Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6249 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. II, 16 Marzo 2011, n. 6194. Est. Piccialli.


Sanzioni amministrative - Principi comuni - Sanzione amministrativa - Pluralità di violazioni - Violazione prevista dagli artt. 2250 e 2627 (nel testo anteriore alla novella recata dal d.lgs. n. 61 del 2002) cod. civ. - Società di capitali - Omessa indicazione del capitale sociale negli atti e nella corrispondenza - Utilizzo dei moduli incompleti per una pluralità di operazioni - Cumulo materiale - Sussistenza - Fondamento.



La violazione amministrativa consistente nell'omessa indicazione negli atti e nella corrispondenza delle società di capitali, dell'ammontare del capitale sociale effettivamente versato, prevista dagli artt. 2250, secondo comma, e 2627 (nel testo anteriore alla novella recata dal d.lgs. n. 61 del 2002) cod. civ., tutela l'esigenza, (derivante da obblighi comunitari) di mettere in condizione i clienti di conoscere la consistenza patrimoniale della società, sicché l'illecito si consuma non già nella predisposizione unitaria e generalizzata di stampati e atti per una serie indeterminata di contrattazioni, bensì ogni qual volta, per una operazione commerciale, i singoli stampati ed atti vengano utilizzati senza le indicazioni anzidette. Ne consegue che, in tali ipotesi, non è applicabile né l'art. 8 della L. 689 del 1981, in quanto relativo alla diversa fattispecie del concorso formale, eterogeneo od omogeneo, che postula l'unicità dell'azione o omissione produttiva di una pluralità di violazioni, né l'istituto della continuazione, previsto soltanto per gli illeciti previdenziali. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHETTINO Olindo - Presidente -
Dott. GOLDONI Umberto - Consigliere -
Dott. PICCIALLI Luigi - rel. Consigliere -
Dott. MIGLIUCCI Emilio - Consigliere -
Dott. BERTUZZI Mario - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 18893/2005 proposto da:
MAGRO MICHELE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F. CONFALONIERI 5, presso lo studio dell'avvocato MANZI Andrea, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato VOLPE FRANCESCO;
- ricorrente -
contro
CCIAA PADOVA IN PERSONA DEL PRESIDENTE PRO TEMPORE GR.UFF. CHIESA GIANFRANCO E DEL SEGRETARIO GENERALE DOTT. SELMIN, ALESSANDRO elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F. CONFALONIERI 5, presso lo studio dell'avvocato COGLITORE Emanuele, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato TESTA MARIO;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 2717/2003 del TRIBUNALE di PADOVA, depositata il 27/05/2004;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 24/02/2011 dal Consigliere Dott. LUIGI PICCIALLI;
udito l'Avvocato Carlo Albini con delega depositata in udienza dell'Avv. Manzi Andrea difensore del ricorrente che si riporta al ricorso;
udito l'Avv. Coglitore Emanuele difensore della resistente che si riporta anch'egli;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per manifesta infondatezza e condanna alle spese.
FATTO E DIRITTO
Michele Magro, opponente avverso l'ordinanza-ingiunzione in data 23.7.02, con la quale la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Padova gli aveva irrogato sanzioni pecuniarie per complessivi Euro 4.918.986,00, per illeciti amministrativi commessi nella stipulazione di n. 4542 contratti, in violazione delle prescrizioni di cui al D.Lgs. n. 50 del 1992, art. 11 (capo 1) e artt. 2250 e 2627 cod. civ. (capo 2, consistito nell'omessa indicazione nei suddetti contratti del capitale sociale della Target s.r.l., di cui l'opponente era legale rappresentante), a seguito della sentenza in data 23.12.03-27.5.04, con la quale l'adito Tribunale di Padova, dichiaratosi incompetente per materia quanto agli illeciti di cui al primo capo, ha respinto l'opposizione relativa a quelli di cui al secondo, ha proposto, relativamente a tale rigetto, ricorso per cassazione su due motivi.
Ha resistito la Camera di Commercio con controricorso. All'esito della discussione in pubblica udienza, ritiene la Corte che entrambi i motivi non meritino accoglimento.
Con il primo, deducente violazione e falsa applicazione degli artt. 2250 e 2506 c.c., ed omessa motivazione, il ricorrente ribadisce la tesi secondo cui avrebbe dovuto essere irrogata una sola sanzione in relazione ai fatti contestati, che a suo avviso avrebbero integrato un'unica violazione, e non applicarsi il criterio del cumulo, seguito dall'autorità amministrativa e confermato dal giudice, con riferimento a ciascuno dei contratti carenti dell'indicazione. Le argomentazioni al riguardo esposte, deducenti, con richiamo testuale al precetto normativo, l'unitarietà del comportamento sanzionato, sono palesemente inconsistenti.
La circostanza che l'art. 2250 c.c., prescriva dette indicazioni "negli atti e nella corrispondenza", non è di alcun apporto, ma anzi smentisce la tesi sostenuta, poiché, tenuto conto della ratio della disposizione, che come è stato ben evidenziato dal primo giudice, va individuata nell'esigenza (derivante da obblighi comunitari) di mettere in condizione i clienti di conoscerei fini dell'affidabilità della contrattazione, la consistenza patrimoniale della controparte, comporta che l'elemento oggettivo dell'illecito si realizzi ogni qual volta venga stipulato un contratto sulla base di atti provenienti dall'operatore commerciale o da questo predisposti, nel quale sia stata omessa l'indicazione de qua.
In altri termini,la condotta sanzionata non va individuata, come opina il ricorrente, nella predisposizione unitaria e generalizzata di stampati ed atti ai fini di una serie indeterminata di contrattazioni, che in quanto tale, se non seguita dall'uscita degli stessi dalla sfera dell'impresa, resterebbe irrilevante, bensì nell'utilizzazione singola di ciascuno degli stessi, di volta in volta adoperato nelle operazioni commerciali, concretante la consumazione dell'illecito.
E poiché nella disciplina dell'illecito amministrativo non sussiste, come si desume dalla L. n. 689 del 1981, art. 8, che, al comma 1, prevede la diversa ipotesi del concorso formale, eterogeneo o omogeneo (ricorrente quando le diverse violazioni siano commesse con unica azione o omissione, nella specie non configurabile), ed al secondo, eccezionalmente, quello della continuazione, limitatamente alle violazioni in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria, una disciplina del tutto analoga a quella dettata dall'art. 81 c.p., correttamente il giudice di merito ha confermato l'operato cumulo materiale della sanzioni, corrispondente alla somma di quelle previste per ciascuno degli illeciti consumati, disattendendo la richiesta di cumulo giuridico.
Manifestamente infondata è poi l'eccezione di illegittimità costituzionale, subordinatamente formulata nel mezzo d'impugnazione. Al riguardo va considerato, quanto al riferimento all'art. 3 Cost., che l'irragionevolezza del trattamento sanzionatorio viene dedotta, del tutto genericamente, e che comunque non sussiste alcuna possibilità di raffronto con discipline comparabili a quella in considerazione, tali non potendo essere quella dei fatti penalmente rilevanti, ne' quella relativa alle, sopra citate, violazioni in materia assistenziale e previdenziale, il cui trattamento differenziato, attesa l'oggettiva diversità delle situazioni,risponde a scelte legislative insindacabili. Quanto al criterio della "proporzionalità" della sanzione, che si assume violatesi osserva che lo stesso deve essere considerato con riferimento a ciascuna ipotesi d'illecito e non ad una serie, per quanto omogenea,di violazioni commesse in tempi diversi. Palesemente inconferente, poi, è il riferimento all'art. 27 Cost., attenendo i principi ivi contenuti (personalità della pena, finalità rieducative, presunzione di innocenza, etc.) alla responsabilità penale.
Non miglior sorte merita il secondo motivo, con il quale si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2256 e 2506 c.c., L. n. 689 del 1981, art. 1, ed omessa motivazione, per avere il giudice di merito, erroneamente ed in violazione del principio di legalità e tipicità dell'illecito amministrativo, considerato lo stesso consumato con la mera predisposizione di stampati, che nelle singole contrattazioni sarebbero stati utilizzati soltanto dai sottoscriventi clienti, e non anche dalla società; sicché non avrebbe potuto essere ritenuto che le contestate omissioni fossero incorse in "atti e corrispondenza" della società, come richiesto dalla norma precettiva. L'infondatezza della censura è palese, poiché la provenienza dei moduli dalla società, ancorché non preventivamente sotto scritti, ma comunque utilizzati in ciascuna contrattazione dagli operatori o rappresentanti della stessa e messi a disposizioni dei clienti, per raccoglierne le relative proposte e, poi, prenderne conoscenza ed accettarle per facta concludentia, con la relativa esecuzione, è incontroversa. Realizzandosi il contratto con la formazione del consenso in ordine alle pattuizioni contenute nei moduli in questione, dall'impresa predisposti e concretamente utilizzati con le suddette modalità, risulta evidente come detti documenti, sottoscritti o meno che fossero dall'impresa societaria, integrassero "atti" dalla stessa utilizzati nelle operazioni commerciali (e, non a caso,conservati e rinvenuti dai verbalizzanti) e, pertanto, rilevanti ai fini della materialità dell'illecito, consistente nell'omessa indicazione dei dati prescritti in tali documenti il ricorso va, conclusivamente, respinto, con condanna del ricorrente alle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore della resistente, delle spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 9.000,00 di cui Euro 200,00 per esborsi. Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2011.
Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2011