La Responsabilità del Medico


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 262 - pubb. 01/07/2007

Diagnosi prenatale della sindrome di Down e responsabilità del medico

Tribunale Mantova, 12 Gennaio 2006. Est. Bernardi.


Responsabilità medica – Dovere di informazione – Diagnosi prenatale della sindrome di Down.

Responsabilità del medico – Diagnosi prenatale di malformazioni del nascituro – Opportunità di specifici accertamenti – Non prospettabilità.



Rientra fra gli obblighi tipici del contratto di prestazione sanitaria quello di fornire al paziente una completa informazione sulla sua situazione e sugli interventi sanitari necessari ed utili, onere che deve ritenersi assolto ove la cartella clinica abbia un contenuto informativo sufficiente a mettere a conoscenza la futura genitrice che l'esame effettuato non avrebbe escluso con certezza l'esistenza della patologia cromosomica di cui è risultata poi affetta la neonata. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

Non è ravvisabile la responsabilità del medico per la nascita di una neonata affetta da gravi patologie cromosomiche il quale in assenza di dubbi diagnostici e sulla base di una valutazione che tenga conto di tutti gli elementi obiettivi e subiettivi da effettuarsi necessariamente ex ante, non abbia prospettato in termini di necessità o di consigliabile opportunità l'effettuazione dell'esame del cariotipo fetale che solo avrebbe consentito con certezza la diagnosi prenatale della malformazione. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


omissis 

R.G. n. 2682/2002

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato in data 15-7-2002 gli istanti sostenevano 1) che nel luglio del 2000 la sig.a S. si era rivolta al dott. P., specialista in ginecologia ed ostetricia, per essere assistita durante le varie fasi della gravidanza; 2) che il medico non aveva mai evidenziato anomalie né rappresentato la necessità di ulteriori esami rispetto a quelli di volta in volta dal medesimo prescritti; 3) che alla neonata era stata immediatamente diagnosticata una palatoschisi, una grave patologia cardiaca nonché la sindrome di Down; 4) che essi, del tutto impreparati ad affrontare una simile situazione, avevano deciso di non riconoscere come propria figlia la neonata; 5) che sia la madre che il padre, quest'ultimo in via riflessa, avevano subito gravi danni morali, biologici, patrimoniali ed esistenziali; 6) che ciò era dovuto al colpevole comportamento del predetto ginecologo, rilevante sotto il profilo sia contrattuale che extracontrattuale, atteso che costui non aveva diagnosticato la grave malformazione di cui era affetta la figlia impedendo così alla madre di esercitare il proprio diritto alla interruzione della gravidanza.

Si costituiva il convenuto il quale ne chiedeva il rigetto affermando di avere rappresentato alla paziente che, al fine di essere certi della mancanza di gravi patologie, occorreva effettuare ulteriori esami invasivi, comportanti un rischio abortivo e di un certo costo che avrebbe dovuto essere sopportato dalla medesima e che, di fronte a tali evenienze, la paziente avrebbe preferito non affrontarli; deduceva infine che, comunque, il padre non aveva titolo per pretendere risarcimento alcuno.

Alla seconda udienza, fissata per gli adempimenti di cui all'art. 183 c.p.c., interveniva volontariamente la compagnia assicuratrice del medico la quale sosteneva l'infondatezza della domanda e chiedeva che venisse limitato il proprio eventuale obbligo di garanzia entro l'ambito di operatività della polizza sia come massimale che come franchigia.

Esperita l'istruttoria orale e disposta c.t.u., affidata a ***, la causa veniva trattenuta in decisione sulle conclusioni delle parti in epigrafe riportate.

Motivi

La domanda è infondata e deve essere rigettata.

In primo luogo va ribadito il giudizio di superfluità, già espresso al momento della decisione sulle istanze formulate ex art. 184 c.p.c., in ordine all'assunzione di alcuni capitoli di prova per la cui ammissione parte attrice ha nuovamente insistito in sede di precisazione delle conclusioni, anche in considerazione del fatto che l'istruttoria esperita ha consentito di acquisire sufficienti elementi ai fini della decisione.

Nel merito va rilevato che la consulente d'ufficio, all'esito di una complessa indagine che le ha consentito di disporre dell'intera documentazione clinica della neonata reperita presso i vari istituti ospedalieri che l'avevano avuta in cura (per rimediare alla labiopalatoschisi ed alle anomalie cardiache) sino al decesso della medesima verificatosi il 24-7-2001, ha accertato a) che la bambina al momento della nascita era affetta da anomalia cromosomica del tipo trisomia 21 (sindrome di Down), da difetto cardiaco del tipo del canale atrio-ventricolare completo nonché da malformazione maxillo-facciale in forma di labiopalatoschisi bilaterale; b) che la diagnosi prenatale di sindrome di Down è possibile con criterio di assoluta certezza solo con lo studio del cariotipo fetale effettuabile mediante amniocentesi ovvero mediante prelievo di villi coriali mentre gli altri possibili accertamenti (privi di concreto pericolo per la gestante e per il feto) forniscono unicamente una più o meno accurata stima del rischio della predetta malformazione (si tratta del bitest e dell'ecografia ostetrica, entrambi eseguiti e, quest'ultima, anche più volte; c) che l'indagine sul cariotipo, implicante un rischio di aborto sia pure minimo, in considerazione dell'età della donna (di anni 29) ed in mancanza di fattori di rischio rilevanti (analiticamente elencati a pag. 21 della relazione ed assenti nel caso in esame) non viene di regola consigliata mentre il costo per sostenerla, pari a circa £ 900.000, proprio per la mancanza di specifici fattori di rischio, sarebbe stato interamente a carico della paziente; d) che i principali parametri di accrescimento fetale (fra cui la circonferenza addominale e quella cranica nonché la lunghezza femorale), pur inferiori alla norma (dato clinico questo di frequente associato alla patologia cromosomica in esame) erano stati costantemente pari o inferiori al 5° percentile  (inferiori pertanto al valore soglia individuato nel 10° percentile) e quindi non indicativi di una possibile malformazione anche in considerazione della circostanza che, mentre nel caso di ritardi di crescita intrauterina correlati ad anomalie cromosomiche i profili di crescita sono irregolari ovvero limitati ad un distretto corporeo, nella fattispecie in esame durante tutta la gravidanza l'accrescimento era avvenuto in modo simmetrico e regolare; e) che i dati sopra elencati hanno portato il consulente a concludere nel senso che l'attrice era a basso rischio per patologie cromosomiche fetali e che le indagini effettuate nel corso della gravidanza non erano tali da imporre ulteriori indagini; f) che le altre patologie ben difficilmente avrebbero potuto essere diagnosticate (v. pg. da 21 a 24 della relazione, conclusione questa sulla quale concorda pure il consulente tecnico di parte attrice: v. memoria datata 29-3-2005); g) che la possibilità di vita autonoma del feto viene collocata intorno alla 26a settimana di gestazione riducibile però, alla luce dei recenti progressi in ambito neonatologico, alla 22a-23a settimana purché vi sia un immediato trattamento rianimatorio ed in presenza di fattori individuali favorevoli; h) che, ove attraverso l'ecografia morfologica fossero emersi dubbi tali da indurre a richiedere approfondimenti diagnostici (in particolare lo studio del carotipo fetale), l'epoca in cui tale indagine risulta essere stata effettuata (la 24a settimana come risulta dal referto del 10-11-2000), tenuto conto degli ulteriori tempi tecnici necessari per l'esecuzione di tali indagini (di regola due settimane), verosimilmente non avrebbero permesso di ottenere l'interruzione della gravidanza ai sensi dell'art. 7 della legge 194/78 posto che la madre non ha mai corso, durante la gravidanza, alcun pericolo per la propria vita (v. art. 6 lett. a l. cit.) laddove le linee guida per gli screening ecografici elaborate dalla SIEOG (Società Italiana di Ecografia Ostetrico-Ginecologica) suggeriscono di eseguire tale indagine tra la 20a e la 22a settimana e cioè in un'epoca sufficientemente avanzata che consenta la rilevazione della maggior parte delle anomalie e che, al contempo, sia adeguatamente precoce per consentire di effettuare eventuali approfondimenti diagnostici, e, se del caso, l'interruzione di gravidanza prima che si concretizzi la possibilità di vita autonoma del feto.

Ai fini della responsabilità va rammentato che il nesso di causalità giuridica tra la condotta omissiva e l'evento, è ravvisabile quando, in base a un giudizio controfattuale effettuato sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, si accerti che, ipotizzandosi realizzata dal medico la condotta impeditiva dell'evento hic et nunc, questo non si sarebbe verificato (e purché la condotta omissiva del medico costituisca condicio sine qua non dell'evento lesivo con alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica) sicché il nesso eziologico deve ritenersi sussistente nella fattispecie in esame posto che il c.t.u. ha affermato che l'esame del cariotipo fetale avrebbe consentito la sicura diagnosi della malformazione cromosomica (cfr. Cass. 18-4-2005 n. 7997; Cass. Pen. S.U. 11-9-2002 n. 30328; Cass. 23-9-2004 n. 19133; Cass. 4-3-2004 n. 4400).

Occorre a questo punto verificare se nella condotta del sanitario sia individuabile una colpa anche solo lieve (cfr. Cass. 12-8-1995 n. 8845) avuto riguardo alla circostanza che la indicazione della tipologia di esami necessaria per diagnosticare con sicurezza il difetto della sindrome di Down non può certo qualificarsi come attività di speciale difficoltà.

In ordine alle informazioni fornite dal medico alla paziente circa gli eventuali esami da effettuare per un controllo sull'andamento della gravidanza, le parti hanno fornito la contrapposta versione sopra ricordata mentre l'unica teste assunta ha dichiarato di non essere a conoscenza del contenuto dei colloqui intervenuti fra le medesime: a ciò va aggiunto che il referto di screening Down (contenente fra l'altro i seguenti dati: rischio TRS-21 1:447 - ; rischio a priori 1:954; rischio NTD -difetti del tubo neurale- 1:24341) riportante correttamente un risultato definitivo negativo contiene, in calce, la seguente annotazione:"Date le caratteristiche dello screening, un risultato positivo o negativo non significa affatto presenza o assenza, rispettivamente, delle patologie menzionate, ma piuttosto un'aumentata o diminuita probabilità del loro verificarsi, preso come riferimento un valore discriminante di 1 su 250 per il rischio di trisomia 21 e di 2,5 MoM per l'alfa-fetoproteina nel caso di difetti del tubo neurale. Nella valutazione dei rischi di TRS-21, il rischio a priori, in assenza di precedente gravidanza Down, è da imputarsi solo all'età materna".

Premesso che rientra fra gli obblighi tipici del contratto di prestazione sanitaria (oltre che fra i doveri deontologici del medico) quello di fornire al paziente una completa informazione sulla sua situazione e sugli interventi sanitari necessari ed utili, deve ritenersi che incomba sul medico l'onere della prova di avere diligentemente adempiuto a siffatto obbligo potendosi limitare il paziente ad allegare l'inesatto adempimento dell'obbligazione in questione (cfr. Cass. 28-5-2004 n. 10297; Cass. S.U. 30-10-2001 n. 13533): alla stregua delle risultanze istruttorie sopra riportate deve inferirsi che siffatto onere probatorio sia stato assolto dal convenuto posto che l'espressione riportata nella cartella clinica aveva un contenuto informativo  sufficiente a mettere a conoscenza la futura genitrice che l'esame effettuato non avrebbe escluso con certezza l'esistenza della patologia cromosomica.

Orbene tenuto conto dell'esito negativo (nel senso sopra precisato) del bi-test, dell'età non a rischio della donna, della mancanza di specifici fattori di rischio, dell'andamento costantemente regolare della gravidanza, del carattere non preoccupante del riscontrato difetto di peso della nascitura (e, quindi, in assenza di dubbi diagnostici) è ragionevole ritenere che, nelle circostanze di fatto sopra elencate e sulla base di una valutazione che tenga conto di tutti gli elementi obiettivi e subiettivi da effettuarsi necessariamente ex ante, un medico specialista di media attenzione e diligenza (cfr. Cass. 2-2-2005 n. 2042; Cass. 28-10-2004 n. 20869; Cass. 18-7-2002 n. 10454; Cass. 8-8-2000 n. 10431) non avrebbe prospettato in termini di necessità o di consigliabile opportunità l'effettuazione dell'esame del cariotipo fetale che solo, si ribadisce, avrebbe consentito con certezza la diagnosi prenatale della malformazione cromosomica tanto più che l'effettuazione dell'esame avrebbe comportato l'assunzione di un sia pur minimo rischio di aborto e che il costo per sostenerlo, non modesto, sarebbe stato interamente a carico della paziente.

Va inoltre aggiunto che la futura genitrice nemmeno in corso di causa ha mai sostenuto che era intenzionata, in ogni caso, a sottoporsi all'esame diagnostico sopra menzionato.

In ordine poi al profilo di negligenza di cui al punto h) va osservato che difetta il nesso di causalità fra tale mancanza e l'evento verificatosi alla luce delle considerazioni sopra svolte.

Quanto all'intervento da parte della compagnia assicuratrice del convenuto va rilevato che esso, relativamente alla richiesta di rigetto della domanda, deve considerarsi ammissibile assumendo, in parte qua, carattere di intervento ad adiuvandum il quale può avere luogo durante tutto il corso del giudizio di primo grado: l'esito del giudizio nel senso sopra indicato comporta inoltre l'assorbimento di tutte le questioni sollevate dalla compagnia in ordine alla operatività della polizza. 

L'obbiettiva incertezza della lite giustifica l'integrale compensazione fra le parti delle spese di lite.

P.Q.M.

il Tribunale di Mantova, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione reietta, così provvede:

rigetta la domanda e compensa integralmente fra tutte le parti le spese di lite.