Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6651 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 14 Maggio 2005, n. 10130. Est. Graziadei.


Procedimento civile - Litisconsorzio - Necessario - In genere - Domanda diretta ad ottenere il rilascio di un bene posseduto o detenuto in virtù di un titolo invalido o inefficace - Soggetto possessore o detentore del bene in base al titolo stesso - Litisconsorzio necessario - Sussistenza - Fattispecie di compagnia di assicurazioni posta in liquidazione coatta amministrativa a seguito di revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività assicurativa - Domanda, da parte di detta compagnia, di condanna del Ministero, previa dichiarazione di nullità del detto provvedimento, al rilascio del complesso aziendale detenuto dal commissario liquidatore - Qualità di litisconsorte necessario del commissario liquidatore - Configurabilità.



La domanda diretta ad ottenere il rilascio di un bene da parte di chi lo possegga o detenga sulla scorta di un titolo assertivamente invalido od inefficace implica la richiesta di pronuncia di una sentenza costitutiva dell'obbligo del possessore o detentore di trasferire la disponibilità della cosa, e di subire, in difetto, l'iniziativa recuperatoria del soggetto istante; detta domanda, pertanto, pure se contestualmente denunci la responsabilità di chi abbia posto in essere quel titolo invalido od inefficace, si indirizza anche nei confronti del soggetto che disponga del bene in base al titolo stesso, in quanto una decisione emessa soltanto contro il primo non sarebbe opponibile al secondo, e, dunque, non potrebbe approdare ad un risultato utile per l'attore. Da tanto consegue che ove la compagnia di assicurazioni, destinataria di un provvedimento ministeriale di revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività assicurativa e di un connesso ordine di liquidazione coatta amministrativa, proponga nei confronti del competente Ministero domanda per ottenere, previo accertamento della nullità di detto provvedimento, il rilascio dei beni di sua proprietà detenuti dal commissario liquidatore, la richiesta di pronuncia di condanna del Ministero ad attuare o disporre il rilascio di quanto detenuto dal commissario ha natura sostanziale di esercizio di azione recuperatoria nel rapporto con il commissario medesimo (il quale, con attribuzioni analoghe a quelle del curatore del fallimento, è consegnatario dei beni inclusi nella procedura, li amministra, ed è anche parte nei giudizi che li riguardano, ai sensi degli artt. 201 e 204 l. fall.), da proporsi, dunque, anche nei suoi confronti in qualità di litisconsorte necessario, tenuto conto che l'autorità ministeriale non svolge atti gestori, né direttamente, né indirettamente per il tramite del commissario, e, comunque, non ha il potere di sostituirsi ad esso o di ordinargli di consegnare ad altri quei beni. (massima ufficiale)


Massimario, art. 204 l. fall.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISCUOLO Alessandro - Presidente -
Dott. MORELLI Mario Rosario - Consigliere -
Dott. GRAZIADEI Giulio - rel. Consigliere -
Dott. SALVAGO Salvatore - Consigliere -
Dott. FORTE Fabrizio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
L'EDERA COMPAGNIA ITALIANA DI ASSICURAZIONI S.P.A., in persona dell'amministratore delegato Dott. Adriano Piacentini, elettivamente domiciliata in Roma, via Tagliamento n. 14, presso l'avv. BARONE Carlo Maria, che la difende per procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
MINISTERO DELLE ATTIVITÀ PRODUTTIVE, in persona del Ministro, e contro Piero Antonio Cinti, già direttore generale del Ministero dell'industria, entrambi difesi dall'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO e presso la medesima domiciliati in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
- resistenti -
e contro
L'Edera Compagnia italiana di assicurazioni s.p.a., in liquidazione coatta amministrativa, in persona del commissario liquidatore Dott. Francesco Dosi, elettivamente domiciliata in Roma, viale Bruno Buozzi n. 82, presso l'avv. Gregorio Iannotta, che la difende per procura a margine del controricorso;
- resistente -
per la cassazione della sentenza della Corte d'appello di Roma a 1760 del 24 marzo-13 aprile 2004;
sentiti:
il Cons. Dott. Graziadei, che ha svolto la relazione della causa;
l'avv. Barone, per la ricorrente, e gli avv.ti Polizzi e Iannotta, per i resistenti;
il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale RUSSO Libertino Alberto, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Ministro dell'industria, con provvedimento del 29 luglio 1997, ha revocato l'autorizzazione all'esercizio dell'attività assicurativa nei riguardi della società L'Edera Compagnia italiana di assicurazioni s.p.a., e ne ha ordinato la liquidazione coatta amministrativa, nominando commissario liquidatore Francesco Dosi. L'Edera, in persona dell'amministratore delegato Adriano Piacentini, TU novembre 1999 ha citato dinanzi al Tribunale di Roma il Ministero dell'industria ed il suo direttore generale Piero Antonio Cinti. La società attrice ha sollecitato un accertamento incidentale dell'inesistenza o della nullità assoluta o quantomeno della disapplicabilità di detto provvedimento, deducendo che lo stesso era stato adottato in radicale carenza di potere, per effetto di propria precedente rinuncia all'esercizio dell'attività assicurativa, come rilevato dalle Sezioni unite di questa Corte con sentenza 27 gennaio 1999 n. 4, affermativa della giurisdizione del giudice ordinario in un separato giudizio promosso da alcuni soci per contestare il medesimo provvedimento.
Ciò posto, L'Edera ha chiesto di dichiararsi l'inesistenza o la nullità assoluta della nota del 6 febbraio 1999, a firma del Cinti, con la quale si era mantenuto fermo l'incarico conferito al commissario liquidatore, di dichiararsi l'abusi vita ed illiceità del subito spossessamento di tutti i propri beni mobili ed immobili, di condannarsi il Ministro ad attuare e/o disporre il rilascio di tali beni, arbitrariamente detenuti dal Dosi, ed infine di condannarsi in via generica i convenuti in solido al risarcimento dei danni, con attribuzione di una provvisionale.
Il Tribunale, con sentenza del 9 maggio 2001, ha accolto le domande, ad eccezione di quella di condanna anche del Cinti al risarcimento dei danni e di quella inerente alla provvisionale.
Ha proposto gravame il Ministero dell'industria, con atto poi rinnovato dal Ministero delle attività produttive, fra l'altro sostenendo l'inammissibilità delle domande attrici per violazione del principio del contraddittorio.
È intervenuta volontariamente la liquidazione coatta amministrativa, in persona del commissario liquidatore, chiedendo l'accoglimento dell'impugnazione del Ministero, con declaratoria di nullità della sentenza del Tribunale.
La Corte d'appello di Roma, con sentenza depositata il 13 aprile 2004, ha dichiarato la nullità della pronuncia impugnata, con rimessione delle parti dinanzi al Tribunale ai sensi dell'art. 354 cod. proc. civ., osservando che il giudizio avrebbe dovuto svolgersi in contraddittorio anche della liquidazione amministrativa, soggetto diverso dal Ministero dell'industria e qualificabile come gestione autonoma ai sensi degli artt. 198 e segg. del r.d. 16 marzo 1942 n. 267, in quanto l'azione della società era sostanzialmente" rivolta all'affermazione della giuridica inesistenza della procedure liquidatorie ed alla restituzione dei beni in essa confluiti, ed aggiungendo che detta nullità era rilevabile d'ufficio" e che comunque era stata eccepita dall'appellante, nonché dal commissario liquidatore, il quale era ritualmente intervenuto in fase di gravame ai sensi dell'art. 344 cod. proc. civ..
L'Edera, con ricorso notificato il 14-15 giugno 2004 al Ministero delle attività produttive, al Cinti ed alla liquidazione coatta amministrativa in persona del commissario, ha chiesto la cassazione della sentenza della Corte d'appello, formulando tre motivi d'impugnazione.
Hanno replicato con un unico controricorso il Ministero ed il Cinti, ed inoltre, con separato controricorso, la liquidazione coatta amministrativa.
Tutte le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con censure connesse, denunciando la violazione dell'art. 111 della Costituzione, degli artt. 34, 99, 101, 102, 112, 116, 132, 161, 324, 344, 345 e 354 cod. proc. civ., dell'art 2697 cod. civ., dell'art. 198 del r.d 16 marzo 1942 n. 267, degli artt. 4 e 5 della legge 20 marzo 1865 a 2248 ali. E, dell'art. 14 della direttiva Cee n. 92/49 del Consiglio del 18 giugno 1992 e degli artt 61, 65 e 66 del d.lgs. 17 marzo 1995 n. 175, nonché vizi della motivazione, la ricorrente addebita alla Corte d'appello:
di essere incorsa in totale carenza o mera apparenza della motivazione, ravvisando una situazione di litisconsorzio necessario senza il preventivo riscontro delle ragioni che avrebbero comportato l'inutilità della decisione richiesta al Tribunale in mancanza della partecipazione alla causa della liquidazione coatta amministrativa;
di aver ignoralo che, rispetto alla domanda di accertamento dell'inesistenza o nullità della nota ministeriale del 6 febbraio 1999 ed alla domanda di condanna del Ministro e del Cinti al risarcimento dei danni, non si poneva alcun problema d'integrazione del contraddittorio;
di avere arbitrariamente trasformato in autonoma domanda la richiesta di declaratoria della nullità o di disapplicazione del decreto ministeriale del 29 luglio 1997, la quale era stata esplicitamente avanzata in via meramente incidentale, e, dunque, non implicava alcuna decisione nei confronti della liquidazione;
di non aver considerato che pure la domanda di rilascio del compendio aziendale era stata rivolta esclusivamente contro il Ministro, nell'esercizio della facoltà di essa attrice, quale proprietaria dei beni acquisiti senza titolo da più soggetti in concorso tra loro, di esperire azione restitutoria o di spoglio anche contro uno soltanto degli autori (materiali o morali) dell'illecito;
di non aver rilevato e dichiarato l'inammissibilità dell'intervento in appello della liquidazione, trattandosi di iniziativa consentita dall'art. 344 cod. proc. civ. soltanto al terzo legittimato all'opposizione di cui all'art 404 cod. proc. civ., cioè al terzo che in concreto faccia valere un proprio diritto nei riguardi dei contendenti, e non si limiti, come nella specie, ad aderire alle posizioni dell'uno o dell'altro;
di aver trascurato che il difetto d'integrità del contraddittorio, ancorché rilevabile d'ufficio, va apprezzato, ove vi siano eccezioni delle parti, nei limiti delle relative allegazioni, e che, quindi, nella concreta vicenda, non poteva essere ravvisato sulla scorta della pretesa autonoma soggettività della liquidazione, con riferimento agli arti 198 e segg. della legge fallimentare, trattandosi di norme non invocate dal Ministero a sostegno della sua eccezione;
di non aver spiegato quale incidenza potesse avere detta asserita autonomia della gestione liquidatoria sulla questione inerente all'integrità del contraddittorio, peraltro affidandosi al richiamo di norme non pertinenti alla fattispecie (caratterizzata dalla radicale nullità della procedura di liquidazione, aperta con provvedimento affetto da totale carenza di potere), ed inoltre dimenticando che il commissario liquidatore è un semplice mandatario del Ministro.
Il ricorso è infondato.
Con riguardo alla prima ed alla sesta delle riportate deduzioni, logicamente prioritarie, si osserva, a confutazione delle tesi della ricorrente, quanto segue.
Il potere-dovere del giudice di controllate d'ufficio il rispetto del principio del contraddittorio, con l'evocazione in causa di tutti i destinatari della domanda come formulata dalla parte attrice, non viene meno, ne' subisce limitazione, per il caso in cui la non integrità del contraddittorio sia denunciata da uno dei convenuti. L'onere della controparte, che eccepisca l'incompletezza del contraddittorio, di dedurre e dimostrare le circostanze su cui basi la propria eccezione, sussiste in relazione ai dati che non risultino dagli atti (v. Cass. s.u. 4 dicembre 2001 n. 15289), e, quindi, non interferisce sul compito officioso del giudice di rilevare, sulla scorta del contenuto della domanda e degli elementi da essa offerti, la mancata osservanza degli inderogabili canoni di cui agli artt. 101 e 102 cod proc. civ..
Rientra nell'ambito dell'espletamento di tale compito l'individuazione delle norme applicabili al caso concreto, indipendentemente dalle prospettazioni delle parti. Le eventuali carenze del relativo iter argomentativo non giustificano una richiesta di cassazione della sentenza del giudice del merito, tenendosi conto del potere di questa Corte di supplire in via integrativa o correttiva ai sensi dell'art. 384 secondo comma cod. proc. civ..
Con riguardo alle altre deduzioni della ricorrente, da esaminarsi congiuntamente per la connessione dei quesiti sollevati, va considerato, in via generale, che la domanda diretta ad ottenere il rilascio di un bene da parte di chi lo possegga o detenga sulla scorta di un titolo assertivamente invalido od inefficace, implica la richiesta di pronuncia di una sentenza costitutiva dell'obbligo del possessore o detentore di trasferire la disponibilità della cosa, e di subire, in difetto, l'iniziativa recuperatoria del soggetto istante; detta domanda, pertanto, pure se contestualmente denunci la responsabilità di chi abbia posto in essere quel titolo invalido od inefficace, si indirizza anche nei confronti del soggetto che disponga del bene in base al titolo stesso, in quanto una decisione emessa soltanto contro il primo non sarebbe opponitele al secondo, e, dunque, non potrebbe approdare ad un risultato utile per l'attore. L'Edera non mette in discussione tali criteri generali, e da atto che il complesso aziendale, del quale ha chiesto il rilascio, è detenuto e gestito dagli organi della liquidazione coatta amministrativa, ma sostiene l'estraneità alla causa della liquidazione medesima, facendo leva sulla formulazione del petitum della propria domanda di rilascio soltanto nel rapporto con il Ministro, al quale il Giudice adito avrebbe dovuto ordinare di attuare o disporre il rilascio stesso, ed inoltre sulla circostanza che ha sollecitato esclusivamente in via incidentale l'accertamento dell'inesistenza o della radicale nullità del titolo di quella detenzione e gestione. Entrambi i rilievi non danno sostegno alla soluzione propugnata dalla ricorrente.
L'indicata formulazione del petitum non tocca l'effettivo rivolgersi della pretesa attrice contro, od anche contro la liquidazione, dato che il Ministro, a seguito dell'apertura della liquidazione medesima (pure se in base a provvedimento radicalmente nullo), non ha, come ammesso dalla società attrice, la detenzione dei beni e la gestione delle attività liquidatone; l'una e l'altra spettano ope legis al commissario liquidatore, il quale, con attribuzioni analoghe a quelle del curatore del fallimento, è consegnatario dei beni inclusi nella procedura, li amministra, ed è anche parte nei giudizi che li riguardino, ai sensi degli artt. 201 e 204 del r. d. 16 marzo 1942 a 267 (cfr. Cass. 17 ghigno 1999 n. 6011 e 19 gennaio 2000 a 539). L'autorità ministeriale non svolge atti gestori, ne' direttamente, nè indirettamente per il tramite del commissario, e, comunque, non ha il potere di sostituirsi al commissario o di ordinargli di consegnare ad altri quei beni.
Ne consegue che la richiesta di pronuncia di condanna del Ministro ad attuare o disporre il rilascio di quanto detenuto dal commissario ha natura sostanziale di esercizio di azione recuperatoria nel rapporto con il commissario medesimo, da proporsi anche nei suoi confronti in qualità di litisconsorte necessario.
La conclusione non può mutare per il fette che la domanda della società L'Edera, incentrata sulla denuncia della nullità del provvedimento di apertura della liquidazione, abbia sollecitato in proposito un accertamento soltanto incidentale.
La nullità di quel provvedimento, indipendentemente dall'indicata limitazione apposta dalla parte istante alla richiesta inerente al relativo accertamento, è necessariamente oggetto d'indagine principale, da effettuarsi con efficacia vincolante nei riguardi della liquidazione, in quanto integra la causa petendi dell'azione, costituendo l'antecedente indispensabile affinché possa disporsi che i beni confluiti nella procedura amministrativa, in carenza di titolo, siano restituiti alla società sottoposta alla procedura stessa (ed in tal senso aveva coeretemente statuito il Tribunale di Roma, con la sentenza poi annullata dalla Corte d'appello). La sentenza di rilascio richiesta dalla società, pertanto, sarebbe inutiliter data senza la presenza in causa del commissario liquidatore, dato che questi, in assenza di un accertamento a lui opponibile circa la nullità dell'apertura della liquidazione e della sua investitura, non potrebbe dismettere i beni consegnatigli (con la connessa cessazione delle attività liquidatone), in presenza di un ordine giudiziale impartito inter alias.
L'inserimento poi nello stesso processo, oltre alla domanda di rilascio, anche di domande esclusivamente riferibili al Ministro ed al Cinti non e influente, ai fini in esame.
Dette altre domande, vale a dire quella di accertamento della nullità della nota a firma del Cinti recante l'affermazione del perdurare in carica del commissario liquidatore e quella di condanna al risarcimento dei danni, hanno carattere strettamente conseguenziale, in quanto postulano il riconoscimento della fondatezza delle denunce inerenti all'inesistenza o nullità della procedura liquidatoria e della nomina del commissario, con il corollario dell'abusività dello spossessamento subito dalla ricorrente.
La natura di tali ulteriori pretese, rispetto alla domanda principale, legittima la dichiarazione della nullità dell'intera sentenza di primo grado, in dipendenza dell'incompletezza del contraddittorio sulla domanda attinente all'invalidità della liquidazione ed al recupero dei beni aziendali, senza che possa configurarsi la facoltà del Giudice d'appello di separare le relative cause e di statuire in sede di gravame su quelle non viziate da incompletezza del contraddittorio (separazione del resto non sollecitata dai contendenti).
Le osservazioni svolte portano de plano anche alla reiezione della tesi della società L'Edera sull'inammissibilità dell'intervento in secondo grado della liquidazione.
Si condivide quanto puntualmente rileva la difesa della ricorrente sulla legittimazione a detto intervento, ai sensi dell'art. 344 cod. proc. civ., in relazione all'art. 404 cod. proc. civ., soltanto di chi faccia valere un diritto autonomo (rispetto a quello in contestazione fra le parti originarie), il quale non sia compatibile con la statuizione che è stata resa in primo grado o con la statuizione che potrebbe essere resa in appello (v. Cass. s.u. 27 agosto 1998 n. 8500), ma si osserva che l'allegazione da parte dell'interventore della qualità di litisconsorte necessario pretermesso, con la richiesta di dichiarazione della nullità della sentenza pronunciata in primo grado senza la sua partecipazione al processo, implica in sè l'esercizio di un distinto diritto, indipendentemente dalla circostanza che detta richiesta coincida con quella di un altro contendente parimenti interessato (in quanto soccombente in primo grado) a rimuovere la decisione investita dall'appello, o che comunque la non integrità del contraddittorio sia riscontrabile d'ufficio.
In altri parole, il fondamento della deduzione dell'interventore in appello, circa l'esigenza della sua partecipazione al giudizio di primo grado, basta a determinare l'ammissibilità dell'intervento, senza che si richieda anche la denuncia dell'ingiustizia nel merito della sentenza conclusiva di quel procedimento, essendo il pregiudizio di cui all'art. 404 primo comma cod. proc. civ. insito in detta mancata partecipazione (v. Cass. 10 maggio 1985 n. 2918, 18 febbraio 1995 n. 1794).
Da ultimo va rilevato che la riconosciuta correttezza della sentenza di secondo grado, nella parte in cui ha accolto la deduzione dell'appellante e dell'intervento, sull'incompletezza del contraddittorio in primo grado, rende ultroneo accertare se, in assenza di tale vizio di nullità della sentenza del Tribunale, si sarebbe potuto formare il giudicato interno sulle decisioni adottate dal Tribunale medesimo (questione sollevata dalla ricorrente con la memoria), rimanendo il relativo quesito su un piano meramente astratto, per effetto della caducazione in foto di dette decisioni in dipendenza di quel vizio radicale inerente alla costituzione del rapporto processuale.
In conclusione il ricorso deve essere respinto, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di questa fase processuale. P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso proposto dalla società L'Edera Compagnia italiana di assicurazioni s.p.a., e la condanna al rimborso delle spese del presente giudizio, liquidandole, congiuntamente in favore del Ministero e del Cinti, nella misura di E. 3.000 per onorati, oltre atte spese prenotate a debito, ed inoltre, in favore della liquidazione coatta amministrativa, nella misura di E. 3.100, di cui E. 3.000 per onorari, oltre atte spese generali ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 22 marzo 2005.
Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2005