi con l’art. 12, comma 5, l. 3/2012 di dettare un regime di parziale salvaguardia degli atti compiuti nel ‘primo round’”.

Peraltro - come sarà osservato nel prosieguo della trattazione – ad avviso di chi scrive è proprio l’accertamento della non fallibilità della società partecipata a porre un problema di coordinamento tra le procedure di liquidazione, tenuto conto che in vigenza della l. 3/2012 l’apertura della LP, diversamente dal fallimento, è possibile solo ad iniziativa della stessa società debitrice (salve le ipotesi di conversione), per cui può effettivamente porsi il problema di un diverso regime di protezione dei creditori sociali, cui sarebbe preclusa la richiesta di apertura della liquidazione concorsuale della società.

[5] Le due decisioni riferite, rese dal giudice delegato e dal tribunale in sede di reclamo – Tribunale di Rimini 10.2.2020 e Tribunale di Rimini 15.10.2020 – sono state pubblicate in www.crisierisanamento.it, “casi pratici”, 19.1.2021, nonché nella banca dati  www.dejure.it in “casi e sentenze”, 19.2.2021, ora in corso di pubblicazione su questa Rivista. 

[6] Circa l’operatività del beneficium excussionis nel fallimento, si rinvia alla nota 17.

[7] Peraltro, si osserva in parte motiva che rispetto ai debiti per fideiussioni maturati dal socio illimitatamente responsabile di cui viene dato atto nell’istanza, la chiusura del fallimento della s.n.c. non condurrebbe in ogni caso alla esdebitazione dello stesso, in forza del disposto normativo di cui all’art. 142 terzo comma lett. a) l. fall. per cui “restano esclusi dall’esdebitazione gli obblighi di mantenimento e alimentari e comunque le obbligazioni derivanti da rapporti estranei all’esercizio dell’impresa”. Ciò porta il giudice a dire che vi sarebbe comunque lo spazio per una procedura di sovraindebitamento del debitore civile - socio illimitatamente responsabile di una società fallibile, proprio per la definizione dei debiti personali di tale tipo, rimasti incapienti nella eventuale procedura sociale; tuttavia - osserva il giudice - stante il necessario coinvolgimento dei beni del socio nel fallimento della società, solo all’esito della chiusura del fallimento della s.n.c. potrebbero essere dedotti in una procedura di sovraindebitamento, appunto a fini esdebitatori, i residui debiti da rapporti personali estranei all’esercizio dell’impresa o  rimasti insoddisfatti per fideiussioni prestate nell’interesse della s.n.c.

[8] Si pensi all’ipotesi limite – osserva il tribunale in sede di reclamo - in cui tutti i soci chiedessero la liquidazione del proprio patrimonio; è evidente che si avrebbe la paralisi della società e la sottrazione ai creditori sociali di ogni risorsa individuale. Del resto, prosegue il tribunale, non si dubita che qualora a chiedere la liquidazione fosse il soggetto fallibile in proprio (e non per estensione ex art. 147 l. fall.) l’accesso alla procedura sarebbe comunque negato, anche per rispondere ad esigenze di regolazione unitaria della crisi, stante il favor riservato dal legislatore alle cd. procedure maggiori, procedure più dettagliate e strutturate nella loro disciplina e quindi più idonee ad offrire maggiori tutele per i soggetti coinvolti; altresì la regolazione unitaria della crisi è lo strumento che consente di coordinare le esigenze di tutela dei creditori particolari e dei creditori sociali, i quali devono poter contare per il soddisfacimento dei propri beni anche sui beni del socio; ciò in virtù dell’autonomia patrimoniale imperfetta che regola le società di persone.

[9] In tale scenario, argomenta il tribunale, nel momento in cui il debitore persona fisica deposita l’istanza di ammissione alla procedura di piano o accordo non sussiste la condizione ostativa di cui all’art 7 co. 2 lett. a) l. n. 3/2012, posto che - venendo prospettata la soluzione della crisi della società come detto - il soggetto non risulta neppure potenzialmente esposto al fallimento; se poi lo strumento negoziale riferito alla società dovesse venire meno (per mancata ammissione, omologazione o risoluzione per inadempimento) il conseguente fallimento della società si ripercuoterebbe ex art. 147 l. fall. sul socio, con conseguente dichiarazione di fallimento dello stesso (previa risoluzione dell’accordo ex l. n. 3/2012), in ottemperanza al disposto dell’art. 12 comma 5 l. 3/2012.

[10] Il tribunale non ritiene neppure decisiva, a sostegno della contraria tesi dell’ammissibilità della LP, la considerazione per la quale così ragionando il socio illimitatamente responsabile sarebbe tenuto ad attendere il fallimento della società (che magari mai si aprirà) per poter regolare anche la propria esposizione debitoria personale. Ciò sulla base della possibilità di recedere dalla società, per cui: i) il socio risponderà dei debiti sociali solo sino al momento dello scioglimento del vincolo sociale; ii) con il decorso di un anno dal recesso non sarà più estensibile a suo carico il fallimento ex art. 147 l. fall.  La cristallizzazione del debito sociale alla data di scioglimento del vincolo sociale, peraltro, comporterebbe anche per l’OCC una più compiuta e precisa valutazione dell’esposizione debitoria complessiva del socio: in astratto, infatti, la società di persone potrebbe essere ancora attiva al momento dell’istanza ex art. 14 ter l. n. 3/2012 da parte del socio e generare, dunque, costi - verosimilmente prededucibili - sino al momento di liquidazione della quota del socio nel corso della procedura da sovraindebitamento. Tale evenienza, stante la fluidità della posizione passiva, comporterebbe anche l’impossibilità di ricostruire la situazione debitoria complessiva del socio, con conseguente inammissibilità dell’istanza anche ai sensi dell’art.14 ter co.3 lett. e) l n. 3/2012.

[11] Ci riferiamo a Tribunale di Lecco 5 gennaio 2021, in questa Rivista, che richiama il precedente del tribunale riminese ancorché al vaglio vi sia una fattispecie di società non fallibile, il cui socio accomandatario aveva richiesto l’ammissione in proprio alla LP.

Osserva il tribunale di Lecco - pur non affrontando in modo diretto il problema del coordinamento della LP del socio con quella, eventuale, della società - che le norme della l. 3/2012 ”presuppongono tutte che il debitore che svolge attività d’impresa abbia facoltà di accedere agli strumenti dell’accordo e della liquidazione del patrimonio, e dunque si riferiscono alla figura generale dell’imprenditore e, quindi, anche all’imprenditore commerciale e non solo alla figura dell’imprenditore agricolo” per cui “la vocazione generale, sotto un profilo soggettivo, degli strumenti apprestati dalla L. 3/2012, induce senz’altro a respingere la tesi, accolta da un parte delle giurisprudenza di merito, che nega l’accesso all’istituto della liquidazione del patrimonio ai soci illimitatamente responsabili che si trovano in una situazione di personale sovraindebitamento, considerato, infatti, che il socio illimitatamente responsabile non ha facoltà di accedere direttamente agli strumenti di regolazione della crisi e/o dell’insolvenza contemplati dalla legge fallimentare ma può accedervi soltanto di riflesso, per estensione della (meramente) eventuale dichiarazione di fallimento pronunciata nei confronti della società insolvente, ai sensi dell’art. 147 l. fall., cosicché al socio illimitatamente responsabile e a lui soltanto (ma non all’imprenditore individuale, al professionista, al lavoratore e al consumatore) sarebbe paradossalmente precluso nel nostro ordinamento l’utilizzo di strumenti di regolazione della situazione di crisi o d’insolvenza con effetti esdebitatori”.

[12] Anche recentemente, Cass. I sez. 11.11.2020 n.25318 I, rel. Ferro, ha chiarito che la ratio della norma sta “nel bilanciamento tra la tutela della società e la massa creditoria del fallimento del socio, che si realizza, da un lato, evitando alla società l'eventualità pregiudizievole di avere il fallimento nella compagine e precludendo al fallimento di vendere la quota in via esecutiva; dall’altro, nel rendere oggetto della massa attiva fallimentare il credito di liquidazione della quota”. In dottrina, nello stesso senso, COTTINO-SARALE-WEIGMANN, Società di persone e consorzi, in Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, III, Padova, 2004, 280.

[13] Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che la norma si applica al solo caso di fallimento “in proprio” del socio, non anche di fallimento di questi per estensione del fallimento sociale; in altri termini, l'esclusione di diritto del socio che sia dichiarato fallito, prevista dall’art. 2288 c.c., tende a preservare la società in bonis dagli effetti dell'insolvenza personale del socio e non opera, quindi, nell'ipotesi in cui il fallimento del socio sia effetto di quello della società, in forza della responsabilità illimitata del primo per le obbligazioni della seconda. 

In tal senso già CAMPOBASSO, Diritto commerciale. 2. Diritto delle società, Torino, 1999, 113, secondo cui è escluso di diritto “il socio che sia dichiarato fallito, salvo ovviamente che non si tratti di fallimento conseguente al fallimento della società”; in giurisprudenza Cass. 1975/1991, per cui “la norma riflette l’esigenza che una società di persone non venga coinvolta nel fallimento in proprio di un socio,  non anche il contrario. Un uguale trattamento delle due ipotesi non è configurabile, in quanto, mentre nella prima la società permane in bonis e gli effetti del fallimento del socio riguardano sostanzialmente la sfera patrimoniale del rapporto societario con la liquidazione della posizione del socio ad opera del curatore, nella seconda è la società che, divenuta insolvente, coinvolge nel fallimento il socio” (cfr. Cass. 2008/17953). 

[14] Sembra argomentare così Trib. Lecco 5.1.2021, cit. – ancorchè, come detto, in fattispecie di s.a.s. non fallibile - per cui “la legge  riconosce al socio illimitatamente responsabile che in via autonoma rivesta anche la qualifica di imprenditore commerciale la possibilità di accedere alla liquidazione concorsuale del proprio patrimonio indipendentemente dalla liquidazione concorsuale della società (art. 2288 c.c.); sotto tale profilo appare dunque inconferente l’obiezione secondo cui in tal caso sarebbe elusa l’applicazione dell’art. 147 l. fall. o sarebbero ingiustamente pregiudicate la probabilità di soddisfacimento dei creditori sociali rispetto ai creditori personali del socio”.

[15] Sembra aderire a tale opzione interpretativa anche la Redazione del Forum Fallco, con il parere reso in data 25.6.2020, in www.falcoweb.it/forum, che sul tema osserva come sia “più complessa la situazione del socio che detiene le quote di una s.n.c. perché manca [nella l. 3/2012, n.d.r.] una norma del tipo di quella di cui all'art. 2288 c.c., che esclude di diritto dalla società il socio dichiarato fallito, con diritto del socio alla liquidazione della quota con le modalità di cui all'art. 2289 c.c. A nostro avviso alla liquidazione del patrimonio, essendo questa sicuramente una procedura liquidatoria con molti tratti in comune con il fallimento, riteniamo che debba essere applicata la norma civilistica citata per sopperire alla carenza, con la conseguenza che la società dovrebbe liquidare il valore della quota (e il ricavato farebbe parte del patrimonio da liquidare) e poi i restanti soci continuerebbero la società o, se è venuta a mancare la pluralità dei soci, dovrebbero ricostruirla, o sciogliere la società. […] questa ci sembra l'unica via per evitare commistioni tra situazioni personali e societarie”.

[16] Ciò si dica ben sapendo, al riguardo, che le cause di esclusione di diritto dalle società sono demandate dalla legge alla specifica individuazione delle stesse in sede statutaria, quale espressione della libertà regolamentare dei soci, e che l’ordinamento tipizza in modo rigoroso le fattispecie che interferiscono con detta sovranità.

Non a caso dottrina e giurisprudenza sembrano piuttosto orientate, quale condizione per poter accedere alla LP, a far leva sulla necessità ed opportunità di sciogliere il vincolo sociale tramite la facoltà di recesso riconosciuta dall’ordinamento al socio illimitatamente responsabile, eventualmente anche per giusta causa ex art. 2285 c.c.; in giurisprudenza v. la già citata Tribunale di Rimini 15.10.2020;, in dottrina S. LEUZZI, La liquidazione del patrimonio dei soggetti sovraindebitati fra presente e futuro, www.ilcaso.it, marzo 2019, che osserva: ”E’ in astratto che la natura universale delle procedure concorsuali si mostra inconciliabile con la sovrapposizione di altre pretese creditorie sul medesimo patrimonio – quello del socio appunto – oggettivamente attingibile. Pertanto, il socio che voglia adoperare pro domo sua una procedura di sovraindebitamento dovrebbe prima curarsi di sciogliere quel rapporto sociale. Anzi, proprio in una fattispecie del genere – in cui il soggetto ambisce ad affrontare il proprio dissesto – sembrerebbe ricorrere una giusta causa di recesso, in linea con la previsione dell’art. 2285 c.c.“.

[17] Diversamente, ove la società fosse dichiarata fallita, si ritiene non operi il beneficium excussionis in favore del socio. Come noto nel fallimento di società di persone i creditori sociali hanno diritto di soddisfarsi sia sul patrimonio sociale che dei soci illimitatamente responsabili, mentre non vale il contrario, in quanto i creditori particolari del socio possono soddisfarsi solo sul patrimonio di questi, non anche sui beni appresi dal fallimento sociale. Riguardo il concorso sui beni, peraltro, si ritiene che “il curatore di ciascuna procedura deve compiere tutti gli atti di liquidazione relativi ad ogni singola procedura, senza peraltro che possa ritenersi applicabile in ambito concorsuale il beneficio della preventiva escussione che opera per la società in bonis, potendo avviare la liquidazione nelle procedure particolari anche senza attendere la liquidazione e la ripartizione dell’attivo nella procedura sociale” (v. D’ATTORRE, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Giappichelli, 2021, pag. 307).

[18] Come già innanzi osservato (cfr. nota 4, ultimo periodo) un problema di coordinamento si porrebbe semmai nel diverso caso di società non fallibile - proprio le fattispecie in cui la giurisprudenza di merito ha invece ammesso la LP del socio - essendo l’apertura della LP possibile solo ad iniziativa della sola società debitrice (salve le ipotesi di conversione) per cui la società potrebbe non entrare mai in liquidazione concorsuale, diversamente da quanto avverrà in vigenza del CCII che assegna la legittimazione anche al creditore ed al PM.

[19] Tale modifica normativa ha spinto il Tribunale di Lecco, con la citata decisione del 5 gennaio 2021, cit., a concludere che il legislatore, riconoscendo la facoltà del socio illimitatamente responsabile di presentare un “piano del consumatore” per la ristrutturazione dei debiti extrasociali, “conferma a fortiori anche che il socio ha facoltà di chiedere la liquidazione del proprio patrimonio per risolvere una situazione di sovraindebitamento personale (in senso favorevole all’ammissibilità della liquidazione del socio, cfr. Trib. Roma, 29 aprile 2019)”.


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