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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 9234 - pubb. 01/01/2013

Domain name composto da aprole di uso comune e insegna

Tribunale Mantova, 05 Giugno 2004. Alessandra Venturini.


Domain name - Nozione - Equiparabilità all'insegna - Applicabilità della normativa a tutela dei marchi - Esclusione.

Utilizzazione come domain name di parole di uso comune - Tutela ex art. 2598 n. 1 c.c. - Esclusione.



Per “domain name”, versione alfanumerica dell’indirizzo IP, deve intendersi “il segno che consente l’identificazione e l’accesso ad un determinato computer dalla rete Internet e quindi il collegamento con un certo utente da parte della generalità di tutti gli altri computer ed utenti connessi in rete”. In ragione della sua funzione, il domain name può essere assimilato, quale segno distintivo atipico, all’insegna.

Al domain name, composto unicamente da una parola di uso comune corrispondente alla denominazione del prodotto venduto (“cartucce”), non può riconoscersi la tutela ex art. 2598 n. 1 c.c. in assenza di un sufficiente carattere distintivo.


Segnalazione dell'Avv. Franco Benassi

 

omissis

ORDINANZA

Con il ricorso sopra indicato e-Picuro S.r.l. esponeva di essere proprietaria del domain name “cartucce.com”, registrato in data 1.10.1999 ed acquistato dalla ricorrente in data 30.5.2003; che il sito Internet “cartucce.com” pubblicizza in rete la compravendita di cartucce originali e rigenerate per stampanti, toner ed inchiostro, la cui commercializzazione è gestita da e-Picuro S.r.l.; che in data 21.9.2002 è stato registrato il dominio “cartuccie.com” ed in data 22.11.2002 il dominio “cartuccie.it”, entrambi relativi a siti Internet aventi ad oggetto la pubblicizzazione e la vendita on-line di cartucce per stampanti e toner, domini che risultano oggi di proprietà di Cartucce Point S.r.l.; affermando che l’utilizzo dei domini cartucce.it e cartuccie.com aveva determinato gravissimo stato di confusione nei confronti del consumatore finale che, come poteva evincersi dalla documentazione dimessa, convinto di trattare con la ricorrente, in realtà a sua completa insaputa, si era obbligato nei confronti di un soggetto terzo, non voluto né cercato, e l’esistenza di gravi danni patrimoniali e non, subiti a causa della concorrenza sleale posta in essere da Cartucce Point S.r.l., la ricorrente concludeva chiedendo in via d’urgenza l’inibizione immediata all’uso del domain name “cartuccie.it” e “cartuccie.com”.

Con comparsa depositata all’udienza del 6.5.2004 si costituiva Cartucce Point S.r.l., chiedendo il rigetto della domanda di controparte, ed allegando l’insussistenza, nella fattispecie dei presupposti del fumus boni iuris (non essendo salvaguardabile il dominio cartucce.com a sensi della normativa a tutela dei marchi, contenendo parola di uso corrente) e delpericulum in mora (non confermando i documenti prodotti lo sviamento della clientela).

Assunti sommari informatori, il Giudice concedeva alle parti termine per deposito di note conclusive sino al 31.5.2004.

Ciò premesso, osserva quanto segue:

i fatti dedotti da parte ricorrente in ordine a registrazione e proprietà dei domini oggetto di causa ed all’attività commerciale esercitata dalle parti costituiscono circostanza pacifica.

Parte resistente ha contestato che nel caso possa trovare applicazione analogica la normativa posta a tutela del marchio, costituendo la parola “cartucce”, inserita nel dominio della ricorrente, termine di uso comune, così come l’applicazione dell’art. 2598 c.c., per le medesime ragioni.

La tesi è fondata.

Come sostenuto da parte ricorrente per “domain name”, versione alfanumerica dell’indirizzo IP, deve intendersi “il segno che consente l’identificazione e l’accesso ad un determinato computer dalla rete Internet e quindi il collegamento con un certo utente da parte della generalità di tutti gli altri computer ed utenti connessi in rete”; va quindi condiviso il principio, affermato dalla giurisprudenza di merito, secondo il quale il domain name assume, nella rete, le caratteristiche e le funzioni di un segno distintivo dell’impresa che opera su tale mercato, configurandosi il sito corrispondente come luogo (virtuale) in cui l’imprenditore contatta il cliente e con esso conclude contratti.

In ragione della sua funzione, il domain name può essere assimilato, quale segno distintivo atipico, all’insegna, da cui la sua idoneità ad entrare in conflitto con altri segni distintivi.

Non si pone nel caso un problema di applicazione analogica della normativa speciale a tutela dei marchi (che troverà applicazione diretta qualora un domain name riproduca un marchio registrato o un marchio di fatto, in precedenza utilizzato da altro soggetto), ma bensì di verificare se sia stato posto in essere dalla resistente un atto di concorrenza sleale, in violazione della normativa generale a tutela dei segni distintivi di un’impresa, ed in particolare dell’art. 2598 n. 1 c.c. –

Come è noto, secondo i principi generali in materia, una parola od un segno possono ricevere tutela esclusiva come ditta, marchio od insegna solo qualora possiedano in grado sufficiente capacità distintiva, ossia quando venga utilizzato dall’imprenditore a tal fine un elemento caratteristico che abbia potere individualizzante, con esclusione pertanto di una denominazione generica del commercio svolto o dalla merce venduta.

Nella fattispecie al domain name utilizzato dalla ricorrente, composto unicamente da una parola di uso comune corrispondente alla denominazione del prodotto venduto (“cartucce”), non può quindi riconoscersi l'invocata tutela in assenza di un sufficiente carattere distintivo, così come nel mondo reale non riceverebbe tutela il commerciante che utilizzi come insegna del proprio locale di vendita esclusivamente il nome generico del prodotto offerto (“pane”, “ferramenta”, ecc.).

Non può pertanto configurarsi come atto di concorrenza sleale, da parte della resistente, l’utilizzo del termine “cartucce” nel proprio domain name, che pur costituendo “storpiatura” del termine corretto “cartucce”, risulta del pari usato in Internet come corrispondente al primo ; non può infatti sussistere confusione, nel senso di cui all’art. 2598 c.c., quando una parola usata da due imprenditori per i loro prodotti sia la parola generica usata da tutti per contraddistinguere non già i prodotti specifici che provengono da una data fonte produttiva (o, in modo analogo, commerciale), ma tutti i prodotti di quel genere, da chiunque fabbricati e messi in commercio (v. Cass. Civ.    N. 6557/86).

L’insussistenza del fumus boni iuris, come sopra esposto, rende superfluo l’esame della sussistenza, nella fattispecie, dell’ulteriore requisito delpericulum in mora.

Il ricorso, per i motivi esposti, va rigettato, con conseguente condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla resistente, che vengono liquidate, in assenza di nota relativa, come indicato in dispositivo.

P. Q. M.

Visti gli artt. 669 bis e ss. E 700 c.p.c.

Rigetta la domanda proposta da e-Picuro S.r.l. nei confronti di Cartucce Point S.r.l. con ricorso depositato il 20.4.2004;

dichiara tenuta a condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite sostenute da parte resistente che liquida in complessivi € 1.350,00 (di cui € 30,00 per spese, € 400,00 per diritti, € 800,00 per onorari ed € 120,00 per rimborso spese generali), oltre IVA e CPA come per legge.

Si comunichi.